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Il Sentiero Andrea
Paniga (denominato così dal 1998, in onore di un giovane appassionato
di montagna, prematuramente scomparso) costituisce una delle due grandi
sezioni della Gran Via delle Orobie, e precisamente quella occidentale,
che parte da Delebio, alle porte della Valtellina, per giungere a Fusine,
centro orobico della media Valtellina. A voler essere pignoli, il sentiero
non scende a Fusine, ma, attraversata l’alta Val Madre, si dirige,
prendendo il nome di Sentiero Bruno Credaro, verso la Val Cervia, proseguendo
fino alla conclusione, all’Aprica. Tuttavia, chi volesse percorrere
solo il sentiero Paniga, di cui viene qui offerta una relazione, non
può che concluderlo nel paese che si colloca allo sbocco della Val
Madre. |
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Il sentiero può essere percorso in tre-quattro di
giorni, ma nulla vieta che si riservi un numero maggiore di giornate
a questo incontro ravvicinato con gli scenari del Parco delle Orobie
Valtellinesi, noti e meno noti. Lungo il cammino, attraversiamo cinque
grandi valli: la misteriosa Val Lésina, le più aperte
e solari valli del Bitto di Gerola e di Albaredo, l’antica Val
di Tàrtano, la raccolta Val Madre.
Entriamo, dunque, in Valtellina: a nord ci accoglie la luminosa Costiera
dei Cech, che esibisce interamente le sue bellezze. A sud, invece, boscose
e serrate muraglie nascondono la prima valle orobica, di cui emergono
solo le cime più alte. Si tratta della
Val Lésina, che ben pochi conoscono, anche perché, unica,
in questo, insieme alla piccola val Fabiòlo, nella compagine
orobica, non può essere avvicinata da autoveicoli: per salire
ad esplorarla, dobbiamo lasciare l’automobile al piano. Raggiungiamo,
quindi, Delébio e portiamoci nella parte alta del paese, in contrada
Basalùn, |
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facilmente individuabile per la presenza di una centrale
elettrica. Proprio nei pressi del suo ingresso troviamo un parcheggio,
dove possiamo lasciare l’automobile, a circa 250 metri. C’è,
infatti, una pista gippabile, ma è riservata allo strascico del
legname, e comunque presenta pendenze così accentuate che solo
un fuoristrada può affrontarle adeguatamente. La pista è
ripida, ma ha un fondo molto bello: solo in alcuni tratti, infatti,
è in cemento, per il resto si tratta di un bel grisc, le cui
pietre sono levigate dal continuo passaggio di legname, che ancora
oggi viene portato a valle. La bellezza della strada compensa,
almeno parzialmente, il tributo di sudore che ci richiede: |
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non c'è
tempo, infatti, di scaldare i muscoli, perché fin dai primi metri i
passi devono conquistare metro dopo metro con grande fatica.
Ci accompagnano anche
i segnavia bianco-rossi della Gran Via delle Orobie e, poco dopo la
partenza, troviamo per la prima volta, sul muro, la sua sigla in evidenza:
G.V.O. Superato il tempietto dedicato ai caduti di Delebio nelle due
guerre mondiali, prendiamo per qualche secondo il fiato al Piazzo Minghino
(532 metri), dove si trova il piccolo invaso che serve la sottostante
centrale. |
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Avanti, ancora, fino ad un bivio, dove i cartelli ci fanno lasciare
la pista principale per salire direttamente, su una pista secondaria,
ai bei prati di Osiccio di Sotto, che si prolungano fino ad Osiccio
di Sopra (m. 922). Si tratta di uno splendido maggengo, che ha diversi
motivi di interesse. |
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La panoramicità,
innanzitutto: dominiamo, dal suo limite inferiore (dove troviamo anche
una fontana, casomai avessimo dimenticato la scorta d’acqua),
la bassa Valtellina. Ci si presentano le ultime pigre anse dell’Adda,
l’alto lago di Como, il lago di Novate Mezzola, l’intera
Costiera dei Cech, ampi squarci sulle alpi Lepontine. Se, poi, prestiamo
attenzione, noteremo che su molte case sono dipinte scene bibliche,
vetero e neotestamentarie. |
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Si tratta di
vere opere d'arte, dipinte, fra il 1995 ed il 1996, dal pittore e
scultore G. Abram. Tutto ciò rende Osiccio quasi unico nel panorama dei maggenghi valtellinesi. Dall’estremità
superiore dei prati parte un sentiero molto ripido, che corre sul filo
del dosso e guadagna abbastanza rapidamente i prati di Piazza Calda
(m. 1165), costellati da diverse baite ben curate. |
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Alle soglie dei 1200 metri, seguendo le indicazioni per l’alpe
Legnone ed i segnavia bianco-rossi, |
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lasciamo
anche questi prati |
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e ci
addentriamo nel bosco, seguendo un sentiero ben tracciato che compie
un lungo traverso in direzione sud-ovest (destra), |
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giungendo a
sormontare un vallone scosceso, guadagnando, a circa 1300 metri, una
piccola radura, dove volge a sinistra, puntando a sud, fino ad
un'incantevole conca immersa nella penombra di grandi abeti, detta
"Zoca de la Naaf”, Conca della Nave, al culmine del dosso denominato Mottalla
dei Larici, a 1395 metri. |
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È difficile capire cosa abbia a che
fare questo luogo magico con le navi, ed è interessante osservare
che esiste, sulla Costiera dei Cech, un dosso che ha una denominazione
analoga, quella di “Piazzo della Nave”. Ma proseguiamo,
salendo, verso sud-ovest, di un altro centinaio di metri, prima di
uscire dal bosco, alle soglie dei 1500 metri, |
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per attaccare
il limite inferiore dei prati della grande alpe Legnone, |
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che si
stende, per oltre duecento metri, |
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ai piedi
della dirupata parete nord dell'omonimo monte. |
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Sempre seguendo il sentiero,
passiamo a sinistra della croce. |
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Sempre
seguendo il sentiero, passiamo a sinistra della croce collocata nel
1993 sul limite di un dosso dell'alpe. |
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L'occhio
attento riconoscerà, in direzione della Val Chiavenna (a sinistra),
il profilo tondeggiante del monte Matra (m. 2206), il pizzo di Prata
(m. 2727, posto a guardia della bassa Val Codera), l’inconfondibile
lancia del Sasso Manduino (m. 2888), che chiude ad ovest la testata
della Val dei Ratti, le rimanenti cime che ne segnano il profilo, cioè
la punta Magnaghi (m. 2871) ed il pizzo Ligoncio (m. 3032); con un cambio
di scena, ecco, in primo piano, le cime della Costiera dei Cech, il
monte Sciesa (m. 2487), la cima di Malvedello (m. 2640) e, defilata,
la cime del Desenigo (m. 2845); ancora più a destra, il possente
monte Disgrazia (m. 3678), affiancato dai Corni Bruciati (m. 3097 e
3114); sullo sfondo, infine, le cime della lontana Val di Togno e del
versante retico, cioè il pizzo Scalino (m. 3323), la punta Painale
(m. 3248) e la vetta di Rhon (m. 3139). |
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Non manca molto al cuore dell’alpe, rappresentato da tre baite, |
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fra le quali
si trova |
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il rifugio
dell'Azienda Regionale delle Foreste di Morbegno, denominato rifugio A.R.F. Legnone
(m. 1690). Ora sediamoci nei pressi del rifugio e guardiamo in
direzione nord. |
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Volgiamoci, ora, a sud: a sinistra
della scura parete nord del Legnone ci si presenta la sequenza delle
cime della testata della val Lésina, |
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fra le quali
emergono la cima di Moncale (m. 2306), la cima del Cortese (m. 2512) ed il pizzo
Rotondo (m. 2495). Guardando con attenzione,
potremo individuare il sentiero militare, tracciato durante la prima
guerra mondiale nel contesto di un sistema di fortificazioni orobiche
allestite per far fronte ad un eventuale cedimento della linea del fronte
allo Stelvio, sentiero che sale, zigzagando, verso la bocchetta del
Legnone e che viene oggi utilizzato per salire sull’ultimo gigante
delle Orobie occidentali: una volta raggiunta la bocchetta, infatti,
si guadagna la cima seguendo la linea del crinale. Sono trascorse dalle
quattro alle cinque ore dalla partenza, e gli oltre 1400 metri di dislivello
superato si fanno certamente sentire, per cui conviene eleggere il rifugio
a punto di appoggio per il primo pernottamento. |
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Teniamo però
presente che lo troveremo custodito solo nel periodo estivo; se,
invece, fosse chiuso, dovremo cercare ricovero un po' più avanti, in
una baita aperta ed attrezzata con stufa e cuccetta (vedi relazione
successiva). Una delle possibilità offerte dal sentiero, infatti, è
quella di sperimentare, equipaggiati di un buon sacco a pelo, le
emozioni di un pernottamento in condizioni che ben si adattano alla wilderness dei luoghi. Supereremo la prima notte? In caso affermativo,
apriamo la seconda presentazione per conoscere
cosa ci riserva la prosecuzione del cammino. |
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Storia, tradizioni e leggende |
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Immagini, suoni e parole |
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