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Punti di partenza ed arrivo
Tempo necessario
Dislivello in altezza
in m.
Difficoltà (T=turistica, E=escursionistica, EE=per escursionisti esperti)
S. Caterina Valfurva - Val Sobretta - Bocca di Profa - Valle delle Presure - Profa Alta - Boero - Frontale
8 h
950
EE

SINTESI: Traversata non semplice che richiede buona visibilità e senso di orientamento. Sono necessarie due automobili, una a S. Caterina Valfurva, l'altra al tornante dx dopo Frontale (sopra Le Prese) della strada che sale a Fumero. Poco oltre l'albergo San Matteo di S. Caterina Valfurva imbocchiamo la strada sulla destra e poi la pista sterrata che si stacca a destra. Dopo il Ponte dei Sospiri lasciamo la pista imboccando un sentiero che sale a sinistra (n. 20) fino a Sclanera. Proseguiamo sulla pista che attraversa, in piano, i prati e rientra nel bosco. Su un albero troviamo un segnavia rosso-bianco-rosso con numerazione 20. Dopo breve discesa siamo ad un bivio, prendiamo il sentiero sulla sinistra che diventa pista e poi ancora sentiero, saliamo in una pecceta (taccia a tratti debole, direzione ONO), ne usciamo e procediamo su paleofrana entrando in Val Sobretta sul suo lato occidentale, incontrando in successione tre grandi ometti. Dopo il terzo ometto (m. 2320) scendiamo ad una conca e con qualche saliscendi siamo al piano del Baitin dei Pastori. Ci raggiunge da destra il sentiero 18. Seguiamo i paletti con segnavia bianco-rosso restando sulla sinistra della piana. Restando a sinistra del torrente Sobretta superiamo una prima soglia, poi, dopo una piana saliamo ancora e giungiamo in vista della Bocca di Profa, che raggiungiamo facilmente, passando a sinistra dei Bei Laghetti (m. 2663). Scendiamo ai laghi di Profa, seguendo segnavia ed ometti e passando a destra del lago Brodeg ed a sinistra del Lago delle Tre Mote. Quando il sentiero marcato prende a destra, per l'alpe Profa, lo lasciamo stando a sinistra della valle, perché un grande smottamento non ci permette di seguire il sentiero originario. Siamo al punto più delicato per l'orientamento. Prendiamo, dunque, a sinistra, puntando al torrentello che esce dal lago Brodeg e superandolo da destra a sinistra: troviamo, su questo lato, una traccia di sentiero che serpeggia fra i sassi mobili, portandoci, senza problemi, ad uno stupendo pianoro ai piedi del gradino di soglia dell’alta valle, ad una quota approssimativa di 2370 metri. Alla nostra destra, ad una certa distanza, vediamo il microlaghetto chiamato localmente “lach del pian pöirìf”. Attraversato nel centro un pianoro, scendiamo verso una conca, senza percorso obbligato, lungo un declivio morenico. alla più bassa delle piane, delimitata, alla nostra sinistra, da un dosso morenico. Un po’ prima della metà della piana, pieghiamo decisamente a sinistra e sormontiamo il dosso, scendendo, poi, a scavalcare il torrente, da destra a sinistra. Ora dobbiamo attraversare un corpo franoso, senza alcun riferimento segnaletico, puntando al roccione che sovrasta il declivio erboso sul lato opposto della fascia di massi. Prendiamo come punto di riferimento due giovani larici gemelli in mezzo alla fascia. Toccati i primi pascoli al di là della fascia, cerchiamo la traccia di sentiero che, scavalcando il dosso, comincia a scendere nella sezione mediana della Valle delle Presure, fra magri pascoli, radi larici e segni di antichi smottamenti. La traccia non si perde più, ma dobbiamo stare ugualmente molto attenti perché, in un paio di punti, si affaccia quasi all’enorme smottamento che si apre alla nostra destra. Evitiamo ora rigorosamente discesa fuori sentiero. Superati due corpi franosi, entriamo in un bosco di larici e ci immettiamo in un più largo sentiero che proviene da destra. Andando a sinistra siamo all'alpe di Profa Alta. Sul lato opposto dei prati (cartello con scritta "Boero") parte un sentiero ben marcato che attraversa uno scosceso versante e porta all'alpe di Boero. Da qui seguendo una carozzabile scendiamo alla strada che sale da Frontale a Fumero, dove recuperiamo la seconda automobile.


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Tutti conoscono il significato dell’espressione “il bel paese”, e molti la utilizzano, con maggiore o minore ironia, quando parlano dell’Italia. Ben pochi sanno, però, che è anche il titolo di un’opera di una delle più interessanti figure della geologia italiana ottocentesca, l’abate Antonio Stoppani (1824-1891), che fu sacerdote, patriota ed appassionato di glaciologia. In quest’opera descrisse, in altrettante serate, trentaquattro itinerari esemplificativi della bellezza naturalistica dei paesaggi italiani, immaginando di doverli raccontare, con linguaggio semplice e chiaro, ai nipoti.
La sesta serata è dedicata ad un percorso che egli ebbe modo di effettuare traversando da S. Caterina Valfurva alle Prese, passando per le valli di Sobretta e delle Presure. Questa traversata, descritta con accenti di entusiasmo per gli scenari densi di fascino e sorpresa, è, oggi, denominata “Sentiero dell’abate Stoppani”. Sentiero che, al di là del nome, che parrebbe suggerire una maggiore notorietà, è, però, sconosciuto ai più.


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Anche quei non molti escursionisti che riescono a fare mente locale al comprensorio montuoso che separa la Valfurva dalla sezione sondalina dell’alta Valtellina, penseranno subito alla classica traversata che sfrutta l’ampia, bellissima e frequentata Val di Rezzalo, che si apre a monte di Frontale. Il sentiero dell’abate Stoppani, però, non passa di lì, ma tocca luoghi immersi in una solitudine raramente disturbata dalla presenza umana. Un sentiero, dunque, da scoprire. E per i silenzi, e per la bellezza dei luoghi: il fatto che lo Stoppani lo abbia scelto fra i più significativi nel panorama ideale delle bellezze d’Italia è una garanzia di non poco conto. Per amore di verità si deve specificare che l’itinerario segnalato non coincide interamente con quello percorso dallo Stoppani, perché, come vedremo, nella seconda parte egli intendeva cercare un sentiero che lo portasse a Bormio, ma si perse, e solo rocambolescamente riuscì a scendere a S. Antonio Morignone.


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Qualche dato d’insieme: non ci sono strutture di appoggio che consentano di scandire la traversata in due giorni impone la soluzione di effettuarla in un’unica giornata, cosa che lo stesso Stoppani fece. Lo sviluppo complessivo del sentiero è di 15 km, ed il dislivello in altezza è approssimativamente di 950 metri (nell’ipotesi che si segua la direttrice dell’abate, da S. Caterina alle Prese; in caso contrario esso sale considerevolmente). Diciamo che in 7 ore ce la si fa; calcoliamone, però, anche 8, considerando un breve fuori-programma che prevede la visita ai Bei Laghetti, piccole perle che non possiamo lasciarci sfuggire, e che sono posti a breve distanza dalla bocca di Profa, il punto più alto del sentiero). Oltre che un buon allenamento fisico, ci vuole esperienza escursionistica, perché la seconda parte della traversata è segnalata assai male, e propone un passaggio che richiede senso dell’orientamento. Infine, semplifica di molto le cose poter disporre di due automobili.
Salendo lungo la ss. 38 da Tirano verso Bormio, dunque, la lasciamo all’uscita delle Prese, svoltiamo a destra per Frontale, superiamo il grazioso paesino allo sbocco della Val di Rezzalo e proseguiamo verso Fumero, fino al tornante destrorso in corrispondenza del quale si stacca dalla strada, sulla sinistra, una pista: un cartello del Parco Nazionale dello Stelvio (riconoscibile per il simbolo dell’aquila) segnala che di qui parte il Sentiero dell’Abate Stoppani (è l’unico in tutto il percorso!). Per noi non sarà il punto di partenza, ma di arrivo; intanto lasciamo un’automobile ad uno slargo che si trova, sulla destra, poco prima di tale tornante. Torniamo, quindi, alle Prese e rientriamo sulla ss. 38, che ci porta a Bormio; all’ingresso della cittadina prendiamo a destra, seguendo le indicazioni per S. Caterina Valfurva.


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Raggiunta la celebre località turistica della Valfurva, lasciamo l’automobile al grande slargo sterrato che si trova sulla sinistra, all’ingresso del paese (gli altri parcheggi sono soggetti a limitazione oraria). Da qui, cioè da circa 1738 metri, inizia la traversata. Incamminiamoci sulla strada verso il centro del paese e, poco oltre l’albergo S. Matteo, sulla nostra destra, imbocchiamo la strada asfaltata che sale verso destra, lasciando la strada principale. Dopo una breve salita, raggiungiamo il punto nel quale dalla strada si stacca, sulla sinistra, una pista sterrata. Diversi cartelli segnalano altrettanti possibili località raggiungibili seguendola: quelle che ci interessano sono Sclanera, la Val Sobretta e la Bocca di Profa (sentieri 20 e 18).


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La pista, dopo aver attraversato gli impianti di risalita che si appoggiano al monte Sobretta, raggiunge il ponte che scavalca il torrente Sclanera, denominato Ponte dei Sospiri (“Pont di Sospir”, o “Pont da Sclanéira”, m. 1820), superato il quale troviamo subito un bivio: dalla pista sterrata (che prosegue per il bosco di Cornogna e Sobretta bassa) si stacca, sulla sinistra, un sentiero, che dovremo seguire. I cartelli indicano che si tratta del sentiero n. 20, per Sclaneira e la Val Sobretta. Il sentiero, superato un passaggio un po’ esposto, si immette in un più largo tratturo che sale da destra e prosegue, ripido e diritto, nella bella cornice di una pecceta. Se non abbiamo ancora carburato, dovremo farlo ora, al più presto, perché la pendenza è davvero severa: il tratturo non si perde in convenevoli e punta diretto alla meta. Muti testimoni della nostra sofferta lotta contro la legge di gravità, alcuni segnavia rosso-bianco-rossi con numerazione 20. Poco prima della meta, ci raggiunge, da destra, una pista sterrata, che si stacca dalla pista per il bosco di Cornogna più avanti, rispetto al punto nel quale ce ne siamo staccati noi.


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Poi usciamo dal bosco sul limite dello splendido poggio panoramico dei prati dell’alpe dei monti di Sclanera (“Li baita da Sclaneira”, m. 2042), in corrispondenza di un gruppetto di baite e di un grande masso erratico. Un alpeggio aperto e luminoso, a dispetto, forse, dell’etimologia del nome, che si potrebbe ricondurre allo scolo di acque nere. Dai prati dell’alpe si vedono, ad ovest-sud-ovest, i massicci contrafforti del monte Sobretta (m. 3296), che presidia l’angolo nord-orientale della valle omonima, che dovremo risalire fino alla bocca di Profa; alla sua destra, cioè sul lato opposto della valle, si intravede la Cima Bianca, che ospita la struttura di Bormio 3000, punto più alto degli impianti di risalita di Bormio. Proseguendo verso destra, distinguiamo l’imbocco della Valle di Fraele, sopra Bormio, seguita dalle impressionanti e corrugate cascate di roccia che si precipitano dalla Reit (termine che originariamente suonava "Arèit", e che deriva da "laricetum", cioè bosco di laricim. 3049). Ed ancora, le cime della dorsale che separa la Val Zebrù dalla Valfurva, cioè, da sinistra, il monte Confinale (o "Canfinale", che significa "campo finale"m. 3370), la Cima della Manzina (m. 3318), le Cime dei Forni (m.3240). Più a destra, sul fondo, le innevate cime del monte Cevedale (m. 3769), del Palon de la Mare (m. 3708) e del monte Vioz (m. 3645). Infine, l’inconfondibile e regolare piramide del pizzo Trèsero, la cima che domina S. Caterina Valfurva, alla cui destra occhieggia appena la Punta S. Matteo (m. 3678).


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Ignorato un sentierino che si stacca sulla sinistra (segnalazione per Plaghera e S. Caterina), proseguiamo sulla pista che attraversa, in piano, i prati e rientra nel bosco. Su un albero troviamo un segnavia rosso-bianco-rosso con numerazione 20, che ci conforta sulla giustezza del tragitto, nonostante la pista, ora, cominci a scendere nella splendida cornice del bosco di Cornogna. Per un buon tratto perdiamo quota gradualmente, fino ad un bivio, al quale dobbiamo prestare attenzione: dalla pista si stacca, sulla sinistra, un sentiero, non segnalato: solo qualche metro oltre il bivio vediamo, su un tronco, un segnavia rosso-bianco-rosso con la numerazione 20. Ben presto il sentiero si allarga a pista, che però, poco dopo, si interrompe bruscamente, lasciando il posto ad uno stretto sentiero che corre nel bosco aperto e luminoso, salendo, gradualmente, diritto per un buon tratto, in direzione ovest-nord-ovest. Si tratta di una traccia piuttosto stretta, ma sempre ben visibile; alcuni segnavia rosso-bianco-rossi, sempre con numerazione 20, ci rassicurano sulla correttezza dell’itinerario (teniamo conto che sulla cartina Kompass n. 72 il sentiero è identificato come 20B). Poi, ad una quota approssimativa di 2100 metri, il sentiero passa curiosamente nella stretta porta costituita da due grandi tronchi e, piegando leggermente a sinistra, comincia a salire con più decisione, proponendo anche una serie di tornantini. Superata una amena pianeta a quota 2140, proseguiamo nella salita fra rododendri, pini e larici, in una cornice davvero suggestiva, uscendo, infine, dal bosco e puntando decisamente ad una modesta formazione rocciosa, nei pressi della quale pieghiamo a destra.


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Superato il corpo di una paleo-frana, iniziamo ad aggirare l’ampio dosso che ci introduce al fianco occidentale della Val Sobretta e raggiungiamo una sorta di ampio terrazzo di macereti e radi alberi, tagliandolo, con andamento quasi pianeggiante, in direzione dell’ingresso della media Val Sobretta. Superato un facile gradino nella roccia, incontriamo un primo grande ometto e, piegando leggermente a sinistra, attraversiamo un torrentello, piegando poi di nuovo a destra, fino ad un cartello, che segnala che stiamo percorrendo il sentiero 20, ma intercetteremo il sentiero 18 (che sale in Val Sobretta dal versante opposto, cioè orientale, rispetto al nostro) per la bocca di Profa, i laghetti di Profa e Profa bassa. Sul versante orientale della Val Sobretta, che vediamo di fronte a noi (anche se non si vede ancora la bocca di Profa), spicca la Cima Bianca, con l’edificio di Bormio 3000, facilmente riconoscibile anche per il suo color salmone.


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Qualche saliscendi ci fa superare un secondo ometto, portandoci, infine, ad un terzo, ad una quota approssimativa di 2320 metri, dove la salita termina e ci affacciamo ad un’ampia conca, alla quale dovremo scendere. Si tratta di un bel pianoro (salendo, ne incontreremo un secondo), abbastanza ampio da giustificare l’origine del nome della valle, dal momento che “Sobretta” sembra derivi, come anche “Zebrù”, dalle voci dialettali piemontese e lombarda “sèber” o “zìber”, che significa “mastello”, quindi “conca”. Sul lato opposto del pianoro, rispetto al nostro, si distingue anche il solitario edificio del Baitìn dei Pastori (m. 2274). Alla nostra sinistra, invece, si mostra la scura parete settentrionale che è posta alla base della cima di Sobretta, e che scarica slavine e sfasciumi sul versante che stiamo scendendo.


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Dopo un quarto grande ometto ed un torrentello, infatti, attraversiamo un largo canalone che mostra i segni evidenti delle slavine che lo solcano. Superata una seconda fascia occupata da materiale franoso, ci attendono gli ultimi saliscendi prima dei corridoi erbosi che ci introducono alla piana del Baitìn dei Pastori. Un’avvertenza: se, per qualunque motivo, abbiamo in animo di tornare a S. Caterina per questa via, volgiamoci un attimo e memorizziamo il grande ometto sul bordo del dosso dal quale siamo scesi fin qui, e che non va confuso con un grande ometto posto più in alto: il riferimento ci sarà utile per non sbagliare nel ritorno.


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All’ingresso della piana troviamo i cartelli che segnalano un trivio: il nostro sentiero, n. 20, si immette, infatti, nel 18, che, preso verso destra consente di scendere a Sobretta, ai Sant ed alla statale 300 della Valfurva (peraltro su una comoda pista sterrata, che termina poco sotto il Baitìn), mentre percorso verso sinistra porta all’alta Val Sobretta, fino alla bocca di Profa. Seguiamo, ora, i paletti di legno con segnavia biancor-rosso (ci guideranno fino alla bocca di Profa), rimanendo sul bordo della piana che abbiamo raggiunto, quello di sinistra, per noi (senza, quindi, tagliare in direzione opposta, cioè verso il Baitìn; la salita avviene tenendo il lato sinistro della valle, anche se esiste un sentiero che sale anche dal lato destro), fino ad un primo gradino di soglia, che il sentiero, qui assai largo, supera con alcuni tornanti. Salendo, possiamo osservare, sulla nostra sinistra, la piccola gola scavata da un torrente secondario che scende dai versanti del Sobretta, con alcune marmitte originate dall’azione millenaria delle acque.


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Raggiungiamo, ora, un sistema di balze erbose; una prima salita verso destra ci porta nei pressi della suggestiva gola dalla quale il torrente Sobretta scende dall’alta valle, gola che tanto impressionò lo Stoppani, che, dopo aver assicurato di non aver mai visto “nulla di più terribile e di più vago”, la descrisse in questi termini: “Il burrone si sprofonda forse oltre un centinaio di piedi tra due verticali pareti di marmo bianco venato di bleu, e il fondo stesso dell’abisso non è che un pavimento di marmo ove si appiana il limpido torrente mantenendovi perenne tutta la freschezza del liscio delle tinte variegate”. Ma questo comprensorio montuoso non ha come protagonista il marmo, bensì il granito; come leggiamo, infatti, nella Guida alla Valtellina edita dal CAI di Sondrio nel 1884, “il nocciolo di questi monti fra le Prese e Bormio è formato da una massa imponente di granito stupendo ubbidientissimo allo scalpello conosciuto appunto sotto il nome di granito di S. Antonio Morignone.”


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Il sentiero, però, dopo essersi avvicinato alla gola del Sobretta, piega a sinistra e se ne allontana, prendendo, poi, più in alto di nuovo a destra. Al termine di un tratto in salita, abbiamo l’impressione di scorgere, finalmente, il punto terminale della valle. È solo un’impressione, perché si tratta di una soglia che dovremo scavalcare prima di salire alla bocca di Profa. La salita delle balze, guidata dai numerosi paletti, termina ad una nuova piana: poco distante da noi, alla nostra destra, il torrente percorre gli ultimi tratti prima di cacciarsi nella gola sopra descritta. Attraversiamo la piana tenendone, più o meno, il centro, fino ad un ultimo paletto e ad un segnavia su un masso, che precedono la nuova soglia, occupata, in buona parte, da materiale morenico. Volgendo gli occhi in alto, alla nostra sinistra, possiamo ammirare una lingua del ghiacciaio del Sobretta, che probabilmente nei decenni precedenti scendeva fin quasi al fondovalle, mentre ora si limita mestamente ad affacciarsi dal versante più alto. Lo Stoppani descrive con molta efficacia la singolarità di questa poderosa montagna, costituita da un “…gruppo di scogliere, radiatesi come raggi di stella da una massa elevatissima che, dagli aspri gioghi coperti di nevi eterne e di candide vedrette, versa all’ingiro le acque, quasi un perenne innaffiatoio posto sul vertice di una piramide isolata”.


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Raggiunto l’ultimo paletto sul limite della piana, dobbiamo, ora, attraversare un ramo di quei molti torrentelli che il Sobretta riversa da ogni lato, prestando, poi, attenzione, perché non è immediatamente intuibile come proseguire la salita. Effettuato senza problemi il guado, pieghiamo, quindi, leggermente a destra, portandoci su un cordone morenico che sale al centro dei due rami del torrente.
Qui ritroviamo una traccia chiara, che risale, zigzagando, l’ultimo significativo gradino dell’alta valle. Superata qualche balza erbosa, ci affacciamo all’ampia conca terminale, che mostra, sul fondo, l’evidente depressione della bocca di Profa, riconoscibile anche per i cartelli che si intravedono. Il singolare nome, che troveremo anche in un alpeggio che attraverseremo scendendo, ha la stessa radice di “Prese”, che rimanda, forse, al lombardo “prösa”, cioè luogo recintato, prato prosciugato con canali di drenaggio. Anche la valle alla quale ci affacceremo al termine della salita, denominata “delle Presure”, si riferisce alla voce valtellinese “presura”, che significa fondo soleggiato o, anche, casa circondata da fondi. Queste riflessioni linguistiche ci ricordano che nei nomi dei luoghi rimane ancora un barlume di quella civiltà contadina che, un tempo, li popolava di armenti e genti operose. Oggi resta, quasi ovunque, un silenzio suggestivo, ma anche molto malinconico.
L’accesso ai 2663 metri della bocca di Profa (chiamata anche passo di Sobretta e, nel dialetto locale, “palét”) si conclude, senza difficoltà, tagliando un facile ed ampio crinale erboso su traccia incerta (i paletti svolgono diligentemente il compito di guidarci) e passando a destra di un corpo franoso e di un microlaghetto che vediamo, più in basso, volgendoci verso sinistra nell’ultima parte della salita. Prima di descrivere quello che ci attende sul versante opposto, però (già vediamo il “Lac Stelù”, il più alto dei tre laghetti dai quali passeremo), concentriamoci ancora sul versante della Val Sobretta, gettando, innanzitutto, un’ultima occhiata al panorama che stiamo lasciando alle nostre spalle. Si mostrano, da sinistra, le superbe cime del versante settentrionale della Val Zebrù, con la possente triade dell’Ortles, dello Zebrù e del Gran Zebrù; più a destra, l’isolata e nevosa cima del Cevedale.


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Una mezzora di fuoriprogramma è sufficiente per un’ultima interessantissima salita ai Bei Laghetti, un sistema di dieci fra laghetti e microlaghetti che sono nascosti fra le balze rocciose che si trovano a nord-ovest del passo. Per scovarli tutti, in verità, ci vuole più tempo, ma sarà sufficiente trovare i tre più vicini. Seguendo le indicazioni del cartello che dà Bormio 3000 ad un’ora, Bormio 2000 a 3 ore e 15 minuti e Bormio a 4 ore e 15 minuti, incamminiamoci su un largo sentiero che sale verso destra, puntando al fianco orientale della dorsale dei monti Mala-Monteur-Vallecetta. La salita, poco impegnativa, si conclude, in breve, con la scoperta dei primi due microlaghetti, che precedono di poco il terzo laghetto (m. 2728), fra tutti sicuramente il più bello, per il singolare colore delle sue acque, di un azzurro chiaro che richiama assai più le spiagge dei tropici degli scenari di alta montagna. Ecco spiegata la denominazione di questi singolari laghetti che, da soli, meriterebbero un’escursione impegnativa.
Un’ultima notazione: il sentiero, più avanti, diventa una pista tracciata sul versante di sfasciumi, che raggiunge, senza difficoltà, la Cima Bianca, cioè l’edificio di Bormio 3000, posto nel punto terminale degli impianti di risalita bormini. La successiva discesa a Bormio sfrutta una semplice pista carrozzabile. Ma torniamo a noi, cioè alla bocca di Profa.


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Inizia ora una lunga discesa che ci porterà alla strada Frontale-Fumero, dove ci attende la seconda automobile. Le prime tappe della discesa sono indicate da un secondo cartello, che dà il lago delle Tre Mote a 25 minuti, l’alpe Profa ad un’ora e Profa Alta ad un’ora e 30 minuti. Il lago delle Tre Mote, però, non è, come già detto, quello che vediamo dalla bocca, adagiato in una conca ai piedi del versante montuoso che dal corno di Profa, ad ovest del passo (m. 3078) scende alla punta di Pollore (dal latino "pullus", terreno molle e paludoso, m. 2933). Si tratta, infatti, del lago Stelù (“Lac sc-telù” m. 2587), lago sterile, denominazione che gli fa un po’ un torto, e che si riferisce, probabilmente, alle gande ed agli sfasciumi dai quali è in buona parte circondato. Il laghetto è preceduto da un microlaghetto satellite.
Scendiamo, ora, passando dalla Val Sobretta, in territorio del comune di S. Caterina, alla Valle delle Presure (“Val de la Presura”), in territorio del comune di Valdisotto. Seguendo una traccia evidente, passiamo a destra del lago Stelù, collocato in una conca di origine glaciale. Dopo aver piegato leggermente a destra, risaliamo il fianco di una collina morenica e, dopo una breve discesa, risaliamo tagliando tagliamo il fianco del dosso che separa gli altri due laghetti del sistema dei laghi di Profa, il lago della Tre Mote, alla nostra destra, ed il lago Brodeg, a sinistra.
Per ora vediamo, però, poco più in basso, solo il lago delle Tre Mote (“lach di Tré Mot”, m. 2576), chiamato così per i tre piccoli isolotti rocciosi che emergono dalle sue acque, quietamente distese ai piedi della rosseggiante cima del Monte Mala (m. 2951).


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Manca all’appello, dunque, il terzo lago. Per scovarlo dobbiamo proseguire sul sentiero fino ad un cartello, che annuncia il lago delle 3 Mote, collocato nel punto in cui il sentiero comincia a scendere il gradino di soglia della valle; qui, però, invece di scendere a destra, proseguiamo diritti, attraversiamo un torrentello e risaliamo il dosso ad ovest di questo lago. Incontreremo, così, un primo microlaghetto, troppo piccolo per essere lo specchio d’acqua che cerchiamo. Proseguiamo, allora, piegando leggermente a destra: ci ritroveremo alti sopra il lago Brodeg (“Lach Brodich”,m. 2587). Il nome coincide con il termine dialettale che sta per “sporco”, ma è piuttosto difficile capirne la ragione: le sue acque, infatti, ci appaiono verdi e pulitissime.
Per continuare la discesa, non ci conviene tornare sui nostri passi e seguire il sentiero segnalato, dal momento che questo, poi, segue il vecchio tracciato, che passa sul lato settentrionale (di destra) dell’alpe Profa (“alp de Profa”), un tracciato, purtroppo, oggi non più praticabile per un consistente smottamento che ha interessato la parte mediana della Valle delle Presure, mangiandosi un buon tratto di sentiero. Dobbiamo, quindi, scendere senza l’ausilio di riferimenti segnaletici, cercando di evitare le peripezie di cui fu involontario protagonista il nostro abate, che, insieme ai suoi compagni di traversata, si ritrovò in una zona dirupata e rischiò di dover passare la notte all’addiaccio. Prima di descrivere come dovremo regolarci, ascoltiamo dalla sua voce la sintesi del racconto delle sue traversie, assai istruttiva per tutti coloro che vanno in montagna.


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L’unico sentiero che ci aveva portati fuor dalla gola, si partiva in due al suo sbocco. Uno vedevasi con sicura traccia torcersi alla sinistra… Evidentemente era questo il sentiero più battuto, e a cui avremmo potuto affidarci con piena sicurtà; ma non era fatto al certo per condurci a Bormio, né ci sentivamo disposti a deviare troppo dalla nostra meta. Pigliammo quindi l’altro sentiero, assai meno chiaro, ma che aveva il vantaggio di dirigersi… verso Bormio. Dopo breve cammino eccoti il sentiero salire, in luogo di discendere,… tra verticali dirupi, tra precipizi veramente spaventosi… Era naturalissimo di rifare quel centinaio di passi, per riprendere la via più lunga, ma più sicura.
La nostra mala fortuna peraltro volle che lì, proprio sul punto di dar volta, un sentieruzzo si spiccasse dal sentiero principale, diretto proprio verso il basso e verso Bormio ad un tempo…- Per di qua, per di qua! –gridarono gli amici,… e giù allegramente. Ma d’un sentiero in breve se ne fanno due, di due quattro, di quattro otto, poi via via tutti si smarriscono… Scorgevasi un po’ al disotto, a certa distanza, un piccolo promontorio coperto di piante…Camminando, o meglio sdrucciolando giù per l’erta, in pochi istanti siamo sul ridosso…A fianco di quella specie di colle scoprivasi un sentiero, o meglio una traccia di sentiero diretto verso un bosco di abeti, che si sarebbe detto piantato nel vuoto sopra un abisso. Ma quel nuovo sentiero ripete il giuoco del fratello traditore, che ci aveva gabbati lassù… Avviene ovunque così in montagna, se vi esista un ripido pendio coperto di erba. Le vacche, cacciandosi, fin dove possono, a rodere le scerse erbe, e seguendo sempre e tutte i passi più sicuri, finiscono per disegnare…una rete di sentieri senza sbocco…
Avanti, avanti: dapprima si cammina a disagio, poi è uno sdrucciolare, o meglio un lasciarsi sdrucciolare…; finalmente non c’è più altra via per discendere, che quella di attenersi ai tronchi degli alberi, abbandonarci ai rami flessibili degli abeti, finché il piede non abbia trovato un punto d’appoggio. In breve dovemmo avvederci che la nostra posizione si rendeva difficile, anzi problematica…ci accorgevamo di essere nel complesso sopra un abisso… O uscire dal quel bosco e trovare un sentiero, o passarvi la notte per rifare il cammino nel giorno seguente…non c’era via di mezzo… Una sola cosa sembrava insopportabile…non già la fame…, ma la sete… Basta… Avanti, avanti, fin che si può… Noi ci trovavamo…in una specie di penisola, sporgente nel vano, disegnata da due torrenti che andavano a congiungersi in uno… Non c’era dunque via di uscirne, a meno che non avessimo trovato qualche parte accessibile sui due lati, per cui raggiungere o l’uno o l’altro torrente, guadarlo ed afferrare l’opposta sponda… Il bosco si andava assottigliando, finché era ridotto ad occupare una specie di scena ad angolo acuto…


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Sempre intesi a calarci a destra, ormai ci pare che si possa tentare una discesa da quella parte… Si scende, si scende, e il primo che giunge in vista dell’acqua, grida che si può passare… Al di là del torrente un sentiero saliva con sicura traccia… Sdruccioloni, rotoloni, come si può insomma, in breve l’uno dopo l’altro siamo al torrente: lo si passa d’un salto,… poi giù tutti carponi, quasi tuffati nell’acqua, a spegnere l’ardentissima sete… In breve fummo sulla via che conduce a S. Antonio di Morignone, e i primi montanari in cui ci imbattemmo non sapevano raccapezzarsi d’onde e come noi fossimo discesi…
Vostro zio…da così lunga chiacchierata vorrebbe che cavaste questa buona massima: - Prima di accingervi ad un’impresa, misurarne la portata e pigliare tutte le cautele per non esporvi temerariamente al pericolo; ma una volta che, senza vostra colpa… vi trovare in simili circostanze, conservate tutto il sangue freddo, affrontando le difficoltà con quel coraggio che le vince
”.
Questa la morale che lo zio Antonio Stoppani consegna ai nipoti. Forse è bene aggiungerne una seconda, tutta nostra: non pensarsi mai troppo furbi, non pensare che certe cose accadono agli altri, non a noi, perché se uomini d’esperienza come lo Stoppani hanno rischiato di trovarsi in un simile pasticcio, potrà capitare anche a noi, se non avremo l’accortezza e l’umiltà di dirigere i passi solo su sentieri sicuri.
Niente timori, però: sicuramente non accadrà questa volta, se avremo solo un po’ di accortezza. Dove eravamo rimasti? Alle rive del lago Brodeg. Bene, proseguiamo oltrepassando il lago, in diagonale, fino ad affacciarci ad un bel balcone erboso, a destra di un canalone nel quale scende il torrente che lascia il lago. Attenzione: come spesso accade, il tranquillo ed ameno balcone si affaccia su un orrido salto roccioso di oltre un centinaio di metri, anche se, dalla nostra posizione, non ne abbiamo alcun sentore. Prendiamo, dunque, a sinistra, puntando al torrentello che esce dal lago e superandolo da destra a sinistra: troviamo, su questo lato, una traccia di sentiero che serpeggia fra i sassi mobili, portandoci, senza problemi, ad uno stupendo pianoro ai piedi del gradino di soglia dell’alta valle, ad una quota approssimativa di 2370 metri. Alla nostra destra, ad una certa distanza, vediamo un microlaghetto, che non ha alcuna denominazione sulla carta IGM, ed è chiamato localmente “lach del pian pöirìf”, cioè lago del piano umido: presso il suo lato opposto, rispetto al nostro, passa il sentiero segnalato.


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Dopo una puntata a questo bucolico specchio d’acqua, torniamo sui nostri passi, e tagliamo il pianoro tenendoci più o meno al centro. Ci affacciamo, così, alla conca più bassa dell’alpe di Profa, dove, sull’angolo di destra (ma da qui non si vede) si trova anche un baitone, non cartografato. Scendiamo verso la conca, senza percorso obbligato, lungo un declivio morenico. Nella discesa, cominciamo a studiare visivamente la situazione, guardando a sinistra: dovremo attraversare il corpo franoso che delimita su questo lato l’alpe, a sinistra del torrente che abbiamo attraversato più in alto. Il punto di arrivo della traversata sarà appena sotto il costone roccioso che chiude la conca dell’alpe. Se, invece, lo sguardo corre al versante montuoso opposto al nostro, vedremo una teoria di cime fra le quali stanno quelle tristemente legate agli eventi alluvionali del luglio del 1987, vale a dire, da sinistra, le cime di Redasco (dal dialettale "rèdes", ragazzo, o da "reda", ruscellom. 3139), il monte Zandila (m. 3036) ed il pizzo Coppetto (m. 3066): sul versante montuoso sottostante si staccò la terribile frana della Val Pola, di cui torneremo a parlare poco oltre, quando si mostrerà interamente al nostro sguardo (per ora ne vediamo solo la parte superiore).
Dopo aver fatto mente locale alla spiacevole realtà per cui non troveremo alcun segnavia che possa esserci d'aiuto, scendiamo, dunque, alla più bassa delle piane, delimitata, alla nostra sinistra, da un dosso morenico. Un po’ prima della metà della piana, pieghiamo decisamente a sinistra e sormontiamo il dosso, scendendo, poi, a scavalcare il torrente, da destra a sinistra. Ora dobbiamo attraversare un corpo franoso, senza alcun riferimento segnaletico, puntando al roccione che sovrasta il declivio erboso sul lato opposto della fascia di massi. In realtà l’occhio attento scoverà una traccia di sentiero, ma, ad ogni buon conto, puntiamo in quella direzione e prendiamo come punto di riferimento due giovani larici gemelli che se ne stanno, solitari ed amletici, in mezzo alla fascia. Toccati i primi pascoli al di là della fascia, cerchiamo la traccia di sentiero che, scavalcando il dosso, comincia a scendere nella sezione mediana della Valle delle Presure, fra magri pascoli, radi larici e segni di antichi smottamenti. La traccia non si perde più, ma dobbiamo stare ugualmente molto attenti perché, in un paio di punti, si affaccia quasi all’enorme smottamento che si apre alla nostra destra. Inoltre qui il sentiero scende assai ripido, ed in un paio di punti, dopo abbondanti piogge, può creare qualche difficoltà.


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Alla fine prende un andamento più tranquillo e taglia, scendendo gradualmente, il fianco sud-occidentale della valle, occupato in più punti da materiale franoso. Infatti dobbiamo superare alcuni piccoli corpi franosi, sotto lo sguardo severo di due arditi promontori rocciosi, prima di immergerci in un bosco di larici e rododendri. Qui, in alcuni punti, la traccia è colonizzata dall’erba, ma con un po’ di attenzione non la perdiamo. Alla fine, ad una quota di circa 2090 metri, subito dopo un cartello del Parco Nazionale dello Stelvio che segnala, nella direzione dalla quale proveniamo, i laghi di Profa e la bocchetta di Profa, il nostro sentierino si immette in un più largo sentiero con andamento pianeggiante: si tratta del sentiero principale per l’alpe di Profa, che passa per il lato opposto rispetto a quello per il quale siamo scesi, e che ora è inagibile per la frana.
Seguiamolo, dunque, verso sinistra, scendendo ancora, fino a giungere nei pressi del limite superiore dei prati di Profa alta (“li Profa”, m. 2034). Non è necessario che scendiamo ai prati ed alle baite: seguendo il sentiero che prosegue a sinistra, sul limite del bosco, raggiungiamo il punto nel quale riparte la chiara traccia di sentiero, in corrispondenza di due cartelli, l’uno che segnala Profa Alta, il secondo, quasi illeggibile, che segnala ….Boero. Nella direzione di questo secondo cartello troviamo un largo sentiero, dal fondo regolare e pulito (venne, infatti, allargato durante la prima guerra mondiale, nel contesto dei manufatti difensivi voluti in Valtellina dal generale Cadorna), che, dopo una prima salitella, prende un andamento a saliscendi, nella cornice di uno splendido bosco di pini cembri: è, questo, il tratto più rilassante e piacevole della traversata.
Poi il bosco termina, e si annunciano scenari meno gentili: si tratta di superare una serie di valloni selvaggi che scendono dal versante occidentale del Corno di Boero. Il principale di questi è la Valle Fine (“val fin”), per la quale passa il confine fra il comune di Valdisotto, che lasciamo, e quello di Sondalo, nel cui territorio entriamo. In alcuni punti il sentiero è esposto e scavato nella roccia, ma è sempre largo e comodo. L’andamento alterna tratti pianeggianti a tratti in discesa, ma vale la pena ugualmente di sostare in qualche punto, per gettare un’occhiata alla frana della Val Pola, che si mostra, da qui, come una profonda ferita che non vuole rimarginarsi.


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Torniamo allora, con l’immaginazione, alle 7.47 della mattina del 28 luglio 1987, e rievochiamo quel che accadde. Nei giorni precedenti erano state notate preoccupanti fenditure sul versante alto ai piedi del monte Zandila. La maggiore era lunga circa 100 metri e larga una ventina. Il segnale era allarmante e, dopo un sopralluogo dei geologi Michele Presbitero, responsabile del servizio regionale di Protezione Civile, e Maurizio Azzola, la zona di fondovalle sottostante alla Val Pola era stata dichiarata inagibile. Quel mattino uno schiocco simile ad un colpo di frusta si sentì fino a Bormio: venne giù un intero pezzo di montagna, l’immane frana della Val Pola o del monte Zandila (nota anche, ma impropriamente, come frana del pizzo Coppetto); vennero giù, in circa mezzo minuto, 40 milioni di metri cubi di materiale, che riempirono il fondovalle, si incastrarono, in basso, nella strozzatura della valle seppellendo il ponte del Diavolo, risalirono il versante opposto cancellando quattro abitati, S. Antonio, Morignone, Piazza (per fortuna evacuati) ed Aquilone (che non viene distrutta direttamente dalla massa franosa, ma dall’immane spostamento d’aria). Morirono i 7 operai al lavoro per ripristinare la ss. 38 dopo gli eventi alluvionali di dieci giorni prima e 28 abitanti di Aquilone, che non era stata evacuata perché non si immaginava che l’eventuale frana potesse avere dimensioni così apocalittiche. La tragedia si consumò in pochi secondi, il successivo incubo, invece, durò diverse settimane. Il corpo franoso, alto fino a 50 metri, creò uno sbarramento artificiale che interruppe il deflusso dell’Adda verso Tirano.


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Che fare? Consolidare i bastioni che trattenevano le acque del nuovo e sinistro lago? Prosciugarlo gradualmente? Si operò in entrambe le direzioni, nel mese di agosto, nella convinzione di poter disporre di tutto il tempo necessario (il livello delle acque del lago cresce di 2 cm circa ogni ora, e l'invaso, si calcola, non sarà pieno prima di 60 giorni; nel frattempo tutti i dispositivi di pompaggio e regimentazione saranno in piena funzione). Ma le piogge violente dell’ultimo finesettimana di agosto complicarono le cose: il lago cresceva con un ritmo allarmante, 20 centimetri ogni ora. Per fortuna le precipitazioni durarono solo alcune ore. Ma la situazione era grave: bisogna intervenire sul corpo della frana, svasarlo, creare un nuovo alveo per il fiume Adda e procedere alla tracimazione controllata. Alle 22 di sabato 29 agosto i geologi Maione, Presbitero e Lunardi presero una decisione drastica: tutti i centri abitati nei pressi del corso dell’Adda, da Grosotto a Sondrio, furono evacuati. E venne la domenica, domenica 30 agosto 1987. Le prime luci rischiararono uno scenario letteralmente spettrale nei paesi deserti. Era il giorno della tracimazione controllata. Arrivò anche la RAI, a raccontare in diretta l’evento storico, con l’inviato Scaramucci ed il giornalista Santalmassi a seguire dallo studio. Non si sapeva cosa sarebbe potuto accadere. Si preparava il nuovo alveo, scavando una breccia sul fronte della frana. L’acqua cominciò di nuovo a defluire a valle. Il fiume riacquistò la sua antica vita e la geografia della valle non subì ulteriori sconvolgimenti.
Con questi pensieri nel cuore, rientriamo nel bosco, per uscire sul limite dei prati di Boero (come ci conferma un cartello), e precisamente di Boero di sopra (m. 1940), in corrispondenza di un gruppo di baite precedute da una fontana. Un cartello che dà, nella direzione dalla quale proveniamo, Profa Alta a 45 minuti, i laghetti di Profa a 2 ore e 25 minuti e Bormio 3000 a 4 ore e 5 minuti (sì, avete letto bene: la precisione elvetica di questi cartelli non sopporta arrotondamenti!). Il sentiero termina appena oltre le baite, ad una piazzola raggiunta da un tratturo; seguendolo, in breve intercettiamo, ad un tornante, una pista sterrata, che risale i prati dell’alpeggio di Profa, splendido terrazzo panoramico su Le Prese (termine da connettere a "presa", cioè terreno comunale o terreno bonificato), Grosio e, sul fondo la sezione centro-orientale della catena orobica.


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La pista scende verso sinistra, poi volge a destra e, superate le baite di Boero di sotto, si immerge nel bosco, piegando leggermente a sinistra e scendendo per un buon tratto diritta e ripida, in direzione nord-ovest. Poi piega verso ovest e conduce ai prati di Azzola (o Asola), a 1706 metri. La successiva discesa aggira un imponente salto roccioso, che sovrasta il promontorio di Bravadina (m. 1550), raggiunto il quale ignoriamo una deviazione, sulla destra, che conduce ad alcuni alti ripetitori (che si vedono più in basso). La pista assume, ora, la direzione sud-sud-ovest, con alcuni tornanti, attraversando una bella pineta e superando del baite della Coronella, prima di confluire ad un tornante della strada che da Frontale sale a Fumero. Nei pressi del tornante abbiamo lasciato una delle due automobili, diverse ore prima. La ritroviamo lì, è sempre la stessa (al limite assai più arroventata). Noi, invece, dopo questa traversata densa di emozioni, suggestioni e pensieri, non siamo più gli stessi.


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CARTE DEL PERCORSO sulla base di Google Earth (fair use) e della Swisstopo, che ne detiene il Copyright. Ho aggiunto alla carta alcuni toponimi ed una traccia rossa continua (carrozzabili, piste) o puntinata (mulattiere, sentieri). Apri qui la carta on-line

GALLERIA DI IMMAGINI

APPENDICE: Viene qui di seguito riportata la relazione di Paolo Pero, professore di Storia Naturale al Liceo
“G. Piazzi” di Sondrio, sui laghi Brodec, delle Tre Mote e Stelù
(nella raccolta “I laghi alpini valtellinesi”, Padova , 1894).







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