CARTA DEL PERCORSO - GALLERIA DI IMMAGINI


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Punti di partenza ed arrivo
Tempo necessario
Dislivello in altezza
in m.
Difficoltà (T=turistica, E=escursionistica, EE=per escursionisti esperti)
Delebio-Piazzo Minghino-Osiccio-Mottalla dei Larici-Alpe e rifugio Legnone
5 h
1400
E
SINTESI. Lasciata l'ex-statale 38 dello Stelvio sulla destra (per chi proviene da Milano) in corrispondenza della chiesa parrocchiale di San Carpoforo, saliamo alla parte alta del paese, portandoci al parcheggio presso la centrale a ridosso del monte. Lasciata qui l'automobile, ci incamminiamo sulla stradella acciottolata che sale ripida ai maggenghi sopra il paese passiamo per la località Campo Beto (Cambèèt, m. 460) ed usciamo alla radura di Piazzo Minghino (Ciazménghìn o Césmenghìn, m. 532), dove si trova un piccolo bacino idroelettrico. Poco sopra siamo alla località Tagliata e ad un bivio. Qui prendiamo la stradella acciottolata di destra seguendo il cartello che dà Osiccio a 40 minuti, l'alpe Legnone a 3 ore e 10 minuti. Saliamo così diritti ai prati di Osiccio di Sotto, che si prolungano fino ad Osiccio di Sopra (usìic', m. 922). Dall’estremità superiore dei prati parte un sentiero molto ripido, che corre sul filo del dosso e guadagna abbastanza rapidamente i prati di Piazza Calda (m. 1165). Alle soglie dei 1200 metri, seguendo le indicazioni per l’alpe Legnone ed i segnavia bianco-rossi, lasciamo anche questi prati e ci addentriamo nel bosco, seguendo un sentiero ben tracciato che compie un lungo traverso in direzione sud-ovest (destra), giungendo a sormontare un vallone scosceso, guadagnando, a circa 1300 metri, una piccola radura, dove volge a sinistra, puntando a sud, fino alla conca di grandi abeti, detta “Zoca de la Naaf”, Conca della Nave, al culmine del dosso denominato Mottalla dei Larici, a 1395 metri. Proseguiamo, salendo, verso sud-ovest, di un altro centinaio di metri, prima di uscire dal bosco, alle soglie dei 1500 metri, per attaccare il limite inferiore dei prati della grande alpe Legnone. Sempre seguendo il sentiero, passiamo a sinistra della croce in legno collocata nel 1993 sul limite di un dosso dell’alpe. Poco sopra siamo al'alpe, rappresentato da tre baite, fra le quali si trova il rifugio Legnone, dell’Azienda Regionale delle Foreste di Morbegno, denominato rifugio A.R.F. Alpe Legnone Legnone (m. 1690).

Il Sentiero Andrea Paniga (denominato così dal 1998, in onore di un giovane appassionato di montagna, prematuramente scomparso) costituisce una delle due grandi sezioni della Gran Via delle Orobie (in sigla GVO), e precisamente quella occidentale, che parte da Delebio, alle porte della Valtellina, per giungere Tartano.
Il sentiero può essere percorso in cinque giorni, ma nulla vieta che si riservi un numero maggiore di giornate a questo incontro ravvicinato con gli scenari del Parco delle Orobie Valtellinesi, noti e meno noti. Lungo il cammino, attraversiamo quattro grandi valli: la misteriosa Val Lésina, le più aperte e solari valli del Bitto di Gerola e di Albaredo (albarée) e l’antica Val di Tàrtano.
Se però vogliamo salire fin qui a piedi, dobbiamo partire dal Basalùn (ripiano utilizzato per raccogliere il legname divallato) di Delebio, e precisamente dalla centrale idroelettrica (m. 235). Lasciata l'ex-statale 38 dello Stelvio sulla destra (per chi proviene da Milano) in corrispondenza della chiesa parrocchiale di San Carpoforo, saliamo alla parte alta del paese, portandoci al parcheggio presso la centrale a ridosso del monte.


Panorama da Osiccio

Lasciata qui l'automobile, ci incamminiamo sulla stradella acciottolata che sale ripida ai maggenghi sopra il paese. Ignorate le deviazioni sulla destra per Verdione e Nogheredo, incontriamo il cartello escursionistico che dà Osiccio ad un'ora e la capanna Legnone a 2 ore e 40 minuti. Passiamo poi per la località "Pràa de la Rusina” (ma di prati non se ne vedono: il castagneto se li è mangiati) prima di raggiungere la località Campo Beto (Cambèèt, m. 460, località menzionata in un documento del 1578 come "Dossum de Bettis" ed in uno del 1780 come "Case di Betti", con riferimento alla famiglia Betti che figura residente in contrada Nogaredo fin dal 1535). Vi si trovano tre baite (quella più ad est riporta sulla facciata rivolta a monte un interessante affresco di madonna con bambino del 1447) e, poco più a monte, il Tempietto eretto nel 1984 dal “Gruppo Alpini Delebiese e amici in segno dell'amore e ricordo di tutti i suoi caduti”. Un paio di tornanti ancora e usciamo alla radura di Piazzo Minghino (Ciazménghìn o Césmenghìn, m. 532), dove si trova un piccolo bacino idroelettrico che alimenta la centrale della Ditta Carcano.


Piazzo Minghino

Poco sopra siamo alla località Tagliata (Taiàda: anche qui, a dispetto del nome, nessun prato) e ad un bivio. La stradella acciottolata di destra (Strada de Usìcc') sale ad Osiccio. Un cartello della Gran Via delle Orobie (G.V.O.), che proprio da Delebio parte e nella sua prima tappa sale all'alpe Legnone, dà Osiccio a 40 minuti, l'alpe Legnone a 3 ore e 10 minuti e l'alpe Piazza (per la quale passa la seconda giornata) a 7 ore e 30 minuti. Imboccata dunque la stradella di destra, saliamo decisi ai prati di Osiccio di Sotto, che si prolungano fino ad Osiccio di Sopra (usìic', m. 922). Si tratta di uno splendido maggengo, che ha diversi motivi di interesse. A partire dal nome: l'Orsini ipotizza che derivi dall'etrusco "usìl", che significa "sole".
La panoramicità, poi: dominiamo, dal suo limite inferiore (dove troviamo anche una fontana, casomai avessimo dimenticato la scorta d’acqua), la bassa Valtellina. Ci si presentano le ultime pigre anse dell’Adda, l’alto lago di Como, il lago di Novate Mezzola, l’intera Costiera dei Cech, ampi squarci sulle alpi Lepontine. Se, infine, prestiamo attenzione, noteremo che su molte case sono dipinte scene bibliche, vetero e neotestamentarie. Si tratta di vere opere d’arte, dipinte, fra il 1995 ed il 1996, dal pittore e scultore G. Abram. Tutto ciò rende Osiccio quasi unico nel panorama dei maggenghi valtellinesi.
Dall’estremità superiore dei prati parte un sentiero molto ripido, che corre sul filo del dosso e guadagna abbastanza rapidamente i prati di Piazza Calda (m. 1165), costellati da diverse baite ben curate.
A questi luoghi appartiene il ricordo di una singolare figura, la cosiddetta "Castellana di Piazza Calda". Ercole Bassi ce ne dà notizia: "Ho conosciuto anche una giovane avvenente figlia di intelligenti artieri, che passava la maggior parte dell'anno sola, a 1100 metri, in una località della "Piazza Calda", ove teneva una casetta, stalla fienile, e vi coltivava un orto con patate, insalata, fagiuoli e piante di frutta. Vi allevava delle api rustiche, e nella primavera scese l'orso a mangiarle il miele... Era una giovine seria e laboriosa, e s'intratteneva volentieri con chi la frequentava".


Panorama da Osiccio

Alle soglie dei 1200 metri, seguendo le indicazioni per l’alpe Legnone, una targa del sentiero Andrea Paniga ed i segnavia bianco-rossi, lasciamo anche questi prati e ci addentriamo nel bosco, seguendo un sentiero ben tracciato che compie un lungo traverso in direzione sud-ovest (destra), giungendo a sormontare un vallone scosceso, guadagnando, a circa 1300 metri, una piccola radura, dove volge a sinistra, puntando a sud, fino ad un’incantevole conca immersa nella penombra di grandi abeti, detta “Zoca de la Naaf”, Conca della Nave (m. 1420), al culmine del dosso denominato Mottalla dei Larici. È difficile capire cosa abbia a che fare questo luogo magico con le navi, ed è interessante osservare che esiste, sulla Costiera dei Cech, un dosso che ha una denominazione analoga, quella di “Piazzo della Nave”.
Ma proseguiamo, salendo, verso sud-ovest, di un altro centinaio di metri, prima di uscire dal bosco, alle soglie dei 1500 metri, passando accanto alla "Casera di Piodi" (m. 1506), per poi attaccare il limite inferiore dei prati della grande alpe Legnone, che si stende, per oltre duecento metri, ai piedi della dirupata parete nord dell’omonimo monte. Sempre seguendo il sentiero, passiamo a sinistra della croce collocata nel 1993 sul limite di un dosso dell’alpe, e superiamo la "Casera Vegia" (m. 1640).
Non manca molto al cuore dell’alpe, rappresentato da tre baite, fra le quali si trova il rifugio Legnone, dell’Azienda Regionale delle Foreste di Morbegno, denominato rifugio A.R.F. Legnone (m. 1690).


Alpe Legnone

Ora sediamoci nei pressi del rifugio e guardiamo in direzione nord. L’occhio attento riconoscerà, in direzione della Val Chiavenna (a sinistra), il profilo tondeggiante del monte Matra (m. 2206), il pizzo di Prata (m. 2727, posto a guardia della bassa Val Codera), l’inconfondibile lancia del Sasso Manduino (m. 2888), che chiude ad ovest la testata della Val dei Ratti, le rimanenti cime che ne segnano il profilo, cioè la punta Magnaghi (m. 2871) ed il pizzo Ligoncio (m. 3032); con un cambio di scena, ecco, in primo piano, le cime della Costiera dei Cech, il monte Sciesa (m. 2487), la cima di Malvedello (m. 2640) e, defilata, la cime del Desenigo (m. 2845); ancora più a destra, il possente monte Disgrazia (m. 3678), affiancato dai Corni Bruciati (m. 3097 e 3114); sullo sfondo, infine, le cime della lontana Val di Togno e del versante retico, cioè il pizzo Scalino (m. 3323), la punta Painale (m. 3248) e la vetta di Rhon (m. 3139). Volgiamoci, ora, a sud: a sinistra della scura parete nord del Legnone ci si presenta la sequenza delle cime della testata della val Lésina, fra le quali emergono la cima di Moncale (m. 2306), la cima del Cortese (m. 2512) ed il pizzo Rotondo (m. 2495). Guardando con attenzione, potremo individuare il sentiero militare, tracciato durante la prima guerra mondiale nel contesto di un sistema di fortificazioni orobiche allestite per far fronte ad un eventuale cedimento della linea del fronte allo Stelvio, sentiero che sale, zigzagando, verso la bocchetta del Legnone e che viene oggi utilizzato per salire sull’ultimo gigante delle Orobie occidentali: una volta raggiunta la bocchetta, infatti, si guadagna la cima seguendo la linea del crinale.


Parete nord del monte Legnone

Sono trascorse dalle quattro alle cinque ore dalla partenza, e gli oltre 1400 metri di dislivello superato si fanno certamente sentire, per cui conviene eleggere il rifugio a punto di appoggio per il primo pernottamento. Teniamo però presente che lo troveremo custodito solo nel periodo estivo; se, invece, fosse chiuso, dovremo cercare ricovero un po’ più avanti, in una baita aperta ed attrezzata con stufa e cuccetta (vedi relazione successiva). Una delle possibilità offerte dal sentiero, infatti, è quella di sperimentare, equipaggiati di un buon sacco a pelo, le emozioni di un pernottamento in condizioni che ben si adattano alla wilderness dei luoghi. Supereremo la prima notte? In caso affermativo, apriamo la seconda presentazione per conoscere cosa ci riserva la prosecuzione del cammino.

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