Nella storia di Albosaggia la tradizione e l'incidenza delle attività di alpeggio ha rivestito sempre una grande importanza, ed viva ancora oggi. Gli alpeggi comunali si stendono su un'ampia fascia, compresa fra i 1750 ed i 2150 metri, ai piedi dei pizzi Meriggio e Campaggio. Sono divisi in due grandi sezioni, quella di Campello-Meriggio, ad est e a monte dei Campelli, e quelli complessivamente chiamati Camp Cervé (dall'antico munt de Camp Scervér, in latino Campus Cervji, il monte del cervo, con riferimento all'abbondanza di cervi che ha lasciato un segno anche nel nome della vicina Val Cervia), ad ovest e a monte di San Salvatore. La sezione dei Campelli-Meriggio si articola, da est, nelle alpi Campello (Campèl, detto anche Campèl monte api per la presenza molesta di mosch e tafani, m. 1800), Tromba (la Tromba, famosa per i suoi larici senza nodi e quindi facili da lavorare per ottenere "li scanduli", assi per la copertura dei tetti; m. 1900), Salinù (m. 1950), Meriggio (Meric', citato in un documento del 1779, nel quale il decano di Albosaggia ser Bernardo Petrucci affitta il monte Meriggio a ser Giuseppe Speziali; m. 2100) e La Piada (m. 2100). La sezione di Camp Scervér si articola in Sasso Marmorino (m. 1850), Campo Cervé (m. 1950), le Cornacce (m. 1900), la Casera (m. 2000) e le Zocche (m. 2050). Si tratta di luoghi splendidi, sia per il loro valore panoramico (a nord lo sguardo domina sempre il gruppo del Masino e la testata della Valmalenco, con la turrita cima del monte Disgrazia a fare da spartiacque) che per quello naturalistico (il regno dei larici lascia talora spazio al pino cembro). Un ampio giro permette di toccarli tutti, con partenza e ritorno ai Campelli.
Stacchiamoci, dunque, dalla tangenziale
di Sondrio all'altezza dello svincolo per la via Vanoni e, raggiunta
la via, dirigiamoci verso la località Porto di Albosaggia, attraversando
su un largo ponte il fiume Adda. Invece di proseguire sulla Pedemontana
Orobica, deviamo a sinistra, per il centro di Albosaggia, e ad un bivio prendiamo a destra, ignorando le indicazioni per la Moia. Oltrepassato il poderoso muraglione che sorregge la chiesa parrocchiale di S. Caterina, ci portiamo al centro, dove si trova la piazza del Municipio. Senza salire alla piazza, proseguiamo, fino a trovare, subito dopo, l'indicazione per i Campelli (sulla sinistra). La strada per Campelli, larga ed in buone condizioni, sale, con andamento regolare e con una carreggiata larga e comoda, al maggengo, a 10 km dal centro, dove si trovano anche i resti di un impianto di risalita dismesso.
Parcheggiamo appena prima del tratturo (m. 1350) e ci incamminiamo seguendolo, fino ad un bivio. Una stradella a destra si affaccia alle baite più alte dei Campelli di Sopra, mentre a sinistra parte la lunga pista (chiusa al traffico dei veicoli non autorizzati) che sale all'alpe Meriggio. Possiamo seguirla, oppure salire per via più breve e ripida.
Che i boschi a monte di Albosaggia fossero praticati spesso e volentieri da orsi è testimoniato da varie notizie; pare, fra l'altro, che ai primi del Novecento l'albergo Saffratti a S. Salvatore (ora rifugio) proponesse, fra le portate di maggior pregio, il ricercato prosciutto d'orso.
Poco sopra il sentiero torna a rivedere la pista sterrata. Un cartello indica che scendendo lungo la pista per cinque minuti ci passiamo all'alpe Campello. Vale la pena di passare a dare un'occhiata, anche perché rappresenta una bella postazione panoramica sulla Val Caronno (distinguiamo il pizzo di Rodes, lo sbarramento della diga di Scais ed il pizzo Redorta).
Giungiamo così, intorno a quota 2000, ad una porta, riconoscibile per un cartello di divieto di caccia, nel quale la strada passa fra il versante montuoso a sud ed un piccolo dosso a nord. Seguendo le indicazioni del sentiero 217 (cartello che dà l'alpe Meriggio a 30 minuti) proseguiamo sulla pista scendendo per un buon tratto. Poi una leggera salita ci porta ad un bivio: mentre la pista principale prosegue per l'alpe Meriggio, una pista secondaria se ne stacca sulla sinistra e porta alla baita dell'alpe La Tromba. Saliamo oltre la baita, in direzione dell'evidente sella erbosa che si affaccia sulla Val Venina. Raggiungendo la sella e proseguendo verso destra sul crinale possiamo salire facilmente al pizzo Meriggio (m. 2356).
Per proseguire il giro degli alpeggi, però, noi prendiamo a destra e ci portiamo ad un tratturo che sale alla sella, seguendolo in direzione contraria, cioè verso destra (sud-ovest). La pista traversa, in leggera discesa, sotto il crinale orientale del pizzo Meriggio e si porta alla parte alta dell'ampia spianata dell'alpe Meriggio. Giungiamo così in vista della casera del Meriggio (m. 2008), verso la quale scendiamo gradualmente. Prima di raggiungerla, però, la lasciamo sul lato sinistro, puntando ad un casello dell'acqua. Nostra meta è il passo di Portorella, il piccolo ma ben visibile intaglio sulla costiera che scende a nord dal pizzo Meriggio e separa le due grandi sezioni degli alpeggi del sistema Campelli-Meriggio e Camp Scervér. Un sentierino, all'inizio poco visibile, poi su un dosso erboso più marcato, la raggiunge con poche svolte.
Siamo al passo di Portorella (m. 2123). Sul lato opposto si apre la splendida spianata delle Zocche, ripiano di pascoli dolcemente ondulato che ospita tre graziosi laghetti (i laghetti delle Zocche). Il sentiero porta ad un bivio, al quale proseguiamo diritti, scendendo presso i due laghetti più piccoli: alla nostra destra un pozza, a sinistra il laghetto intermedio. Per raggiungere quello più grande dobbiamo puntare a nord: dietro un modesto dosso erboso e poco oltre un calecc' (abbozzo in pietra di quattro mura sopra le quali un tempo i pastori stendevano un telo per allestire una dimora temporanea nel giro che seguiva gli spostamenti delle mandrie) ecco la riva meridionale del laghetto delle Zocche (làach de li Zochi, m. 2061, menzionato nel documento di affitto del 1779 in cui ser Bernardo Petrucci affitta gli alpeggi circostanti a ser Giuseppe Speziali di Campo Tartano).
Dobbiamo ora portarci sulla sinistra (ovest) e cercare il sentierino che scende verso nord, su un largo dosso con qualche larice, giungendo in vista di una baita solitaria. Piegando leggermente a sinistra superiamo un modesto corso d'acqua e ci portiamo al bivacco Baita di Sciüch (m. 2016), alle cui spalle occhieggia la testata dela Valmalenco. La struttura è davvero ben dotata: dispone di corrente elettrica e di acqua corrente; vi si trovano una postazione di soccorso, un'ampia cucina con stufa e tavoli, servizi igienici e sei posti letto. Dal bivacco una pista scende ad intercettare la pista principale che traversa tutti gli alpeggi (quella stessa che parte dai Campelli). Noi però andiamo a sinistra, cioè a sud-ovest, dove vediamo la partenza di un sentiero marcato che sale leggermente in una macchia di larici, portandosi ad un dosso che aggira, traversando poi in piano ed uscendo dal bosco ad una nuova baita isolata. Si tratta della baita Nova (m. 2044), ristrutturata e dedicata dalla Polisportiva Albosaggia “a memoria dell'amico Eros Fagiolini e della sua passione per lo sport e la montagna”.
Ci siamo affacciati all'ampio bacino della Casera, nel sistema di Camp Scervér (l'antico monte dei cervi, o “Campus Cervij”, venduto nel 1590 dagli uomini di Albosaggia al famoso nobile e diplomatico Giovanni Giacomo Paribelli). Sul lato opposto della baita troviamo una pista sterrata che dopo una breve salita scende ad intercettare un'altra pista (che a sua volta sale e traversa al bacino delle Zocche: potremmo sfruttarla salendo a sinistra se vogliamo effettuare un anello breve e cominciare quindi da qui il ritorno ai Campelli). Scendiamo verso sinistra e, dopo un ampio giro in senso orario, ci portiamo in vista delle cinque baite del Camp Scervér (o della Casera). Poco a valle della pista vediamo l'incantevole lago della Casera (m. 1920), in una conca morenica posta sul gradino di soglia dell'alpe. Le acque sono di un intenso color verde e dietro la linea dei larici che fanno corona a nord si intravvede il monte Disgrazia, che sembra voler sbirciare fra le fronde. Sul lato opposto, cioè a sud, domina invece un altro torrione, il pizzo Campaggio.
Nulla turba l'idilliaca composizione di questi luoghi, e non si può dar torto a Bruno Galli Valerio che scrive “...il simpatico lago della Casera… va annoverato tra i più artistici delle nostre Alpi” (op. citata). Possiamo scendere in pochi minuti dalla pista al laghetto, per ritrovarvi il gioco del turrito monte Disgrazia che fa capolino fra i larici.
Ha forma alquanto oblunga diretta da N. a S. Le sponde sono poco inclinate, specialmente verso E. per l’abbondante detrito che viè trasportato dai poggi circostanti, soprattutto per opera del suo affluente, che vi ha costruito in quella parte un esteso delta. Un tappeto erboso riveste idintorni del lago fin presso Io acque, dove laspiaggia si trasforma talora in palude od in giacimenti di torba. Più lungi del lago si scorge in ogni parte la roccia in posto che emergo dal detrito. Essa è costituita dalla solita formazione del gneis micaceo bruno compatto, che si alterna con strati di micaschisto e di talcoschisto. Verso ovest la cerchia rocciosa s’interrompe, per una piccola dilacerazione perpendicolare agli strati, nella quale si apre l' emissario, che si scarica nel torrente Livrio presso S. Salvatore. Il lago è, dunque, d'origine, orografico.
Chiudendo con l'aspetto economico, annotiamo che le acque del laghetto non sono sfuggite allo sfruttamento ideorelettrico: vengono convogliate attraverso un canale di gronda al lago di Venona della Edison. A valle del laghetto scende la valle della Casera (localmente però chiamata Val Nigra).
Il ritorno ai Campelli è da qui molto lineare, perché segue interamente la pista sterrata. Dal rifugio procediamo verso nord, aggirando il dosso che separa il bacino della Casera da quello delle Zocche, e torniamo così al bacino delle Zocche. Ora dobbiamo stare attenti a non seguire la pista che scende fino a San Salvatore ma, al primo tornante sx, dobbiamo lasciarla per imboccare una pista minore, con fondo in erba, che sale leggermente verso nord e taglia il dosso che scende a nord dalla punta di Portorella. La pista scende per un tratto, ed ha un fondo in cemento, poi inverte la sua direzione e piega a destra (nord-est), risalendo, con fondo in erba, in direzione della casera del Meriggio, che abbiamo già incontrato all'andata. Giunti appena sotto la casera, prendiamo a sinistra, percorrendo la più marcata pista sterrata che scende verso nord-est ad un bel corridoio erboso, sul limite settentrionale dell'alpe Meriggio. Dopo un'ulteriore discesa troviamo un tratto in salita, che ci fa ripassare dalla pista sterrata che sale a destra all'alpe La Tromba e ci riporta alla porta di quota 2000. Di qui ridiscendiamo ai Campelli, seguendo, secondo il gusto, la fretta o le condizioni delle nostre ginocchia, la più regolare pista o il più rapido sentiero. L'anello richiede 6 ore circa di cammino (il dislivello approssimativo in altezza è di 880 metri).
CARTA DEL PERCORSO SULLA BASE DELLA CARTA TECNICA REGIONALE DELLA REGIONE LOMBARDIA (http://www.geoportale.regione.lombardia.it/) ALTRE ESCURSIONI AD ALBOSAGGIA |
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