PRESENTAZIONE

La Val Gerola, per l’ampiezza, gli insediamenti umani, gli alpeggi di pregio, la ricchezza di convalli e di elementi di interesse storico e naturalistico, è la regina delle valli orobiche. È divisa nel territorio di ben quattro comuni, con altrettanti insediamenti permanenti principali, Sacco, Rasura, Pedesina e Gerola Alta, ciascuno con le proprie peculiarità culturali ed economiche, come lascia intendere una vecchia filastrocca che li mette in fila: “Sach paìs da stach, Resüra prat da segà, Pedesina munt da cargà, Giaröla bosch da taià”. Vale a dire: Sacco godeva della sua ottima posizione, Rasura dell’abbondanza dei suoi prati da sfalcio, Pedesina dei suoi alpeggi e Gerola dei suoi boschi. Da qui l’idea di tracciare un’alta via che tocchi i luoghi più significativi della valle, percorrendola ad anello da Morbegno a Morbegno (o, in una versione più breve che salta la prima tappa, da Rasura a rasura). Niente di ufficiale, niente di istituzionalizzato, solo una proposta, un’idea per passare sei (o cinque) giorni nel regno del Bitto, il re dei formaggi grassi d’alpe ed il prodotto più significativo di una cultura che qui conserva la sua identità e le sue radici vitali. Condizioni: buon allenamento, condizioni meteorologiche buone, buon senso dell’orientamento per un percorso che una sola volta (discesa alla bocchetta Paradiso al lago Rodondo) propone un passaggio che richiede cautela e buona esperienza escursionistica.


Val Bomino

ALTA VIA DELLA VAL GEROLA- 5- DAL RIFUGIO SALMURANO A BEMA

Punti di partenza ed arrivo
Tempo necessario
Dislivello in altezza
in m.
Difficoltà (T=turistica, E=escursionistica, EE=per escursionisti esperti)
Rif. Salmurano-Lago di Pescegallo-Forcellino-Passo di Verrobbio-Val Bomino-Alpe Dosso Cavallo-Bocchetta e baita di Aguc-Pizzo Berro-Rif. Ronchi-Bema
8 h
1110
EE

SINTESI. Al rifugio Salmurano (1848) seguiamo i cartelli con l'indicazione della GVO. Seguendola, troviamo la partenza del vicino sentiero che, attraversando, in direzione nord-est, una fascia di larici ed ontani, circondata da diversi paravalanghe, scende leggermente ad intercettare la pista sterrata che da Pescegallo sale alla casera di Pescegallo (m. 1778). Procediamo salendo sulla pista e passando poco sopra una baita solitaria. Cominciamo a vedere le strutture della diga. Passiamo a destra di un ampio ripiano acquitrinoso e ad un cartello che segnala il lago di Pescegallo ed il passo di San Marco lasciamo la pista, salendo un dosso erboso alla nostra destra. Finalmente il lago ci appare. Procedendo verso sinistra passiamo per le case dei guardiani e ci portiamo al camminamento della diga (m. 1865). Sul lato opposto troviamo il cartello del sentiero 161, che dà il passo del Forcellino a 30 minuti, il passo di Verrobbio a 50 minuti ed il passo di San Marco ad un'ora e 50 minuti (le prime due indicazioni sono per la verità un po' ottimistiche). Prendiamo a destra e proseguiamo sul marcato sentiero, nel primo tratto quasi pianeggiante, che si dirige verso sud-est, correndo quasi parallelo alla riva orientale del lago, fino ad un bivio, al quale prendiamo a sinistra. Il sentiero comincia ad inanellare tornanti sul ripido versante che separa l'alta Valle di Pescegallo dall'alta Val Bomino: è sempre largo, ma il fondo è piuttosto sconnesso e faticoso. Dopo un'ultima svolta a destra all'improvviso siamo allo stretto intaglio di roccia del Forcellino (m. 2050). Sul lato opposto si apre la solitaria Val Bomino. Il sentiero, sempre marcato comincia a perdere rapidamente quota, con diversi tornanti. Un passaggio su rocce che spesso vengono solcate da acque insidiose è protetto da corde fisse. Dopo un ultimo tornante dx, il sentiero, dopo aver perso un centinaio di metri di quota, comincia a traversare in piano l'alto versante meridionale della valle. Attraversato un corpo franoso, il sentiero sale per breve tratto ed aggira uno speroncino roccioso. Sul lato opposto appare chiaramente l'ampia sella erbosa del passo di Verrobbio, m. 2026) al quale il sentiero in breve sale. Poco prima del passo, però, non seguiamo il cartello della GVO che segnala la prosecuzione del sentiero per il Passo di San Marco, ma imbocchiamo il sentiero segnalato (161) che se ne stacca sulla sinistra e comincia a scendere sul fianco destro della Val Bomino. Il sentiero si infila in una valletta che supera da sinistra a destra e passa accanto alla più alta delle casere dell'alpe Bomino, a ridosso del versante orientale della valle. Sempre restando a destra della valletta scende poi diritto, piega leggermente a destra, taglia due vallecole laterali, passa a destra di un barek (porzione di pascolo delimitata da bassi muretti a secco) e porta alla casera mediana. Qui piega a sinistra, poi di nuovo a destra e scende ad intercettare la pista sterrata della Val Bomino, presso la casera dell'alpe Bomino Solivo (m. 1598). A questo punto seguiamo la pista proseguendo nella discesa della valle, verso nord-ovest. Dopo una coppia di tornanti sx-dx, superiamo su un ponte il torrente Bomino e scendiamo ancora restando alla sua sinistra. Dopo un buon tratto diritto, la pista piega a destra e porta ad un bivio: mentre il ramo di destra prosegue scendendo a Nasoncio, quello di destra supera un ponte sul torrente Bomino e sul lato opposto piega a sinistra. Qui troviamo sul lato destro della pista la segnalazione del sentiero 133 che sale all'alpe Dosso Cavallo, per la quale dovremo passare. Ci conviene però proseguire sulla pista per un buon tratto, fino a quando si restringe a mulattiera. Troveremo un nuovo sentiero, segnalato da tre cartelli, che se ne stacca sulla destra: qui lasciamo la pista e saliamo sul sentiero che parte alla nostra destra (indicazioni per l'alpe Cavallo), su marcato sentiero in pecceta. Superata la baita solitaria (radura a quota 1352), veniamo intercettati da un sentiero che sale da destra. La salita termina alla parte bassa dell'alpe Dosso Cavallo (m. 1606). Passiamo a sinistra delle baite ed ignoriamo un primo sentiero che prende a sinistra, verso il limite del bosco. Il sentiero da imboccare è più in alto: stiamo sulla parte sinistra dei prati e saliamo per un pezzo, fino ad un sasso sul quale è tracciato un doppio segnavia rosso-bianco-rosso. Seguiamo il sentiero che taglia a sinistra, per poi volgere a destra e raggiungere, dopo pochi tornanti in una macchia di larici, il limite inferiore dell’alpe Dosso Cavallo alta. Di qui ci portiamo alle baite dell’alpe, poste quasi sul limite superiore dei prati, a 1865 metri. il sentiero che si stacca dall’alpe, sempre sulla sinistra, appena sopra le baite, e traversa la parte alta della Valburga, fino alla bocchetta di Agucc (m. 1890), poco sotto la quale, sul versante della valle del Bitto, si trova la solitaria baita di Aguc (m. 1876). Qui troviamo tre cartelli e seguiamo la direzione per il pizzo Berro (nord, a sinistra per chi scende alla baita). Procediamo su un sentiero pianeggiante, ignoriamo la deviazione a destra per l'alpe Garzino e siamo alla baita Piazzoli (m. 1824). Alla baita pieghiamo decisamente a sinistra e, salendo in diagonale, guadagniamo il crinale del dosso in corrispondenza di un’evidente sella erbosa. Seguiamo ora la debole traccia che segue il lungo dosso di Bema, passando per diverse elevazioni (quotate, rispettivamente, 1882, 1882, 1886, 1837 e 1816 metri), seguite da altrettante depressioni o sellette, prima di giungere ai piedi del pizzo Berro (m. 1847). Dalla croce della vetta troviamo sulla destra (direzione nord-est) il sentiero che scende in una splendida pecceta. Dopo una serie di tornantini, incontriamo la sorgente Aser, poi siamo ai prati del Fracino (m. 1520). Passati a destra di un baitone, rientriamo nel bosco, ignoriamo una deviazione a destra per prato Martino e Pegolota, e raggiungiamo la località Geai. Poco sotto, intercettiamo una pista sterrata e percorrendola verso sinistra, raggiungiamo, in breve, il rifugio Ronchi nella località omonima (m. 1170; di, da marzo a novembre, possiamo pernottare), dal quale, seguendo la strada o tagliando per la più ripida mulattiera, scendiamo tranquillamente alle case alte di Bema.


Apri qui una fotomappa dell'alta Val Gerola orientale

La quinta tappa dell'Alta Via della Val Gerola parte dal rifugio Salmurano (m. 1848), dove troviamo i cartelli con l'indicazione della GVO. Seguendola, troviamo la partenza del vicino sentiero che, attraversando, in direzione nord-est, una fascia di larici ed ontani, circondata da diversi paravalanghe, scende leggermente ad intercettare la pista sterrata che da Pescegallo sale alla casera di Pescegallo (m. 1778; si tratta di un ramo che si stacca dalla pista principale, citata sopra, Pescegallo-Salmurano).


Lago di Pescegallo

Procediamo salendo sulla pista e passando poco sopra una baita solitaria. Cominciamo a vedere le strutture della diga. Passiamo a destra di un ampio ripiano acquitrinoso e ad un cartello che segnala il lago di Pescegallo ed il passo di San Marco lasciamo la pista, salendo un dosso erboso alla nostra destra. Finalmente il lago ci appare, ampio e tranquillo. Procedendo verso sinistra passiamo per le case dei guardiani e ci portiamo al camminamento della diga (m. 1865), mentre procedendo diritti scendiamo alla riva occidentale del lago. La conca di Pescegallo è coronata da cime non altissime, ma dalle forme suggestive. Da oriente (sinistra) vi si trovano le cime di Ponteranica (“piz de li férèri”, orientale, m. 2378, meridionale, m. 2372, occidentale, m. 2370) ed il monte Valletto (“ul pizzàl” o “ul valét”, m. 2371). Qualche notizia interessante sul lago quando ancora era naturale ci viene offerta dal dott. Paolo Pero, professore di Storia Naturale al Liceo “G. Piazzi” di Sondrio, nell’operetta “I laghi alpini valtellinesi”, edita a Padova nel 1894:


Lago di Pescegallo

Il lago Pescegallo o Pizzigallo è situato in una conca amena,che occupa la parte superiore d'una valletta del versante destro della Valle di Pescegallo, la quale, unendosi, poco sotto le case di Fenile, colla Valle dell'Inferno, forma il lungo ramo della Val Bitto di Gerola. A S. del lago s'innalza il monte Panteranica (2478 m.), a S.E. il monte Colombarolo (2141 m.) e ad E. il pizzo di Verobbio (2026 m.); a S. O. il monte Valletto (2374 m.) ed il pizzo di Salmurano (2376 m.). Dal monte Valletto e dal Colombarolo si distaccano due creste che piegando verso e N.O. si continuano coi versanti della Valle di Pescegallo.


Apri qui una fotomappa della salita dal lago di Pescegallo al Forcellino con le due deviazioni per la cima del Larice

Il lago ha forma triangolare e quasi di cuore, colla punta che guarda S.E. e colla parte opposta assai ottusa verso N.N.O. Ha sponde a lieve pendio e mollemente ondulate. le quali, verso E. e N.E. si continuano superiormente col versante erboso della Valle, mentre il fianco opposto è alquanto franoso. Le vette circostanti sono assai scoscese, brulle e biancheggianti, ai cui piedi s'estendono gli angolosi elementi detritici, che da quelle si staccano. Fra questi detriti scorrono le acque che derivano dalla fusione delle nevi e dalla lenta filtrazione, lo quali, unendosi più al basso,in piccoli ruscelli, alimentano il lago, il quale a N. O. si scarica in un abbondante emissario, che piegando tosto ad O. va ad unirsi col torrente della Valle di Pescegallo.


Lago di Pescegallo

Circa la natura della roccia, che circonda il lago, ho notato come esso posi sopra due formazioni litologiche differenti. Nella sua metà verso S. le sponde ed i dintorni sono formati di arenaria a grana finissima, di un bel coloro rosso porporino, tempestata qua e là da qualche elemento più grosso e tondeggiante, che talora, per la maggior frequenza, impani) alla roccia un aspetto di vera puddinga. Nell'altra metà invece, verso N. e N.O. predomina una roccia molto schistosa e biancheggiante per abbondanza di moscovite, ed in cui campeggiano grandi noduli di quarzo bianco e giallognolo. Questa roccia ha strati bene evidenti, che s'innalzano quasi perpendicolarmente all'orizzonte, olla direzione da N. a S. Numerose diaclasi fendono perpendicolarmente quegli strati in massi di varie dimensioni, che rovinando al basso, rivestono poi i fianchi ed i piedi dei monti sopra accennati.
Verso N. e N.O. e specialmente presso l'emissario, la roccia in posto emerge sotto forma di cocuzzoli arrotondati, libera da qualunque detrito. Sono questi cocuzzoli che propriamente trattengono le acque del lago, onde esso appare di origine orografica. Situato all'altezza di 1855 m. s. m., come rilevo dalle cartelle topografiche dell'Istituto militare; ed ha una superficie di 31200 m. q. secondo il solito elenco dei laghi compilato dal Cetti.

Io lo visitai il giorno 7 Settembre 1892, e vi giunsi alle ore 2 pom. proveniente dalla Ca S. Marco, pel passo di Verobbio. Le sue acque presentavano un colore oscuro e quasi nero, vedute dall'alto, ed un bell'azzurro intenso, quale é dato dal num. III. della scala Forel, osservate da presso. La temperatura interna mi risultò di 11°C e l'esterna di 13° 2 C.alle 2 e mezza pom. con cielo coperto e quasi piovoso. Sulla sponda erbosa di E. e di N.E. rinvenni abbondantissima la Parnassia palustris L. e la Euphrasia officinalis L. Nei seni delle sponde poco profondi vivevano pur copiosi i girini della Rana temporaria Lin. la maggior parte dei quali era d'un color grigiastro, per albinismo parziale, in stato di non troppo avanzata metamorfosi, avendo appena accennate le estremità posteriori.


Val Bomino

Sotto i sassi della sponda verso N. trovai parecchi individui di Collus gobio Ag. e ne scorsi parecchi altri di Trutta fario L. i quali, per la gran calma, uscivano colla testa fuori delle acque, in alto lago, ad abboccare degli insetti. Presso l'emissario, gli strati della roccia in posto, sono tappezzati qua e là da fittissimo strato verdognolo, di conferve che talora si protendono in fili ramificati verticalmente, o sotto piegati rinuosamente, presso l'emissario, dal moto della corrente. Il fondo del lago, nella parte più esterna della regione litorale, è formato di ghiaia, con poco sviluppo di feltro organico, piuttosto copioso di specie diatomologiche. La maggior parte di queste le rinvenni nel sottilissimo strato gelatinoso che, a guisa di patina, ricopre i ciottoli, dai quali l'asportavo raschiando con una lama di coltello.
Dobbiamo ora proseguire la traversata della GVO puntando al Forcellino ed al passo di Verrobbio, che si trova in cima alla Val Bomino, situata ad est della valle di Pescegallo. Procediamo così.
Dalla casa dei guardiani imbocchiamo il camminamento della diga. Sul lato opposto troviamo il cartello del sentiero 161, che dà il passo del Forcellino a 30 minuti, il passo di Verrobbio a 50 minuti ed il passo di San Marco ad un'ora e 50 minuti (le prime due indicazioni sono per la verità un po' ottimistiche o, se preferite, atletiche: aggiungiamo 20-30 minuti complessivi).
Un secondo cartello segnala il più difficile sentierino che, raggiunto il crinale, in 40 minuti porta al monte Motta. Lo vediamo salire lungo un ripido avvallamento erboso che merita di essere osservato per la curiosa leggenda cui è legato. È chiamato localmente “la cüna”, cioè “la culla”: vi sarebbe stato ritrovato in un lontano passato un bambino, che era sopravvissuto grazie ad una camoscia che lo aveva allattato. Al bambino sarebbe stato dato il nome di “Spandrio”. Leggenda curiosa, perché è raro trovarne di analoghe sull'arco alpino, costruite sullo schema del bambino selvaggio allattato da animali.
Volgiamo però le spalle al ripido vallone, prendiamo a destra e proseguiamo sul marcato sentiero, nel primo tratto quasi pianeggiante, che si dirige verso sud-est, correndo quasi parallelo alla riva orientale del lago, fino ad un bivio, al quale prendiamo a sinistra. Il sentiero comincia ad inanellare tornanti sul ripido versante che separa l'alta Valle di Pescegallo dall'alta Val Bomino: è sempre largo, ma il fondo è piuttosto sconnesso e faticoso. Guardando in alto, non riusciamo ad indovinare dove si trovi il sospirato passo.


Sentiero per il passo di Verrobbio

Dopo un'ultima svolta a destra (qui dal sentiero si stacca un sentierino che sale ripido in direzione del versante), all'improvviso siamo allo stretto intaglio di roccia del Forcellino (m. 2050). Sul lato opposto si apre la solitaria Val Bomino. Sullo sfondo occhieggiano alcune fra le più famose cime del gruppo del Masino, i pizzi Badile e Cengalo, i pizzi del Ferro e, la cima di Zocca e la cima di Castello.
Il sentiero, sempre marcato (la sua origine è militare, e capire il perché giunti al passo di Verrobbio) comincia a perdere rapidamente quota, con diversi tornanti. Un passaggio su rocce che spesso vengono solcate da acque insidiose è protetto da corde fisse. Dopo un ultimo tornante dx, il sentiero, dopo aver perso un centinaio di metri di quota, comincia a traversare in piano l'alto versante meridionale della valle, dove non è raro trovare greggi di capre che pascolano più in alto e lasciano di tanto in tanto rotolare in basso qualche masso che può costituire un pericolo.


Passo di Verrobbio

Attraversato un corpo franoso, il sentiero sale per breve tratto ed aggira uno speroncino roccioso. Sul lato opposto appare chiaramente l'ampia sella erbosa del passo di Verrobbio (“buchéta de Bumìgn”, denominata, sul versante bergamasco, “pàs de Véròbi”, m. 2026). Il sentiero sale in diagonale le ultime balze erbose, passa a sinistra del laghetto di Verrobbio e dopo l'ultima breve salita raggiunge il ripiano erboso del passo, che si affaccia sulla Val Nera (Val Brembana).
Colpiscono le fortificazioni militari, trinceramenti ed una cavità della roccia per osservare il versante di Val Bomino. Si tratta di un segmento importante del Sentiero Cadorna, cioè di quel complesso di fortificazione costruite durante la Prima Guerra Mondiale, quando si temeva che un eventuale sfondamento degli Austriaci sul fronte dello Stelvio o un'invasione dalla neutrale Svizzera che avrebbe fatto del crinale orobico un fronte di importanza strategica per evitare uno sfondamento nella pianura padana. Oggi sembra remotissima l'eco di quei tempi lontani più di un secolo: solo le nebbie che spessissimo sostano qui e non se ne vogliono andare sembrano intonarsi perfettamente alla profonda malinconia che il ricordo di quei tempi suscita.


Laghetto di Verrobbio

Ma l’importanza storica di questo passo ha radici molto più antiche. Fino al 1593, anno dell’apertura della celebre via Priula, il passo di Verrobbio fu forse il più importante valico orobico, perché di qui passava l’importantissima via commerciale che da Bergamo (cioè, dal 1428, dalla Serenissima Repubblica di Venezia) si portava alla Valtellina ed ai paesi di lingua germanica, al nord. Una via assai frequentata nel Medio Evo, chiamata, con nome latino, “Via Mercatorum”, via dei mercanti. Da Bergamo saliva al Averara, dove si trovava una dogana, e da Averara, per la Val Mora, al passo di Verrobbio, dal quale si scendeva a Morbegno (per questo il passo era chiamato anche passo di Morbegno). Alla fine del Cinquecento la più comoda Via Priula, che nel primo tratto si sovrapponeva alla prima ma poi in alta Val Mora se ne distaccava salendo al passo di San Marco e scendendo per la Valle del Bitto di Albaredo a Morbegno, soppiantò la Via Mercatorum, che però non ha perso il suo fascino storico.
Poco ad ovest del passo troviamo un grazioso microlaghetto, nel quale non riescono a specchiarsi le lontane cime che si mostrano a nord-ovest. Si tratta delle cime del versante occidentale della Val Chiavenna e della Valle Spluga, che culminano nel pizzo Tambò, sulla destra.


Laghetto di Verrobbio

Poco prima del passo, però, non seguiamo il cartello della GVO che segnala la prosecuzione del sentiero per il Passo di San Marco, ma imbocchiamo il sentiero segnalato (161) che se ne stacca sulla sinistra e comincia a scendere sul fianco destro della Val Bomino. Il sentiero si infila in una valletta che supera da sinistra a destra e passa accanto alla più alta delle casere dell'alpe Bomino, a ridosso del versante orientale della valle. Sempre restando a destra della valletta scende poi diritto, piega leggermente a destra, taglia due vallecole laterali, passa a destra di un barek (porzione di pascolo delimitata da bassi muretti a secco) e porta alla casera mediana. Qui piega a sinistra, poi di nuovo a destra e scende ad intercettare la pista sterrata della Val Bomino, presso la casera dell'alpe Bomino Solivo (m. 1598). A questo punto seguiamo la pista proseguendo nella discesa della valle, verso nord-ovest. Dopo una coppia di tornanti sx-dx, superiamo su un ponte il torrente Bomino e scendiamo ancora restando alla sua sinistra. Dopo un buon tratto diritto, la pista piega a destra e porta ad un bivio: mentre il ramo di destra prosegue scendendo a Nasoncio, quello di destra supera un ponte in legno sul torrente Bomino e sul lato opposto piega a sinistra.


Sentiero per l'alpe Cavallo

Superato il torrente Bomino (che segna anche il confine fra i comuni di Gerola e di Bema, per cui passiamo nel territorio di quest’ultimo comune) proseguiamo su una pista più stretta, incontrando subito, sulla destra, un sentierino (133) che se ne stacca salendo nel bosco: potremmo sfruttarlo, perché porta all’alpe Dosso Cavallo, ma è preferibile proseguire ed imboccare un secondo sentiero, che si stacca sulla destra dalla pista più avanti, in corrispondenza di altri tre cartelli, ad una quota di 1290 metri. Da essi possiamo evincere che proseguendo sulla pista (che però più avanti si fa sentiero) si raggiungono, dopo un’ora e 30 minuti, le baite Taida, dopo due ore e 20 minuti S. Rocco e quindi Bema (è, questo, l’itinerario per il quale si può compiere, dunque, una bella traversata da Gerola a Bema, posta proprio al centro, sul dosso omonimo, delle valli del Bitto); imboccando, invece, il sentiero ci portiamo, in quaranta minuti, all’alpe Dosso Cavallo e, dopo un’ora e mezza, alla baita Agucc.
Saliamo, quindi, lungo il sentiero (segnalato da segnavia bianco-rossi e rosso-bianco-rossi), in una cornice davvero stupendo: il sentiero, infatti, è circondato da una pineta fantastica, tanto fitta, in alcuni punti, da offrire l’impressione di un bosco magico, suscitando il desiderio di inoltrarsi per vedere quale mai riposto arcano celi in sé. In passato però la cosa veniva vista con occhi più prosaici, e da questi boschi veniva ricavato carbone di legna.


Alpe Cavallo inferiore

Dopo un primo tratto di salita, in direzione nord, sbuchiamo in una piccola radura, dove si trova una baita solitaria, quotata m. 1352, Rientriamo subito nel bosco, per proseguire la salita su una bella mulattiera, in direzione sud-est, fino ad intercettare, a quota 1435, un sentiero che proviene da destra (si tratta del sentiero già menzionato, che si stacca dalla pista subito dopo il ponte di Bomino).


Alpe Cavallo inferiore

Manca poco all’alpe: dopo un ultimo tratto con fondo davvero bello, sbuchiamo ai suoi prati inferiori. L’alpe è ancora caricata, d’estate, e questo attenua il forte senso di solitudine suscitato da questi luoghi. All’alpe Dosso Cavallo troviamo due baite, quotate 1606 metri, ed una grande vasca in cemento per la raccolta dell'acqua. Dobbiamo, ora, portarci all’alpe alta, separata, da quella bassa, da una fascia occupata da una macchia e da roccette. Per farlo, non dobbiamo, però, commettere l’errore di imboccare il sentierino che parte, poco sopra la baita di sinistra, e si inoltre nel bosco, sul limite sinistro dei prati. Un segnavia isolato, infatti, può indurre questo errore. Il sentiero finisce per perdersi nel cuore nella fitta macchia della Valburga (nome inquietante e quanto mai appropriato per questi luoghi cupi ed ombrosi: la notte di Santa Valburga, secondo le credenze dei secoli passati, era una delle notti nelle quali si tenevano i più paurosi raduni delle streghe ed i sabba più oscuri).


Alpe Cavallo inferiore

Il sentiero da imboccare è più in alto: teniamoci, dunque, sulla parte sinistra dei prati e saliamo per un pezzo. Lo troveremo, così, facilmente, segnalato anche da un sasso sul quale è tracciato un doppio segnavia rosso-bianco-rosso. Tale sentiero taglia a sinistra, per poi volgere a destra e raggiungere, dopo pochi tornanti in una macchia di larici, il limite inferiore dell’alpe alta.
Qui ci accoglie un calecc solitario; le baite dell’alpe sono più in alto, quasi sul limite superiore dei prati, a 1865 metri. Su una di queste baite si trova l’indicazione GV, con una freccia bidirezionale: essa si riferisce al fatto che questo percorso costituisce una variante bassa della Gran Via delle Orobie rispetto al percorso canonico che passa per i passi del Forcellino e di Verrobbio e raggiunge il passo di San Marco. L’alpe è dominata, sul punto culminante del dosso, dal pizzo Dosso Cavallo (m. 2068). La sua parte più alta viene localmente denominata "Selvapiana".
Il panorama non è molto ampio, ma è interessante, soprattutto verso nord-ovest.


Sentiero per l'alpe Cavallo superiore

Interessante è anche la sua storia: a lungo diviso nelle due parti superiore ed inferiore, il Dòs Cavàl (alpeggio attestato per la prima volta in un documento del 1321) venne unificato dalla chiesa parrocchiale di Gerola, che la possedette fra il Seicento e l'Ottocento. Venne poi acquistata dalla famiglia Del Nero di Morbegno ed infine passò all'Azienda di Stato per le Foreste Demaniali (in seguito Ente Regionale, l'ERSAF).


Alpe Cavallo superiore

Possiamo poi prolungare l'escursione visitando l'alpeggio gemello che si trova sul versante opposto del lungo dosso di Bema, cioè l'alpe di Vesenda alta. Per farlo dobbiamo trovare il sentiero che porta alla bocchetta di Agucc, sul dosso che separa le valli del Bitto. Un primo sentiero si stacca, poco sotto le baite, dal limite sinistro dei prati; potremmo utilizzare anche questo, ma nell’ultimo tratto finisce per perdersi, poco sotto la bocchetta. Meglio imboccare il sentiero che si stacca dall’alpe, sempre sulla sinistra, appena sopra le baite, e traversa la parte alta dell'ombrosa ed inquietante Valburga (Val Bürga).
Alla fine, eccoci alla bocchetta di Agucc
(Buchèta de Agüc), poco sotto la quale, sul versante della valle del Bitto, si trova la solitaria baita di Aguc (o Agucc, Baita de Agüc, m. 1876 IGM, o 1857, stando a quanto riportato sulla baita stessa), posta in una bella conca erbosa. Sulla baita troviamo una curiosa indicazione, che dà Bema ad 11 chilometri. Si riferisce al sentiero che percorre interamente il crinale del lungo dosso di Bema, raggiunge il pizzo Berro e scende, infine, a Bema, il percorso che sfrutteremo per portare a termine l'escursione. Gustiamo però interamente la pace e la solitudine di questo luogo, prima di rimetterci in cammino.
Nel caso avessimo dei dubbi sulla direzione da prendere (quella nord, alla sinistra per chi scende dalla bocchetta di Aguc), possiamo consultare i tre cartelli che si trovano presso la baita, e che danno nella direzione dalla quale proveniamo l’alpe Dosso Cavallo a 35 minuti, il ponte di Bomino ad un’ora e 15 minuti e Nasoncio a 2 ore e 15 minuti, nella direzione di destra (sud) l’alpe Vesenda alta a 45 minuti ed infine nella direzione che ci interessa (nord) il pizzo Berro a 40 minuti.
Incamminiamoci sul sentiero che, con andamento sostanzialmente pianeggiante, ci porta alla solitaria baita Piazzoli (m. 1824). Prima della baita ignoriamo una deviazione sulla destra, segnalata su un sasso, che scende all’alpe Garzino. Raggiunta la baita, preceduta da una vasca in cemento per la raccolta dell’acqua, pieghiamo decisamente a sinistra e, salendo in diagonale, guadagniamo il crinale del dosso in corrispondenza di un’evidente sella erbosa. Molto bello il panorama che già da qui si apre: alla nostra sinistra sfilano le cime della testata e della costiera occidentale della Val Gerola, mentre a destra lo sguardo raggiunge le cime del gruppo del Masino, dal pizzo Badile al monte Disgrazia, ed alcuni dei colossi della testata della Valmalenco. Più a destra ancora, infine, uno spaccato del versante orientale della Valle del Bitto di Albaredo, con in primo piano il passo di Pedena.


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Inizia ora l’entusiasmante cavalcata che ci fa rimanere sulla sella del dosso fino alla sua ultima impennata, il pizzo Berro. La traccia di sentiero, segnalata da alcuni segnavia bianco-rossi, è in buona parte tranquilla; in alcuni punti, però, il versante leggermente esposto richiede un po' di attenzione. Si tratta, dunque, di una cavalcata vera e propria, perché l’andamento della cresta e del sentierino che la segue sembra seguire il ritmo di un cavallo al galoppo, proponendo diversi saliscendi, con tratti all’aperto che si alternano a brevi macchie di larici. Tocchiamo, nella cavalcata, diverse elevazioni (quotate, rispettivamente, 1882, 1882, 1886, 1837 e 1816 metri), seguite da altrettante depressioni o sellette, prima di giungere ai piedi del pizzo Berro (m. 1847), al quale saliamo percorrendo la traccia, seminascosta fra la vegetazione, che propone un ultimo ripido strappo.
La croce della cima erbosa del pizzo è il premio dei nostri sforzi. Il panorama dal pizzo è veramente ampio: ad ovest lo sguardo raggiunge le Alpi Lepontine, mentre a nord ovest domina la costiera dei Cech. A nord, si può ammirare, a destra della cima del Desenigo (m. 2845), la massima elevazione della Costiera dei Cech, buona parte della testata della Val Masino: si scorgono, da sinistra, i pizzi Badile (m. 3308) e Cengalo (m. 3367), sono ben visibili i pizzi del Ferro (occidentale, o cima della Bondasca, m. 3289, centrale m. 3232, orientale m. 3199), le cime di Zocca (m. 3175) e di Castello (la massima elevazione del gruppo del Masino, con i suoi 3386 metri), la punta Rasica (m. 3305), i pizzi Torrone (occidentale m. 3349, centrale m. 3290, orientale m. 3333) ed il monte Sissone (m. 3331). Chiude la testata l’imponente monte Disgrazia (m. 3678). Mancano all’appello le cime più alte della Valmalenco, ma è ben visibile il pizzo Scalino (m. 3323).
Ad est si impongono, sul versante orientale della Valle del Bitto di Albaredo (val del bit de albarée), tre cime: il monte Lago (m. 2353), il monte Pedena (m. 2399) ed Azzarini (m. 2431). Fra questi ultimi due monti si trova l’ampia e facilmente riconoscibile sella del passo di Pedena (m. 2234), che unisce la val Budria (dal termine bergamasco “büder”, che significa “vaso fatto di scorza di abete) alla valle del Bitto di Albaredo: si tratta dell’unica porta fra quest’ultima valle e la Val Tartano
. L’elegante triade di cime nasconde, però, il più ampio panorama delle Orobie centro-orientali.
Proseguiamo, quindi, nel giro di orizzonte in senso orario, puntando con lo sguardo a sud-est: riconosceremo facilmente, anche per la presenza dei tralicci che lo valicano, il più famoso passo di san Marco (m. 1992), che congiunge la Valle del Bitto di Albaredo alla Val Brembana, sul versante orobico bergamasco. A sud si domina il lungo crinale che dal pizzo Berro sale fino al pizzo di Val Carnera (m. 2216) ed al monte Verrobbio (m. 2139).
Alla sua destra si può ammirare la testata della Val Gerola, sulla quale è riconoscibile, da sinistra, il monte Ponteranica (m. 2378), alla cui destra si trova il caratteristico spuntone roccioso denominato monte Valletto (m. 2371); seguono il caratteristico uncino del torrione della Mezzaluna (m. 2373), il pizzo di Tronella (m. 2311) ed il più massiccio pizzo di Trona (m. 2510), alla cui destra si vede la bocchetta omonima (m. 2092), importante porta fra alta Val Gerola ed alta Val Varrone; alle spalle della bocchetta si scorge il pizzo Varrone (m. 2325), con il caratteristico Dente. Rimane, invece, seminascosto proprio dietro il pizzo di Trona il più famoso pizzo dei Tre Signori (m. 2554).


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Verso ovest, infine, si vedono le cime del versante occidentale della Val Gerola, vale a dire, da sinistra, il pizzo Mellasc (m. 2465), il monte Colombana (m. 2385) ed il monte Rotondo (m. 2496), fra i quali si apre la bocchetta di Stavello (“buchéta de Stavèl”, m. 2210), il monte Rosetta (m. 2360), il monte Combana (m. 2327), la cima della Rosetta (m. 2142),il pizzo Olano (m. 2267) ed il pizzo dei Galli (m. 2217).
Una curiosità: sulla cima del pizzo si trovano anche alcuni mirini guardando all’interno dei quali si puntano obiettivi importanti come il monte Disgrazia, il pizzo Badile e l’alpe Granda. Presso la croce si trova anche un piccolo altare collocato nel 2002, l’anno internazionale della montagna. Non manca, infine, una cassetta che contiene un quaderno sul quale segnare il proprio passaggio.


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Si tratta, ora, di scendere: il sentiero parte nei pressi della croce, sulla destra (direzione nord-est), e scende in una splendida pecceta. Dopo una serie di tornantini, incontriamo la sorgente Aser, fontana alla quale possiamo attingere acqua fresca se ne abbiamo bisogno. La successiva discesa sul sentiero principale (ignoriamo una deviazione) ci porta al limite alto dei prati della località Fracino (m. 1520), dove troviamo tre cartelli, che danno, nella direzione dalla quale proveniamo, il pizzo Berro a 50 minuti, nella direzione di destra la Costa a 15 minuti e (indicazione che ci interessa) nella direzione di discesa i Ronchi a 45 minuti.
Scendiamo, dunque, lungo i prati, lasciano alla nostra sinistra un’elegante baita. Rientrati nel bosco, ignoriamo una deviazione a destra per prato Martino e Pegolota, e raggiungiamo la località Geai, dove si trova un grande casello dell’acqua, una simpatica fontana ed un tavolino utile per un’eventuale sosta. L’ultimo tratto della discesa ci porta ad intercettare la pista sterrata che taglia il fianco orientale del dosso di Bema.
Percorrendola verso sinistra, raggiungiamo, in breve, il rifugio Ronchi nella località omonima (m. 1170; qui, da marzo a novembre, possiamo pernottare; per informazioni telefonare comunque al 333 6719038), dal quale, seguendo la strada o tagliando per la più ripida mulattiera, caliamo tranquillamente alle case alte di Bema, passando per la grande croce posta a ricordo del Convegno Eucaristico Diocesano del 1997.


Bema

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