CARTE DEI PERCORSI 1, 2, 3, 4 - Carta dei percorsi


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Acquafraggia, un nome che evoca una delle più belle zone della Valchiavenna, cioè una valle, un lago, una cascata posti allo sbocco della Val Bregaglia, meta di escursionisti, amanti delle tranquille passeggiate, turisti che desiderano ammirare uno dei più suggestivi spettacoli naturali della Provincia di Sondrio. Tali sono le cascate dell’Acquafraggia, ben conosciute già nei secoli scorsi. Si tratta di una doppia cascata considerata monumento nazionale: con un salto di 170 metri, il torrente omonimo supera il gradino di roccia che costituisce la soglia di accesso alla valle dell’Acquafraggia (toponimo che deriva da “aqua fracta”, che significa acqua spezzata, con riferimento, appunto, al salto conclusivo del torrente).
J. J. Scheuchzer, grande naturalista svizzero del secolo XVIII, nella sua opera Helveticus sive itinera per Helvetiae Alpinas Regiones, (Lugduni Batavorum, 1723), scrive: “Nei pressi di Piuro, al posto del quale ora vi sono campi e prati e scorre il fiume Mera, impetuosa precipita dal monte di Savogno una cascata notevole per larghezza e altezza (ho calcolato circa di 100 piedi). Non ho visto sinora una cascata più bella di questa. È del genere di quelle di cui Isacco Vossius osserva: "Dove c'è un notevole precipizio là tutt'intorno c'è una notevole aspersione di acqua, che si estende sino per alcuni stadi. Ciò lo sperimentiamo in Elvezia ed altrove.” Le terre circostanti vengono continuamente bagnate dagli spruzzi di questa cascata e gli uomini che rimangono lì vicino si bagnano in poco tempo dell'acqua dispersa in goccioline. Ma ogni disagio che patisce il curioso spettatore bagnato dall'acqua viene eliminato dalla vista ora della stessa cascata, ora del bellissimo arcobaleno, la parte più esterna del quale lo stesso visitatore riesce a calcare coi piedi.”


Apri qui una panoramica dele cascate dell'Acquafraggia

G. B Crollalanza, nella sua monumentale “Storia del Contado di Chiavenna” (Milano, 1867), a sua volta, scrive:
"Rimettendosi quindi il viaggiatore sulla strada corriera, a breve tratto di cammino da Prosto, sulla sinistra, e non molto lungi dalla strada, scorgerà il devastato paesello di   Roncaglia o di Sant'Abbondio, e il campanile dell'antica chiesa esser solo rimasto in piedi sepolto quasi per metà dalla ghiaja e dai macigni quivi rotolati e sparsi dal vicino torrente; e poco dopo alla stessa direzione gli si presenterà allo sguardo la graziosissima cascata dell'Acqua Fregia (acqua fracia). Trae essa origine dal piccolo lago che sia   quasi alla cima del monte sulla strada che conduce alla valle di Lei, e precipitando lungo le nude pareti di puro scoglio, veduta da lungi, presenta due distinte cascate superiore l'una all'altra, che nella scesa biancheggiano, e si spandono così che l'acqua ti rappresenta bianchissima neve. Nello scoglio che la raccoglie a guisa di bacino rompe ella scendendo con tal fragore che standovi dappresso il vicino non può intendere l'altro. Allorquando è meno ricca dì acque, queste si dividono, precipitandosi dall'alto perpendicolarmente, in tre e alcuna volta anche in quattro colonne che vanno ad infrangersi tra le prominenze degli scogli, o che ripercosse dalla sottoposta roccia sollevano tale una fitta nebbia all'intorno, che quando è percossa dai raggi del sole pomposamente si veste dei colori dell'iride.”


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Visitare questi luoghi, carichi di storia e suggestione, non è difficile. Risaliamo, da Novate Mezzola, la Valchiavenna, fino a Chiavenna, dove, ignorata la prima deviazione a destra per il centro, proseguiamo fino ad una rotonda, alla quale prendiamo a destra, seguendo le indicazioni per il passo del Maloja. Usciamo così dalla città e ci inoltriamo, seguendo la ss. 37 del Maloja, in bassa Val Bregaglia, incontrando dapprima la frazione di Campedello e poi Prosto, in comune di Piuro. Oltrepassata Prosto, eccoci, infine, a Borgonuovo di Piuro (405 m), a 4 km da Chiavenna. Stacchiamoci, qui, dalla strada statale del Maloja, sulla sinistra, e lasciamo l’automobile al parcheggio nei pressi dell’area dedicata alle famose cascate dell’Acquafraggia, che l’omonimo torrente forma precipitando sul fondovalle. Se il nostro scopo è solo quello di visitare le cascate, possiamo lasciare l’automobile nei parcheggi a pagamento nei pressi dell’area camping.
Se invece, vogliamo aggiungere la visita ad un’escursione, regoliamoci come qui di seguito indicato. Le possibilità escursionistiche sono diverse e vanno dall’impegno modesto alle traversate di grande respiro, anche articolate su due giornate. Eccole esposte. 


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  IL SENTIERO PANORAMICO DELL’ACQUAFRAGGIA

Punti di partenza ed arrivo
Tempo necessario
Dislivello in altezza
in m.
Difficoltà (T=turistica, E=escursionistica, EE=per escursionisti esperti)
S. Abbondio - Sarlone-I e II belvedere-Sentiero Pigion- Crotti Canoa- S. abbondio
2
200
E
SINTESI. Alla seconda rotonda di Chiavenna (per chi viene da Colico) prendiamo a destra (Val Bregaglia-Passo Maloja). Dopo Prosto, siamo a Borgonuovo (Cascate Acquafraggia). Parcheggiata l'automobile, saliamo a lato dell'argine di destra (per noi) fino alle case di Sarlone. Qui saliamo alcuni gradini in pietra ed imbocchiamo il sentiero panoramico dell'Acquafraggia. che propone ripine scalinate e scale metalliche. Dopo due punti panoramici, passiamo a sinistra del torrente su un ponte, saliamo ad intercettare un sentiero che sale da sinistra (del Pigion). Scendiamo a sinistra, sempre resttando sulla mulattiera principale fino ai Crotti della Cànoa. Più in basso intercettiamo la mulattiera che sale da S. Abbondio a Cranna, la seguiano scendendo verso sinistra, fino a S. Abbondio. Di qui, su strada asfaltata, torniamo all'automobile.

Questo sentiero permette un incontro più ravvicinato con le splendide cascate gemelle e, nonostante l’andamento piuttosto ripido, ha uno sviluppo modesto, per cui, prendendosela con calma, lo si può percorrere anche senza grande allenamento.
Lasciamo l’automobile un po’ più avanti rispetto ai parcheggi a pagamento, cioè risaliamo la stradina che porta fino alla chiesetta di S. Abbondio, nei pressi della quale si trova anche il museo dedicato all’immane frana che nel settembre del 1618 seppellì Piurò, il più ricco borgo valchiavennasco, a forte vocazione mercantile. Di solito si trova posto nel piazzale antistante la chiesetta. A questo punto torniamo indietro lungo la strada percorsa in automobile, scendendo verso le cascate e portandoci sull’argine del torrente Acquafraggia, dove un ponte ci permette di portarci sulla sua riva orientale. Giunti qui, prendiamo a sinistra, percorrendo il sentiero che corre sull’argine, tornando in direzione delle cascate. Dopo averne ammirato il salto ed esserci rinfrescati agli spruzzi che giungono fino ad una certa distanza, pieghiamo a destra: un sentierino attraversa un prato e ci porta ad una stradina asfaltata. Percorriamola in leggera salita (sinistra), fino al suo termine. Qui troviamo un pannello che illustra le caratteristiche delle cascate ed una carta escursionistica della zona. Il pannello spiega che la genesi delle spettacolari cascate è legata al particolare tipo di roccia che costituisce la parte bassa della valle dell’Acquafraggia (o dell’Alpigia), anfiboliti di carattere verdastro, molto dure, a differenza delle rocce della parte più alta, gneiss e micascisti, meno duri. Il ghiacciaio laterale dell’Alpigia, che ha modellato la valle omonima, non è riuscito, quindi, a scavarne la parte terminale, per cui essa è rimasta una valle sospesa, il cui torrente, invece di incontrare, come accade per lo più, nel suo tratto terminale una classica gola, finisce letteralmente nel vuoto, generando lo spettacolo di cui abbiamo appena goduto. Tutto questo è accaduto circa 20.000 anni fa, durante l’ultima glaciazione, quando i ghiacciai occupavano l’intera Valchiavenna.
Da qui, cioè dalla frazione Sarlone (m. 450), partono due sentieri: il primo, che ci interessa ora, è quello panoramico dell’Acquafraggia, mentre il secondo è il sentiero più importante per Savogno, di cui diremo. Attenzione a distinguerli: per imboccare il primo dobbiamo salire una scaletta di gradini in sasso che si trovano alla nostra sinistra, mentre la partenza del secondo si trova alla fine di una brevissima stradetta che ci sta proprio di fronte. Saliti, dunque, i gradini che rimontano un piccolo dosso erboso, entriamo in una fresca selva di castagni. Scavalcato un ruscelletto, il sentiero, molto largo, comincia subito a salire, con andamento ripido, segnalato da segnavia rosso-bianco-rossi. Ben presto si trasforma in una vera e propria scala, che alterna gradini in sasso ed in cemento, perché procede su un terreno di nuda roccia. Corrimano metallici rendono più sicura la salita, che propone anche una scala in alluminio. Dopo il primo faticoso tratto, siamo ad un bivio: proseguendo diritti si trova il primo tratto in piano, mentre a destra la salita prosegue, inesorabile. Andiamo avanti diritti, trovando una brevissima salitella, poi, dopo un nuovo tratto pianeggiante, una seconda.
Un ultimo breve tratto in piano ci porta al primo terrazzo panoramico: ci troviamo, sorprendentemente, a tu per tu con le cascate, più o meno nel tratto mediano, laddove, dopo il primo salto, vanno ad infrangersi su un risalto roccioso, e tornano a precipitare sul fondovalle. Spesso è possibile ammirare da qui la formazione di un suggestivo arcobaleno. Sullo sfondo, lo sbocco della Val Bregaglia, con Prosto, e Chiavenna, incorniciati dalle cime della Val Bodengo  e della Valle della Forcola. In una giornata limpida, non potremo mancare di indugiare di fronte ad uno spettacolo così armonioso. Torniamo, poi, sui nostri passi, al bivio sopra menzionato, e riprendiamo la salita. Il sentiero attraversa anche una stretta gola rocciosa, e qui sono due rampe in alluminio ad aiutarci.
Ben presto raggiungiamo il ripiano sommitale delle cascate, il secondo belvedere, delimitato da corde metalliche per impedire di avvicinarsi troppo alle acque del torrente. Qui, infatti, lo scenario è diverso: abbiamo di fronte la grande conca che ne raccoglie le acque, le quali indugiano, tranquille, qualche istante, prima di cadere nel vuoto. È proprio da qui che si vede come queste siano distribuite in misura eguale ai due salti. Inizia qui il solco della Valle dell’Acquafraggia, circa 170 metri più in alto rispetto al fondo della Val Bregaglia.
Riprendiamo a camminare: il sentiero, che volge a destra, sembra allontanarsi dal torrente, ma, giunto in prossimità della cosiddetta Sengia, piega a sinistra e si riporta al suo alveo, scavalcandolo su un caratteristico “ponte di corda”, che ci conviene attraversare senza fretta alcuna, dal momento che è soggetto ad un moto oscillatorio che potrebbe un po’ impressionare. Tornati sul versante occidentale della valle, saliamo in breve ad intercettare, presso una baita diroccata, un sentiero che proviene da sinistra. Si tratta del sentiero del “Pigion”, che dal Crotto della Cànoa, fra S. Abbondio e Cranna, porta a Savogno. Prendiamo, quindi, a sinistra, in leggera discesa e poi in piano, oltrepassando le poche baite della località Pigione (pigiòn, m. 650), immerse in un fresco bosco di castagni. Giunti ad un roccione sotto il quale è stato ricavato un ricovero, ignoriamo un sentiero più debole che ci lascia scendendo verso sinistra, e proseguiamo seguendo i segnavia rosso-bianco-rossi, fino ad un bivio: il sentiero che abbiamo seguito fin qui, come indicato su un masso, è quello che, in direzione opposta porta a Savogno; sulla destra un secondo sentiero, che sale ripido, si dirige, invece, verso Dasile. Noi proseguiamo sul sentiero che inizia ora una discesa vertiginosa, con ardita scalinatura e ripidi tornantini. Superata da sinistra a destra una valletta, abbiamo l’impressione che inizi un più riposante tratto in piano, ma subito si riprende a scendere, fino ai Crotti della Cànoa. Qui ci immettiamo nella mulattiera che da S. Abbondio sale a Cranna. Lasciamo alla nostra destra l’evidente solco della Valle Drana e scendiamo verso sinistra. La mulattiera è ben scalinata e non troppo ripida. In breve ci porta alla piazzola dove termina la strada asfaltata che sale dalla chiesetta di S. Abbondio. Per terminare la discesa possiamo seguire quest’ultima oppure restare sulla mulattiera che la taglia in più punti. Alla fine ci ritroveremo alla piazzola di fronte alla chiesetta di S. Abbondio, dove abbiamo lasciato l’automobile. Dopo un paio d’ore circa di cammino (il dislivello approssimativo in salita è di 200 metri).

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L’ANELLO BORGONUOVO-CRANNA

Punti di partenza ed arrivo
Tempo necessario
Dislivello in altezza
in m.
Difficoltà (T=turistica, E=escursionistica, EE=per escursionisti esperti)
S. Abbondio - Sarlone-I e II belvedere-Sentiero Pigion- Crotti Canoa- Cranna-Cortinaccio- Palazzo Vertemate-Franchi- S. Abbondio
3
300
E
SINTESI. Alla seconda rotonda di Chiavenna (per chi viene da Colico) prendiamo a destra (Val Bregaglia-Passo Maloja). Dopo Prosto, siamo a Borgonuovo (Cascate Acquafraggia). Parcheggiata l'automobile, saliamo a lato dell'argine di destra (per noi) fino alle case di Sarlone. Qui saliamo alcuni gradini in pietra ed imbocchiamo il sentiero panoramico dell'Acquafraggia. che propone ripine scalinate e scale metalliche. Dopo due punti panoramici, passiamo a sinistra del torrente su un ponte, saliamo ad intercettare un sentiero che sale da sinistra (del Pigion). Scendiamo a sinistra, sempre resttando sulla mulattiera principale fino ai Crotti della Cànoa. Qui prendiamo a destra e scendiamo a superare la valle Drana, per poi risalire fino a Cranna. Imboccata la strada asfaltata che scende a Prosto, la lasciamo trovando alla sua sinistra il sentieor che porta alla parte alta della sua frazione Cortinaccio. Di qui procediamo su strada asfaltata a sinistra, verso il palazzo Vertemate-Franchi. Qui lasciamo la strada asfaltata prendendo un sentiero che va ad est, riattraversa il torrente Drana e si porta al campanile solitario della sepolta chiesa di S. Abbondio. Di qui, in breve, siamo alla nuova chiesa di S. Abbondio e torniamo su strada asfalata all'automobile.

Chi volesse prolungare la camminata sopra descritta, ai Crotti Cànoa può prendere a destra, attraversare l’alveo del torrente Drana, sfruttando una scaletta in cemento ed un ponticello in legno, ed imboccare la mulattiera che sale a Cranna (o Crana). Dopo circa un quarto d’ora, oltrepassata una cappelletta datata 1871, siamo alle piccole baite del grazioso nucleo posto a 558 metri su un bastione di roccia che sovrasta Prosto.
Passiamo a sinistra di una bella fontana ricavata da un unico blocco di roccia e raggiungiamo la chiesetta di San Giuseppe, edificata a partire dal 1674 e consacrata nel 1692. Prima della sua erezione, in quel medesimo luogo era stata costruita una cappelletta per implorare dal cielo la protezione contro l’assalto dei lupi, presenza numerosa e temibile in quella zona. Storie di lupi sono infatti segnalate anche in Valchiavenna e nella Bregaglia italiana. Il vescovo di Como, Giovanni Antonio Torriani, nella sua visita pastorale del 1688 a Piuro autorizzò "di fabricare la capella di S. Giuseppe nel luogo di Crana", in sostituzione di una precedente che era stata distrutta da un'alluvione, per cui raccomandò che fosse edificata in un luogo più sicuro. La chiesetta fu benedetta il 15 giugno 1692 e successivamente ampliata nel 1781 e 1774. La dedicazione a S. Giuseppe è abbastanza inusuale nelle valli dell'Adda e della Mera, e si spiega tenendo presente che il santo, come scrive il canonico Gian Giacomo Macolino nel suo "Diario Sacro Perpetuo" (1707), veniva invocato per scongiurare gli assalti dei lupi, non rari in quei secoli. Particolarmente a rischio erano i bambini molto piccoli, spesso ancora in culla. Lupi, dunque, in quel di Piuro, ma il medesimo pericolo era segnalato a Pianazzola, a monte di Chiavenna, ed a Prata Camportaccio, appena a sud di Chiavenna.
Oggi possiamo godere con tutta tranquillità l’ottimo panorama che da qui si gode, e che spazia da Chiavenna, ad ovest, ai paesi italiani della Val Bregaglia, a sud e ad est. Il paese è stato recentemente unito al fondovalle da una carrozzabile, ma, nei giorni feriali, ha l’aspetto tipico dei borghi abbandonati: si fatica ad immaginare, attraversandolo, che ancora nel 1765 contava 126 abitanti e nel 1931 55. Percorriamo, quindi, il primo tratto della carrozzabile, scovando, sulla nostra sinistra, il punto di arrivo della storica mulattiera che sale al paese. La imbocchiamo e cominciamo a scendere, circondati da vetusti castagni e da altrettanto vetusti muretti a secco, scendendo alle case alte della frazione Cortinaccio, nella parte alta di Prosto. La mulattiera taglia un paio di volte la strada asfaltata, prima di terminare nella parte occidentale della frazione.
Scendiamo, ora, verso Piuro seguendo la strada asfaltata, ma, seguendo le indicazioni, svoltiamo a sinistra salendo allo storico palazzo Vertemate-Franchi, pregevole testimonianza dell’eleganze ed opulenza della Piuro rinascimentale (venne edificato nella seconda metà del XVI secolo e, grazie alla sua posizione, fu risparmiato dall’immane frana del monte Conto che cancellò Piuro). Teniamo presente può essere visitato, a pagamento, in giorni ed orari predeterminati. Nel 2010 dal 27 marzo al 1 novembre tutti i giorni dalle ore 10.00 alle 12.00 (ultimo ingresso ore 11.30), e dalle ore 14.30 alle 17.30 (ultimo ingresso ore 17.00), mentre è chiuso i mercoledì non festivi. Ad agosto è aperto tutti i giorni.
Per tornare all’automobile percorriamo la strada che corre a ridosso del muraglione di cinta, finché, al suo angolo, troviamo il sentiero che si dirige ad est. Oltrepassata un’abitazione, proseguiamo circondati da muretti a secco, incontrando una vigna ed una macchia di abeti. Raggiunto l’alveo del torrente Drana, lo riattraversiamo e procediamo in direzione del curioso campanile che sbuca dai prati senza che vi sia alcuna chiesa che lo giustifichi. La chiesa, dedicata a Sant’Abbondio, in realtà c’era, ma venne sommersa nel 1755 da un’alluvione proprio del torrente Drana. Rimase solo il campanile, presenza surreale e solitaria, mentre la chiesa di Sant’Abbondio venne ricostruita in luogo più sicuro, dove abbiamo lasciato l’automobile. Il sentiero passa, poi, sul limite del camping Acquafraggia e confluisce in una pista che in breve porta esattamente alla piazzola di fronte a S. Abbondio, dove abbiamo parcheggiato l’automobile. Questo anello richiede circa 3 ore di cammino. Il dislivello approssimativo in salita è di 300 metri. Prima di ripartire, però, non manchiamo di dare un’occhiata al Museo degli scavi della frana di Piuro; anche se lo troveremo chiuso, potremo ricavare dai pannelli un quadro di una tragedia che suscitò echi nell’intera Europa.

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Ecco il testo che descrive l’accaduto:
“Appare difficile immaginare quanto sia potuto accadere la sera del 4 settembre del 1618, quando una frana staccatasi dal versante settentrionale de "il Mottaccio" distrusse l'intero paese di Piuro, seppellendo tutti i suoi abitanti. Non appaiono chiari elementi che ci aiutino a ricostruire un fenomeno così rapido e disastroso; il fondovalle degrada infatti dolcemente verso il fiume Mera.
L'evento è stato perciò ricostruito sulla base dell'analisi della ricca documentazione bibliografica e di indagini e rilievi condotti sul terreno.
La settimana che precedette la frana fu caratterizzata da prolungate ed intense precipitazioni che ingrossarono sia la Mera che i torrentidelle valli laterali. Le acque dei torrenti che scendevano erano torbidee fangose. Nei giorni precedenti la frana era stata osservatal'apertura di fessure nel terreno, in località "Prato del Conte". I contadini che lavoravano in questa zona sentirono tremare il terreno sotto i piedi con intensi rumori. Un uomo che era intento a tagliare un albero notò con grande stupore il rapido aprirsi di una profonda frattura; corse ad avvertire gli abitanti che, riluttanti ad abbandonare la propria terra, non fecero caso alla notizia.
La sera del 4 settembre del 1618 (corrispondente al 25 agosto dell'antico calendario) si verificò la frana. Nel giro di qualche minuto l'abitato di Piuro fu investito da una valanga costituita da massi, blocchi e terriccio che distrusse e seppellì il fiorente abitato.
La nicchia di distacco è stata localizzata sul versante idrograficosinistro della Val Bregaglia, in corrispondenza del versantesettentrionale de "il Mottaccio" (1925.2 m slm), poco ad est della località "Prato del Conte" (1436.8 m slm). I crolli successivi all'evento principale hanno determinato l'arretramento verso l'alto della nicchia, sino al raggiungimento del crinale del versante, in accumuli ancor oggi individuabili morfologicamente a partire da metà versante sino a sotto la nicchia stessa. Il volume totale franato è stato stimato nell'ordine di 6 milioni di metri cubi.
La tipologia del fenomeno franoso è riconducibile ad una valanga di roccia, ovvero ad un movimento in massa di tipologia complessa, nel quale si distinguono almeno due stadi: in una prima fase si ha il distacco e/o lo scivolamento del volume di roccia; 'successivamente il detrito prodotto si muove rapidamente lungo il versante, nel caso specifico su un dislivello di 1000-1200 metri, in un movimento simile a quello di un fluido. La massa in movimento ha coinvolto più o meno direttamente una fascia di versante diretta nord-sud ed estesa lateralmente 200-300 metri che presenta una pendenza media del 55-65%, ed è costituita da diversi gradini (salti) in roccia.
Lo spostamento d'aria provocato dalla massa in rapida discesa ha raggiunto il versante opposto, arrecando danni e distruzione anche in quell'area. L'accumulo di frana ha sbarrato le acque del fiume Mera. Il livello dell'acqua ha iniziato così a salire ed ha invaso la piana retrostante lo sbarramento, creando un lago (estensione 4-6 ettari) di aspetto simile a quello formatosi in Valtellina a seguito della frana di Val Pola del 1987. Nel giro di un paio d'ore è stata raggiunta la quota di massimo invaso ed è iniziata una lenta, naturale tracimazione delle acque.
Se si osserva oggi l'accumulo di frana, presente in fondovalle, si può valutare come la sua estensione verso nord raggiunga la strada statale e la parte di "Borgonuovo" posta in destra al fiume Mera (420-430 m slm). L'estensione massima in direzione sia nord-sud che est-ovest raggiunge i 700-800 metri.
La topografia di questa zona, ad esclusione della presenza di alcuni promontori costituiti da blocchi rocciosi, si presenta praticamente pianeggiante e degradante dolcemente verso il fiume con pendenze medie del 4-5%.
Singolari sono l'appiattimento dell'accumulo nel fondovalle e l'assenza di una fascia di detrito di raccordo al pendio retrostante.
Il giorno successivo alla frana iniziarono i soccorsi fra le rovine dove si udirono lamenti per due giorni e due notti. Una grida stabiliva che si dovesse dare sepoltura alle "creature" trovate "in Mera, lagho, et ogni altro luogod'essa Giurisdizione".
Gli scavi per il recupero dei beni sepolti seguirono su iniziativa del governo grigione e del comune di Piuro. Gli scavatori, sotto giuramento, si impegnavano a consegnare il ritrovato, con pena, per chi non avesse obbedito, di 10 scudi "et squassi tre di corda in publico" per volta. Furono recuperate ferramenta, legnami, suppellettili, biancheria oltre ad arredi sacri: una pianeta in broccato d'oro, un bacile d'argento, una croce capitolare e cinque calici d'argento. Gli scavi proseguirono anche per iniziativa degli eredi e dei preti di Piuro che incoraggiarono la ricerca delle campane, recuperate nel 1618, 1639 e 1767.
Il campanone ("la Piura") venne ritrovato nel 1859 da una società di scavo costituita da gente delle borgate vicine. In questi anni l'organizzazione civile e religiosa di Piuro rimase distribuita fra le frazioni che attorniavano la "rovina" (S. Croce, Savogno, S. Abbondio e Prosto) mentre nel territorio devastato si succedevano attività private di scavo e bonifica di terreni con ripristino di colture.
L'attività di estrazione e lavorazione della pietra ollare procedette fino alla metà dell'800; nel 1851 sorse la contrada Borgonuovo sulla sponda destra della Mera, a nord della rovina.
Anche nell'ottocento e nel novecento si fecero ritrovamenti più o meno occasionali di reperti dell'antica Piuro: ossa umane, utensili, suppellettili e monete. Nel 1963 e nel 1966 campagne di scavo vennero condotte su iniziativa dell'Associazione italo-svizzera per gli scavi di Piuro ed il materiale recuperato fu esposto a partire dal 1972 nel Museo di Piuro. Un ulteriore arricchimento di reperti si ebbe nella breve campagna di stavo eseguita nel 1988 dall'Amministrazione comunale e in occasione di scavi edilizi.
A tutt'oggi dell'antica Piuro è visibile una piccola parte emersa con gli scavi del '63: un tratto di strada ed i resti di un'officina di tornitura testimoniano il borgo sepolto dalla montagna.
Fra le attuali frazioni, S. Croce conserva un antico impianto urbanistico con due chiese del XII secolo, il palazzo del pretorio o "Ca de la giustizia", costruito dopo la frana ed un grande torchio da vino settecentesco; S. Abbondio, significativo nucleo di architettura rurale, è poco discosto dal campanile isolato nella Valle Drana privato della chiesa nel 1755 in seguito ad un'alluvione (ospita, presso la chiesa costruita successivamente, il Museo degli scavi); Prosto, sede comunale, conserva antichi edifici ed il sontuoso palazzo Vertemate, oggi Museo, ricco di affreschi ed arredi cinquecenteschi, dove è custodito il dipinto che raffigura Piuro prima della rovina.
Da Prosto, oltre il ponte sulla Mera, dalla chiesa di S. Maria si dipartono i sentieri che salgono alla montagna dove si trovano sparse le antiche cave di pietra ollare, il cui commercio, insieme a quello della seta, contribuì alla ricchezza della Piuro scomparsa.”

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DA BORGONUOVO A SAVOGNO

Punti di partenza ed arrivo
Tempo necessario
Dislivello in altezza
in m.
Difficoltà (T=turistica, E=escursionistica, EE=per escursionisti esperti)
Sarlone-Savogno
1 h e 30 min
480
T
Sarlone-I e II belvedere-Pigion-Savogno
1 h e 30 min
480
E

SINTESI. Alla seconda rotonda di Chiavenna (per chi viene da Colico) prendiamo a destra (Val Bregaglia-Passo Maloja). Dopo Prosto, siamo a Borgonuovo (Cascate Acquafraggia). Parcheggiata l'automobile, saliamo a lato dell'argine di destra (per noi) fino alle case di Sarlone.
A. Di qui cerchiamo sul fondo di una stradina sterrata la partenza della elegante mulattiera scalinata che sale a Savogno. La seguiamo fino a Savogno.
B. Da qui saliamo alcuni gradini in pietra ed imbocchiamo il sentiero panoramico dell'Acquafraggia, che propone ripine scalinate e scale metalliche. Dopo due punti panoramici, passiamo a sinistra del torrente su un ponte, saliamo ad intercettare un sentiero che sale da sinistra (del Pigion). Prendiamo a destra e saliamo ad un ponte che ci riporta a destra (per noi) della valle. Saliamo infine ad intercettare la mulattiera pricnipale per Savogno (vedi sopra), seguendo la quale siamo al borgo.

Premessa: è stata recentemente aperta una pista carozzabile che sale a Savogno da Villa di Chiavenna, ma è chiusa al traffico dei veicoli non autorizzati. In queste relazioni si prescinde da essa, per raccontare solo gli itinerari escursionistici.

La salita a Savogno è una delle più classiche escursioni che hanno come base la frazione Borgonuovo di Piuro. Vi si trova anche un rifugio, dove è possibile ristorarsi e pernottare. Le vie di salita sono due (si ricongiungono nella parte terminale): la prima è quella classica, che sfrutta la storica e bellissima mulattiera (una specie di opera d’arte, costituita da poco meno di 3000 scalini); la seconda è costituita da tre segmenti: il sentiero panoramico dell’Acquafraggia, il sentiero del Pigion e l’ultimo tratto della storica mulattiera.
La mulattiera storica (siglata B25) parte dall’ultima casa della frazione Sarlone. Per raggiungerla dobbiamo lasciare la ss 37 del Malora non al primo, ma al secondo svincolo sulla sinistra, cioè subito dopo il ponte sul torrente Acquafraggia. Parcheggiata l’automobile, dobbiamo prestare attenzione perché, come notato sopra, al pannello illustrativo della parco naturale dell’Acquafraggia (m. 440) non dobbiamo salire gli scalini alla nostra sinistra, ma procedere di qualche metro su quella che sembra all’inizio una stradina cieca, di fronte a noi. Troviamo così l’inizio della mulattiera, che sale decisa, senza troppi complimenti: con un andamento ripido che non lascia respiro, si inerpica, infatti, sul fianco montuoso, all’ombra di splendidi castagneti. Nel primo tratto della salita procede verso nord-est: incontriamo diverse abitazioni, le cosiddette Stalle dei Ronchi (m. 590), che venivano utilizzate dai contadini che, scendendo da Savogno, coltivavano con cura vigneti e castagneti di questa fascia montuosa, ora desolatamente abbandonati ed invasi dal bosco che si sta riprendendo quei lembi di versante montano che un tempo gli furono faticosamente strappati dagli uomini. Le stalle erano costruite con muri a secco e travi di legno, ed erano ricoperte di tetti costituiti da piode, pietre dalla forma piatta raccolte all’alpe Alpigia. Incontriamo anche tre vasche per la raccolta dell’acqua (büi), costruite da altrettanti monoliti e datate 1869, con settori distinti per gli uomini e gli animali, a riprova di un’attenzione particolare all’igiene, di cui troveremo segni anche nel paese di Savogno. Qui la mulattiera viene raggiunga da un sentiero che sale da Santa Croce, che, insieme a Prosto e Borgonuovo, costituisce il trittico di frazioni da cui è oggi costituito il comune di Piuro.
Ora volgiamo a sinistra (nord-ovest), continuando nella salita che ci porta nella zona dei Crotti di Savogno. A destra del sentiero di trova anche una parete chiamata Sas de l’Anticrist, perché sembra una porta richiusa sul mondo degli inferi. Troviamo anche, a quota 720 metri circa, un segno di tutt’altro tenore, una cappelletta che invita ad unire l’utile di una sosta ristoratrice all’edificante di una preghiera. La mulattiera procede tornante dopo tornante, mentre i castagni lasciano gradualmente il posto a betulle ed abeti. Superato un vallone (la Valorca), giungiamo ad un punto (tornante dx) nel quale la mulattiera viene raggiunta, da sinistra, dal sentiero del Pigion, di cui abbiamo già detto. Qui si trovano dei cartelli che indicano la possibile deviazione con discesa a S. Abbondio o a Cranna. Al medesimo tornante si trova una piazzola con sedili in pietra, che invita ad una sosta prima dello strappo finale. Savogno, infatti, non è lontana.
Dopo pochi tornanti, superata una croce in legno collocata nel funesto 1987 (anno della tremenda alluvione che mise in ginocchio la Provincia di Sondrio), siamo ad un bivio: mentre la mulattiera principale prosegue diritta, esce dal bosco, passa sotto i fili della teleferica e raggiunge il limite occidentale del paese, una mulattiera secondaria se ne stacca sulla destra e, dopo qualche tornantino, esce dal bosco in vista dell’impressionante muraglione che sostiene la chiesa di Savogno. Saliti gli ultimi gradini, siamo al suo sagrato (m. 932), dopo circa un’ora e mezza di cammino (il dislivello in salita è di circa 480 metri).  
Vediamo, ora, come giungere fin qui sfruttando il secondo percorso. Nella sua prima parte esso coincide con il già descritto sentiero panoramico dell’Acquafraggia, fino al punto nel quale esso confluisce con quello del Pigion (B31). Ora prendiamo a destra, salendo su una larga mulattiera che, ben presto, si riavvicina al corso del torrente Acquafraggia, di cui torniamo a sentire il fragore. Per un tratto saliamo, su fondo scalinato con pioli in legno, accompagnando il torrente che corre alla nostra destra, fino ad un ponte in legno, sul quale passiamo da sinistra a destra dello stesso, ammirando, poche decine di metri più a monte, una bella cascata dalla quale l’acqua cade in una pozza con una violenza inusitata, in quanto è costretta a scendere per uno stretto scivolo. Il fragore di nuovo si smorza, perché la mulattiera si allontana dal torrente e, dopo uno strappetto, supera una portina e passa a sinistra di una grande baita. Superiamo, poi, un ruscelletto, prima di affrontare l’ultima salita che ci porta ad intercettare la mulattiera principale per Savogno, in corrispondenza del torrente dx con lo slargo per la sosta. Di qui in poi, la via per raggiungere il sagrato della chiesa è quello sopra descritto.
La chiesetta, dunque. È dedicata S. Bartolomeo e fu consacrata nel 1465. Particolarmente interessante è il suo campanile, che ha conservato la struttura originaria. Sul sagrato, di fronte all’abitazione del parroco, è stato posto un busto che ricorda il beato Luigi Guanella, che esercitò anche qui la sua azione pastorale. Due targhe ricordano gli abitanti del paese morti nelle due guerre mondiali, Bongianni Delfino, Clara Carlo, Rogantini Luigi, Succetti Attilio e Succetti Eugenio nella prima, Bongianni Riccardo nella seconda, oltre ai dispersi Clara Ambrogio, Clara Attilio, Clara Beniamino, Succetti Andrea e Succetti Siro.
Savogno, posto a 932 metri (un’ora e mezza di cammino, circa, da Borgonuovo), era, in passato, abitato da diverse famiglie (come testimonia la presenza di una scuola elementare), ma è stato abbandonato dal 1967; esso offre, fra gli elementi di interesse, anche quello delle sue dimore ordinate, con i balconi in legno e le porte d’ingresso lavorate. Si tratta di dimore nettamente separate dalle stalle degli animali, che sono poste più a monte, a riprova di quell’attenzione per l’igiene di cui si è già fatta menzione. La pastorizia era elemento essenziale dell'economia del nucleo; il suo stesso nome deriva, probabilmente, dalla radice "Ovine", e significa, dunque, "luogo di ovini", di pecore.


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Bisogna spendere un po’ di tempo per girovagare fra queste baite, alcune di origine quattrocentesca, per arrivare a sentiersi il paese addosso, con il suo profumo antico, di austera nobiltà. Ottima è, poi, la collocazione panoramica: si tratta di un belvedere naturale sulle cime del versante meridionale della Val Bregaglia, sulla Val Aurosina e sulla bassa Val Bregaglia fino a Chiavenna. Buono, sul fondo, è anche il colpo d’occhio sulle cime della Val Bodengo e della Valle della Forcola. Vi si trova, infine, anche un rifugio-ristorante, segnalato come rifugio Savogno, che può costituire, d’estate, un interessante punto di ristoro e di appoggio per chi volesse intraprendere la lunga escursione al bivacco Chiara e Walter, posto sul passo che, dalla sommità della valle dell’Acquafraggia, permette di scendere in Val di Lei (il passo di Lei, a 2660 metri). Vale la pena di ricordare che la valle dell’Acquafraggia, ed ancor più quella di Lei, dispongono di alpeggi assai estesi e pregiati, il che spiega la relativa agiatezza di cui dovettero godere, un tempo, i contadini di questi luoghi.


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Il paese era anche punto di passaggio di una via di comunicazione non secondaria. Giovanni Guler von Weineck, nell’opera “Rhaetia” (Zurigo, 1616), scrive: “In alto sulla montagna, vicino al torrente ora ricordato, precisamente dentro la valletta che questo percorre, sorge sopra un poggio il piccolo paese di Savogno con la chiesa di S. Antonio; di lì un sentiero muove verso Afers ed il Rheinwald, più corto di ogni altro: tuttavia si può percorrerlo solo a piedi, e non a cavallo.” Il suo riferimento è alla mulattiera che risale l’intera valle dell’Acquafraggia, fino al ripiano glaciale nel quale è posto l’omonimo lago, per poi lasciare il posto ad un sentiero che sale al passo di Lei: di qui sui può scendere nella Val di Lei e attraverso di essa, appunto, ad Afers e Rheinwald. Ma vale la pena di approfondire la conoscenza di questo straordinario borgo.


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Il nome “Savogno”, come già detto, deriva forse da “Ovinae”, che significa ricovero per gli ovini: di ricoveri del genere ve n’erano molti sulla medievale “strata communis” per la Val di Lej e per gli alpeggi (sommersi dalla diga artificiale) di Erabella, Gandanera, Palude e Sengio. La strada fu sistemata nel 1259 a spese della comunità di Piuro. Di qui passarono fin dal tardo medioevo gli armenti diretti alla vicina (in linea d’aria) ma pur lontana (altimetricamente parlando) Val di Lei, di qui scendevano i pregiati latticini per la ricca Piuro, insieme alle pelli per la scrittura di documenti necessarie per gli atti notarili, alla lana ed al legname. E tutto ciò dal 1462, quando Piuro, sborsando 101 fiorini d’oro al conte Giorgio di Werdenberg-Sargans, acquisì la proprietà della Val di Lei, che ogni anno veniva caricata da oltre 600 bovini. Questi transiti giustificano la cura della splendida mulattiera di oltre 2000 gradini che sale fin qui da Borgonuovo di Piuro, e che fu nei secoli oggetto di un’attenta e minuziosa manutenzione.


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L’origine di Savogno, grumo di baite addossate a solidale protezione dal freddo e dalle intemperie, fra le quali una cinquecentesca Madonna con Bambino affrescata su una parete sembra uno squarcio di trascendenza che riscatta la faticose vicende della quotidianità, è appunto legata a questa via di transito. La disposizione delle baite presenta un aspetto che lo distingue dai cliché del resto della Val Bregaglia, caratterizzato dalla contiguità baita-fienile: qui i fienili sono raggruppati, per motivi igienici, in un nucleo a parte, separato dalle dimore. Fra le abitazioni si osserva la tipologia della casa a torre, con aperture ristrette e trilitiche, portali a grandi architravi, piedritti in pietra, spigoli lavorati a bugnato e tetto ad una sola falda.


La chiesa di S. Antonio Abate a Savogno

La chiesa, edificata nel 1465, venne non a caso dedicata a S. Antonio Abate, protettore degli animali da allevamento, ed a S. Bernardino, che qualche decennio prima aveva predicato a lungo nelle Alpi Centrali. Nel 1485 venne innalzato anche il campanile, l’unico in tutta la Valchiavenna ad aver conservato la sua originaria fisionomia. Pochi decenni dopo, nel 1512, le Tre Leghe Grigie imposero il proprio protettorato su Valtellina e Contea di Chiavenna, e ciò aumentò l’importanza della via per la Val di Lei per i transiti fra il territorio delle Leghe Grigie e la Contea di Chiavenna.


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Il Seicento fu il secolo più duro nella storia del paese, danneggiato prima dall’immane frana che il 4 settembre 1618 seppellì Piuro, poi dalle epidemie di peste che non risparmiarono i nuclei di media montagna (una leggenda narra che una di queste avesse fatto strage nella vicina Dasile, e che gli abitanti di Savogno avessero distrutto il ponte che consentiva il passaggio fra i due borghi, per evitare il contagio; per vendetta due giovani di Dasile, i soli scampati alla pestilenza, lanciarono sul versante opposto della valle un gatto appestato perché il morbo colpisse anche Savogno), infine dalle durezze delle vicende belliche nel contesto della fase valtellinese della Guerra dei Trent’Anni (anche Savogno dovette contribuire al mantenimento di truppe del conte Serbelloni e del duca di Rohan). Nel 1628 la visita pastorale del vescovo Carafino trovò a Savogno 210 abitanti e 55 famiglie, mentre a Dasile risiedevano 56 abitanti e 15 famiglie. Ma il colpo della peste doveva ancora raggiungere il borgo, perché in Valchiavenna venne portata dal transito dei Lanzichenecchi nel 1629. Fra le misure igieniche prese per contrastare il morbo si inserisce anche l'edificazione della fontana pubblica nella parte alta del paese, con settori distinti per persone e bestie.


Il pizzo Badile visto da Savogno

Solo nella seconda metà del secolo la comunità poté riprendersi, e nella sua visita pastorale il Cardinal Ciceri vi trovò 48 famiglie e 230 abitanti. La comunità era amministrata da un sindaco e da un consiglio, affiancati da esattori delle taglie e da un camparo, tutti eletti e rappresentanti di Savogno negli organi del comune di Piuro. Alla fine del secolo, nel 1698, gli abitanti di Savogno e della vicina Dasile (rivale ma anche amministrativamente unita a Savogno) erano saliti a 262. Nel Settecento gli emigranti, che si erano concentrati soprattutto a Venezia, dove avevano creato la "Fraterna di Venetia", donarono un messale con coperta in cuoio arabescata in oro.


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L'economia del borgo era ovviamente centrata su allevamento ed agricoltura, ma era integrata anche dalle attività invernali di fabbricazione artigianale di mestoli e cucchiai di legno, venduti a Chiavenna, attività che si protrasse fino alla metà del XX secolo. All'unità d'Italia Savogno contava 166 abitanti e sei anni dopo vi salì come parroco San Giovanni Guanella, che rimase a Savogno dal 1867 al 1875. Egli fece ampliare il cimitero, costruire un lavatoio pubblico e nel 1868 ampliare la chiesa; istituì inoltre scuole serali e festive. Una statua sul sagrato della chiesa esprime la gratitudine dei parrocchiani per la sua azione pastorale.
Egli rimase sempre affezionato al piccolo paese, che definì "villaggio umilissimo che si aggrappa agli scogli del monte, entro una valle ripida che guida al vertice del monte Stella, il più alto culmine in Italia dopo il Monte Rosa. Dallo Stella si prospetta al canton Grigione da tramontana, alla valle Mesolcina da ponente, alla Lombardia da mezzodì, e da levante all’Engadina svizzera ed al Maloia, da cui parte il gruppo delle Alpi che discendono ad incoronare la penisola italica e il corso delle acque dei fiumi, precipui il Reno e il Danubio [Inn], che per due lati opposti si incamminano a salutare le principali regioni d’Europa".


Il pizzo Badile visto da Savogno

Nell’Ottocento Savogno era ancora al centro di vivaci transiti, fra cui vanno annoverati quelli, in tre giornate, dei giovani Walser di Avers, che da Walserhöfe, Städtli, Hohenhaus e Ramsen salivano lungo la Val Madris e la Val di Lago, fino alla bocchetta del Lago, sopra il lago dell’Acquafraggia (ad est del più noto passo di Lej, che introduce alla Val di Lei), scendendo poi a Savogno (dove pernottavano), Piuro e Chiavenna, per acquistare granaglie, castagne, spezie, tessuti, vino ed attrezzi. Risaliti a Savogno con la loro “carga” (45-50 kg), vi pernottavano nuovamente per tornare il terzo giorno ai villaggi di partenza. Uno di loro, Peter Stoffel di Campsut, fu ritrovato moto in Valle del Lago il 19 ottobre 1848. Allora questi transiti commerciali erano affrontati, per un compenso di 5 franchi più un pasto, anche da uomini (e talora donne) di Savogno.


Madonna con Bambino e S. Antonio Abate (dipinto su una baita di Savogno)

Nel Novecento la vivacità del paese si espresse nella costruzione di un lavatoio pubblico, di una segheria, di una centralina elettrica e di una scuola elementare. Nel 1926 gli abitanti toccarono il picco di 299, per poi scendere a 201 nel 1936. Nel 1928 i 36 capifamiglia di Savogno, con in testa il parroco don Giovanni Paini, si impegnarono con denaro e lavoro volontario a costruire una scuola, ma l'opera non fu portata a termine. Solo nel 1947, su iniziativa del parroco don Luigi Marchetti, verrà aperta una scuola materna nella quale insegnava na maestra.


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In questo secolo il paese pagò anche in importante tributo ai due conflitti mondiali. Due targhe sul sagrato della chiesa ne ricordano i caduti. Nella Prima Guerra Mondiale caddero i soldati Delfino Bongianni, Carlo Clara, Luigi Rogantini, Attilio Succetti ed Eugenio Succetti. Nella Seconda Guerra Mondiale cadde il soldato Riccado Bongianni e furono dichiarati dispersi i soldati Ambrogio Clara, Attilio Clara, Beniamino Clara, Andrea Succetti e Siro Succetti.
Nel secondo dopoguerra, però, neppure Savogno scampò al progressivo spopolamento dei borghi di mezza montagna, fino all’atto finale, datato 1967, quando anche l’ultima famiglia che vi risiedeva permanentemente scese a valle. Non fu però l’inizio della fine, perché nella stagione estiva il paese rivide dei molti villeggianti saldamente legati alle loro antiche radici.


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DA VILLA DI CHIAVENNA O SANTA CROCE DI PIURO A SAVOGNO

Punti di partenza ed arrivo
Tempo necessario
Dislivello in altezza
in m.
Difficoltà (T=turistica, E=escursionistica, EE=per escursionisti esperti)
Villa di Chiavenna-Savogno
1 h e 20 min
350
T
Santa Croce-Savogno
1 h e 30 min
450
T

SINTESI. Alla seconda rotonda di Chiavenna (per chi viene da Colico) prendiamo a destra (Val Bregaglia-Passo Maloja). Dopo Prosto, Borgonuovo e Santa Croce, siamo a Villa di Chiavenna. All'inizio dell'abitato prendiamo subito a sinistra e troviamo un bivio. A sinistra parte la strada per Savogno, chiusa al traffico dei veicoli non autorizzati. Parcheggiamo nei pressi del bivio, in frazione Motta, e ci incamminiamo sulla strada una quota di 600 metri. Dopo un lungo tratto diritto verso ovest, che passa per i Crotti di Motta, la strada è raggiunta dalla pista che sale, da sinistra, da Santa Croce di Piuro. Segue una sequenza di tornanti dx-sx-dx-sx-dx-sx-dx-sx, che ci fa guadagnare quasi 300 metri di dislivello, portandoci ad una quota di circa 950 metri. La pista prosegue poi verso est, in piano, e termina in località Ganda Rüinascia, dove lascia il posto al largo sentiero che prosegue verso nord-ovest e, dopo una breve discesa, porta al limite orientale di Savogno, presso la chiesa di Sant’Antonio.
Variante da S. Croce. Alla seconda rotonda di Chiavenna (per chi viene da Colico) prendiamo a destra (Val Bregaglia-Passo Maloja). Dopo Prosto, Borgonuovo siamo a Santa Croce di Piuro. Qui lasciamo la strada statale prendendo a sinistra e parcheggiando appena sotto la caratteristica Chiesa Rotonda di Santa Croce, poco a monte della strada, presso il monumento ai caduti. Ci incamminiamo così da una quota di 509 metri, passando appena a sinistra della chiesetta romanica. Raggiunta la via che passa fra le case del paese, prendiamo a sinistra e saliamo ad un bivio, dove prendiamo a cnora a sinistra imboccando la pista riservata a bikers e camminatori. Dopo alcuni tornanti la pista confluisce nella pista che proviene da Villa di Chiavella (cfr. sopra). Andiamo a sinistra e ci portiamo ad una sequenza di tornanti dx-sx-dx-sx-dx-sx-dx-sx, che ci fa guadagnare quasi 300 metri di dislivello, portandoci ad una quota di circa 950 metri. La pista prosegue poi verso est, in piano, e termina in località Ganda Rüinascia, dove lascia il posto al largo sentiero che prosegue verso nord-ovest e, dopo una breve discesa, porta al limite orientale di Savogno, presso la chiesa di Sant’Antonio.


Crotti di Motta a Villa di Chiavenna

Si può salire a Savogno anche da Villa di Chiavenna o da Santa Croce di Piuro, sfruttando una pista che di recente si è affiancata ed in parte sovrapposta agli antichi sentieri. Ovviamente questa possibilità susciterà l’interesse particolare dei bikers, ma si presta ottimamente anche ad una tranquilla passeggiata sul solare versante settentrionale della Bregaglia italiana, scevra di problemi di orientamento.
Salendo lungo la ss 36 dello Spluga in Valchiavenna, raggiungiamo Chiavenna ed alla seconda rotonda prendiamo a destra ed imbocchiamo la ss 37 del Maloja, proseguendo verso Piuro e Villa di Chiavenna. Superata l’ultima frazione di Piuro, Santa Croce, procediamo per un tratto circondati da roccioni e boscaglia. Poi, dopo una semicurva a sinistra, rivediamo le abitazioni, le prime di Villa di Chiavenna.
Vediamo subito due svincoli dalla statale, uno a destra ed uno a sinistra. Imbocchiamo quello a sinistra, cioè a monte, e siamo subito ad un bivio, nei pressi di un suggestivo masso erratico a lato di una fontana. Mentre a sinistra inizia una stradina chiusa al traffico dei veicoli non autorizzati, la strada principale prosegue a destra, attraversando la frazione Motta e portando a Ponteggia.


Pianascio

Parcheggiamo appena possibile l’automobile e ci incamminiamo, ad una quota approssimativa di 600 metri, sulla strada per Savogno, chiusa al traffico dei mezzi non autorizzati, procedendo verso ovest, in leggera salita. Alla nostra destra prati ben curati ospitano baite che mostrano la caratteristica struttura costruttiva che combina la pietra ed il legno. In alto, alla sommità di un versante che impressiona per la verticalità, spicca il pallido salto roccioso del monte Saragiolo (m. 2304). Dopo un breve tratto all’ombra dei castagni, usciamo di nuovo all’aperto passando a lato di una serie di baite allineate, in località Crotti di Motta. Guardando alle nostre spalle godiamo di uno splendido colpo d’occhio sul versante meridionale della bassa Val Bregaglia: le case di Villa di Chiavenna ed il campanile della chiesa di San Sebastiano non si vedono più, nascoste dai castagni, ma sul fondo spiccano alcune delle cime del gruppo del Masino.
Poco oltre rientriamo nella selva, e vediamo sulla sinistra la partenza, segnalata da un cartello, di un sentiero che in 40 minuti, traversa, in leggera discesa, a Santa Croce di Piuro (si tratta di un segmento del percorso storico di valle o Strada di Bregaglia). Restiamo sulla carrozzabile e procediamo sempre in leggera salita, passando a destra di una fontana. Il fondo si fa sterrato. Superiamo così la valle Mesnera, che fa da confine, a nord, fra i comuni di Villa di Chiavenna, che lasciamo alle spalle, e di Piuro.
Dopo un buon tratto quasi in piano ci intercetta salendo da sinistra una pista che sale direttamente da Santa Croce di Piuro, a quota 675 m. Una coppia di cartelli per i bikers segnala il bivio: scendendo sulla pista ci portiamo appunto a Santa Croce, mentre procedendo diritti ci dirigiamo a Savogno. Un cartello segnala che stiamo percorrendo la pista agro-silvo-pastorale Bregalone-Savogno, chiusa al traffico dei veicoli non autorizzati. Dopo un tratto verso ovest, la pista svolta a destra. È il primo di una sequenza di tornanti dx-sx-dx-sx-dx-sx-dx-sx, che ci fa guadagnare quasi 300 metri di dislivello, portandoci ad una quota di circa 950 metri. La pista prosegue poi verso est, in piano, e termina in località Ganda Rüinascia, che, come si può intuire dal nome, si trova su un versante caratterizzato dalla presenza di corpi franosi.
Qui lascia il posto al largo sentiero che prosegue verso nord-ovest e, dopo una breve discesa, porta al limite orientale di Savogno, presso la chiesa di Sant’Antonio. Qui termina, dopo circa un’ora ed un quarto o poco più, la camminata iniziata a Villa di Chiavenna (il dislivello approssimativo in altezza è di 350 metri).
Se invece optiamo per la salita da Santa Croce di Piuro, procediamo così. Saliamo sulla ss 37 del Maloja in Val Bregaglia e, superati i nuclei di Prosto e Borgonuovo di Piuro, alla località Santa Croce la lasciamo prendendo a sinistra e parcheggiando appena sotto la caratteristica Chiesa Rotonda di Santa Croce, poco a monte della strada, presso il monumento ai caduti. Ci incamminiamo così da una quota di 509 metri, passando appena a sinistra della chiesetta romanica, che conserva un altare ligneo a sportelli intagliato e dipinto dal tedesco Yvo Stringel di Memmingen (1499).
Superato il cancelletto di fronte all’ingresso della chiesa, ci immettiamo nella stretta via centrale che passa fra le case della frazione. Si tratta di un segmento della storica strada di Bregaglia. Alla nostra destra il poderoso edificio della Ca’ della Giüstizia, palazzo pretorio e podestarile, nel quale dal 1642 (dopo la distruzione del palazzo di giustizia nell’apocalittica frana che seppellì Piuro nel 1618) le Tre Leghe Grigie amministravano la giustizia. In quei tempi duri diverse donne furono condannate a morte per stregoneria e giustiziate nel vicino Prato della Giustizia. Prendiamo in direzione opposta rispetto al palazzo, cioè a sinistra, passando a lato di un torchio monumentale (tòorc’), segnalato da un pannello, che in passato funzionava al servizio dell’intera comunità.
Proseguendo in salita siamo ad un bivio, al quale prendiamo a sinistra, imboccando una stradina con fondo asfaltato che, lasciate alle spalle le case di Santa Croce, sale gradualmente in una selva di castagni, verso nord-ovest. Si tratta di una pista riservata a camminatori e bikers. Dopo il primo tornante dx, passiamo a destra di un suggestivo e piramidale masso erratico. Superata una fascia di prati, la pista assume un fondo sterrato. Dopo pochi tornanti la pista, di nuovo con fondo in asfalto,  attraversa i prati dei crotti di Pianascio, disseminati dei massi erratici scaricati dal ripido versante montuoso.
Rientrata nella selva, la pista, che assume definitivamente il fondo sterrato, confluisce nella pista che sale da Villa di Chiavenna. La imbocchiamo procedendo verso sinistra ed affrontiamo la già menzionata sequenza di tornanti dx-sx-dx-sx-dx-sx-dx-sx, che ci fa guadagnare quasi 300 metri di dislivello, portandoci ad una quota di circa 950 metri. Dal suo punto terminale di Ganda Rüinascia imbocchiamo, infine, il sentiero che in pochi minuti traversa a Savogno, dove giungiamo dopo circa un’ora e mezza di cammino (il dislivello approssimativo in altezza è di 450 metri).


Santa Croce di Piuro

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DA SAVOGNO A DASILE ED ALL’ALPE CORBIA  

Punti di partenza ed arrivo
Tempo necessario
Dislivello in altezza
in m.
Difficoltà (T=turistica, E=escursionistica, EE=per escursionisti esperti)
Savogno-Dasile
30 minuti
200
T
Savogno-Dasile-Corbia
1 h e 45 min
590
E
SINTESI. Dalla chiesa di Savogno ci portiamo al suo limite NO, sotto il cimitero, e prendiamo il largo sentiero che attraversa il torrente Acquafraggia e sale a Dasile. Ci portiamo alla parte alta di Dasile dove parte una mulattiera che prende a sinistra ed entra in una pecceta. Dopo un tornante dx, uno sx ed un nuovo dx, usciamo alla parte alta dei prati dell'alpe Corbia. Dalla parte alta dei prati di Corbia il sentiero passa a sinistra del salto roccioso e sale con ripide serpentine, nel bosco, con direzione nord, attraversando un vallone, per poi piegare decisamente verso est, con tratto sostanzialmente pianeggiante (saliscendi). Piega di nuovo a nord, attraversa un vallone e raggiunge le solitarie baite di Serigna, prima di scendere, con una scalinata esposta su un salto impressionante, per oltre cento metri ed intercettare, infine, alle baite di Ponciagna il marcato sentiero Savogno-Acquafraggia.


La chiesetta di Dasile

Il modo più semplice per proseguire l’escursione, completandola, è quello di portarci al paese per certi aspetti gemello (anche se diviso da fiera rivalità) rispetto a Savogno, cioè Dasile. Se poi abbiamo sufficiente fiato e gamba, la salita può proseguire alla volta dell’esteso alpeggio di Corba. Per fare questo, ora passare sul lato opposto della valle (da est ad ovest).


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Portiamoci, dunque, sul lato occidentale del paese (alla nostra sinistra, guardando a monte), dove, proprio sul limite delle abitazioni, si trova anche il rifugio, e proseguiamo scendendo al ponte sul torrente, che ci porta, appunto, sul versante occidentale della valle. Al ponte troviamo anche un cancelletto, importante indizio di come i rapporti fra le due comunità siano stati, in età moderna, tutt’altro che buoni, tanto che ad inizio dell’Ottocento si dovette addivenire ad una solenne riappacificazione, che ponesse fine a secoli di odio. All’origine di questa fiera contrapposizione e di questo feroce astio sta un episodio di cui racconteremo più avanti. La mulattiera prosegue, salendo, sempre con elegante salinatura, ed oltrepassa una cappelletta, collocata in un punto dal quale si gode di un’ottima visuale sull’intero paese di Savogno, prima di uscire dal bosco, sul limite inferiore degli ampi prati che ospitano Dasile (m. 1032).
Ci accoglie una croce in legno, poi un masso con una croce inferro, sul limite inferiore dei prati. Sui tratta di un punto eccezionalmente panoramico, soprattutto sulle cime della Val Bregaglia. Poi le prime case del paese, che raggiungiamo dopo circa mezzora di cammino (dislivello approssimativo da Savogno: 200 metri). Nella sua parte più bassa troviamo la chiesetta di San Giovanni Battista, che fu edificata nel 1689, anche grazie alle rimesse degli abitanti che erano stati costretti ad emigrare a Venezia per trovare lavoro.
A Dasile le dimore sono più semplici, austere, e suggeriscono una minore agiatezza. Non facile individuare l'origine del suo nome: forse dalla voce dialettale lombarda "i das", cioè "abeti bianchi".
Vediamo, ora, come proseguire l’escursione alla volta dell’alpe Corbia. Portiamoci alle baite più alte del paese e, seguendo i segnavia, superato il terrazzo di Terabionda, imbocchiamo la mulattiera che, con primo tratto diritto e poi svolta a sinistra (andamento nord-ovest), entra nel bosco, passando a valle di un corpo franoso. Il fondo è buono e ben scalinato; ci portiamo alla prima sequenza di tornanti dx-sx, dopo i quali un tratto regala un buon colpo d’occhio su Chiavenna, Mese e Gordona. Poi lo scenario muta: entriamo in una pecceta e passiamo accanto a due baite (località Corbisòt), la prima delle quali è datata 1869 ed ha vicino un abbeveratoio. Raggiunta una radura, passiamo sul ciglio di un ripido canalone e notiamo un masso dalla curiosa forma di corno rovesciato, prima di rientrare nella pecceta. Sopra di noi vediamo un nuovo rudere di baita. La mulattiera propone, poi, un tratto con una serrata sequenza di tornantini e con andamento nord, prima di piegare a sinistra (nord-ovest). Ci ritroviamo, così, sul ciglio di uno strapiombo: la mulattiera, ovviamente, se ne guarda bene dallo sprofondarci,e  piega a destra.


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È l’ultimo strappo, che ci condurre al limite inferiore dei prati dell’alpe di Corbia, con le prima baite poste a quota 1373. Il sentiero prende, quindi, a sinistra e poi a destra, e si dirige alle baite più alte (m. 1520), poste sotto un saltino roccioso. Qui possiamo fermarci e contemplare il panorama delle cime della Val Bregaglia: lo sguardo raggiunge, a sinistra, il Badile (che si mostra come elegante cime a punta di lancia) ed il Cengalo, anche se, visti da questa prospettiva, non sono facili da riconoscere. Siamo in cammino da un’ora e tre quarti: il dislivello approssimativo, da Savogno, è di 590 metri.


Apri qui una panoramica dall'alpe Corbia

Ricordiamo, per completezza, che abbiamo percorso il sentiero siglato B28, che non termina a quest’alpe, ma procede effettuando una traversata alta all’alpe Ponciagna, alla quale si immette nel sentiero principale e più diretto per il lago di Acquafraggia, quello che sale da Savogno, e di cui diremo.


Il gruppo delle Sciore visto dall'alpe Corbia

Dalla parte alta dei prati di Corbia il sentiero passa a sinistra del salto roccioso e sale con ripide serpentine, nel bosco, con direzione nord, attraversando un vallone, per poi piegare decisamente verso est, con tratto sostanzialmente pianeggiante (saliscendi).


Apri qui una panoramica dall'alpe Corbia

Piega di nuovo a nord, attraversa un vallone e raggiunge le solitarie baite di Serigna, prima di scendere, con una scalinata esposta su un salto impressionante, per oltre cento metri ed intercettare, infine, alle baite di Ponciagna il marcato sentiero Savogno-Acquafraggia. La traversata Corbia-Ponciagna va effettuata con una certa attenzione, perché la traccia non è sempre ben visibile: seguire, quindi, con attenzione i segnavia.


Il sentiero Corbia-Ponciagna

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Alpe Corbia

DA SAVOGNO AL LAGO DELL’ACQUAFRAGGIA

Punti di partenza ed arrivo
Tempo necessario
Dislivello in altezza
in m.
Difficoltà (T=turistica, E=escursionistica, EE=per escursionisti esperti)
Savogno-S. Antonio-Alpigia-Ponciagna-Lago dell'Acquafraggia
3 h
1150
E
SINTESI. Dalla chiesa di Savogno saliamo alla parte alta del paese ed imbocchiamo la mulattiera B25 che sale a nord. Superata una cappelletta, un cancelletto ed una seconda cappelletta, siamo ai prati di S. Antonio. Saliamo diritti e poi pieghiamo a sinistra fino ad un ponte che ci porta a sinistra del torrente: siamo alle baite dell'Alpigia. Procediamo verso un salto roccioso, su traccia debole, fino a trovare la larga mulattiera che risale il versante (andamento N, SO e N), uscendo dal bosco in vista dell'alpe Ponciagna, che raggiungiamo salendo diretti. Raggiungiamo ed oltrepassiamo le baite dell'alpe salendo ad una porta che introduce all'ampia conca del lago dell'Acquafraggia, che vediamo alla nostra destra, mentre a sinistra si trova il laghetto di Piangesca.


Lago dell'Acquafraggia

Il lago dell’Acquafraggia si trova nel ripiano che sormonta la seconda grande soglia della valle, quella glaciale, intorno ai 2000 metri. Si tratta di una sorta di meta classica, di cui ogni escursionista può ben vantarsi, dal momento che può essere raggiunto solo con una salita di oltre 1600 metri di dislivello, in circa 5 ore di cammino (a meno che ci si fermi a dormire al rifugio Savogno). Non facile, dunque, raggiungerlo, non facile trovarlo illuminato dal pieno sole, perché qui confluiscono venti da direzioni diverse, che spesso determinano lo stazionare di nubi persistenti. Elementi tutti che ne fanno una sorta di luogo mitico. Vediamo come raggiungerlo.


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Dalla chiesa di Savogno, seguendo un cartello, prendiamo a sinistra, passando fra le case del paese, verso ovest; prima delle ultime case, saliamo ancora (seguendo il segnavia rosso-bianco-rosso), e di nuovo prendiamo a sinistra: imbocchiamo così la larga mulattiera che ci accompagnerà nel primo tratto della salita, e che entra subito nel bosco, prendendo a sinistra (nord). Si tratta del percorso siglato B25. I segnavia non sono numerosi, ma è difficile perderlo. Superato un casello dell’acqua, affrontiamo i primi tornanti. Il fondo è largo ed in diversi tratti scalinato. In un punto usciamo all’aperto, con leggera discesa protetta a valle da corrimano: guardando a sinistra, abbiamo un suggestivo colpo d’occhio della Valle dell’Acquafraggia, che da qui appare interamente ricoperta da boschi. Passiamo, quindi, a sinistra di una cappelletta sulla quale è scritta l’invocazione “Gesù, Giuseppe, Maria assistetemi nell’ultima agonia”, che ci ricorda come in passato non fosse temuta tanto la morte, quanto la possibilità di morire lontani dalla grazia di Dio, e quindi essere dannati. Qualche tornante ancora ci regala un buon colpo d’occhio sul dirupato e scosceso versante occidentale della valle.
Eccoci, poi, ad un cancelletto e ad una seconda cappelletta, oltrepassata la quale ci attende un tratto pianeggiante, fino ad un bivio segnalato: il sentiero di destra (B26) porta in un’ora al Monte Rosa, mentre proseguendo diritti possiamo raggiungere l’alpe Lago in 2 ore ed il passo di Lei in 4 (indicazioni ottimistiche). Proseguiamo, ora, all’aperto ed il sentiero, stretto ma sempre visibile, corre fra i prati della località S. Antonio e dell’Alpigia, che propone anche alcune baite in ordine sparso, alla nostra destra. Dobbiamo andare avanti sempre diritti, ignorando una deviazione a sinistra che scavalca il torrente su un ponte e porta ad alcune baite. Proseguendo diritti, superiamo una breve macchia e lasciamo a destra un’ultima baita, prima di piegare a sinistra e passare il torrente su un ponticello in legno.
Oltre il ponte siamo alle baite più alte dell’Alpigia, ben ristrutturate. Qui la traccia, però, si fa più debole: su un masso troviamo un quadrato bianco contornato di rosso. Lasciamo le baite alla nostra sinistra e cominciamo a salire, zigzagando, una lunga china erbosa. Stiamo puntando ad una grande parete liscia che ci sta davanti e sembra non accennare ad alcun sorriso. La traccia è debole, ma sempre visibile. I segnavia sono disposti con parsimonia.
Poi, quando siamo quasi a ridosso della parete, il sentiero si fa più visibile e piega a sinistra, entrando nel bosco e superando una sorta di recinto che poi ci accompagnerà, come fettuccia che delimita il lato esposto, per buona parte della salita. Il sentiero ora è ben marcato, sostanzialmente una mulattiera, e risale, con qualche tornante ed andamento abbastanza severo, il versante boscoso, fra rododendri, betulle, abeti e larici. Dopo l’ultimo traverso a destra, esce dal bosco ed attraversa un corpo franoso, con andamento nord. Stiamo procedendo in direzione di alcune baita che vediamo proprio davanti a noi, più in alto, le baite della Ponciagna (m. 1816). Superato un torrentello ed un vallone asciutto, affrontiamo la ripida china di magri pascoli riprendendo ad inanellare tornanti. Ci raggiunge da sinistra il già citato sentiero che sale da Corbia (cartello) e che qui ha una traccia appena visibile). Passiamo, poi, a sinistra delle baite più basse e ci avviciniamo alle baite mediane, curiosamente disposte ad una certa distanza l’una dall’altra. Il sentiero ci porta ad una fontana in legno, datata 1998, e ad un grande masso, sul quale è incisa la scritta “Ponciagna m. 1816” ed infissa una targa in marmo che ricorda la morte dei partigiani della 90sima brigata Garibaldi Fallini Mario e Rizzi Giuseppe, caduti il 20 aprile 1945. Qualche metro più in là la baita denominata “Tabiée di manüs”. L'etimo di "Ponciagna" è probabilmente "poncia", voce dialettale che significa "punta", forse con riferimento alla Cima di Lago posta al culmine della Valle dell'Acquafraggia.
Saliamo alle baite alte e le lasciamo alle nostre spalle: ci attendono le ultime fatiche, la pendenza non si attenua, la grande croce che abbiamo visto fin dall’Alpigia, sulla soglia glaciale che nasconde il lago, è ora là, alla nostra destra, e sembra intonarsi bene con le nostre condizioni stremate. L’ultimo tratto, esposto sul lato destro, è protetto fa corrimano. Poi la soglia, l’accesso, la rivelazione. Ecco il lago dell’Acquafraggia (m. 2043), eccolo, più basso rispetto a noi, sulla destra. Ecco, sul lato opposto, in diagonale rispetto a noi, le baite dell’alpe Lago dentro, raccolte, quasi timorose, contro il versante meridionale  che sta fra la cima di Lago (m. 3083), a sinistra, ed il pizzo Galleggiane (m. 3107), a destra. Ecco, a destra di quest’ultimo, la ben visibile bocchetta del passo del Turbine (m. 2420), per il quale si può scendere all’alpe Malinone ed a Villa di Chiavenna. Ecco alcuni cartelli, che danno il passo del Turbine ad un’ora e 10 minuti, Malinone a 2 ore e 10 minuti e Villa di Tirano a 3 ore e 30 minuti (B21); a sinistra, invece, Carezzano è dato ad un’ora e 15 minuti, il passo dell’Avero ad un’ora e 40 minuti ed Avero a 2 ore e 45 minuti.
Procediamo a sinistra, in questa seconda direzione: in breve raggiungeremo lo splendido laghetto della Piangiasca. Più avanti, il bivio, con la traccia di destra che sale al passo di Lei, sul quale è posto il bivacco Chiara e Walter (m. 2661) e dal quale si può scendere in Val di Lei, passando per la Val di Cà.


Apri qui una panoramica del lago dell'Acquafraggia

Conti alla mano, abbiamo camminato circa 3 ore da Savogno, per superare un dislivello approssimativo di 1150 metri. L’ultimo pensiero è per la Cima di Lago, da cui provengono le acque che abbiamo incontrato nella loro libera caduta all’Acquafraggia. Questa cima è collocata in un punto assolutamente nodale, come una sorta di ombelico retico: le acque che scendono dai diversi versanti sono correranno a destinazioni lontanissime, Mar Mediterraneo (sud), Danubio (nord-est), Mare del Nord (nord –ovest). Anche questo appartiene alla magia di questo luogo, unico.


Alpe Piangesca

Alpe Piangesca

Laghetto della Piangesca

Lago dell'Acquafraggia

Lago dell'Acquafraggia

Alpe Piangesca

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CARTA DEL PERCORSO sulla base della Swisstopo, che ne detiene il Copyright. Ho aggiunto alla carta alcuni toponimi ed una traccia rossa continua (carrozzabili, piste) o puntinata (mulattiere, sentieri). Apri qui la mappa on-line

LEGGENDE DELL’ACQUAFRAGGIA

Magia, ma anche mistero. Molte le storie e le leggende legate a questi luoghi. Eccone una carrellata.
La più famosa epidemia di peste nella storia moderna è probabilmente quella raccontata dal Manzoni nei Promessi Sposi e causata dal passaggio dei Lanzichenecchi, che calarono, dalla Valchiavenna, sul milanese, nel contesto di una delle tante vicende belliche della Guerra dei Trent’anni. La soldataglia, temuta anche per le sue violenze, non si limitò, però, al passaggio: rimase di stanza in Valtellina e Valchiavenna nell’estate del 1630, e questo ebbe conseguenze tragiche per la diffusione della “morte nera”. Fu un’epidemia che flagellò anche Valtellina e Valchiavenna, mietendo un enorme numero di vittime, dall’estate del 1629 ai primi mesi del 1631. La morte nera, così veniva chiamata con un senso di profondo orrore, si diffuse dal fondovalle ai borghi di media montagna, fino a toccare gli stessi alpeggi.
Fra le storie, tristi, legate al terribile contagio merita di essere raccontata quella che ebbe come scenario due dei più bei paesi della bassa Val Bregaglia, Savogno e Dasìle, collocati sulla media montagna che sovrasta Borgonuovo di Piuro, oltre la soglia rocciosa dalla quale scendono le celebri cascate dell’Acquafraggia. I due paesi furono, fino all’Ottocento, divisi da una feroce rivalità, solo in parte sopita dalla riconciliazione che avvenne proprio in quel secolo. Le radici di tanto odio affondano proprio in quel triste periodo secentesco che vide l’esplosione dell’epidemia di peste in Valchiavenna.

La peste raggiunse, dal fondovalle, Dasile. Vi furono i primi sintomi, le prime febbri, i primi orribili bubboni, le prime morti. La comunità fu presa da un vero e proprio panico, perché nessuno avrebbe potuto dire quando si sarebbe fermata l’epidemia. C’era il rischio concreto che tutti soccombessero. Si prese allora una decisione estrema: fu imposto a due giovani di lasciare le case del paese e di salire all’alpe Corbia, vivendo isolati rispetto a tutti gli altri, cui venne rigorosamente proibito di avvicinarli. Nell’ipotesi peggiore, sarebbero sopravvissuti almeno loro, ed avrebbero consentito al bestiame superstite di continuare a vivere. I due, con il cuore pieno di sgomento ed apprensione, lasciarono dunque le case. Avevano ricevuto l’ordine di scendere, periodicamente e con la massima cautela, fino alle rocce che sovrastano il paese, per osservare cosa accadesse. E così fecero. E quel che videro non fu certo rassicurante: le persone che si muovevano fra le vie erano sempre meno, finché, un brutto giorno, non si vide più nessuno. I giovani si fermarono a lungo ad osservare, per sincerarsi che non vi fosse più alcuna persona viva, ma non videro più né uomini né animali muoversi fra le case di Dasile.
Presi dal panico e dalla disperazione, scesero allora verso Savogno, il paese gemello collocato sul lato opposto della valle, un po’ più in basso. Giunti, però, al ponte che congiunge i due versanti, lo trovarono distrutto sul lato di Savogno. Compresero che gli abitanti di quel paese non solo non avevano prestato soccorso a quelli di Dasile, ma avevano anche distrutto l’unica via di comunicazione, per impedire che la peste li toccasse. Furono, quindi, presi da un fiero sdegno e da una cieca ira. Animati da spirito di vendetta, meditarono come far pagare agli abitanti di Savogno il crudele egoismo di cui avevano dato prova. L’idea non tardò a farsi strada nella loro mente. Avevano veduto, lungo il tragitto, la carcassa di un gatto morto. Tornati sui propri passi e servendosi, con ogni cautela, di un lungo bastone, afferrarono la carcassa, la portarono nei pressi del torrente e la gettarono sul lato opposto della valle. Il germe del terribile morbo approdò, quindi, sul territorio di Savogno, e non tardò a raggiungere, propagato dagli animali, i suoi abitanti, che così pagarono nel modo più terribile la loro colpa.

Una seconda storia, anch’essa riportata nel volume di AA VV “C’era una volta – Vecchie storie e leggende di Valtellina e Valchiavenna”, edito nel 1992, conferma la diversa mentalità degli abitanti dei due paesi. Si racconta che un tempo gli abitanti di Savogno e Dasile possedessero alpeggi anche nel territorio svizzero della Val Bregaglia, ma che, in seguito ad alcune annate caratterizzate da raccolti sfavorevoli, avessero contratto debiti ingenti con abitanti di Soglio e Castasegna. Stipularono, così, con questi un accordo: se non fossero stati in grado di saldare i debiti entro una data stabilita, avrebbero ceduto loro gli alpeggi. A prezzo di grandi sacrifici, la somma dovuta fu raccolta, ma proprio lungo il viaggio verso Castasegna gli abitanti di Savogno e Dasile persero del tempo prezioso, anche perché distratti abilmente dagli astuti svizzeri.
Giunsero, così, con poche ore di ritardo e gli Svizzeri reclamarono la cessione degli alpeggi, come da accordi intercorsi. Ne nacque una lunga e faticosa trattativa, nella quale, inizialmente, questi ultimi non vollero sentire ragioni, mentre poi si ammorbidirono un po’, ed accettarono di lasciare agli abitanti di Savogno e Dasile uno degli alpeggi contesi. Gli abitanti di Savogno si dissero paghi del risultato, consapevoli che non avrebbero potuto ottenere di più, ma quelli di Dasile non se ne diedero per inteso, poiché non volevano cedere alcun alpeggio. Fu così che uno di loro, spazientito, picchiò un sonoro pugno sul tavolo, esclamando: “O tütt, o nagot!”, cioè: “O tutto, o niente!”. E fu niente, perché gli Svizzeri, indispettiti, si tennero tutti gli alpeggi. Non fu, però, una disgrazia per le due comunità, che possedevano begli alpeggi anche a monte dei paesi, in alto, nella zona del bellissimo lago dell’Acquafraggia.
Ed a questo proposito si racconta un’altra storia, più amena. La salita al lago dell'Acquafraggia, da Savogno, è assai lunga e faticosa, essendo questo posto a 2043 metri, cioè a più di tre ore di cammino dal paese. Quando i bambini si facevano un po’ più grandicelli, veniva, per loro, il momento di salire per la prima volta, all’inizio dell’estate, all’alpe Lago, per imparare il lavoro del pastore. La prima salita era una specie di piccolo evento, assai temuto, perché legato ad una prova terribile. Si diceva loro, infatti, che avrebbero dovuto affrontare, una volta giunti all’alpeggio, una vecchia ed orrenda megera, che viveva lì da tempo immemorabile e che esigeva da tutti i nuovi pastorelli un omaggio a dir poco singolare, il bacio del sedere. E’ facile immaginare con quale senso di paura e di disgusto i ragazzi salissero lungo il sentiero che porta all’alpe, e come si sentissero quando, giunti nei pressi di un grande masso, veniva loro annunciato che l’ora della prova era giunta, perché la megera se ne stava ad attenderli proprio dietro di esso. Ma dietro il masso non c’era proprio nessuno, ed i futuri pastorelli scoprivano, fra le risa dei più grandi, che si trattava di uno scherzo, da rinnovare anno dopo anno e generazione dopo generazione. Sollevati per lo scampato pericolo e fieri del segreto di cui erano stati resi partecipi, e che li rendeva ora, ufficialmente, grandi, si accingevano così ad iniziare la lunga stagione dell’estate all’alpe.

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Riportiamo, per completezza, la relazione di due belle ma impegnative traversate dall’Acquafraggia rispettivamente al rifugio Chiavenna, per il passo di Lei, e ad Avero con discesa a Chiavenna, per il passo d’Avero. Sottolineiamo che richiedono comunque esperienza escursionistica, buon allenamento e condizioni di visibilità buone. La prima è servita dal bivacco Chiara e Walter, che costituisce un buon punto di appoggio per declinare la traversata in due giornate.

 

 

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TRAVERSATA ACQUAFRAGGIA-VAL DI LEI-RIFUGIO CHIAVENNA PER IL PASSO DI LEI
(BIVACCO CHIARA E WALTER)

Punti di partenza ed arrivo
Tempo necessario
Dislivello in altezza
in m.
Difficoltà (T=turistica, E=escursionistica, EE=per escursionisti esperti)
Lago dell'Acquafraggia-Passo di Lei (bivacco Chiara e Walter)-Val di Ca-Val di Lei-Passo Angeloga-Rifugio Chiavenna
6 h
1050
EE
SINTESI. Dal punto di arrivo del sentiero Savogno-Acquafraggia, seuendo i segnavia, prendiamo a sinistra (ovest) passando per il laghetto di Piangesca e l'omonimo pascolo (m. 2097). Lasciando a sinistra la traccia per il passo d’Avero, portiamoci spalle delle baite ed iniziamo a risalire un ampio vallone, sul lato destro (per noi che saliamo), su traccia di sentiero. Superata un'ampia gobba erbosa, ci affacciamo al vallone terminale, occupato da sfasciumi. Poco sotto la sella che chiude in alto il bacino, nell’ultimo tratto volgiamo a destra e percorriamo un tratto ben scalinato raggiungendo il crinale roccioso dove è posto il passo di Lei (m. 2660). Qui troviamo il bivacco Chiara e Walter. Il sentiero prosegue, con tratti scalinati, fra i dossi rocciosi del passo, fiancheggiando le rive di un laghetto, prima di iniziare la facile quanto lunga discesa in Val di Cà sul versante sinistro, fino alle le baite di Pian del Nido (in 1919), sul limite meridionale del grande bacino artificiale della Val di Lei. Oltre le baite, sul lato sinistro, percorriamo la pista sterrata e siamo ad un ponticello; poco dopo, all'alpe Mottala, troviamo il sentiero C5, che si stacca dalla pista sterrata sulla sinistra e sale al passo dell’Angeloga (m. 2390), passando a destra del lago Ballone (m. 2321). Dal passo scendiamo facilmente al rifugio Chiavenna (m. 2044), passando sul lato destro del bellissimo lago Nero (m. 2351) e superando il successivo gradino roccioso su tratto scalinato.


Il bivacco Chiara e Walter sullo sfondo del gruppo del Masino

Questa traversata percorre, a rovescio, la settima e penultima tappa del Trekking della Valle Spluga. Dal punto di arrivo del sentiero Savogno-Acquafraggia prendiamo a sinistra (ovest) passando per il laghetto di Piangesca e l'omonimo pascolo (m. 2097). Lasciando a sinistra la traccia per il passo d’Avero, portiamoci spalle delle baite ed iniziamo a risalire un ampio vallone, sul lato destro (per noi che saliamo), su traccia di sentiero. Superata un'ampia gobba erbosa, ci affacciamo al vallone terminale, occupato da sfasciumi.
Poco sotto la sella che chiude in alto il bacino, nell’ultimo tratto volgiamo a destra e percorriamo un tratto ben scalinato, che testimonia l'importanza del valico nei tempi passati: di qui passavano le mandrie che caricavano i ricchi pascoli della Val di Lei. In breve siamo al crinale roccioso dove è posto il passo di Lei (m. 2660), chiamato localmente "La Colma". Poco più ad est, alla nostra destra, sopra uno splendido ripiano roccioso che si affaccia sulla Val Bregaglia, ecco finalmente il bivacco Chiara e Walter, che spicca, dal 1994, nel suo color giallo vivace (l'originaria struttura era grigioargento), e che raggiungiamo dopo circa 2 ore di cammino (dislivello approssimativo: 600 metri). Venne posto qui nel 1982 dalla sezione di Chiavenna del CAI, ed è dedicato alla memoria di Chiara Giuriani e Walter Borzi. Dotato di 9 posti-letto, coperte, gas e cassetta medicinali, è un ottimo punto di appoggio per le traversate in questo settore, dal momento che l'accesso al passo dal versante italiano richiede sempre diverse ore di marcia. Il bivacco serve ottimamente anche per l'ascensione al pizzo Stella dal crinale sud-orientale.
Dopo una sosta ristoratrice sulle rive malinconiche del vicino laghetto, riprendiamo la traversata. Il sentiero prosegue, con tratti scalinati, fra i dossi rocciosi del passo, fiancheggiando le rive di un laghetto, prima di iniziare la facile quanto lunga discesa in Val di Cà sul versante sinistro, resa meno monotona dalle belle vedute sui ghiacciai della Cima di Lago e della Sovrana, alla nostra destra. Terminata la discesa ci affacciamo alla Val di Lei raggiungendo le baite di Pian del Nido (in 1919), sul limite meridionale del grande bacino artificiale della Val di Lei.

 

Questa valle, per diversi motivi, è fra le più singolari e suggestive della provincia di Sondrio. Idrograficamente appartiene al territorio elvetico, essendo tributaria del bacino del Reno, mentre politicamente appartiene all'Italia. Un accordo italo-svizzero, però, ha riservato alla Svizzera il diritto di sfruttamento idroelettrico delle acque della valle. Lo sbarramento dell'enorme invaso (dalla capacità di 197 milioni di metri cubi d'acqua) che occupa il fondovalle, infatti, è in territorio svizzero, ed è stato realizzato fra il 1958 ed il 1961. La valle, orientata a nord, è chiusa, ad oriente, dalla costiera che dallo Schahorn (m. 2836) scende alla cima di Lago (m. 3083) e ad occidente da quella che dal pizzo Motta (m. 2835) scende ai pizzi Groppera (m. 2948) e Stella (m. 3136).
La diga di Val di Lei è una delle più grandiose mai realizzate. Un accordo italo-elvetico la colloca in territorio italiano ma concede agli svizzeri lo sfruttamento energetico delle acque. All’epoca della sua costruzione, che durò dal 1958 al 1960, si trattava della più grande diga del mondo, larga 690 metri ed alta 143, con uno spessore di 28,10 metri alla base e 15 alla sommità. Sotto la direzione della Edison di Milano, che l’aveva anche progettata, vi lavorarono fino a 3390 operai, non solo valchiavennaschi e valtellinesi, ma anche provenienti da diverse regioni italiane (in particolare Veneto, Calabria e Sicilia). Un elevato numero di questi vi perse la vita. Il bacino, lungo oltre 8 km., contiene circa 200 milioni di metri cubi d’acqua, convogliati qui da un complesso sistema di gallerie dalle valli di Madris, Avers e Niemet. A corredo della diga furono costruite 58 km di strade e gallerie, 10 teleferiche, 4 sbarramenti supplementari, 13 prese d’acqua sui torrenti, 56 km di gallerie, 3 centrali idroelettriche e 108 km di elettrodotti. Le sue acque, che raggiungono la quota di 1931 metri s.l.m., seppellirono la chiesetta di S. Anna e nove km della strada comunale Savogno-Alpigia-Val di Lei, con l’osteria del Palaz e gli alpeggi di Rebella e Guardanegra, toponimi che alludono ad antiche credenze legate a fanciulle bellissime ed a malefiche presenze dallo sguardo mortifero, oltre agli alpeggi di Palù, Salina, Crot e Motta. Curiosamente, non fu questo enorme lago a dare il nome alla valle, ben più antico, ma il lago dell’Acquafraggia, sul versante della Bregaglia italiana, perché questa valle era economicamente e storicamente legata a Piuro.

 

Al termine della discesa ci immettiamo nella strada carrozzabile che costeggia tutta la riva occidentale (alla nostra sinistra), e troviamo anche il bivacco Pian del Nido (dismesso). Se abbiamo pernottato al bivacco Chiara e Walter ed abbiamo a disposizione due automobili, possiamo rientrare in alta Valle dello Spluga imboccando il sentiero, segnalato, che si stacca, sulla sinistra, poco dopo un ponticello che si trova non lontano dal bivacco Pian del Nido, all'alpe Mottala. Si tratta del percorso C5, che sale al passo dell’Angeloga (m. 2390), passando a destra del lago Ballone (m. 2321).
Dal passo, poi, scendiamo facilmente al rifugio Chiavenna (m. 2044), passando sul lato destro del bellissimo lago Nero (m. 2351). La traversata Bivacco Chiara e Walter-Rifugio Chiavenna comporta un dislivello in salita di circa 450 metri e richiede approssimativamente 4 ore di cammino. Se invece partiamo dal lago dell’Acquafraggia dobbiamo aggiungere 2 ore e 600 metri di dislivello.
Dal rifugio, infine, scendiamo lungo il fianco destro (settentrionale) della Val Rabbiosa fino a Fraciscio (m. 1341) e di qui, seguendo la carrozzabile, a Campodolcino (m. 1071).
Se, invece, vogliamo proseguire fino al confine con il territorio elvetico ci tocca la lunga e un po’ monotona traversata che costeggia l’intera riva occidentale del Lago di Lei, fino al muraglione della  diga, nei cui pressi troviamo le baite dell'Alpe Al Crot,
fra le quali la Baita - Rifugio del Capriolo (m 1950). Al di la della diga, presso l'imbocco di una galleria, riprende la rete stradale che collega con la Val d'Avers. Possiamo anche scendere a piedi fino ad Innerferrera lungo la stradina: oltrepassate le costruzioni dell'Alpe Motta, imbocchiamo un sentiero entrando successivamente in un bellissimo bosco, passando il confine. Con una discesa finale ci immettiamo sulla strada asfaltata della Val d'Avers. Seguendo questa in discesa per poco più di un chilometro entriamo ad Innerferrera, paesino che funge anche da posto di frontiera, dove possiamo fruire dell’autobus del Servizio Postale con linee per Coira, Juf, Splügen.

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TRAVERSATA ACQUAFRAGGIA-AVERO PER IL PASSO DELL’AVERO

Punti di partenza ed arrivo
Tempo necessario
Dislivello in altezza
in m.
Difficoltà (T=turistica, E=escursionistica, EE=per escursionisti esperti)
Lago dell'Acquafraggia-Passo dell'Avero-Avero-Dalò-Chiavenna
7-8 h
400
EE
SINTESI. Dal bivacco Chiara e Walter (m. 2660), seguendo la mulattiera scalinata e poi il sentiero segnalato verso sud-sud-est e sud est, scendiamo lungo un vallone in direzione dell'ampia e splendida conca dell'Acquafraggia, che ospita il ben visibile e grande lago omonimo. Restando sul lato sinistro (per noi) del vallone, superiamo il versante di sfasciumi e proseguiamo tranquillamente su un ampio declicio di pascoli, fino a giungere in vista del laghetto di Piangesca e dell'omonimo alpeggio (m. 2097). Qui lasciamo alla nostra sinistra l'itinerario per il lago e l'alpe dell'Acquafraggia, e prendiamo a destra, in direzione ovest, seguendo i segnavia bianco-rossi. Procediamo piegando leggermente a sinistra, in direzione sud-ovest e, risalito un valloncello, lo attraversiamo verso sud; sul lato opposto, pieghiamo a sinistra (sud-est), tornando per breve tratto in direzione del lago di Acquafraggia. Raggiunto il filo di un dosso, pieghiamo a destra, procedendo a sud-ovest ad attraversando un secondo vallone. Sul lato opposto, dopo un breve tratto pieghiamo a ncora a destra, raggiungendo il filo del crinale che scende dal promontorio quotato 2384 metri. Piegando a destra (ovest), tagliamo in diagonale il ripido versante erboso dell'alta Valle dell'Acqua Calda, esposto a sud, perdendo leggermente quota. Dopo leggera risalita, doppiamo un costone che ci fa accedere all'alta valle di Carmezzano e passiamo poco a monte delle baite di Carmezzano (m. 2121). Raggiunto il centro della valle, procedendo sempre con attenzione (i versanti sono ripidi ed insidiosi), affrontiamo, sul versante opposto, la breve salita che ci porta al passo d'Avero (m. 2332). Dall'ampia sella del passo cominciamo la facile discesa in Val d’Avero, tenendo più o meno il centro di un ampio canalone (direzione nord-ovest), finché, giunti in vista di un masso centrale, quotato 1890 metri, pieghiamo a sinistra e passiamo alla sua sinistra, procedendo su un terreno di massi e macereti. I segnavia dettano il percorso più comodo, che comunque mantiene la direzione ovest. Superata una fascia di larici, siamo in vista della parte alta delle baite Avero (m. 1678), che raggiungiamo scendendo l'ultima fascia di prati. Dall limite alto delle baite procediamo, ora, ridosso del recinto in legno, scendendo verso sinistra, fino a trovare un cancelletto ed il sentiero segnalato segnalato che scende, sempre verso sinistra (direzione sud), ad una valletta e prosegue piegando a destra, in direzione ovest-sud-ovest, immergendosi nel bosco e traversando, con qualche saliscendi, all’alpe del Motto (m. 1670). Qui la direzione cambia, volgendo a sinistra (sud). Una brevissima salita ci porta, ora, ad affacciarci alla selvaggia Val Zerta, di cui dobbiamo tagliare l’intero circo terminale. Il sentiero si cala verso il centro della valle, con un lungo tratto scalinato ed esposto (corrimano aiutano a procedere in sicurezza ed a vincere la repulsione ingenerata dai salti rocciosi che si aprono alla nostra destra). Descritto un arco in senso antiorario, pieghiamo a destra ed assumiamo di nuovo l’andamento verso sud. Superato l’ultimo tratto su terreno smosso, ci portiamo sul versante meridionale della valle, dove comincia la ripida salita su terreno battuto da slavine ed interessato da smottamenti (la traversata è sconsigliabile non solo con neve e ghiaccio, ma anche in periodo di disgelo, essendo frequente la caduta di sassi). Ci affacciamo così ai prati dell’alpe di Olcera (m. 1513). Ignorata la deviazione a sinistra per il Crespallo e superato il nucleo di baite e la grande croce presso un grande masso, salutiamo anche l’ultima coppia di baite rinserrate sotto un grande roccione aggettante e riprendiamo la discesa in direzione sud-sud-est. Attraversiamo poi la Val Olcera, superandone il torrente grazie ad un ponte, presso una cascata. Risalendo sul versante opposto, passiamo per i ruderi del nucleo di Cassinaccia per poi scavalcare la terza e meno pronunciata delle valli, la Val dei Ciri. Proseguiamo, ora, nel cuore di una splendida pecceta, alternando tratti di dolce discesa ad altri nei quali il sentiero scende ben più ripido, con serrate serpentine, sempre in direzione sud, passando per le baite di Albareda (m. 1172) e sbucando, infine, nella parte mediana dei prati di Dalò (m. 1108). Una scalinata li taglia in discesa e ci porta alla piazzetta centrale del nucleo. La discesa da Dalò a Chiavenna segue la mulattiera che parte sul limite di sinistra dei prati e scende a Pianazzola; dalle baite basse di Pianazzola riprende la discesa fino alla frazione Loreto di Chiavenna.

Sella di quota 2384

Sella di quota 2384 e pizzo Somma Valle

Traversata della Val Carmezzano

Traversata della Val Carmezzano

Traversata della Val Carmezzano

Traversata della Val Carmezzano

Discesa dal passo d'Avero

Discesa dal passo d'Avero

Discesa dal passo d'Avero

Se ci troviamo al lago dell'Acquafraggia (o al bivacco Chiara e Walter) possiamo sfruttare una quarta possibilità di accesso ad Avero, questa volta dall'alto, per il passo dell'Avero, sul sentiero B27 (primo tratto dell'ultima tappa del Trekking della Valle Spluga). Se da Avero scendiamo a Dalò ed a San Giacomo, abbiamo percorso per intero l'ultima tappa del Trekking della Valle Spluga. Vediamo come.
Dal punto di arrivo del sentiero Savogno-Acquafraggia prendiamo a sinistra (ovest), passando per il laghetto di Piangesca e l'omonimo pascolo (m. 2097). Lasciando alla nostra destra l'itinerario per il Passo di Lei, che prosegue alle spalle delle cascine, attraversiamo il pascolo, restando sul lato sinistro. Seguendo i segnavia bianco-rossi, pieghiamo a sinistra (sud) e, risalito un valloncello, lo attraversiamo verso sud e, sul lato opposto, pieghiamo a sinistra (est), tornando in direzione del lago di Acquafraggia.
Raggiunto il filo di un dosso, pieghiamo a destra, procedendo a sud-ovest ad attraversando un secondo vallone. Sul lato opposto, dopo un breve tratto pieghiamo ancora a destra, raggiungendo il filo del crinale che scende dal promontorio quotato 2384 metri. Piegando a destra (ovest), tagliamo in diagonale il ripido versante erboso dell'alta Valle dell'Acqua Calda, esposto a sud, perdendo leggermente quota. Dopo leggera risalita, doppiamo un costone che ci fa accedere all'alta valle di Carmezzano e passiamo poco a monte delle baite di Carmezzano (m. 2121).

Raggiunto il centro della valle, procedendo sempre con attenzione (i versanti sono ripidi ed insidiosi), affrontiamo, sul versante opposto, la breve salita che ci porta al passo d'Avero (m. 2332). Dall'ampia sella del passo cominciamo la facile discesa in Val d’Avero, tenendo più o meno il centro di un ampio canalone (direzione nord-ovest), fihché, giunti in vista di un masso centrale, quotato 1890 metri, pieghiamo a sinistra e passiamo alla sua sinistra, procedendo su un terreno di massi e macereti. I segnavia dettano il percorso più comodo, che comunque mantiene la direzione ovest. Superata una fascia di larici, siamo in vista della parte alta delle baite Avero (m. 1678), che raggiungiamo scendendo l'ultima fascia di prati.


Qui imbocchiamo, sulla sinistra della parte alta delle baite, il sentiero segnalato (indicazioni per Dalò) che prosegue verso sinistra (ovest e sud-ovest) lungo il fianco boschivo della valle. Raggiunte le baite del Motto (m 1670) entriamo in Val Zerta, percorrendo il sentiero, sempre ben marcato, ma esposto e battuto da slavine e smottamenti (corrimano), che regala scorci selvaggi e suggestivi. Oltrepassati i prati con le baite di Olcera, si varca il ponte su un torrente nei pressi di una cascatella e, proseguendo in lieve discesa, ci portiamo ai pascoli di Cassinaccia e di Presalbert, che precedono le case di Dalò (m. 1108). Una breve risalita verso sinistra conduce alla sommità dei prati e del Seng di Dalò, dove è posta una croce (attenzione a non affacciarsi troppo al versante dirupato, che può riservare brutte sorprese). Qui troviamo la comoda mulattiera che scende, con un numero infinito di scalini, a Pianazzola (m. 615), dove troviamo una mulattiera che prosegue nella discesa fino a Loreto, sul limite orientale di Chiavenna.
La traversata richiede circa 7-8 ore; il dislivello in salita è di circa 400 metri.

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CARTA DEI PERCORSI sulla base della Swisstopo, che ne detiene il Copyright. Ho aggiunto alla carta alcuni toponimi ed una traccia rossa continua (carrozzabili, piste) o puntinata (mulattiere, sentieri). Apri qui la mappa on-line

Mappa del percorso - particolare della carta tavola elaborata da Regione Lombardia e CAI (copyright 2006) e disponibile per il download dal sito di CHARTA ITINERUM - Alpi senza frontiere

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