Punti di partenza ed arrivo
Tempo necessario
Dislivello in altezza
in m.
Difficoltà (T=turistica, E=escursionistica, EE=per escursionisti esperti)
Livigno-Passo di Alpisella- Ricovero San Giacomo-Rifugio Val Fraele
5 h
500 (400 in discesa)
E
SINTESI. Dalla contrada Santa Maria (nord) di Livigno ci portiamo sul lato destro (est) del lago di Livigno (zona Sega Bormolini), per imboccare la stradella che ne segue verso nord e poi nord-est la riva orientale, descrivendo un arco verso sinistra che ci porta al Ponte delle Capre. Oltrepassato il ponte, imbocchiamo, sulla destra, il largo sentiero segnalato che traversa in direzione sud-est, tagliando il fianco del versante di sinistra (per noi) del Canale Torto, in un bosco di pini mughi. Dopo una sequenza di tornanti sx-dx-sx-dx-sx raggiungiamo il laghetto dell’Alpisella (m. 2268). e subito dopo il passo di Val Alpisella (m. 2285), oltre il quale si apre la Val Alpisella. Scendiamo per un breve tratto dal valico sulla pista sterrata, fino ad incontrare, sulla nostra sinistra, il punto di partenza di un largo sentiero che discende la valle sul versante sinistro (per noi). In corrispondenza della partenza del sentiero, un’indicazione segnala le sorgenti dell’Adda a 15 m. Scendiamo, dunque, per un quarto d’ora circa sul sentiero, fino al cartello ufficiale delle sorgenti dell’Adda, a 2102 metri s.l.m. Proseguiamo nella discesa sul marcato sentiero che nel primo tratto, piega a sinistra (nord-est), poi volge bruscamente a destra (sud-est), prima portarci alla strada sterrata per il passo di Fraele, appena poche decine di metri oltre un parcheggio al quale scende anche, dal passo di Fraele, la pista sterrata. Prendendo a destra (sud) saliamo al parcheggio e iniziamo a percorre la pista principale di Val Fraele, che corre ad ovest ed a ridosso del lago di San Giacomo di Fraele (m. 1939). A metà circa del lago vediamo il ristoro San Giacomo, uno dei possibili punti di appoggio per il pernottamento. Possiamo però optare per il rifugio Val Fraele: in tal caso proseguiamo fino al limite del lago di San Giacomo, lasciando quindi la pista per prendere a sinistra e percorrere il camminamento dello sbarramento che lo divide dal più grande lago di Cancano. Giunti sul lato opposto, prendendo a destra siamo in breve al rifugio Val Fraele. Una terza possibilità di sosta è costituita da rifugio Monte Scale, per raggiungere il quale dobbiamo restare sulla pista principale che corre a sud del lago di Cancano, fino al termine del lago.


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La prima tappa del Sentiero Italia Lombardia nord quinto settore, che coincide con la quarta tappa dell'Alta Via della Magnifica Terra, prevede una tranquilla e relativamente riposante traversata da Livigno alla Val Fraele, attraverso la valle ed il passo dell'Alpisella. Per effettuarla dobbiamo portarci a Santa Maria di Livigno ed all'uscita settentrionale del paese, raggiungendo il limite di destra del lago di Livigno (zona Sega Bormolini), per imboccare la stradella che ne segue verso nord e poi nord-est la riva orientale, descrivendo un arco verso sinistra che ci porta al Ponte delle Capre.
Oltrepassato il ponte, imbocchiamo, sulla destra, il largo sentiero segnalato che traversa in direzione sud-est, tagliando il fianco del versante di sinistra (per noi) del Canale Torto, in un bosco di pini mughi. Dopo una sequenza di tornanti sx-dx-sx-dx-sx, vediamo davanti a noi il ripiano del passo dell'Alpisella.


Laghetto dell'Alpisella

Raggiungiamo così il passo di Val Alpisella (m. 2285), segnalato da un cartello, oltre il quale ci si affaccia alla Val Alpisella. Appena prima del passo appare l’incantevole laghetto dell’Alpisella (m. 2268). Alcuni cartelli ci mostrano le tre possibili direzioni nelle quali ci possiamo muovere dal passo: possiamo tornare al ponte delle Capre ed al lago di Livigno (seguendo il percorso della celebre “Pedaleda”, percorso di mountain-bike), possiamo scendere a Cancano, passando per le sorgenti dell’Adda, o possiamo salire ai due baitoni della malga Alpisella, che si stende, solitaria e silenziosa, ai piedi del versante settentrionale del monte Torraccia (m. 2781) e della cima di Pozzin (m. 2681), a sud del passo.
È interessante, a questo punto, leggere quanto scrive Bruno Galli Valerio, alpinista e naturalista che molto amò queste montagne, il 16 agosto 1902: “Attraversando l’Alpisella per fare una passeggiata a Livigno, penso che se fossi un pittore passerei alcuni giorni lassù, per riprodurre gli splendidi contrasti: le rocce nude, tormentate, i pascoli verdi e i laghetti dell’Alpisella. Vorrei dipingere l’ultimo laghetto verso Livigno, collo sfondo artistico del Saliente e della Corna dei cavalli, le cui guglie brune si staccano sull’azzurro del cielo.” (Bruno Galli Valerio, “Punte e Passi”, a cura di Luisa Angelici ed Antonio Boscacci, Sondrio, 1998).
Dobbiamo ora scegliere la via per la facile discesa in Val Fraele. L'opzione più semplice è quella di seguire la comoda pista sterrata, ma vale la pena seguire il sentiero che scende sul versante opposto della Val Alpisella per visitare le sorgenti dell'Adda. Scendiamo dunque per un breve tratto dal valico sulla pista, fino ad incontrare, sulla nostra sinistra, il punto di partenza di un largo sentiero che discende la valle sul versante sinistro (per noi). In corrispondenza della partenza del sentiero, un’indicazione segnala le sorgenti dell’Adda a 15 m. Ora, i casi sono due: o uno è dotato di intelligenza pronta, oppure si mette, come il sottoscritto, a cercare, nel raggio di 15 metri dall’indicazione le fantomatiche sorgenti, senza trovare nulla. Prima o poi, comunque, l’illuminazione arriva: 15 m. non sta per 15 metri, ma per 15 minuti. Ah, bastava dirlo…
Scendiamo, dunque, per un quarto d’ora circa sul sentiero: ecco, alla fine, il cartello ufficiale delle sorgenti dell’Adda, fissate a 2102 metri s.l.m. Si tratta di una serie di sorgenti che scaturiscono dal sottosuolo del fianco meridionale (che degrada in un impressionante versante occupato da sfasciumi) del lungo crinale che dal pizzo Aguzzo, ad est, sale fino alla cime quotate 2648 e 2915 metri, un crinale che, peraltro, regala, nei suoi disegni quasi gotici, sfumature di colore affascinanti e mutevoli, dal rossastro all’ocra. È qui, dunque, fra questi numerosi rivoli che scaturiscono dal terreno, che il nobile fiume Adda ha i suoi natali, natali modesti, come accade, peraltro, ad ogni altro fiume.
Paghi della scoperta, riprendiamo la discesa, circondati dai gentili e silenziosi pini mughi. Il fondo regolare del sentiero (che può essere sfruttato, dunque, per il ritorno anche da chi sia salito al passo con la mountain-bike) rende rilassante la discesa, che, nel primo tratto, piega a sinistra (nord-est), poi volge bruscamente a destra (sud-est), prima portarci alla strada sterrata per il passo di Fraele, appena poche decine di metri oltre un parcheggio al quale sende anche dal passo dell'Alpisella la pista sterrata.
Prendendo a destra (sud), dunque, saliamo al parcheggio e iniziamo a percorre la pista principale di Val Fraele, che corre ad ovest ed a ridosso del lago di San Giacomo di Fraele (m. 1939). A metà circa del lago vediamo il ristoro San Giacomo, uno dei possibili punti di appoggio per il pernottamento. Possiamo però optare per il rifugio Val Fraele: in tal caso proseguiamo fino al limite del lago di San Giacomo, lasciando quindi la pista per prendere a sinistra e percorrere il camminamento dello sbarramento che lo divide dal più grande lago di Cancano. Giunti sul lato opposto, prendendo a destra siamo in breve al rifugio Val Fraele. Una terza possibilità di sosta è costituita da rifugio Monte Scale, per raggiungere il quale dobbiamo restare sulla pista principale che corre a sud del lago di Cancano, fino al termine del lago.


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LA VAL FRAELE, FRA STORIA E LEGGENDA

E' giunto, però, il momento di conoscere meglio la valle. Può esserci utile, a tal fine, per la sua sintetica chiarezza (anche se molte notazioni sono, ovviamente, datate) la Guida alla Valtellina edita nel 1884 curata da Fabio Besta ed edita dal CAI di Sondrio.
Ecco come presenta le possibilità di traversate offerte dalla valle:
Dal casolare di Raspadino, dove alla strada che viene dalle Scale si congiunge quella che sale dalla Valle del Braulio, la via prosegue piana fra boschi e prati ridenti, e giunge in meno di mezz'ora allo sbocco della Valle Pettini e dopo altri cinque alla chiesa e al villaggio di S. Giacomo di Fraele (1953 m.). E' un gruppo di case, fra le quali vi ha una modestissima osteria, che sorge in mezzo a vasta e fertile prateria circondata attorno attorno da boschi di conifere proprio là dove insensibilmente si separano i due versanti dell'Adda e dell'Inn o quindi dell'Adriatico e del Mar Nero. Il villaggio ha avuto i suoi giorni di floridezza quando ora stazione attiva del commercio che dalla Lombardia o dalla Venezia per le Scale di Rade e questa solitaria e amena valle si dirigeva all'Alemagna.


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e valle della Forcola di Rims

Da S. Giacomo un buon sentiero, che ascende a sinistra la sponda verso mezzodì, conduce fra i boschi all'Alpe Pettini, o di là in un'ora risale la valle fin dove si dirama io tre altre vallette minori. Continuando per quella più a destra, detta Val Lunga, si può passare nella Val Trela, e per essa scendere nella Valle di Trepalle e proseguire verso Livigno il sentiero non è cattivo ma è lungo. Se, inoltratisi nella Val Lunga, si piega poi a sinistra e si risale la valletta di mezzo, si può arrivare in breve alle belle cascine dell'Alpe Trela o scendere in due ore per Vezzòla a Semogo, o in due core e mezzo, per Platorr e Sciano, a Isolaccia o a Pedenosso. In fine risalendo la valletta a sinistra detta Valle dell'Acqua o Val Corta, la quale va facendosi sempre più angusta, profonda ed orrida, si giunge alla Plata, dove è d'uopo per tre o quattro metri strisciare, sopra una non larga sporgenza, lungo la roccia a picco mentre dall'alto, scende sul capo un ruscello in tal modo che non si può schivare una bagnatura: dalla Plata in un quarto d'ora si arriva allo Cascine di Trela sopraddette.
Parallela alla Valle Pallini scende a S. Giacomo la Val Pisella percorsa in fondo dall'Adda che qui è umile ruscello. La si risale facilmente in un'ora circa seguendo la sponda sinistra del torrente, o si giunge a un lungo e monotono altipiano, dove trovarsi vari piccoli laghetti, che sono le vere fonti dell'Adda (2330 m.). Poi si torna a discendere lungo la Valle Alpisella, che sbocca insieme alla Val di Trepalle in quella di Livigno. Il versante alla sinistra del torrente appare tutto coperto di boschi, l' altro è dirupato e irto di ripidissime frane. Con tutto ciò il sentiero che scende fino al fondo della valle segue questo versante e passa per le frane e i dirupi; pure, specialmente a stagione inoltrata, quando è più battuta, non presenta nessuna difficoltà a chi non soffre vertigini. Anche luogo l'altro versante la discesa è facile, ma il sentiero cessa a metà del bosco; e poi, giunti al basso, non vi ha ponte per passare il torrente spesso difficile a guadarsi. Questo dell'Alpisella è il passo più diretto e più breve tra la Valle di Fraele e quella di Livigno…


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A S. Giacomo comincia la Val Bruna, che manda le sue acque allo Spöl e quindi all'Inn. Per essa scende la strada quasi carreggiabile di Fraele fino allo sbocco di Val Mora, lontano non più di mezz'ora di cammino; poi essa strada, che era l'antica via commerciale, risale questa valle e in un'ora conduce alla bell'Alpe Monastero (Münster); quindi, girando il Dosso Rotondo (Dossrotund), dove è lo spartiacque, scende per l'Alp Kloster a S. Maria non piccolo villaggio nel Münster Thal. Le parti superiori della Val Mora e dell'altra che scende a S. Maria, prendono insieme il nome di Val di Fraele. Dall'Alpe Monastero superando la costa a sinistra, si giunge in un'ora e mezzo attraverso Giusplan , per commetti sentieri, all'Alpe Boffalora, e di là alla strada carrozzabile che va da Cernezzo a S. Maria. Da S. Giacomo di Fraele poi si può giungere all'Alpe Monastero, ascendendo per l'erto vallone di Poelècc, ai piedi del Pizzo Murterol (3117 m.), e discendendo per la Valle del Mescents. Se in luogo di entrare nella Val Mora si continua a discendere per la Val Bruna lungo la sponda sinistra del torrente, si entra nella Valle del Gallo, e si giunge in due ore e mezzo sulla via carreggiabile che da Livigno scende a Cernezzo nell'Engadina; ma il sentiero, non buono, è appena discernibile e non è neanche continuo.
La selvaggia solitudine della Val Bruna e Val Mora sparse di macerie dolomitiche forma un vivo contrasto coll’amenità della Valle di Fraele.”
Non meno importanti sono gli aspetti storici di questa straordinaria valle, sempre riassunti dalla Guida citata:
Sono antichi i ricordi di Fraele. Vuolsi che ivi, nel campo che si diceva di Luco, ai tempi di S. Ambrogio, sia avvenuta una grande battaglia contro gli Arlani. La tradizione di una pugna colà combattuta molti secoli innanzi era, come narra l’Alberti, viva ancora ai tempi suoi fra i contadini del luogo. Ivi si erano trovate armi e ossa gigantesche. Della chiesa di S. Giacomo si hanno memorie a cominciare dall'anno 1287. Il 13 giugno 1635 le Torri e il Paese di Fraele furono occupate a forza dalle truppe del Fernamonte provenienti da S. Maria. Una squadra, guidata da un cacciatore di camosci, girando in alto il monte arrivò a colpire di fianco i difensori, che erano truppe del Du Landé e li obbligò a ritirarsi. Il passo, abbandonato e poi rioccupato dalle truppe del Fernamonte, fu preso d'assalto da duecento moschettieri mandati dal Colonnello Canisi, i quali partendo dal Bosco d’Arsizio, per un sentiero non guardato, sorpresero alle spalle la scorta che lo difendeva.
Il 30 ottobre 1935 il Fernamonte si era accampato con circa settemila uomini nella Valle di Fraele facendo occupare un posto nella Val di Pedenosso, forse l’alpe Trela, per impedire da quel lato una sorpresa. Rohan, giunto in quel dì da Tirano a Bormio, dà ordine al Marchese di Vandy, che occupava i Bagni di Bormio, di attaccare all'alba del giorno seguente gli imperiali da quella parte, al Canisi, che aveva ai suoi ordini tre reggimenti, di sorprendere con lungo giro, forse per la Val di Trepalle, la Val Trela e la Val Lunga, dall'alto il posto degli Imperiali in Vai di Pedenosso, disponendosi a entrare quindi lui stesso col grosso delle truppe e la cavalleria da Pedenosso per la Vai Pettini in Val di Fraele. Aveva poi mandato ordine al Du Landé che si trovava in Engadina di mandare nel medesimo giorno a Fraele per l'Alpisella un reggimento di Grigioni e di dirigersi lui stesso a quella volta per la Val del Gallo e la Val Bruna, al fine di tagliare agli Imperiali la ritirata. Tutti, ad eccezione del Du Landé, furono il 31 mattina al posto loro assegnato. Anzi il Vandy aveva attaccato il nemico durante la notte e con sì gran vigore da attirare sopra di sè buona parte dell'esercito del Fernamonte. Gli Imperiali in Val di Pedenosso, poiché videro sull'alta montagna le troppe del Canisi, abbandonarono il posto che fa tosto occupato dal Rohan da una parte e dal Canisi stesso dall’altra. Così il Rohan potè scendere in Val Pettini appiedando la cavalleria. Lo truppe del Fernamonte, la cavalleria soprattutto, fecero nel piano di Fraele aspra resistenza, ma poi, respinte da tutte parti, e ricaccate dai trinceramenti, si ritirarono precipitosamente lungo la Val Bruna e la Val Mora, perdendo, a quanto afferma il Rohan, più di due mila uomini; nessuno forse si sarebbe salvato se il Du Landé fosse giunto in tempo al posto indicatogli. I cadaveri rimasero insepolti e furono poi coperti dalla neve. (Alberti e Campagne du Duc de Rohan).
Il Rohan, dovendo abbandonare l'alta Valtellina, fece abbruciare le case e i fienili che si trovavano in Fraele, settanta e più, dice l'Alberti, acciò non potessero servire di ricovero al nemici, e istante la stagione avanzata, lasciando bensì una scorta ai Bagni, non si curò di far guardare il posto di Val Pettini.
A questo fatto d'armi si riferisce una significativa leggenda; la riportiamo ancora con le parole di Maria Pietrogiovanna (op. cit.):
“Castrin era un montanaro, cacciatore e pastore, estremo conoscitore della natura che trascorreva da maggio a ottobre i suoi giorni nell'altipiano della Val di Fraele, nella sua baita delle Presure. Nel 1935 (già la parte bassa della valle era stata allagata dopo la costruzione della prima diga di Cancano), ormai sessantaseienne, Castrin decise di trascorrere la Festa dei Santi nella sua baita, invece di tornare a valle a Pedenosso. Dopo aver sbrigato le faccende in stalla, si recò all'osteria della Luisa. Qui rimase fino ad un'ora alla mezzanotte. Rientrato nella sua baita ed entrato in cucina, dispose sul tavolo un vaso pieno d'acqua pulita e fresca, perché in quella notte i morti vengono a visitare i loro abitati e, essendo assetati per le fatiche del viaggio dall'aldilà, bevono.
Si udiva solo un vento strano sibilare, mentre saliva una stranissima nebbia. Da essa Castrin vide venire avanti verso S. Giacomo una turba di ombre terrose, aleggianti appena sopra i mughi ed i pascoli. Udì uno scalpitar di cavalli accorrere dalle varie valli circostanti e vide una turba di fanti correre per i sentieri con scalpori e grida, agitanti di fanti correre picche, alabarde, mazze ferrate, schioppi, mentre si sentiva un fragore di macigni precipitanti e di schianti e tonfi tra gli sterpi secchi dei rododendri. Improvvisamente il Pian di S.Giacomo si schiarì: tantissimi lumini s'accesero nelle varie baite, tante fiammelle arsero lì per lì sulle cime dei mughi e su per i costoni e la luna apparve dal Pettini. Castrin era terrificato ed impietrito di fronte a tale spettacolo. Gli sembrò, addirittura, di sentire parlare le bestie nelle stalle.


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Poi vide un folto gruppo di soldati sul sagrato della chiesa e riconobbe le divise austriache, francesi e delle Leghe retiche. Un cavaliere si fece avanti e, postosi di fronte agli altri, prese la parola. Era il francese Duca di Rohan che, per ragioni di grado ed età, assumeva l'onore di compiere con gli altri (ossia il Barone di Fernamond, il Colonnello Giorgio Jenatsch e Don Eusebio Robustelli, che guidò austriaci e spagnoli attraverso i valichi) nel luogo, in cui commisero trecento anni prima tante nefandezze (31/10/1635: battaglia di Fraele combattuta da una parte dai francesi guidati dal Duca di Rohan e dalle Leghe Retiche guidate dal Colonnello Jenatsch e dall'altra dagli austriaci e dagli spagnoli guidati dal Barone di Fernamond - vittoria dei francesi e dei grigioni - le 80 case di Fraele furono incendiate e distrutte) un atto di penitenza e di omaggio verso la valle che oltraggiarono con rapine, sangue e fuoco. Insieme ringraziarono il Signore per il perdono e per la pace ottenuti e, sapendo che presto un'acqua livida e piatta avrebbe coperto quel piano, lo pregarono perché illuminasse quei vivi affinché la loro scienza e loro fame d'oro non offendessero ulteriormente quei monti.”
La versione originale, scritta da Alfredo Martinelli in "Terra e anima della mia genta", è assai più lunga; eccone un brano, nel quale si tratteggiano alcuni dei colori più belli della valle: "Castrin, pastore e cacciatore, era convinto che non si sapeva niente se non si conosceva la causa, e nulla ignoravadelle rocce, dei laghi e delle erbe dei suoi monti. La Val Bruna era propria bruna per il colore dei suoi boschi, delle sue rocce, delle sue acque e aveva trovato i luoghi ove si scavava il miglior minerale di ferro, i cui pani da poco colati venivano rubati dai livignaschi e venduti ai Grigioni a Zernez e a Davos. Le altre miniere di Pedenollo, di Pedenoletto e alle Scale di Fraele valevano meno ed erano state solo motivo di litigi fra gli Alberti di Bormio, i Motta di Premadio, i Negri di Tirano e i Muti venuti da Bergamo. Avvertiva un gran timore quando indovinava i gorghi paurosi del lago delle Scale, mentre guardava i fiordalisi lì intorno così radiali e di color azzurro intenso che fiorivano sulle umide rive. Si incantava al color di quelle acque di un bel verde azzurrognolo, in contrasto con l'arditezza e lo squallore delle rocce soprastanti.
Quando andava a caccia su per la val Paolaccia e per i dirupi di Cornacchia, poco sopra le baite di Presuraccia, si riposa quasi sempre li vicino al laghetto tondeggiante e così strano per la elegantissima colorazione della sua acqua turchina e verdognola e d'un cobalto intenso dove non si vedeva il fondo. Sulle sue rive coglieva le più piccole primule, che erano le più belle di tutte quelle che conosceva e che fiorivano solo lì. A Solena andava in cerca della genziana bavarese distinguendola per la sua intensità azzurra, e con le radici rimediava ai difetti delle grappe più nostrane. In Alpisella coglieva il ranuncolo tora sulle pendici sassose tra le rupi, ma distruggeva le radici perché temeva il succo con cui, aveva saputo, gli antichi Retici avvelenavano le punte di pietra dei loro giavellotti. Cercava con ansia le crepide brillanti dai fiori arancioni, gialli e rossi e le portava ai suoi amici casari per colorare i formaggi.
Quando accorto attendeva il camoscio sulle pendici del monte Torraccia o sulle costiere del Pettini, dove aveva collocato una trappola a forcone con un po' di sale, si distraeva, per ingannare il tempo, volgendo lo sguardo alla serie di guglie e di cime che si staccano dal Pizzo del Ferro. Allora immaginava fantastiche torri merlate, ponti arditi e pericolanti, rovine di castelli grandiosi e diroccati, profili raffiguranti personaggi mitologici e giganti incantenati. Poi scordava le sue fantasticherie e, scendendo con il camoscio sulle spalle, si fer­mava ogni tanto a prender fiato e a coglier foglie di rododendro irsutto o ferrugineo per fare un buon decotto per gli amici che avevano la renite o i reumatismi articolari".


Il lago delle Scale

Prima che la valle diventasse teatro della sanguinosa battaglia di Fraele, la valle così appariva agli occhi di Giovanni Guler von Weineck, uomo d’armi e diplomatico che fu governatore della Valtellina per le Tre LegheGrigie nel biennio 1587-88 e che ne offrì un’ampia e famosa descrizione nell’opera “Rhaetia” (Zurigo, 1616; trad. di Giustino Renato Orsini): “Questa valle si apre bella e selvaggia fra la Valdidentro e la strada principale che mena al giogo; offre gradita dimora l'estate, ha un numero discreto di case e una chiesa dedicata a S Giacomo; ricca di bei pascoli e abbondante di fieno, possiede inoltre due laghi, non troppo grandi sebbene ricchi di pesce. Nella valle è assai sviluppata l'industria del ferro: infatti ha copiose miniere, potenti fonderie e magone, dove annualmente vienefuso molto minerale e lavorato soprattutto del buon ferro. Questa regione montuosa ha un terreno pianeggiante, detto Campoluco, il quale è abbastanza esteso e non produce né erba né fiori; ivi vengono scavate di quando in quando meravigliose spade di ferro, pugnali di bronzo di varia forma e grossi e lunghi femori, quasi giganteschi; la leggenda narrache ai tempi di Sant'Ambrogio un gran numero di eretici Ariani venne lassù ucciso e che molti di questi venissero pure catturati sui monti Giufplan, Boffalora ed altrove…
Alquanto a monte dei bagni, si addentra fra scoscese giogaie la via imperiale. che poi insieme con la valle, si divide: la parte di sinistra prosegue verso il passo di Fraele e la diramazione di destra sale all'alto valico di S. Maria; ivi poi per l'assistenza dei viandanti, sorge un ospizio, sul versante di S. Maria in Val Monastero: ed esso ai giorni nostri è più che mai fiorente, essendo frequentato non solo dagli abitatori dei due versanti della catena alpina, ma anche da coloro che dall'Italia, da Milano e dal ducato vanno nel Tirolo, nella Baviera, nell'Austria, nell'Ungheria, o ad altri paesi sul Danubio, come parimenti dai viandanti che di là ritornano… Tornando al nostro argomento, la via imperiale, sin dai tempi antichi, dopo Premadio sale ad una cappella, presso cui sta Terrapiana; di qui, mediante un secondo tronco, sospeso alle rupi con travi, e detto la Scala, si giunge in Val di Fraele; donde si prosegue o per l'Engadina o per la Valle di Monastero, o per altri paesi
.”


Lago di Fraele

Concludiamo l'inquadramento storico riportando un passo che chiarisce bene la posizione nodale della valle, nel sistema di comunicazioni dei tempi passati, dallo studio “Sentieri e strade storiche in Valtellina e nei Grigioni - Dalla preistoria all’epoca austro-ungarica" di Cristina Pedrana (2004):
In Alta valle i passi ed i percorsi più importanti verso l'Engadina e la Val Venosta, frequentati probabilmente anche in epoche preistoriche, ma comunque largamente utilizzati dal Medioevo fino agli inizi del XIX secolo furono il passo di Umbrail o Ombraglio denominato "via breve di Val Venosta" e il passo di Fraele o "via lunga di Val Venosta". Entrambi avevano come punto di partenza Bormio dove si giungeva attraverso il passo del Gavia o seguendo la Valtellina per Bolladore, Serravalle, Cepina…
La via lunga di Fraele… passava nei pressi della chiesa di San Gallo, raggiungeva Premadio, saliva lungo le difficili "scale di Fraele" fino alle torri, da lì lungo la dolce valle di San Giacomo, oltrepassata l'osteria "hospitalis", di cui si parla in una pergamena del 1287 situata nei pressi della stagione invernale, l'unico punto pericoloso, ai piedi delle torri di Fraele, era superato da una via artificiale costruita con tronchi e assi di legno, perciò poteva essere percorsa anche da cavalli con la soma.
Il primo accenno a questa strada si trova in un documento del 1334; l'ospizio di San Giacomo, però, è citato in documenti molto più antichi. Come attestano alcune fonti, dal 1357 in avanti risultò per molto tempo la via preferita dai cavallanti anche grazie alle continue migliorie apportate. Così la via di Umbrail perse man mano importanza, anche se continuava ad essere percorsa da molti per la brevità del suo tracciato.

Tra le merci trasportate era soprattutto il vino della Valtellina ad avere il posto d'onore nell'esportazione verso oltralpe, mentre veniva importato dal Tirolo il sale di Halstatt, considerato merce preziosissima, perché permetteva di conservare gli alimenti. Solo negli ultimi anni del XVIII secolo, anche a causa del clima più crudo, era infatti in atto la cosiddetta piccola glaciazione napoleonica, fu decretato ufficialmente l'abbandono della via di Umbrail a favore di quella di Fraele più comoda e sicura.
Nei pressi del passo, poco prima dell'inizio della discesa c'era una "hostaria", storicamente documentata dal 1496, che costituiva un sicuro ricovero per i viandanti soprattutto in inverno. Essa venne distrutta e successivamente ricostruita due volte nel corso del '600."

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