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Punti di partenza ed arrivo
Tempo necessario
Dislivello in altezza
in m.
Difficoltà (T=turistica, E=escursionistica, EE=per escursionisti esperti)
S. Maria Maddalena - Monte - Alpe Zandila - Passo di Zandila - Valle Cassavrolo - Eita
6 h
1240
EE
S. Maria Maddalena - Monte - Alpe Zandila - Passo di Zandila - Valle Cassavrolo - Cassavrolo - Rifugio Falck
6 h e 30 min.
1340
EE
SINTESI. Lasciamo la ss. 38 dello Stelvio all’ultimo svincolo a sinistra prima di Bormio (per chi proviene da Milano; indicazioni per Cepina). Procediamo per un tratto verso nord, poi, seguendo le indicazioni per S. Maria, prendiamo a sinistra e superiamo su un ponte il fiume Adda, per poi prendere di nuovo a sinistra (ancora indicazioni per S. Maria) e procedere in direzione contraria rispetto a Bormio (cioè verso sud). Ignorata una deviazione a sinistra, proseguiamo su una stradina asfaltata dalla carreggiata piuttosto stretta, fino ad un successivo bivio, dove, ignorata la strada che prosegue a sinistra (indicazioni per Fontane), prendiamo a destra. Ad un terzo bivio ignoriamo la strada che volge a destra e prendiamo a sinistra, imboccando una breve galleria che ci porta a S. Maria Maddalena. Proseguiamo andando a destra ad un quarto bivio e parcheggiando appena prima il quinto bivio (m. 1530). Ci incamminiamo andando a sinistra e salendo al nucleo di Monte (m. 1619). Ci portiamo alla chiesetta e troviamo la partenza di 2 sentieri: prendiamo quello di sinistra, per l'alpe Zandila, indicato da un cartello della Comunità Montana Alta Valtellina come sentiero Zandilla (o sentiero C). La Malga Zandilla è data ad un’ora ed il passo di Zandilla a 4 ore. La stradella termina alle baite alte dell'alpe o malga Zandila (o Zandilla, m. 2014). Superiamo la chiesetta e proseguiamo sulla traccia segnalata da segnavia rosso-bianco-rossi, traversando verso sud-sud-ovest. Seguiamo una sottile striscia di pascolo che si disegna in mezzo a due peccete, fino ad uno stretto ma marcato solco roccioso, che superiamo nel punto più agevole. Proseguiamo in direzione sud-sud-est, salendo gradualmente fra magri pascoli ed arbusti, fino a guadagnare la sommità del dosso quotato 2201 metri, che separa i due rami settentrionale e meridionale (al quale ci affacciamo) della parte superiore del Vallone Vendrello. Dopo una breve discesa, proseguiamo su debole traccia, sempre seguendo attentamente i segnavia, verso sud-est, e traversiamo quasi in piano, fino al centro della valle, dove la traccia supera il solco franoso del piccolo corso d'acqua. Sul lato opposto la debole traccia riprende a salire gradualmente, fra magri pascoli, macereti e qualche larice solitario. I segnavia (su massi e qualche paletto) e gli ometti ci guidano nella lunga traversata verso ovest-nord-ovest. Passiamo poco a monte di un masso erratico singolarmente squadrato. Incontriamo poi alcune fortificazioni militari che facevano parte del sistema difensivo voluto dal generale Cadorna. In breve siamo alla sommità del dosso quotato 2280 metri, che si affaccia sul versante a monte dell’immane frana della Val Pola. L'immane ferita della frana si vede appena, sul suo angolo alto ad ovest. Qui pieghiamo decisamente a destra, salendo verso ovest, su un largo crestone di magri pascoli e pietrale, in direzione della cresta orientale del monte Zandila (o Zandilla). Nella prima parte della salita restiamo poco a destra del ciglio dell'alta Val Pola (un ometto, assai utile in caso di scarsa visibilità, segnala un punto particolarmente pericoloso), poi pieghiamo leggermente a destra, incontrando nuove fortificazioni. Vediamo alla nostra sinistra una marcata pista militare che traversa la parte alta della Val Pola. Salendo ancora ci troviamo faccia a faccia con il rudere di una sorta di piccola casermetta a ridosso di un roccione. Pieghiamo ancora a destra e traversiamo un facile versante di pascoli in direzione di quella che sembra essere una sella che si disegna fra i rocciosi contrafforti del monte Zandila, a sinistra, ed un corpo di roccette e sfasciumi, a destra. Giungiamo così ad un riposante poggio erboso. Alla nostra sinistra vediamo bene la selletta che costituisce il vertice della Val Pola, fra monte Zandila, a destra, e cime di Redasco, a sinistra. Superiamo poi passando sul lato destro la fascia di roccette e sfasciumi, e ci portiamo a monte della stessa (vista da qui la fascia prende la singolare forma di un promontorio erboso). Proseguiamo ancora verso destra, seguendo la traccia che taglia un versante di sfasciumi e pietrame, quasi a ridosso della cresta del monte Zandila. Traversiamo per un buon tratto verso destra, su versante franoso, prima di piegare a sinistra e puntare più direttamente al crinale a monte. Inizia ora la parte più difficile della salita, perché dobbiamo destreggiarci sul ripido versante di sfasciumi e roccette che precede il canalone terminale sotto il passo di Zandila (o Zandilla). Una serie di rettangoli bianchi su massi segnalano che dobbiamo procedere su terreno insidioso, soprattutto se bagnato. Nella salita attraversiamo anche un curioso corridoio fra le rocce, con fondo scalinato. Superato il corridoio, troviamo una più rassicurante striscia di pascolo, mentre alta di fronte a noi si staglia la cima del monte Zandila. Dobbiamo però ancora tagliare un lastrone insidioso (ometto), prima del corridodio erboso che precede il passo di Zandila, ora riconoscibile dal cartello escursionistico (m. 2762). Al passo troviamo un malridotto cartello dell’Alta Via della Magnifica Terra. Variante: al passo possiamo salire anche per via più diretta e faticosa, ma priva di passaggi delicati, prendendo, al termine dei pascoli di Zandila, a destra e puntando al ripido versante di sfasciumi che scende dalla verticale del passo. Procediamo stando sul lato di destra e scengliendo la via meno faticosa, fino all'ultimo tratto dove, prendendo a sinistra, raggiungiamo il passo. Inizia da qui la discesa nella desolata Valle di Cassavrolo (Val Grosina). Anche qui seguiamo con attenzione i segnavia, che ci fanno stare sul lato destro dell’ampio vallone occupato da sfasciumi e ghiaioni. Scendiamo verso sud-ovest e poi pieghiamo leggermente a destra, procedendo sempre sul lato destro della valle, verso est, in direzione di un grande ometto. Ci portiamo così al ripiano di quota 2300, che si affaccia ad un salto. Qui stiamo sempre sulla destra ed afferriamo il sentierino che scende zigzagando sul ripido versante verso nord-ovest, piegando poi a sinistra fino ad una conca, a quota 2150. Qui una stradella ci porta ad un casello di captazione dell’acqua e ad un ponticello, oltrepassato il quale confluisce nella carozzabile che da Eita sale a Cassavrolo. Scendiamo verso sinistra sulla strada ripida che, dopo pochi tornanti, porta ad un bivio. Andando a destra, ci portiamo al ponte che immette all’ampio ripiano di Eita (m. 1704), dove possiamo pernottare al Ricovero Eita. Conviene comunque preventivamente informarsi sull’apertura del Ricovero. Se non fosse disponibile, conviene appoggiarsi al rifugio Falck, procedendo così. Raggiunta la carozzabile Eita-Cassavrolo, prendiamo a destra salendo alle baite dell’alpe Cassavrolo (m. 1925). Lasciate alle spalle le baite, lasciamo la pista prendendo a sinistra al primo sentiero segnalato, che traversa verso nord-nord-est attraversando il corso d’acqua dei Riacci. Proseguiamo quasi in piano, su traccia che si infila in una macchia di pini mughi. Raggiunta una radura, dove la traccia si perde, la attraversiamo in diagonale, e la ritroviamo sul lato opposto. Dopo un breve tratto fra i pini mughi, raggiungiamo l’edificio del rifugio Falck (m. 1960).


La Valle di Cassavrolo

L'Alta Via della Magnifica Terra è una lunga traversata, in sei tappe, che dalle frazioni alte a monte di Cepina Valdisotto porta al passo del Gavia, passando per la Val Grosina, la Valle di Livigno, la Val Fraele, la Valle dello Stelvio, la Valle dei Forni e la Valle del Gavia, cioè tutte le grandi valli di quella che in passato venne chiamata la Magnifica Terra della Contea di Bormio (anche se la Val Grosina apparteneva al Terziere superiore di Valtellina). Una traversata lunga, ma splendida, con qualche passaggio difficile ma sempre entro i limiti delle abilità dell'escursionista esperto.
La prima tappa prevede una traversata dalle frazioni alte a monte di Cepina Valdisotto alla Val Grosina, per l'alpe Zandila, il passo di Zandila e la Valle di Cassavrolo. Si tratta di una traversata assai poco praticata, mentre un tempo il sentiero che corre ai piedi del pizzo Coppetto e del monte Zandila era noto e percorso, tanto che ne fa menzione anche la Guida alla Valtellina edita dal CAI di Sondrio, a cura di Fabio Besta, nel 1884 (II), denominandolo "Via del monte" da Sondalo a Bormio: "... L'alpestre via corre sotto le cime del Piz Redasco, del Ssso Torraccio, del Piz Zandila e del monte de' Piazzi, e da essa guardando al basso vedonsi verdi spianate e tratti di foreste".
La salita al passo di Zandila richiede attenzione, esperienza escursionistica e buone condizioni di terreno (asciutto), e più in generale la lunga traversata dall'alpe Zandila al passo omonimo richiede buone condizioni di visibilità, in assenza delle quali l'orientamento può diventare problematico. Vediamo come procedere.

Lasciamo la ss. 38 dello Stelvio all’ultimo svincolo a sinistra prima di Bormio (indicazioni per Cepina). Procediamo per un tratto verso nord, poi, seguendo le indicazioni per S. Maria, prendiamo a sinistra e superiamo su un ponte il fiume Adda, per poi prendere di nuovo a sinistra (ancora indicazioni per S. Maria) e procedere in direzione contraria rispetto a Bormio (cioè verso sud). Ignorata una deviazione a sinistra, proseguiamo su una stradina asfaltata dalla carreggiata piuttosto stretta, fino ad un successivo bivio, dove, ignorata la strada che prosegue a sinistra (indicazioni per Fontane), prendiamo a destra (indicazioni per Massaniga, S. Maria, Presure, Tiola e Monte). Ad un terzo bivio ignoriamo la strada che volge a destra e prendiamo a sinistra, imboccando una breve galleria: si tratta della galleria di Santa Maria, costruita per ripristinare i collegamenti fra i nuclei di Santa Maria, sul versante montuoso a sud del torrente Massaniga (Rin de Masanìga) e Cepina dopo la tragica alluvione del luglio 1987.
Usciti dalla galleria, ci troviamo alla frazione di S. Maria Maddalena (chiamata, nel Medio Evo, Plazmortizio), a 3 km da Cepina. Oltrepassata la graziosa chiesetta (costruita nel 1935 al posto della ben più antica chiesetta del 1372), che resta alla nostra sinistra, ecco un quarto bivio, al quale non prendiamo a sinistra (indicazione per Presure), ma a destra (indicazione per Monte). Dopo alcuni tornanti, la strada prende per un tratto a destra, e ci porta ad un quinto bivio, a 5 km e mezzo da Cepina: le indicazioni segnalano che a destra si raggiunge il nucleo di Tiola (abitato permanentemente; fino al 1970 vi si trovata anche una scuola elementare), mentre a sinistra si prosegue per quello di Monte.
Dobbiamo, però, lasciare qui l’automobile, allo slargo appena prima del bivio, perché la stretta stradina di destra finisce subito alle case di Tiola, mentre quella di sinistra è chiusa al traffico dei veicoli non autorizzati. La camminata inizia, dunque, da una quota di circa 1530 metri. Seguiamo la strada asfaltata per Monte, che, dopo un tornante sinistrorso, ci porta alle case della frazione (Mont, m. 1619, a 7 km da Cepina), abitata permanentemente da un centinaio di persone fino agli anni Cinquanta del secolo scorso, ora animata dai villeggianti solo nella stagione estiva o nei finesettimana. La denominazione si riferisce ai pascoli che circondano l’abitato, sfruttati, in passato, per la fienagione fino all’ultimo filo d’erba. Si cercava di rubare progressivamente spazio al bosco, coltivando anche la segale: questa coltura, associata all’allevamento del bestiame, consentiva di passare l’inverno, ovviamente in condizioni modeste e dure. Erano altri tempi, come ripete chi ha vissuto quelli stentati del passato: la miseria, oggi, ha lasciato il posto ad un agio diffuso, ed il bosco si prende la sua rivalsa dopo secoli e secoli di ritirata, incalzato dalla fame dell’uomo. Fra le case spicca la chiesetta dedicata alla visitazione della Madonna alla cugina Elisabetta, edificata nel 1911 per volontà del cappellano don Michele Molinari.
Ci portiamo alla chiesetta e troviamo la partenza di 2 sentieri: prendiamo quello di sinistra, per l'alpe Zandila, indicato da un cartello della Comunità Montana Alta Valtellina come sentiero Zandilla (o sentiero C). La Malga Zandilla è data ad un’ora ed il passo di Zandilla a 4 ore. La stradella (strada de Mont) dopo un lunga salita in una splendida pecceta termina alle baite alte dell'alpe o malga Zandila (o Zandilla, m. 2014).
Incerto è l'etimo: considerato che l'alpe è citata anche nella versione di "Sandila", il nome deriva forse da "senda", cioè "sentiero", oppure dalla stessa radice di "Sondalo". La sua posizione, ai piedi di un vasto anfiteatro solitario e desolato, ha probabilmente fatto nascere nei secoli XV e XVI la credenza che qui, all'ombra del monte Coppetto, convenissero streghe e stregoni nei loro sabba periodi alla presenza del demonio. Evidentemente i pastori dell'alpe non prestarono mai fede a questa leggenda.
Fra le poche baite dell'alpe, alcune delle quali ormai diroccate, se ne trova una interessante perché costruita con la tecnica del "càrden", introdotta in valle nei secoli passati da popolazioni Walser: sopra un piano-terra in muratura si trova un piano costruito con travi di legno che si intersecano ad incastro negli angoli. L'alpe è sorvegliata da una chiesetta posta su un poggio molto panoramico. A nord il colpo d'occhio su Bormio è suggestivo e raggiunge il paese, il massiccio della Reit che lo sovrasta, l'imbocco della Val Zebrù alla sua destra ed alcune cime della Val Fraele alla sua sinistra. Ad ovest, invece, si impone la massiccia mole del pizzo Coppetto (m. 3066), che sovrasta il Dosso Filetto e si mostra coma una piramide regolare a base molto larga.


Alpe Zandila

Alpe Zandila

Traversata al dosso di quota 2201

Traversata al dosso di quota 2201

Traversata al dosso di quota 2201

Traversata al dosso di quota 2201

Traversata al dosso di quota 2280

Traversata al dosso di quota 2280

Traversata al dosso di quota 2280

La cima non cessa di manifestare il suo risentimento per l'errato accostamento all'immane frana che alle 7.23 di martedì 28 luglio 1987 ridisegnò tragicamente la carta di questo tratto dell'alta Valtellina. Venne giù un intero pezzo di montagna, fu l’immane frana della Val Pola o del monte Zandila. Ma nella fretta di collocare la tragedia, la cui notizia rimbalzò subito sui media che già da una decina di giorni "attenzionavano" la Valtellina, qualcuno guardò una cartina con sguardo poco attento. Di qui nacque un'espressione destinata a passare alla storia: la frana del pizzo Coppetto. Ma non erano venuti giù dalle falde del pizzo i 40 milioni di metri cubi di materiale che riempirono il fondovalle, si incastrarono, in basso, nella strozzatura della valle seppellendo il ponte del Diavolo, risalirono il versante opposto cancellando quattro abitati, S. Antonio, Morignone, Piazza (per fortuna evacuati) ed Aquilone (che non venne distrutta direttamente dalla massa franosa, ma dall’immane spostamento d’aria). Non dovevano essere associate all'incolpevole pizzo Coppetto le vittime della frana, i 7 operai al lavoro per ripristinare la ss. 38 ed i 28 abitanti di Aquilone, che non era stata evacuata perché non si immaginava che l’eventuale frana potesse avere dimensioni così apocalittiche. Nella salita al passo di Zandila avremo modo di vedere da vicino che il versante interessato è a valle del monte Zandila. Ma ormai il danno, per la fama del pizzo Coppetto, era fatto, perché alla fama sinistra di cima che si affaccia sui luoghi del sabba demoniaco si aggiunse quella di cima della disgrazia.


Traversata al dosso di quota 2280

Traversata al dosso di quota 2280

Fortificazioni della linea Cadorna

Fortificazioni della linea Cadorna

Fortificazioni della linea Cadorna

Dosso di quota 2280

Il monte Zandila (Cornèc', m. 2936), che ha tutta l'aria di protestare la propria innocenza su questa vicenda, se ne sta invece a sud dell'alpe, con un profilo più slanciato. Privo di interesse alpinistico, per le sue rocce pessime, ha però un interesse topografico, ed infatti venne salito per la prima volta dal topografo F. Guarducci con G. Krapacher il 20 agosto 1883. Il passo di Zandila è alla sua destra, ma dall'alpe non si riesce ad indovinare esattamente dove. Sul lato opposto della Valtellina, infine, quindi ad est, si propone in primo piano il selvaggio, ripido e boscoso versante che la separa dalla Val di Rezzalo. Al suo culmine si distinguono, da destra, il Corno di Boero, il monte Mala, il monte Eur ed il monte Vallecetta.
Perché non si creda che su questi luoghi incomba solo un'aria nefasta vale però la pena di ricordare, prima di lasciare l'alpe, che a monte dei suoi prati ci sono diverse sorgenti chiamate "Aqua de San Carlo", cioè "Acqua di San Carlo". Per la verità sono diverse le sorgenti che in Valtellina hanno tale nome, e si riconducono tutte alla credenza che, a dispetto della storia (che racconta di una sola venuta del grande santo della Controriforma in Valtellina, dalla Valcamonica a Tirano fra il 27 ed il 28 agosto 1580), San Carlo sarebbe passato per vari paesi e boschi, facendo sgorgare con il suo bastone un'acqua dalle roprietà taumaturgiche, capace di far guarire da vari mali, particolarmente della pelle, chi vi si lavasse.
Proseguiamo dunque sulla traccia segnalata da segnavia rosso-bianco-rossi, traversando verso sud-sud-ovest. Seguiamo una sottile striscia di pascolo che si disegna in mezzo a due peccete, fino ad uno stretto ma marcato solco roccioso, che superiamo nel punto più agevole. Proseguiamo in direzione sud-sud-est, salendo gradualmente fra magri pascoli ed arbusti, superando i prati di Plaz di Asen e Planec' d'Int, fino a guadagnare la sommità del dosso quotato 2201 metri (Al Motàc') che separa i due rami settentrionale e meridionale (al quale ci affacciamo) della parte superiore del Vallone Vendrello (Rin del Véndrèl).
Dopo una breve discesa, proseguiamo su debole traccia, sempre seguendo attentamente i segnavia, verso sud-est, e traversiamo quasi in piano, fino al centro della valle, dove la traccia supera il solco franoso del piccolo corso d'acqua. Sul lato opposto la debole traccia riprende a salire gradualmente, fra magri pascoli, macereti e qualche larice solitario. I segnavia (su massi e qualche paletto) e gli ometti ci guidano nella lunga traversata verso ovest-nord-ovest. Passiamo poco a monte di un masso erratico singolarmente squadrato. Incontriamo poi alcune fortificazioni militari che facevano parte del sistema difensivo voluto dal generale Cadorna per affrontare con fuoco di sbarramento un eventuale sfondamento dell'esercito austro-ungarico, durante la prima guerra mondiale, sul fronte dello Stelvio. In particolare passiamo accanto a piazzole trincerate e camminamenti protetti.


Fortificazioni della linea Cadorna

Salita sul ciglio della Val Pola

Fortificazioni della linea Cadorna

Fortificazioni della linea Cadorna

Salita verso la fascia di roccette

Salita verso la fascia di roccette

Salita verso la fascia di roccette

Salita verso la fascia di roccette

Salita verso la fascia di roccette

In breve siamo alla sommità del dosso quotato 2280 metri, che si affaccia sul versante a monte dell’immane frana della Val Pola (Val de la Pòla). Per la precisione ci affacciamo sulla parte alta e terminale di questa valle, chiamata localmente Cantonac'. L'immane ferita della frana si vede appena, sul suo angolo alto ad ovest. Qui pieghiamo decisamente a destra, salendo verso ovest, su un largo crestone di magri pascoli e pietrale, in direzione della cresta orientale del monte Zandila (o Zandilla). Nella prima parte della salita restiamo poco a destra del ciglio dell'alta Val Pola (un ometto, assai utile in caso di scarsa visibilità, segnala un punto particolarmente pericoloso), poi pieghiamo leggermente a destra, incontrando nuove fortificazioni. Vediamo alla nostra sinistra una marcata pista militare che traversa la parte alta della Val Pola. Salendo ancora ci troviamo faccia a faccia con il rudere di una sorta di piccola casermetta a ridosso di un roccione. Pieghiamo ancora a destra e traversiamo un facile versante di pascoli in direzione di quella che sembra essere una sella che si disegna fra i rocciosi contrafforti del monte Zandila, a sinistra, ed un corpo di roccette e sfasciumi, a destra. Giungiamo così ad un riposante poggio erboso. Alla nostra sinistra vediamo bene la selletta che costituisce il vertice della Val Pola, fra monte Zandila, a destra, e cime di Redasco, a sinistra.


Salendo verso la fascia di roccette

Salendo verso la fascia di roccette

Salendo verso la fascia di roccette

Salendo verso la fascia di roccette

Salendo verso la fascia di roccette

Fascia di roccette

Fascia di roccette

Fascia di roccette

Passo di Zandila

Superiamo poi passando sul lato destro la fascia di roccette e sfasciumi, e ci portiamo a monte della stessa (vista da qui la fascia prende la singolare forma di un promontorio erboso). Proseguiamo ancora verso destra, seguendo la traccia che taglia un versante di sfasciumi e pietrame, quasi a ridosso della cresta del monte Zandila. Diritto di fronte a noi, il Sasso Terraccio mostra un profilo elegante. Traversiamo per un buon tratto verso destra, su versante franoso, prima di piegare a sinistra e puntare più direttamente al crinale a monte.
Inizia ora la parte più difficile della salita, perché dobbiamo destreggiarci sul ripido versante di sfasciumi e roccette che precede il canalone terminale sotto il passo di Zandila (o Zandilla). Una serie di rettangoli bianchi su massi segnalano che dobbiamo procedere su terreno insidioso, soprattutto se bagnato. Nella salita attraversiamo anche un curioso corridoio fra le rocce, con fondo scalinato. Superato il corridoio, troviamo una più rassicurante striscia di pascolo, mentre alta di fronte a noi si staglia la cima del monte Zandila. Dobbiamo però ancora tagliare un lastrone insidioso (ometto), prima del corridodio erboso che precede il passo di Zandila, ora riconoscibile dal cartello escursionistico (m. 2762). Al passo troviamo un malridotto cartello dell’Alta Via della Magnifica Terra.


Valle di Cassavrolo

Valle di Cassavrolo

Valle di Cassavrolo

Valle di Cassavrolo

Valle di Cassavrolo

Valle di Cassavrolo

Valle di Cassavrolo

Valle di Cassavrolo

Variante: al passo possiamo salire anche per via più diretta e faticosa, ma priva di passaggi delicati, prendendo, al termine dei pascoli di Zandila, a destra e puntando al ripido versante di sfasciumi che scende dalla verticale del passo. Procediamo stando sul lato di destra e scengliendo la via meno faticosa, fino all'ultimo tratto dove, prendendo a sinistra, raggiungiamo il passo.
Inizia da qui la discesa nella desolata Valle di Cassavrolo (Casauröl, in Val Grosina). Anche qui seguiamo con attenzione i segnavia, che ci fanno stare sul lato destro dell’ampio vallone occupato da sfasciumi e ghiaioni, che rendono particolarmente difficoltosa la discesa. Non lasciamoci prendere dalla fretta: caviglie e ginocchia sono sempre poste sotto stress, e l'incidente è in agguato.


Apri qui una fotomappa della della discesa dalla Valle di Cassavrolo

Una notazione, prima di descrivere la discesa. La valle colpisce per il suo aspetto glabro, cioè per la quasi totale assenza di alberi, e questo aspetto colpì anche l'alpinista e naturalista Bruno Galli Valerio, che ne dà questa spiegazione in "Punte e passi" (a cura di Luisa Angelici ed Antonio Boscacci, edito dal CAI di Sondio nel 1998): "Risaliamo la valle di Cassavrolo, ricca di Pascoli e presentante ancora qua e là le tracce di grandi boschi di conifere. Ormai sono distrutti. La distruzione dei boschi della Val Grosina è dovuta in gran parte all'uso di una speciale calzatura che portano gli abitanti della valle. Sono zoccoli di legno la cui punta è fortemente curvata in alto, come nelle calzature cinesi. Un tempo, si fissavan al piede con un intreccio di stecche di legno ed eran conosciute col nome di cusp; ora si fissan con strisce di cuoio e si chiamano zupèi, Per la loro costruzione non serve che il ceppo delle piante. Ogni paio di zupèi reclama l'impiego di due alberi. La loro durata è di tre mesi, in modo che ogni persona consuma otto alberi all'anno per queste calzature. Il comune di Grosio aveva proibito l'uso dei zupèi per rimediare al disboscamento, ma questa decisione non fu approvata dalla Giunta Provinciale."
Scendiamo verso sud-ovest e poi pieghiamo leggermente a destra, procedendo sempre sul lato destro della valle, verso est, in direzione di un grande ometto. Ci portiamo così al ripiano di quota 2300, che si affaccia ad un salto. Qui stiamo sempre sulla destra ed afferriamo il sentierino che scende zigzagando sul ripido versante verso nord-ovest, piegando poi a sinistra fino ad una conca, a quota 2150. Qui una stradella ci porta ad un casello di captazione dell’acqua e ad un ponticello, oltrepassato il quale confluisce nella carozzabile che da Eita sale a Cassavrolo. Scendiamo verso sinistra sulla strada ripida che, dopo pochi tornanti, porta ad un bivio. Andando a destra, ci portiamo al ponte che immette all’ampio ripiano di Eita (m. 1704), dove possiamo pernottare al Ricovero Eita. Conviene comunque preventivamente informarsi sull’apertura del Ricovero.


Apri qui una panoramica sull'alpe Cassavrolo ed il Sasso Maurigno

Se non fosse disponibile, conviene appoggiarsi al rifugio Falck, procedendo così. Raggiunta la carozzabile Eita-Cassavrolo, prendiamo a destra salendo alle baite dell’alpe Cassavrolo (m. 1925). Lasciate alle spalle le baite, lasciamo la pista prendendo a sinistra al primo sentiero segnalato, che traversa verso nord-nord-est attraversando il corso d’acqua dei Riacci. Proseguiamo quasi in piano, su traccia che si infila in una macchia di pini mughi. Raggiunta una radura, dove la traccia si perde, la attraversiamo in diagonale, e la ritroviamo sul lato opposto. Dopo un breve tratto fra i pini mughi, raggiungiamo l’edificio del rifugio Falck (m. 1960).

Eita

CARTA DEL PERCORSO sulla base della Swisstopo, che ne detiene il Copyright. Ho aggiunto alla carta alcuni toponimi ed una traccia rossa continua (carrozzabili, piste) o puntinata (mulattiere, sentieri). Apri qui la carta on-line

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