PRESENTAZIONE


Apri qui una fotomappa della traversata da Sacco al rifugio Alpe Stavello

La Val Gerola, per l’ampiezza, gli insediamenti umani, gli alpeggi di pregio, la ricchezza di convalli e di elementi di interesse storico e naturalistico, è la regina delle valli orobiche. È divisa nel territorio di ben quattro comuni, con altrettanti insediamenti permanenti principali, Sacco, Rasura, Pedesina e Gerola Alta, ciascuno con le proprie peculiarità culturali ed economiche, come lascia intendere una vecchia filastrocca che li mette in fila: “Sach paìs da stach, Resüra prat da segà, Pedesina munt da cargà, Giaröla bosch da taià”. Vale a dire: Sacco godeva della sua ottima posizione, Rasura dell’abbondanza dei suoi prati da sfalcio, Pedesina dei suoi alpeggi e Gerola dei suoi boschi. Da qui l’idea di tracciare un’alta via che tocchi i luoghi più significativi della valle, percorrendola ad anello da Morbegno a Morbegno (o, in una versione più breve che salta la prima tappa, da Rasura a rasura). Niente di ufficiale, niente di istituzionalizzato, solo una proposta, un’idea per passare sei (o cinque) giorni nel regno del Bitto, il re dei formaggi grassi d’alpe ed il prodotto più significativo di una cultura che qui conserva la sua identità e le sue radici vitali. Condizioni: buon allenamento, condizioni meteorologiche buone, buon senso dell’orientamento per un percorso che una sola volta (discesa alla bocchetta Paradiso al lago Rodondo) propone un passaggio che richiede cautela e buona esperienza escursionistica.


Val Combana

ALTA VIA DELLA VAL GEROLA- 2- VARIANTE BREVE: DAL RIFUGIO LA CORTE AL RIFUGIO ALPE STAVELLO

Punti di partenza ed arrivo
Tempo necessario
Dislivello in altezza
in m.
Difficoltà (T=turistica, E=escursionistica, EE=per escursionisti esperti)
Rifugio La Corte-Monte Olano-Val Mala-Rif. Alpe Stavello
5-6 h
1150
E

SINTESI. Dal rifugio La Corte (m. 1260) ci incamminiamo sulla pista sterrata e, presso l’edicola del Parco delle Orobie Valtellinesi, iniziamo a salire seguendo le indicazioni del cartello relativo al percorso 114 (Tagliate di Sopra 40 minuti, monte Olano 1 ora e 40 minuti). Dopo un primo tratto in pecceta, il sentiero, segnalato da segnavia bianco-rossi, esce ai prati delle Tagliate di Sopra (m. 1452), volgendo a destra passa a monte delle baite e rientra nel bosco. Il sentiero, sempre largo, esce poi alla fascia di prati della località Barico (Barìc, m. 1451). Dopo l’ultimo tratto di pecceta, usciamo alla parte bassa dell’alpe di Olano e saliamo su debole traccia alla croce di legno del monte Olano (m. 1702). Nei suoi pressi una pozza. Proseguiamo all'aperto seguendo i segnavia, verso sud, fino alle tre baite della casera di Olano (m. 1792). Qui ci innestiamo nel percorso della seconda tappa del Sentiero Andrea Paniga, sezione occidentale della Gran Via delle Orobie, per cui nel prosieguo dell'alta via, fino al rifugio San Marco, saremo accompagnati dai segnavia bianco-rossi con la sigla "GVO". Lasciamo il sentiero che prosegue salendo lungo la striscia degli alpeggi di Olano e prendiamo a sinistra, scendendo, in un bosco di radi larici, a superare, intorno a quota 1750, la valle denominata Il Fiume, per poi risalire sul versante opposto, fino al la Baita del Prato (m. 1715). Seguiamo il sentiero che taglia l'ampia fascia di alpeggi a monte dell'agriturismo Bar Bianco, al quale giunge la già citata carrozzabile che sale da Rasura. Il sentiero si innesta in quello che dal Bar Bianco sale all'alpe ed al lago di Culino, e che, seguendo le indicazioni di un cartello, seguiamo salendo verso destra. Il sentiero, molto marcato, attraversa un bosco di larici, uscendone ad una radura con una baita solitaria. Qui siamo ad un bivio, a quota 1800, segnalato da cartelli. Ignoriamo la deviazione a sinistra e proseguiamo diritti nella salita, fino ad approdare, dopo un paio di tornanti dx-sx, all’ampio terrazzo di pascoli dell’alpe di Culino, dove, presso una baita, si trova il caratteristico laghetto di Culino (m. 1959). Proseguiamo verso monte (nord), poi pieghiamo decisamente a destra (est-nord-est) e seguiamo il marcato sentiero che sale sul fianco del crinale, si porta ad una bocchetta e dopo un ultimo tratto sul crinale raggiunge la croce della cima di Rosetta (m. 2147). Ridiscesi al lago di Culino, prendiamo a destra, passiamo destra del lago e guadagniamo il modesto e panoramico dosso erboso alle spalle del lago, per scendere, sul versante opposto, verso sinistra, ad una splendida conca solitaria, che ospita anch’essa una torbiera. Prendendo come riferimento la baita isolata quotata 1959 metri, proseguiamo verso sinistra, passando a valle della stessa, fino ad intercettare, presso un casello dell’acqua, un marcato sentiero che taglia il fianco del crinale che delimita a sud l’alpe Culino. Il sentiero ci porta alla parte più alta dei prati dell’alpe Ciof, dai quali dobbiamo scendere alla casera di Ciof o Giuf, quotata 1732 metri. Seguiamo il cartello della direzione verso sud, che dà l’alpe Combana a 30 minuti e l’alpe Stavello ad un’ora. Prendiamo quindi a destra e procediamo sul sentiero che non taglia il pascolo, ma prosegue appena sopra il limite superiore del bosco (leggermente più in basso rispetto alla casera), in direzione sud-est. Dopo il primo tratto, entra in un bosco di larici e comincia a guadagnare quota, per circa duecento metri. Ignorata una deviazione a sinistra, e superato il solco della val Combana, raggiungiamo la baita dell’alpe Combana (m. 1810). Il sentiero prosegue lasciandosela alle spalle, sale verso un bel bosco di larici, taglia un dosso e sbuca nella conca dell’alpe Stavello, dove troviamo il rifugio Alpe Stavello (m. 1944), aperto nella stagione estiva.


Apri qui una panoramica della Val Gerola occidentale

La seconda giornata dell'Alta Via della Val Gerola prevede la traversata dal rifugio La Corte al rifugio Alpe Stavello, in Val di Pai. Per effettuarla dobbiamo salire al monte Olano, attraversare il Rio Fiume, salire al lago di Culino, attraversare la Val Mala, attraversare la Val Combana e raggungere infine il rifugio Alpe Stavello. La traversata prevede anche la salita alla panoramicissima cima della Rosetta, a monte dell'alpe Culino.


Rifugio la Corte

Proseguiamo poco oltre il rifugio La Corte (m. 1260), sulla pista sterrata e, presso l’edicola del Parco delle Orobie Valtellinesi, iniziare a salire seguendo le indicazioni del cartello relativo al percorso 114 (Tagliate di Sopra 40 minuti, monte Olano 1 ora e 40 minuti). Dopo un primo tratto in pecceta, il sentiero, segnalato da segnavia bianco-rossi, esce ai prati delle Tagliate di Sopra (m. 1452), volgendo a destra passa a monte delle baite e rientra nel bosco. Il sentiero, sempre largo, esce poi alla fascia di prati della località Barico (Barìc, m. 1451), chiamata così con riferimento alla caratteristica struttura alpestre costituita da quattro muretti a secco che costituiscono il perimetro di una rudimentale baita cui i pastori aggiungono un tetto mobile (di legno o in telo) quando, spostandosi nell’alpeggio, raggiungono la relativa zona. Dopo l’ultimo tratto di pecceta, usciamo alla parte bassa dell’alpe di Olano; il sentiero diventa meno evidente, ma, senza problemi, con qualche serpentina guadagniamo la soglia terminale di un grande panettone erboso, il monte Olano (m. 1702), dove ci accolgono una grande croce di legno ed un incantevole microlaghetto. Di qui parte il sentiero che corre lungo il serpentone erboso dell’alpe, passando per la casera di Olano (m. 1792).


Apri qui una panoramica dalla Casera di Olano

Qui ci innestiamo nel percorso della seconda tappa del Sentiero Andrea Paniga, sezione occidentale della Gran Via delle Orobie, per cui nel prosieguo dell'alta via, fino al rifugio San marco, saremo accompagnati dai segnavia bianco-rossi con la sigla "GVO". Lasciamo il sentiero che prosegue salendo lungo la striscia degli alpeggi di Olano e prendiamo a sinistra, scendendo, in un bosco di radi larici, a superare, intorno a quota 1750, la valle denominata Il Fiume, per poi risalire sul versante opposto, fino al la Baita del Prato (m. 1715). Siamo ormai decisamente entrati in Val Gerola, e siamo sul largo dosso che scende, verso nord-est, dalla ben visibile Cima della Rosetta (m. 2142).


Apri qui una panoramica dal sentiero che sale dal Bar Bianco all'alpe Culino

Inizia da qui una lunga traversata che supera il solco della Val Mala (detta anche "val del pich"), in direzione dell’alpe Ciof, cioè verso sud, toccando gli alpeggi del versante occidentale della Val Gerola, fino al rifugio di Trona Soliva.


Dal Bar Bianco alla cima di Rosetta, sulla base di Google Earth (fair use)

Seguiamo il sentiero che taglia l'ampia fascia di alpeggi a monte dell'agriturismo Bar Bianco, al quale giunge la già citata carrozzabile che sale da Rasura. Il sentiero si innesta in quello che dal Bar Bianco sale all'alpe ed al lago di Culino, e che, seguendo le indicazioni di un cartello, seguiamo salendo verso destra. Il sentiero, molto marcato, attraversa un bosco di larici, uscendone ad una radura con una baita solitaria. Qui siamo ad un bivio, a quota 1800, segnalato da cartelli. Il sentiero principale prosegue salendo diritto, verso l'alpe Culino e la cima della Rosetta.


Apri qui una panoramica dal sentiero che sale dal Bar Bianco all'alpe Culino

Ignoriamo la deviazione a sinistra e proseguiamo diritti nella salita, fino ad approdare, dopo un paio di tornanti dx-sx, all’ampio terrazzo di pascoli dell’alpe di Culino, dove, presso una baita, si trova il caratteristico laghetto di Culino (m. 1959). Il piccolo bacino che lo ospita è di probabile origine morenica, ai piedi dell’ampia conca che si apre a monte della Valmala ("val màla", detta anche "val del pich"). A sud del laghetto si trova un’ampia torbiera, cioè quel caratteristico terreno di natura palustre che circonda molti laghetti di questo tipo, anzi, li stringe in un vero e proprio assedio, il cui esito, anche se in tempi ben più lunghi rispetto a quelli della singola esistenza umana, è già scritto: la capitolazione.
La torbiera è un vero e proprio tipo di suolo, di natura puramente o prevalentemente organica, con una componente minerale nulla o trascurabile; tuttavia ha anche le caratteristiche di un substrato sedimentario, simile a quello dei carboni fossili. Essa si forma nei pianori chiusi da bordi rialzati, dove l’acqua, ristagnando, determina zone umide in cui il l'azione di decomposizione viene rallentata dalla scarsa ossigenazione e dall'ambiente acido. Si accumula, così, uno strato di materiale vegetale che prende il nome di torba ed è caratterizzato da un elevato contenuto di carbonio organico. Questo rende la torba un ottimo combustibile, con un potere calorico che può essere superiore a quello del legno, e proprio come combustibile è sempre stata raccolta ed utilizzata. Nella torbiera, accanto a muschi e sfagni, prosperano carici e giunchi, spesso vivacizzati dai pennacchi degli eriofori, simili a batuffoli di cotone.


Apri qui una panoramica sull'alpe e sul lago di Culino

La torbiera, nella sua lenta ma inesorabile avanzata, è destinata ad essere la principale causa dell’interramento futuro di questo laghetto: le specie vegetali producono una quantità più o meno considerevole di materiale vegetativo, i cui resti morti tendono ad accumularsi sul fondale, determinando un suo graduale innalzamento. La diminuzione della profondità dello specchio d’acqua offre, a sua volta, nuovi spazi che, quando sono prossimi al pelo dell’acqua, vengono rapidamente colonizzati da altre piante.
Si assiste, così, al graduale avanzamento, verso il centro del lago, della vegetazione, costituita da comunità diverse che si associano e si alternano nel processo di interramento. Le truppe d’assalto sono quelle più acquatiche, mentre in retroguardia stanno quelle meno igrofile, che colonizzano il suolo meno imbevuto d’acqua. Intorno al laghetto di Culino le briofite, e gli sfagni in particolare, hanno creato un vasto aggallato, che si comporta come una zattera semigalleggiante e si espande verso le sue acque. Ci si mettono, infine, anche, anche le vere e proprie piante acquatiche, come lo Sparganium Angustifolium, che, approfittando delle acque ferme e poco profonde del laghetto, ne ricopre gran parte della superficie. Possiamo immaginare, dunque, quale sarà lo scenario futuro, anche se i nostri occhi non lo verranno mai: al laghetto si sostituirà una piana di torbiera, simile ad altre più illustri ed estese piane, come il pianone della Val Porcellizzo, ai piedi dei pizzi Badile e Cengalo, o, sempre in Val Masino, la piana di Preda Rossa, ai piedi del monte Disgrazia. La citazione di queste cime non è casuale: dall’alpe Culino (“cülign”, toponimo che deriva da "aquilino"), infatti, si gode di un ottimo colpo d’occhio che abbraccia il gruppo del Masino-Disgrazia (gran parte della Val Gerola, peraltro, possiede questa felice particolarità panoramica).


Sentiero che salle alla cima di Rosetta

Proseguiamo verso monte (nord), poi pieghiamo decisamente a destra (est-nord-est) e seguiamo il marcato sentiero che sale sul fianco del crinale, si porta ad una bocchetta e dopo un ultimo tratto sul crinale raggiunge la croce della panoramicissima cima di Rosetta (m. 2147). La cima della Rosetta ("scima de la rusèta", m. 2147) è la montagna di Rasura, nonostante non rappresenti il punto di massima elevazione del territorio comunale (costituito dall’omonimo monte Rosetta, m. 2360). Facile da raggiungere, rappresenta, infatti, il punto nel quale gli abitanti del paese immaginano si raccolga il loro spirito ed il l’amore per la loro terra. È questo spirito che viene espresso in una targa di recente collocata sulla cima, nella quale, a firma degli “amici della cima Rosetta”, sta scritto: “1979-2004. Nel silenzio della montagna questa croce svetta nel cielo azzurro vegliando sulla vallata e sulla sua gente nel nome di Dio”. Il panorama è particolarmente suggestivo verso nord, dove si vedono la Valchiavenna, l'intero gruppo del Masino e, alla sua destra, uno scorcio della testata della Valmalenco.


Apri qui una panoramica dalla cima della Rosetta

Ridiscesi al lago di Culino, prendiamo a destra, passiamo destra del lago e guadagniamo il modesto e panoramico dosso erboso alle spalle del lago, per scendere, sul versante opposto, verso sinistra, ad una splendida conca solitaria, che ospita anch’essa una torbiera. Prendendo come riferimento la baita isolata quotata 1959 metri, proseguiamo verso sinistra, passando a valle della stessa, fino ad intercettare, presso un casello dell’acqua, un marcato sentiero che taglia il fianco del crinale che delimita a sud l’alpe Culino. Il sentiero ci porta alla parte più alta dei prati dell’alpe Ciof, dai quali dobbiamo scendere alla casera quotata 1732 metri.


Casera all'alpe Ciof

La casera è posta sul dosso di Ciof o Giuf, m. 1732 e viene localmente chiamata “casera de cumbanìna”, o anche “casera del giùuf”, da nome del dosso sul quale è posta, “dòos del giùuf” o “dòos de cumbanìna”. La denominazione “Ciof” è evidentemente una storpiatura di “Giùuf”. Quanto all’origine del nome Combanina (e dell’analogo Combana), si può ipotizzare che derivi dalla voce comasca e bormina “combal”, “combol”, cioè sommità.


Apri qui una panoramica dall'alpe Giuf

Dopo uno sguardo al magnifico panorama che si apre dalla casera, sia sul gruppo del Masino che sulla Val Gerola, diamo un'occhiata ad una coppia di cartelli escursionistici: il primo dà, verso sud (diritti), l’alpe Combana a 30 minuti e l’alpe Stavello ad un’ora, mentre il secondo dà, nella direzione dalla quale proveniamo (nord), il Bar Bianco a 40 minuti ed il lago di Culino a 45 minuti.
Porseguiamo dunque diritti, sul sentiero che non taglia il pascolo, ma prosegue appena sopra il limite superiore del bosco (leggermente più in basso rispetto alla casera), in direzione sud-est (cartello della GVO).
Dopo il primo tratto, entra in un bosco di larici e comincia a guadagnare quota, per circa duecento metri. Ignorata una deviazione a sinistra, e
superato il solco della val Combana, raggiungiamo, infatti, la baita dell’alpe Combana (m. 1810).
Questa parte del sentiero suscita emozioni contrastanti: gli alpeggi offrono scenari gentili ed aperti, ma i boschi lasciano intravedere versanti che cadono, ripidi, sugli anfratti ombrosi di valli profonde, la val Combana e, ancor più, la successiva val di Pai.
Il sentiero se la lascia alle spalle, sale verso un bel bosco di larici, taglia un dosso e sbuca nella conca dell’alpe Stavello, baitone e dalla casera di Stavello (“baitùn” e “casera de stavél”, m. 1944, nella parte bassa dell’alpe omonima; il termine deriva dal termine dialettale “stabiéll”, stalla, e si trova anche in altri luoghi della Valtellina, cioè in Val Lesina, in Val Grosina, sopra Tirano e Lovero). Il baitone è stato ristrutturato ed ospita oggi l'azienda agrituristica e rifugio Alpe Stavello, aperto nella stagione estiva, che offre servizio di pernottamento su prenotazione (telefonare al 334 7652242; cfr. www.alpestavello.it; per contatti via mail info@alpestavello.it), oltre alla possibilità di ristorazione e di consultazione di un'interessantissima biblioteca.


Rifugio Alpe Stavello

L'alpe è menzionata già in un documento del 1291, l'atto di vendita dell'alpeggio dalla famiglia Gamba di Bellano ai Capifamiglia di Pedesina. A quel tempo l'alpe Stavello comprendeva anche gli attuali alpeggi di Combana e Combanina. Dopo la Prima Guerra Mondiale la proprietà dell'alpe passò dalla famiglia di Lorenzo Rabbiosi di Rasura alla famiglia Martinelli di Morbegno, che ancora la possiede. Fino a quegli anni l'alpeggio caricava circa 100 capi e vi lavoravano dalle 20 alle 25 persone, una vera e propria piccola comunità con le sue figure e gerarchie (con al vertice il capo, o vecc', ed il casaro), i riti ed i ritmi della vita d'alpeggio di cui oggi si stenta ad immaginare la durezza.
Qui termina la prima tappa dell'Alta Via del Bitto.


Il rifugio Alpe Stavello

Per la cronaca aggiungiamo però che nella relazione di Antonio Boscacci la conclusione veniva fissata sempre in Val di Pai, ma più ad est, alla baita Svanollino (1906), sempre aperta. Per raggiungerla bisogna scendere dall'alpe Stavello lungo la splendida mulattiera scavata nella roccia che si trova appena nascosta dietro l'angolo basso di destra dei prati sotto la casera (segnavia bianco-rosso), ignorare una deviazione a sinistra e proseguire diritti inoltrandoci per un pezzo nella conca dell'alta Val di Pai. Superato un torrentello, si raggiunge la baita, che può costituire un punto di riferimento prezioso in caso di contrattempi.


Dalla Casera di Giuf al rifugio Alpe Stavello, sulla base di Google Earth (fair use)

Non possiamo concludere la relazione di questa prima tappa tacendo dell'importanza storica di questi luoghi. Dall'alpe Stavello parte una mulattiera che si porta ad un poggio sopra il rifugio e prende a sinistra, affacciandosi all'alta Val di Pai e descrivendo un ampio arco verso sinistra che si conclude alla ben visibile bocchetta di Stavello (m. 2201), punto di partenza per la facile ascensione al monte Rotondo (m. 2496), la maggiore elevazione della valle.


Clicca qui per aprire una panoramica dall'alta Val di Pai

La bocchetta di Stavello (“buchéta de stavèl”, chiamata anche, sul versante della Val di Fràina, "buchéta de salavàr") fu valico non privo d’importanza storica, in passato, tanto da essere menzionato nel resoconto su Valtellina e Valchiavenna pubblicato da Giovanni Güler von Weineck nel 1616 a Zurigo: “Proseguendo lungo il monte, sul quale sta Rasura, dentro per la valle, s’incontra il grosso villaggio di Pedesina; molti suoi abitanti esercitano vari mestieri a Venezia. Da Pedesina un sentiero valica il monte, scendendo nella Valsassina, che appartiene al ducato di Milano”.
Questa bocchetta, infatti, congiunge la Val di Pai alla Val di Fraina, laterale della Val Varrone, dalla quale sale, con ampi e regolari tornanti, una pista denominata “sentiero Cadorna”, perché voluta dal generale Cadorna nel contesto del sistema di fortificazioni orobiche durante la prima Guerra Mondiale, cui si è già fatto cenno. Cadorna, infatti, diffidava della neutralità svizzera e temeva che l’esercito austro-ungarico, passando per la Valle di Poschiavo, dilagasse sul fondovalle valtellinese e di lì nella Brianza e nel Milanese. Il sistema difensivo orobico doveva permettere azioni di contenimento e cannoneggiamento (il sentiero Cadorna venne realizzato soprattutto per portare alla bocchetta pezzi di artiglieria). Vediamo, infatti, proprio alla bocchetta opere di fortificazione: se ne incontrano altre salendo al monte Rotondo.


Alta Val di Pai e bocchetta di Stavello

ALTA VIA DELLA VAL GEROLA- 2- VARIANTE LUNGA: DAL RIFUGIO LA CORTE AL RIFUGIO ALPE STAVELLO

Punti di partenza ed arrivo
Tempo necessario
Dislivello in altezza
in m.
Difficoltà (T=turistica, E=escursionistica, EE=per escursionisti esperti)
Rifugio La Corte-Monte Olano-Val Mala-Casera di Combana-Bocchetta dell'Uschiolo-Rif. Alpe Stavello
8 h
1550
EE

SINTESI. Dal rifugio La Corte (m. 1260) ci incamminiamo sulla pista sterrata e, presso l’edicola del Parco delle Orobie Valtellinesi, iniziamo a salire seguendo le indicazioni del cartello relativo al percorso 114 (Tagliate di Sopra 40 minuti, monte Olano 1 ora e 40 minuti). Dopo un primo tratto in pecceta, il sentiero, segnalato da segnavia bianco-rossi, esce ai prati delle Tagliate di Sopra (m. 1452), volgendo a destra passa a monte delle baite e rientra nel bosco. Il sentiero, sempre largo, esce poi alla fascia di prati della località Barico (Barìc, m. 1451). Dopo l’ultimo tratto di pecceta, usciamo alla parte bassa dell’alpe di Olano e saliamo su debole traccia alla croce di legno del monte Olano (m. 1702). Nei suoi pressi una pozza. Proseguiamo all'aperto seguendo i segnavia, verso sud, fino alle tre baite della casera di Olano (m. 1792). Qui ci innestiamo nel percorso della seconda tappa del Sentiero Andrea Paniga, sezione occidentale della Gran Via delle Orobie, per cui nel prosieguo dell'alta via, fino al rifugio San Marco, saremo accompagnati dai segnavia bianco-rossi con la sigla "GVO". Lasciamo il sentiero che prosegue salendo lungo la striscia degli alpeggi di Olano e prendiamo a sinistra, scendendo, in un bosco di radi larici, a superare, intorno a quota 1750, la valle denominata Il Fiume, per poi risalire sul versante opposto, fino al la Baita del Prato (m. 1715). Seguiamo il sentiero che taglia l'ampia fascia di alpeggi a monte dell'agriturismo Bar Bianco, al quale giunge la già citata carrozzabile che sale da Rasura. Il sentiero si innesta in quello che dal Bar Bianco sale all'alpe ed al lago di Culino, e che, seguendo le indicazioni di un cartello, seguiamo salendo verso destra. Il sentiero, molto marcato, attraversa un bosco di larici, uscendone ad una radura con una baita solitaria. Qui siamo ad un bivio, a quota 1800, segnalato da cartelli. Ignoriamo la deviazione a sinistra e proseguiamo diritti nella salita, fino ad approdare, dopo un paio di tornanti dx-sx, all’ampio terrazzo di pascoli dell’alpe di Culino, dove, presso una baita, si trova il caratteristico laghetto di Culino (m. 1959). Proseguiamo verso monte (nord), poi pieghiamo decisamente a destra (est-nord-est) e seguiamo il marcato sentiero che sale sul fianco del crinale, si porta ad una bocchetta e dopo un ultimo tratto sul crinale raggiunge la croce della cima di Rosetta (m. 2147). Ridiscesi al lago di Culino, prendiamo a destra, passiamo destra del lago e guadagniamo il modesto e panoramico dosso erboso alle spalle del lago, per scendere, sul versante opposto, verso sinistra, ad una splendida conca solitaria, che ospita anch’essa una torbiera. Prendendo come riferimento la baita isolata quotata 1959 metri, proseguiamo verso sinistra, passando a valle della stessa, fino ad intercettare, presso un casello dell’acqua, un marcato sentiero che taglia il fianco del crinale che delimita a sud l’alpe Culino. Il sentiero ci porta alla parte più alta dei prati dell’alpe Ciof, dai quali dobbiamo scendere alla casera di Ciof o Giuf, quotata 1732 metri. Seguiamo il cartello della direzione verso sud, che dà l’alpe Combana a 30 minuti e l’alpe Stavello ad un’ora. Prendiamo quindi a destra e procediamo sul sentiero che non taglia il pascolo, ma prosegue appena sopra il limite superiore del bosco (leggermente più in basso rispetto alla casera), in direzione sud-est. Dopo il primo tratto, entra in un bosco di larici e comincia a guadagnare quota, per circa duecento metri. Ignorata una deviazione a sinistra, e superato il solco della val Combana, raggiungiamo la baita dell’alpe Combana (m. 1810). Raggiunta la casera di Combana (m. 1810) portiamoci sul lato destro del muretto del grande recinto del bestiame appena a monte della casera e risaliamolo fino al suo vertice alto. Procedendo diritti, vediamo la partenza di una traccia di sentiero (purtroppo nella sua parte bassa non è molto visibile), che sale, quasi diritto, sul crinale di pascoli e macereti. Se fatichiamo a trovarlo, prendiamo come punto di riferimento il rudere di baita che vediamo un po' più in alto, più o meno sulla nostra verticale (o un po' a sinistra), e procediamo in quella direzione. Il sentiero, che qui è ben visibile, passa, infatti, alla sua sinistra e, con alcuni tornantini ed un traverso finale in una macchia di larici, si porta sul lato sinistro del gradino di soglia. Alla fine quella che è ormai diventata una marcata mulattiera approda, a 1795 metri, all'alta Val Combana. Ora dobbiamo procedere a vista, prendendo come riferimento il ramo di sinistra (per noi) del torrente che scende dalla valle. Ne seguiamo il corso fino al pianoro più alto. Invece di tagliare il pianoro, prendiamo a sinistra, salendo, per la via più agevole, il crinale occupato da sfasciumi e puntando ad un roccione sotto il quale si vede una piccola nicchia, una sorta di ricovero. C'è anche una debolissima traccia di sentiero che sale al roccione; qui intuiamo una traccia un po' più marcata. Dal roccione-ricovero, prendiamo a sinistra e descriviamo un ampio semicerchio procedendo verso la sezione più facile del crinale, sulla quale è posta la bocchetta dell'Uschiolo (m. 2341). Ora dobbiamo, con attenzione e pazienza, guardare sul versante opposto (erboso ed assai ripido) per cercare il sentiero, marcato, che proviene dall'alta Val di Pai. Dopo averlo trovato, con attenzione scendiamo di qualche metro per intercettarlo e lo seguiamo nella successiva graduale discesa verso destra che taglia il ripido fianco della valle (con esposizione a sinistra: attenzione, quindi). Davanti a noi, in basso, vediamo un incantevole pianoro, con un delizioso microlaghetto, dominato, sulla testata della valle, dal monte Rotondo (m. 2496). Raggiunta l'alta Val di pai, scendiamo facilmente a vista verso est, fra facili balze, passando per la baita del Pegurer (m. 2178). Stando sempre sul lato sinistro dell'ampio anfiteatro della valle seguiamo un dosso erboso che ci porta in vista dell'alpe Stavello, che vediamo in basso alla nostra destra. Su facile sentierino scendiamo sul lato sinistro del dosso, poi tagliamo a destra raggiungendo il rifugio Alpe Stavello (1844 m.) all'alpe Stavello.

Se disponiamo di un ottimo allenamento possiamo puntare alla variante lunga della traversata, che ci porta in alta Valle di Comnaba e, attraverso la bocchetta dell'Uschiolo, in alta Val di Pai, dalla quale poi terminiamo la traversata al rifugio Alpe Stavello. Una variante faticosa ma molto bella, che tocca luoghi tanto poco conosciuti quanto suggestivi.



Clicca qui per aprire una panoramica dalla bocchetta dell'Uschiolo, con il monte Stavello in primo piano, a sinistra

La variante lunga si stacca da quella breve all'altezza della della casera di Combana ("casèra de cumbàna"), all'alpe omonima, che raggiungiamo (m. 1810), che raggiungiamo dal rifugio la Corte come sopra desritto.
Dobbiamo ora salire in Val Combana ("val cumbàna"), regno della più profonda solitudine, che deve il suo nome, forse, alla forma regolare che assume nella sua parte alta, simile a quella di uno scafo ("cumba", in latino). Quindi lasciamo il sentiero della GVO e prendiamo a destra.
Innanzitutto dobbiamo superare il gradino di soglia della valle, dal quale scende, sul lato sinistro (per noi) una bella cascata. Per trovare il sentiero, portiamoci sul lato destro del muretto del grande recinto del bestiame appena a monte della casera e risaliamolo fino al suo vertice alto. Procedendo diritti, vediamo la partenza di una traccia di sentiero (purtroppo nella sua parte bassa non è molto visibile), che sale, quasi diritto, sul crinale di pascoli e macereti. Se fatichiamo a trovarlo, prendiamo come punto di riferimento il rudere di baita che vediamo un po' più in alto, più o meno sulla nostra verticale (o un po' a sinistra), e procediamo in quella direzione. Il sentiero, che qui è ben visibile, passa, infatti, alla sua sinistra e, con alcuni tornantini ed un traverso finale in una macchia di larici, si porta sul lato sinistro del gradino di soglia. Alla fine quella che è ormai diventata una marcata mulattiera approda, a 1795 metri, all'alta Val Combana. È interessante notare che sul versante per il quale siamo saliti si trova anche una sorgente denominata “Acqua di san Carlo” (“acqua de san carlo”): non è l’unica, in Valtellina (ce n’è una nella vicina Gerola, una seconda all’Aprica ed una terza in Valfurva) e, come le altre, è legata alla leggenda del grande santo della Controriforma che, passando in Valtellina, operò in più luoghi il miracolo di far scaturire dalla roccia nuove fonti o di rendere limpide le acque di fonti d’acqua torbida.
Ora dobbiamo procedere a vista, prendendo come riferimento il ramo di sinistra (per noi) del torrente che scende dalla valle. Possiamo scegliere di seguirne il corso, oppure di stare più al centro della valle. In questo secondo caso incontreremo, salendo, due delle tre corti (baite d'alpeggio) complessivamente indicate, sulla carta IGM, come Alpe Piazzi di Fuori, toponimo che, però, non ha riscontro nell'uso locale. Vediamo la prima baita su un dosso erboso, alla nostra destra: si tratta della “prüma curt”, la più bassa, a 2031 metri. Passando alla sua sinistra, saliamo, poi, alla seconda corte (“segùnda curt”, dove si trova anche un rudere di baita, a 2110 metri). In breve siamo, quindi, al pianoro più ampio, che si stende ai piedi della testata della valle; sul suo fondo, verso destra, si trova la terza corte (la “tèrza curt”, o “tèrza curt del làach”, chiamata così perché vi si trova un microlaghetto non sempre visibile, “ul làach”).
Diamo un'occhiata alla testata: il lato
destro (per noi), cioè settentrionale, è occupato dal crinale che la separa dall'alpe Combanina, chiamato "ul pizz
öl"; sull'angolo di destra (nord) essa culmina nella cima denominata, sulla carta IGM, monte Rosetta (m. 2360), ma che è localmente nota come "ul bianchèt".


Apri qui una fotomappa della salita alla bocchetta dell'Uschiolo dalla Val Combana

Al centro, cioè ad ovest, si nota la depressione quotata 2305 metri, che si affaccia sull'aspro versante della Val Lésina (comune di Rogolo), chiamato "pegurèr di mezzàna". Sulla sinistra, nell'angolo di sud-ovest, il crinale culmina della cima del monte Stavello (scima de stavél, m. 2416) che da qui appare poco marcata. Procedendo verso sinistra, notiamo, infine, a sud, il lungo crinale che divide l'alta Val Combana dal bacino di Stavello, in alta Val di Pai, anch'esso chiamato "ul pizzöl"; su questo crinale, dopo una lunga fascia di roccette, vediamo una depressione poco marcata, che costituisce il passaggio naturale fra le due valli: è la bocchetta dell’Uschiòlo, sul crinale omonimo (“buchéta de l’üs-ciöl”), a 2341 metri di quota (sulla carta IGM è quotata, ma non nominata). Da questa piccola porta (tale è il significato di üs-ciöl, con riferimento alle piccole aperture nella parte bassa delle porte delle baite di un tempo) passeremo per scendere poi in Val di Pai.


Val Combana

Vediamo, ora, come procedere. Invece di tagliare il pianoro, prendiamo a sinistra, salendo, per la via più agevole, il crinale occupato da sfasciumi e puntando ad un roccione sotto il quale si vede una piccola nicchia, una sorta di ricovero. C'è anche una debolissima traccia di sentiero che sale al roccione; qui intuiamo una traccia un po' più marcata.


Apri qui una fotomappa della bocchetta del'Uschiolo dall'alta Val di Pai

Dal roccione-ricovero, prendiamo a sinistra e descriviamo un ampio semicerchio procedendo verso la sezione più facile del crinale, sulla quale è posta la bocchetta dell'Uschiolo (m. 2341). Ora dobbiamo, con attenzione e pazienza, guardare sul versante opposto (erboso ed assai ripido) per cercare il sentiero, marcato, che proviene dall'alta Val di Pai. Dopo averlo trovato, con attenzione scendiamo di qualche metro per intercettarlo e lo seguiamo nella successiva graduale discesa verso destra che taglia il ripido fianco della valle (con esposizione a sinistra: attenzione, quindi). Davanti a noi, in basso, vediamo un incantevole pianoro, con un delizioso microlaghetto, dominato, sulla testata della valle, dal monte Rotondo (m. 2496).


Clicca qui per aprire una panoramica dalla baita del pegurèr

Guardiamo, ora, sempre in basso, ma più a sinistra: non appena ci troviamo sulla verticale di un rudere di baita (il ricovero della "malpensàda"), invece di proseguire sul sentiero, tagliamo a sinistra, scendendo, diritti, per il ripido ma accessibile versante erboso. Raggiunto il rudere (m. 2665), prendiamo ancora a sinistra, superando una fascia di massi e scendendo sul lato destro i un largo canalone, in direzione di due grandi ometti, fino a giungere in vista della baita quotata 2178 metri (“bàita del pegurèr”), che resta più in basso, alla nostra destra, su un bellissimo terrazzo che ospita dal quale il colpo d’occhio sul gruppo del Masino e sulla testata della Valmalenco è molto buono. Proseguiamo nella discesa, tenendo il lato destro del canalone, e passando a sinistra del piccolo crinale che separa la sezione settentrionale da quella meridionale dell'alpe Stavello. Alla fine, senza particolari problemi, ci ritroviamo al baitone ed al rifugio Alpe Stavello (m. 1844), dove possiamo godere del meritatissimo riposo.


Il rifugio Alpe Stavello

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