Variante in cinque giorni:

La ben nota, codificata, segnalata ed illustrata da varie pubblicazioni Alta Via della Valmalenco rimane, nelle sue otto splendide tappe, l'alta via regina della valle che si stende ai piedi del Bernina. Se però non si avessero otto giorni a disposizione, oppure si fosse innamorati dell'angolo occidentale della valle, l'alta Valmalenco propriamente detta, si può programmare una traversata alta in quattro o cinque giorni che, con partenza ed arrivo a Chiesa in Valmalenco ed interamente nel territorio di questo comune, ne tocca i luoghi più spettacolari ed affascinanti, passando per le valli Ventina, Sassersa e del Muretto, per il lago Palù e per i rifugi Lagazzuolo, Ventina, Gerli Porro, Del Grande-Camerini, Longoni, Alpe Palù, Motta e Ponte. Niente di ufficiale, dunque, niente di codificato, ma solo una proposta che qualche escursionista potrà apprezzare, anche perché la traversata non propone difficoltà tecniche, ma richiede solo un buon allenamento e buone condizioni atmosferiche e di visibilità. Solo in parte questa alta via dell'Alta Valmalenco coincide con tappe dell'alta via della Valmalenco, segnalata dai caratteristici triangoli gialli, ma l'intero percorso è ben segnalato da segnavia bianco-rossi.
La suddivisione in quattro giorni comporta che la terza e la quarta tappa siano molto lunghe e faticose. La quarta tappa può, tuttavia, essere spezzata in due giorni, di cui il secondo può essere sfruttato per ridurre la quinta. In tal caso avremmo cinque tappe, di cui la terza e la quarta corrisponderebbero esattamente alla quarta ed alla quinta dell'alta via della Valmalenco, secondo la seguente scansione: 1. Chiesa Valmalenco-Rif. Lagazzuolo; 2. Rif. Lagazzuolo-Rifugi Gerli-Porro o Ventina; 3. Rifugi Gerli-Porro o Ventina-Chiareggio; 4. Chiareggio-Rifugio lago Palù; 5. Rifugio lago Palù-Chiesa Valmalenco.

Quadro d'insieme delle quattro tappe dell'alta via dell'Alta Valmalenco (sulla base della Swisstopo, che ne detiene il Copyright)

QUARTA TAPPA: RIFUGIO LONGONI-CHIESA IN VALMALENCO

Punti di partenza ed arrivo
Tempo necessario
Dislivello in altezza
in m.
Difficoltà (T=turistica, E=escursionistica, EE=per escursionisti esperti)
Rifugio Longoni-Rifugio lago Palù-Rifugio Motta-Rifugio Ponte-Chiesa in Valmalenco
8-9 h
590
E
SINTESI. Dal rifugio Longoni (m. 2450) torniamo indietro per breve tratto al trivio, prendiamo a sinistra e scendiamo verso sud-est, seguendo un sentiero che, ben presto, attraversa un bel boschetto di pini mughi, prima di congiungersi con la strada sterrata che dai Prati della Costa, sopra san Giuseppe, sale verso l'ex rifugio Entova-Scerscen. Raggiunta la strada, seguiamo la segnalazione per il rifugio Palù e proseguiamo in leggera salita, verso nord-est, finché, dopo aver attraversato un torrentello, in corrispondenza di un tornante sx, troviamo l'indicazione della deviazione a destra che ci fa staccare dalla strada per effettuare una lunga traversata verso sud-est. Il primo tratto supera una fascia di grandi massi. Dopo aver attraversato il torrente Entovasco, iniziamo a salire gradualmente, trovando ogni tanto una traccia di sentiero, alternata a tratti in cui sono ancora i massi a farla da padrone. Ai tratti in salita si succedono anche brevi discese fino al'abbandonata alpe Sasso Nero. Ad una discesa che ci permette di superare un valloncello segue una nuova, faticosa ma ultima risalita, che ci fa guadagnare di nuovo una quota di poco superiore ai 2300 metri. Coi affacciamo all'ampia conca del lago Palù verso la quale scendiamo diretti fra pini mughi, fino all'alpe Roggione. Qui pieghiamo a destra ed in breve siamo al rifugio lago Palù (m. 1947), poco sopra le rive del lago Palù. Lasciamo il rifugio Lago Palù (m. 1947) scendendo lungo la stradella che si porta nei pressi della riva occidentale del lago Palù (m. 1921), che resta sempre alla nostra sinistra. La stradella procede diritta scendendo al rifugio Barchi, ma noi la lasciamo subito, non appena possibile, prendendo a sinistra e percorrendo una pista che fiancheggia la riva occidentale del lago, passando a sinistra della caratteristica ed isolata baita chiamata localmente Ca’ di Sciuur. Proseguiamo diritti, verso sud, seguendo la pista che si inoltra per un tratto nella pineta e ne esce alla lunga ed ampia striscia delle piste sciistiche del Palù. Raggiungiamo così la struttura dove ha termine la sciovia che parte dalla località Curlo. Qui pieghiamo a sinistra e proseguiamo salendo est, lungo la pista sterrata più o meno al centro della pista di sci, mentre alla nostra sinistra il pizzo di Fora, con il suo poderoso fianco orientale, si mostra in tutto il suo splendore oltre la fila degli abeti. La salita, che segue i tralicci dell’impianto di risalita, ci porta a passare altri sui prati dell’alpe Palù (m. 2007), che si stendono alla nostra sinistra (nord), mentre alla nostra destra la pista è delimitata dalla pecceta. Non appena questa termina, lascia il posto ad una ripida china erbosa. Lasciamo dunque la più comoda pista sterrata, che sale in direzione del passo di Campolungo, per attaccare questo versante, alla nostra destra, salendo un po’ a zigzag per smorzare la pendenza severa. Giungiamo così al lago crinale che delimita l’ampia conca del Palù dal ripido versante che precipita a nord verso Chiesa in Valmalenco. Pieghiamo a sinistra e seguendo il crinale siamo subito al bel terrazzo che ospita il rifugio Motta (m. 2142). Lasciato il rifugio, ci incamminiamo su un marcato sentiero in quella direzione, fra radi larici, trovando quasi subito un cartello che segnala la partenza di un sentierino che si stacca sulla destra, scendendo alle località di Cima Sassa e Ponte. Imbocchiamo questo sentierino che scende verso sud-est a superare uno stretto passaggio fra roccette, protetto da corde fisse, e si porta al limite alto di una ripida fascia di prati. Prestando attenzione ai segnavia bianco-rossi e tagliando verso destra, ci portiamo alla parte bassa dei prati, dove il sentiero piega a sinistra (sud-est) e si immerge in una splendida pineta, proseguendo nella spedita discesa verso sud-sud-est, dalla quale usciamo alla parte alta dei prati di Cima Sassa (m. 1721). Ci portiamo alle baite del maggengo, raggiunte da una pista sterrata, e la seguiamo verso destra, scendendo verso sud-ovest, con pochi tornanti, ai prati di Ponte (Punt, m. 1521; in alternativa possiamo sfruttare il sentierino che parte a sinistra della pista, un po’ più basso, la taglia in un punto e per via più rapida raggiunge i prati del maggengo di Ponte). Se siamo scesi lungo la pista, incontreremo subito il rifugio Alpe Ponte (m. 1521). Più in basso, alla nostra sinistra, vedremo la chiesetta dedicata a Santa Teresa. Se invece siamo scesi lungo il sentiero, vedremo alla nostra destra la chiesetta e più in alto il rifugio, che possiamo facilmente raggiungere seguendo la pista sterrata. Siamo ormai all’ultimo tratto della discesa, che dal maggengo ci riporta a Chiesa in Valmalenco, sfruttando un sentiero che parte dal limite sud-occidentale dei prati (di destra, per chi guarda a valle). Ci portiamo dunque alle baite sul bordo dei prati e lo imbocchiamo, iniziando a scendere in peccete verso sud-ovest, al centro di un largo dosso. Superata una radura ed un tratto quasi pianeggiante, riprendiamo a scendere, sempre verso sud-ovest, sul crinale che si allarga, aggirando sulla sinistra una baita solitaria. Alla nostra destra scorgiamo l’aspro vallone segnato dalla grande frana del Ruinon, ben visibile da Chiesa in Valmalenco. Ad una quota approssimativa di 1300 metri il sentiero volge bruscamente a destra, proseguendo nella discesa verso nord-ovest, lungo il fianco della dorsale boscosa. Proseguiamo quasi in piano per una manciata di minuti; poi il sentiero volge a sinistra e riprende a scendere spedito, verso sud-ovest. Usciti dal bosco, pieghiamo a destra, lasciando alla nostra sinistra un sentiero che scende a Lanzada, e passiamo accanto ad un grande masso che funge da palestra di roccia. Passiamo quindi sotto i cavi dell’impianto di risalita del Palù ed attraversiamo il letto sassoso di un torrente in secca, raggiungendo in breve le prime case della frazione del Curlo di Chiesa in Valmalenco (m. 1080), dalle quali ci portiamo infine al parcheggio al quale abbiamo lasciato l’automobile, concludendo la lunga traversata.


Apri qui una panoramica su Val Ventina, monte Disgrazia e Val Sissone dal rifugio Longoni

Assai lunga, anche se altimetricamente meno impegnativa, anche la quarta e conclusiva tappa dell'alta via dell'Alta Valmalenco. Si tratta infatti di traversare dal rifugio Longoni al rifugio Lago Palù, contornare il Lago Palù, salire al vicino rifugio Motta e qui scendere alle località Cima Sassa e Ponte, dove si trova il rifugio omonimo. Da Ponte un sentiero riporta al Curlo, dove l'alta via termina.
Dal rifugio Longoni (m. 2450 m.) torniamo verso ovest al trivio e scendiamo a sinistra, verso sud-est, seguendo un sentiero che, ben presto, attraversa un bel boschetto di pini mughi, prima di congiungersi con la strada sterrata che dai Prati della Costa, sopra san Giuseppe, sale verso l'ex rifugio Entova-Scerscen.
Raggiunta la strada, seguiamo la segnalazione per il rifugio Palù (che lo indica a 4 ore di cammino) e proseguiamo in leggera salita, verso nord-est, finché, dopo aver attraversato un torrentello, in corrispondenza di un tornante sinistrorso, troviamo l'indicazione della deviazione a destra che ci fa staccare dalla strada per effettuare una lunga traversata verso sud-est. Il primo tratto di questa traversata è piuttosto faticoso, perché dobbiamo superare una fascia di grandi massi; le segnalazioni sono però veramente abbondanti, per cui non possiamo perderci. Dopo aver attraversato il torrente Entovasco (éntuàsch), iniziamo a salire gradualmente, trovando ogni tanto una traccia di sentiero, alternata a tratti in cui sono ancora i massi a farla da padrone.
Ai tratti in salita si succedono anche brevi discese, in uno scenario solitario e selvaggio. Verso nord est la montagna mostra un volto arcigno e quasi scorbutico, costituito da speroni rocciosi e grandi ammassi di sfasciumi. Si distingue facilmente uno sperone più avanzato rispetto agli altri, denominato il Castello (castèl).
Questo sperone è legato ad un'interessante leggenda, che riportiamo nella versione contenuta nell'opera di Eermanno sagliani "Tutto Valmalenco" (Edizioni Press, Milano): "
I pastori dell'alpe Sasso Nero, sanno di non avvicinarsi soli di notte allo spuntone roccioso di forme turrite detto il Castello. Potrebbero cadere improvvisamente delle pietre e colpirli.
Ai tempi delle calate barbariche delle orde Ungare, un soldato disertore, fuggendo, risalì la valle. Giunto all'alpe Sasso Nero, dove Cristina, giovane pastorella era intenta alle sue pecore, egli la ghermì e la portò seco sul Castello. Quando Antonio, suo promesso sposo, seppe la sventura della fanciulla, aiutato dai contadini, cautamente, di notte, diede assalto al Castello. Sorpreso nel sonno il barbaro fu incatenato e lassù morì di stenti. Cristina, liberata, tornò felice al suo amato. Nelle cupe notti di maltempo l'inquieto spirito del barbaro imprigionato sullo spuntone roccioso si vendica facendo rotolare pietre su chi per avventura passasse da quello che ancor oggi è chiamato il Castello.
"
Attenzione, dunque, a quel che accade a monte del sentiero: se avvertiamo rumori sospetti, potrebbero essere i massi scagliati dal bieco guerriero. Oltrepassato lo sperone, si raggiunge l'alpe Sasso Nero (alp de sas négru, abbandonata, m. 2304), posta ai piedi del grande fianco sud-occidentale del Sasso Nero (umèt, m. 2919). Ad una discesa che ci permette di superare un valloncello segue una nuova, faticosa ma ultima risalita, che ci fa guadagnare di nuovo una quota di poco superiore ai 2300 metri, su un piccolo terrazzo dal quale, finalmente, si mostra lo scenario più gentile dell'alpe e del lago Palù (anticamente chiamato semplicemente ‘l làach o lèèch, oggi làach o lèèch di palö) .


Apri qui una fotomappa della zona Sasso Nero-Lago Palù-Monte Motta

A questo punto il sentiero piega a destra (sud-est) e scende deciso in un bosco di pini mughi. Ai pini mughi si sostituiscono gradualmente gli abeti, mentre il sentiero piega leggermente a destra. Lo scampanio delle mucche (se percorriamo l'alta via nel periodo estivo) sembra un ritorno alla vita dopo una traversata del deserto. Ecco infatti, al termine della discesa, l'alpe Roggione (m. 2007), dalle cui belle baite scendiamo verso destra, raggiungendo, in breve, il rifugio lago Palù ('l rifùgiu). Il rifugio è posto a 1947 metri, e costituisce il punto d'appoggio per il pernottamento: la quarta tappa, infatti, dopo circa sette ore di cammino ed un dislivello in salita effettivo di circa 1000 metri, termina qui. In attesa del tramonto non possiamo però mancare di scendere sulle rive del bellissimo lago Palù (m. 1921), originato dallo sbarramento creato da una paleofrana. Il lago, a causa di infiltrazioni, è molto ridotto rispetto alle dimensioni passate: ai tempi di Melchiorre Gioia (1767-1829) lo sviluppo della riva era triplo, ed era necessaria un'ora e mezza per percorrerlo interamente. Era, inoltre, assai più pescoso, tanto da consentire a diverse famiglie di vivere praticando l'attività della pesca. Qui, se non c'è troppa gente, spira un senso di pace e di armonia che pervade nel profondo.

Lago Palù

Ma vediamo si sapere qualcosa in più di questo gioiello dell'alta Valmalenco.
Il lago del Palù è il maggiore, per la sua notevole superficie, laghi alpini valtellinesi. Giace in una specie di ameno altipiano, sulla sponda sinistra del Mallero, framonte Nero (2734 m.), monte Roncione (2359 m.) e monte Motta (2336 m.). Le sue purissime acque formano come un seno tranquillo, circondato da sponde erbose con morbide movenze, ricoperte di larici, di mughi e di abeti, che gli fanno ampia, verde cornice ed alto contrasto colle brulle roccie dei monti circostanti. Non ha affluente né emissario di sorta, onde le sue acque derivano unicamente dalle pioggie e dalla fusione delle nevi che cadono sulle pendici dei monti, che circondano lago. Perciò esse vanno soggette ad un grandissimo dislivello nelle varie epoche dell'anno, specialmente nella primavera o nell'autunno, dislivello che è ordinariamente di due metri, e che talvolta assai maggiore, come nella straordinaria siccità del 1893, in cui le acque del lago si abbassarono tanto che a memoria d'uomo non si ricorda mai. Infatti avendolo io visitato il 31 Agosto 1892, trovai una profondità massima di 25 metri, in corrispondenza alla metà circa della retta che attraversa lago di fronte alla casetta; ed giorno 18 Giugno 1893, non vi rinvenni che la profondità di 15 metri. Dovrebbe bastare ciò per convincere del contrario coloro i quali credono (anche fra scrittori di cose naturali della Valtellina) che le acque di questo lago, come di altri senza affluente e senza emissario, debbano avere le loro scaturigini invisibili e ad un livello molto profondo, e se ne vadano per vie non conosciute. Il lago ha forma alquanto allungata, diretto da N.N.O a S.S.E., notevolmente dilatato verso S. Presenta qualche rientranza e sporgenza nelle due sponde maggiori e specialmente una concavità della sponda O. che risponde ad una convessità dell' opposta di E. Il contorno del lago è costituito di limo finissimo, il quale viene ricoperto alquanto più in alto nella regione esterna da pascoli erbosi che crescono rigogliosi sull' abbondante terreno morenico, il quale circonda il lago da ogni parte, dandogli quel grato aspetto, che sopra dicemmo, onde esso direbbesi a tutta prima un lago morenico.


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Tale infatti lo credette il Dott. Benedetto Corti. Ma osservando attentamente quest'apparato morenico in ogni sua parte, si scorge tosto come esso non sia propriamente quello che dia origine al lago. Infatti dal monte Motta sopra accennato, che s'innalza a S., si distacca un'ampia cresta della medesima roccia, che piega prima ad O. indi si volge a N. e delimita così, colla base degli altri due monti sopra accennati, un ampio bacino orografico, assai basso, il quale fu mascherato dalla sovrapposizione del terreno morenico. Talora questa viene a mancare e si mostra allora la roccia in posto con stratificazione parallela a quella dei monti sopra nominati, dei quali costituisce come un contrafforte. Questa roccia in posto è ben visi­bile specialmente sulla sponda O., dalla casetta fino alla estremità S.O. del lago, e, meglio ancora, nel lato esterno della sponda di questa, appena sopra le baita di Zocca, dove grandi banchi di micascisto emergono dal terreno morenico.

Così il naturalista Paolo Pero (nella raccolta “I laghi alpini valtellinesi”, Padova, 1894; cfr. appendice) su una delle perle più pregiate della Valmalenco. Il lago Palù (lach di palö), posto a 1921 metri, è il più ampio lago naturale delle montagne valtellinesi, superato solo dai laghi originati da sbarramenti artificiali. Si è ipotizzato che sia stato creato dallo sbarramento di una paleofrana, ma sembra più probabile che il suo bacino derivi dai processi di escavazione glaciale. Non ha emissario visibile, per cui in passato le sue acque finivano per perdersi nelle cavità naturali sotto i monti Roggione e Motta (Sasso Alto), ad est e sud-est del lago. In tempi più recenti è stata costuita una galleria di 365 metri che ne convoglia le acque fino alla frazione Curlo di Chiesa in Valmalenco, per poi indirizzarle alla centale idroelettrica di Lanzada. Oggi è meta dei cultori della pesca sportiva, ma già in passato era famoso per la sua pescosità, tanto che a metà dell'Ottocento le sue trote e le sue tinche sostentavano, nella stagione estiva, cinque famiglie che vi praticavano la pesca. A quel tempo la sua superficie era più ampia (occorreva un'ora buona per completarne il periplo), ed ancor più lo era, pare, nei secoli precedenti. Ai tempi di Melchiorre Gioia (1767-1829), infatti, lo sviluppo della riva era triplo, ed era necessaria un'ora e mezza per percorrerlo interamente. Era, inoltre, assai più pescoso, tanto da consentire a diverse famiglie di vivere praticando l'attività della pesca, come leggiamo anche nella “Guida alla Valtellina” edita dal CAI nel 1884, che ci offre ulteriori notizie: “Il Palù (1993 m.) vuolsi annoverare fra i pittoreschi laghi montani. Giace in una conca fra il Monte Motta e il Monte Nero, e misura circa 600 metri in lunghezza e 300 metri in larghezza… durante un mese dell’anno vi stanno alcuni pastori, poi tutto è quiete e silenzio. Un parroco di Chiesa fece erigere vicino al lago una casetta, nella quale egli soleva passare alcuni giorni di svago. L’albergatore Battaglia di Chiesa, divenutone proprietario, la rifabbricò ed ingrandì, e ora vi possono trovare alloggio modesto e buon vitto quelli che amano nella quiete di quel ridente soggiorno dimenticare le traversie della vita. La Casa del Palù non è sempre aperta: chi vuol trovarvi ricovero deve avvertire qualcuno degli albergatori di Chiesa. Il lago non ha emissari apparenti e nessun ruscello si versa in esso: le sue acque sono limpide tanto che vi si possono prendere dei bagni. E perché nulla mancasse, il signor Battaglia vi fece fabbricare un piccolo burchiello, col quale in ogni senso può percorrersi il lago. Né i pesci vi mancano, anzi v’abbondan le trote, e vi si trovò pur anco una grossa anguilla che ora si conserva nel Museo dell’Università pavese. Uno dei divertimenti più graditi è la pesca, o meglio la caccia delle trote. La limpidezza delle acque rende inutili le reti e gli ami: conviene adoperare il fucile. Si pone una piccola fiocina su una bacchetta, che in luogo del projettile si mette nella canna di un fucile, a cui si raccomanda con una cordicella. E con essa si colpiscono le trote quando vengono a fior d’acqua per ingoiare una bicciola di pane o qualche altra cosa che si ebbe cura di gettar loro. Dal lago si giunge in meno di mezz’ora sul Monte Motta, che è a mezzogiorno, e da cui si gode una stupenda vista sulla Val Malenco, la Valtellina, il pizzo Scalino e il Monte delle Disgrazie”.
Per un ulteriore approfondimento, puoi leggere quanto riportato in appendice.


Il lago Palù

Inizia da qui la seconda parte di questa lunga tappa. Lasciamo il rifugio Lago Palù (m. 1947) scendendo lungo la stradella che si porta nei pressi della riva occidentale del lago Palù (m. 1921), che resta sempre alla nostra sinistra. La stradella procede diritta scendendo al rifugio Barchi, ma noi la lasciamo subito, non appena possibile, prendendo a sinistra e percorrendo una pista che fiancheggia la riva occidentale del lago, passando a sinistra della caratteristica ed isolata baita chiamata localmente Ca’ di Sciuur.
Non possiamo avvicinarci troppo, perché è pericolante, ma riconosciamo sulla sua facciata una Madonna con Bambino ed una scritta in latino: “ERECTA A.D. MDCCCLXXIII – AUCTA A.D. A.D. MCMXI”, cioè “edificata nell’anno del Signore 1873, ampliata nell’anno del Signore 1911”. Sopra la scritta, uno stemma nobiliare che rappresenta una trota sormontata da un orso. L’edificio, già di proprietà delle famiglie Alfieri e Mira di Como, era chiamato così perché utilizzato dai villeggianti, in passato ed ancor oggi chiamati, nell’idioma locale, “sciuur”. Interessante è notare come in passato la capienza del lago fosse ben maggiore, tanto che in taluni periodi le sue acque arrivavano a lambire l'edificio.
Proseguiamo diritti, verso sud, seguendo la pista che si inoltra per un tratto nella pineta e ne esce alla lunga ed ampia striscia delle piste sciistiche del Palù. Raggiungiamo così la struttura dove ha termine la sciovia che parte dalla località Curlo. Qui pieghiamo a sinistra e proseguiamo salendo est, lungo la pista sterrata più o meno al centro della pista di sci, mentre alla nostra sinistra il pizzo di Fora, con il suo poderoso fianco orientale, si mostra in tutto il suo splendore oltre la fila degli abeti. La salita, che segue i tralicci dell’impianto di risalita, ci porta a passare altri sui prati dell’alpe Palù (m. 2007), che si stendono alla nostra sinistra (nord), mentre alla nostra destra la pista è delimitata dalla pecceta.
Non appena questa termina, lascia il posto ad una ripida china erbosa. Lasciamo dunque la più comoda pista sterrata, che sale in direzione del passo di Campolungo, per attaccare questo versante, alla nostra destra, salendo un po’ a zigzag per smorzare la pendenza severa. Giungiamo così al lago crinale che delimita l’ampia conca del Palù dal ripido versante che precipita a nord verso Chiesa in Valmalenco. Pieghiamo a sinistra e seguendo il crinale siamo subito al bel terrazzo che ospita il rifugio Motta (m. 2142; sito web: http://rifugiomotta.blogspot.it/2010/09/balcone-sulla-valmalenco.html). Dal rifugio si domina a sud tutta la bassa Valmalenco, mentre ad est lo sguardo raggiunge il pizzo Scalino e ad ovest il monte Disgrazia. In primo piano, ad est, vediamo che la dorsale sale fino al punto terminale degli impianti di risalita del Palù, rappresentato dalla Cima Sassa o Monte Motta (Sas Olt, m. 2336).


Apri qui una fotomappa della traversata dall'alpe Sasso Nero alle piste di sci del Palù

Lasciato il rifugio, ci incamminiamo su un marcato sentiero in quella direzione, fra radi larici, trovando quasi subito un cartello che segnala la partenza di un sentierino che si stacca sulla destra, scendendo alle località di Cima Sassa e Ponte. Imbocchiamo questo sentierino che scende verso sud-est a superare uno stretto passaggio fra roccette, protetto da corde fisse, e si porta al limite alto di una ripida fascia di prati. Prestando attenzione ai segnavia bianco-rossi e tagliando verso destra, ci portiamo alla parte bassa dei prati, dove il sentiero piega a sinistra (sud-est) e si immerge in una splendida pineta, proseguendo nella spedita discesa verso sud-sud-est, dalla quale usciamo alla parte alta dei prati di Cima Sassa (m. 1721), splendido balcone panoramico dal quale il pizzo Scalino si mostra, alla nostra sinistra in tutta la sua eleganza.

Rifugio Motta

Ci portiamo alle baite del maggengo, raggiunte da una pista sterrata, e la seguiamo verso destra, scendendo verso sud-ovest, con pochi tornanti, ai prati di Ponte (Punt, m. 1521; in alternativa possiamo sfruttare il sentierino che parte a sinistra della pista, un po’ più basso, la taglia in un punto e per via più rapida raggiunge i prati del maggengo di Ponte).
Non possiamo non restare stupiti dalla bucolica bellezza di questo maggengo. Si tratta dell’antico “Mons Pontis”, “Alpis de Pons”, alpeggio di pertinenza delle contrade di Moizi e San Giovanni. Gli ampi e luminosi prati, una sorpresa, quasi, dopo il chiaroscuro della salita, si stendono sul terrazzo morenico delimitato, e meridione, dal ripido versante boschivo che scende a Moizi e San Giovanni di Lanzada. Se siamo scesi lungo la pista, incontreremo subito il rifugio Alpe Ponte (m. 1521; cfr. il sito www.rifugioponte.it).


Pizzi Scalino e Palino da Cima Sassa

Più in basso, alla nostra sinistra, vedremo la chiesetta dedicata a Santa Teresa, edificata nel 1941. Sulla facciata leggiamo la scritta: “Farò cadere dal cielo una pioggia di rose”. Il senso di armonia e tranquillità dei luoghi, soprattutto nella solitudine della mezza stagione, ben si intonano a questa consolante promessa mariana. Se invece siamo scesi lungo il sentiero, vedremo alla nostra destra la chiesetta e più in alto il rifugio, che possiamo facilmente raggiungere seguendo la pista sterrata.
Siamo ormai all’ultimo tratto della discesa, che dal maggengo ci riporta a Chiesa in Valmalenco, sfruttando un sentiero che parte dal limite sud-occidentale dei prati (di destra, per chi guarda a valle). Ci portiamo dunque alle baite sul bordo dei prati e lo imbocchiamo, iniziando a scendere in peccete verso sud-ovest, al centro di un largo dosso. Superata una radura ed un tratto quasi pianeggiante, riprendiamo a scendere, sempre verso sud-ovest, sul crinale che si allarga, aggirando sulla sinistra una baita solitaria. Alla nostra destra scorgiamo l’aspro vallone segnato dalla grande frana del Ruinon, ben visibile da Chiesa in Valmalenco. Ad una quota approssimativa di 1300 metri il sentiero volge bruscamente a destra, proseguendo nella discesa verso nord-ovest, lungo il fianco della dorsale boscosa. Proseguiamo quasi in piano per una manciata di minuti; poi il sentiero volge a sinistra e riprende a scendere spedito, verso sud-ovest. Usciti dal bosco, pieghiamo a destra, lasciando alla nostra sinistra un sentiero che scende a Lanzada, e passiamo accanto ad un grande masso che funge da palestra di roccia. Passiamo quindi sotto i cavi dell’impianto di risalita del Palù ed attraversiamo il letto sassoso di un torrente in secca, raggiungendo in breve le prime case della frazione del Curlo di Chiesa in Valmalenco (m. 1080), dalle quali ci portiamo infine al parcheggio al quale abbiamo lasciato l’automobile, concludendo la lunga traversata.


Apri qui una fotomappa della discesa dal rifugio Motta al Curlo

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CARTA DEL PERCORSO sulla base della Swisstopo, che ne detiene il Copyright. Ho aggiunto alla carta alcuni toponimi ed una traccia rossa continua (carrozzabili, piste) o puntinata (mulattiere, sentieri). Apri qui la carta on-line

GALLERIA DI IMMAGINI
   

APPENDICE: Viene qui di seguito riportata la relazione di Paolo Pero, professore di Storia Naturale al Liceo
“G. Piazzi” di Sondrio, sul lago del Palù (nella raccolta “I laghi alpini valtellinesi”, Padova , 1894).









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