ESCURSIONI A POSTALESIO - APRI QUI UNA GALLERIA DI IMMAGINI - CARTA DEL PERCORSO


Panoramica dalla Croce Capin

Punti di partenza ed arrivo
Tempo necessario
Dislivello in altezza
in m.
Difficoltà (T=turistica, E=escursionistica, EE=per escursionisti esperti)
Pista Pra Lone-Croce Capin-Alpe Colina-Pista Pra Lone
4 h e 30 min.
840
E
SINTESI. Da Postalesio saliamo sulla carozzabile che porta al maggendo di Pra Lone (m. 1028), proseguendo sulla carozzabile con fondo sterrato, fino al quarto tornante dx, poco oltre il quale, sulla sinistra, vediamo la partenza di una larga mulattiera che sale, ripida, nella fascia boscosa a monte della pista. Proseguiamo per un tratto fino a trovare una piazzola per parcheggiare, poi scendiamo al punto di partenza della mulattiera (m. 1460) e cominciamo a salire verso nord nel bosco, seguendola. Intercettiamo per due volte la pista. La seconda ritroviamo il sentiero poco oltre un casello dell'acqua. Saliamo, ora, verso sinistra, ed intercettiamo la mulattiera che sale da destra. Poco oltre, eccoci ad una modesta ed amena radura: abbiamo guadagnato il crinale, che seguiremo fino alla meta. Riprendiamo, infatti, a salire dal limite superiore della radura, senza seguire il sentiero che taglia a destra, ma rimanendo sul crinale, che, superate alcune roccette affioranti, ci propone un larice con un nuovo segno blu (altri ne troveremo, fino ad una certa quota, salendo). Il sentiero c’è e non c’è, o meglio, a tratti si individua, a tratti si indovina, ma la salita non propone difficoltà (possiamo aggirare facilmente qualche punto nel quale la vegetazione si fa più fitta appoggiandoci a destra). A quota 1680 incontriamo una seconda radura. Siamo nel cuore di una splendida pecceta, con abeti e larici, e, dopo due tratti con andamento pianeggiante o in leggera discesa, saliamo ad una terza selletta, a quota 1840. Ci attende, ora, un tratto di salita più severa, finché, a quota 1950 circa, la pendenza torna ad addolcirsi ed il bosco si fa più rado. A quota 1990, in un punto nel quale il bosco è tornato a farsi più fitto, incontriamo una rete di recinzione che impedisce l’accesso ad un tratto del crinale (probabilmente per la pericolosità potenziale del tratto, esposto a mo’ di cornice sul dirupo che si apre alla nostra sinistra). Ci appoggiamo, dunque, a destra, e riconosciamo un sentiero che inizia una traversata del dosso verso destra. Non seguiamo, però, questa traccia ma, appena possibile, risaliamo sul crinale, proseguendo nella salita. Poco sopra, il crinale ha un’impennata e la traccia tende leggermente a destra, lasciandolo e risalendo una sorta di corridoio fra radi larici. Al termine del corridoio, a quota 2040 circa, volgiamo di nuovo a sinistra e torniamo sul crinale, procedendo tra radi larici e macereti. A quota 2110 iniziamo a procedere all'aperto. Procediamo non distanti dal ciglio del dirupo, sulla nostra sinistra; guardando in alto, possiamo scorgere, sul ciglio del dirupo più alto e marcato, la croce Capin (m. 2278), che alla fine raggiungiamo senza problemi. Per la discesa prestiamo particolare attenzione alla poco visibile traccia di sentiero che taglia il fianco orientale del crinale, quello alla nostra destra (se rivolgiamo la faccia a monte). Il sentierino scende zigzagando nel primo tratto verso est, poi piega gradualmente a sinistra ed aggira il fianco di un dosso, oltre il quale vediamo l'alpe Colina, nostra meta. Il sentiero è qui più marcato e scende diritto tagliando il fianco ombroso del dosso, verso nord-nord-est. Superato un valloncello, ci appare il lago di Colina, al quale il sentiero punta. Raggiungiamo così la riva occidentale del lago di Colina (m. 2076). Il sentiero si fa strada fra il pietrame ed i magri pascoli ed aggira il laghetto da nord, piegando poi a sinistra e scendendo da un poggio verso la pista sterrata che raggiunge l'alpe. Passiamo a destra del baitone e dopo una sequenza di tornanti dx-sx scendiamo alle baite più basse dell'alpe Colina (m. 1948). Scendiamo ancora sulla pista passando accando ad una fontana in sasso. Lasciata l'alpe alle spalle, proseguiamo sulla pista verso sud. Ben presto torniamo all'ombra della pecceta e per un buon tratto proseguiamo diritti, passando per un'edicola con una piccola statua di S. Antonio. Inizia poi una serie di tornanti, sx-dx-sx-dx, che ci riporta all'automobile.

Le valli di Postalesio, ad ovest (che, nonostante il nome, è pressoché interamente nel territorio del comune di Berbenno di Valtellina) e del Boco (o Bocco: il termine deriva da “sbocco” o, più probabilmente, da “bocc”, ariete), ad est (nel territorio dei comuni di Postalesio e Castione), sono divise da una dorsale che dal monte Caldenno, a nord (m. 2669), scende, passando per la croce Capin (m. 2278, che si affaccia sui dirupi del vasto movimento franoso che occupa il lato orientale della bassa Valle di Postalesio), fino ad allargarsi nella vasta fascia di boschi a mezza costa, proprio a monte dell’abitato di Postalesio.


Apri qui una fotomappa del versante retico di Postalesio e Castione Andevenno

Questa dorsale può essere lo scanerio di una bella camminata, godibilissima anche in autunno ed a primavera inoltrata, che disegna un anello passando per la Croce Capin e l'alpe Colina. Punto di partenza è il tornante di quota 1460 sulla pista sterrata carrozzabile che da Pra Lone sale all'alpe Colina.
Dobbiamo salire con l’automobile da Postalesio a Pra’ Lone (m. 1028), dove la strada con fondo asfaltato termina, e proseguire, per un buon tratto, sulla rotabile per l’alpe Colina (che, purtroppo, propone diversi tratti con fondo in cattive condizioni). Salendo da Pra’ Lone, dobbiamo prendere come punto di riferimento il quarto tornante destrorso, poco oltre il quale, sulla sinistra, vediamo la partenza di una larga mulattiera che sale, ripida, nella fascia boscosa a monte della pista. È, questo, il punto nel quale inizia la salita al monte Colina. Ora si pone il problema del parcheggio, che risolviamo proseguendo per un ulteriore tratto sulla pista, fino a trovare, più in alto, uno slargo con fondo lastricato in pietra, in corrispondenza del punto nel quale una pista secondaria si stacca dalla principale, sulla destra, per scendere a monte dei prati Cigolosa (m. 1422).


Salita nella pecceta

Lasciata qui l’automobile, torniamo indietro, scendendo fino al punto di partenza della mulattiera, che resta, ora, sulla nostra destra, ad una quota approssimativa di 1460 metri (su un sasso sul lato della rotabile osserviamo un segno blu). La mulattiera sale, con diversi tornanti, in una splendida pecceta, per poi intercettare, a quota 1530 metri, la rotabile (in un tratto che sale dalla nostra destra, con fondo in cemento), proseguendo, subito, sul suo lato opposto. Dopo una diagonale verso destra (nord-est), intercettiamo per la seconda ed ultima volta la rotabile (che sale ora da sinistra ed ha di nuovo il fondo in terra battuta), a quota 1560, in corrispondenza di un casello per l’acqua (potremmo, in verità, salire fin qui con l’automobile: in questo caso il tornante di riferimento è il quinto destrorso).


Salita nella pecceta

Saliamo sulla carreggiata appena prima del casello, e la attraversiamo, trovando, sul lato opposto, la partenza di un sentiero. Saliamo, ora, verso sinistra, ed intercettiamo la mulattiera che sale da destra (si tratta della prosecuzione della mulattiera che abbiamo già percorso, e che riparte più a monte rispetto al casello dell’acqua). Poco oltre, eccoci ad una modesta ed amena radura: abbiamo guadagnato il crinale, che seguiremo fino alla meta. Riprendiamo, infatti, a salire dal limite superiore della radura, senza seguire il sentiero che taglia a destra, ma rimanendo sul crinale, che, superate alcune roccette affioranti, ci propone un larice con un nuovo segno blu (altri ne troveremo, fino ad una certa quota, salendo).
Il sentiero c’è e non c’è, o meglio, a tratti si individua, a tratti si indovina, ma la salita non propone difficoltà (possiamo aggirare facilmente qualche punto nel quale la vegetazione si fa più fitta appoggiandoci a destra). A quota 1680 incontriamo una seconda radura, anch’essa piccola, ma molto bella. Proseguendo nella salita, in un punto nel quale la vegetazione alla nostra sinistra si dirada possiamo godere di un bello scorcio panoramico: distinguiamo, verso sud, da sinistra, la Valle del Livrio, la Val Cervia, la Val Madre ed il lato occidentale della
Val Gerola. A destra del monte Legnone, che chiude la compagine orobica, distinguiamo le Alpi Lepontine ed un angolo dell’alto Lario. Più a destra ancora riconosciamo, infine, la cima del Desenigo. A quota 1730 ecco una terza radura, con un masso che presidia il suo lato alto di sinistra. Sul lato alto di destra, invece, troviamo la ripresa del sentiero.


Salita nella pecceta

Superiamo un punto nel quale la vegetazione si infittisce appoggiandoci a destra e, tornati sul crinale, osserviamo, in uno squarcio della vegetazione, uno dei Corni Bruciati, l’impressionante dirupo della parte orientale della bassa Valle di Postalesio ed infine, sulla sua verticale, la meta, il monte Colina (o meglio, la sua anticima meridionale). Siamo nel cuore di una splendida pecceta, con abeti e larici, e, dopo due tratti con andamento pianeggiante o in leggera discesa, saliamo ad una terza selletta, a quota 1840, dove ci si propone un nuovo colpo d’occhio sul versante dirupato. Scorgiamo anche, da qui, il punto, abbastanza vicino (quota 1860 circa), nel quale la pendenza si fa più accentuata, prima che il bosco lasci il posto ai pascoli alti.


Verso la Croce Capin

Ci attende, ora, un tratto di salita più severa, finché, a quota 1950 circa, la pendenza torna ad addolcirsi ed il bosco si fa più rado. Guardando a destra, scorgiamo, in successione, gli alpeggi di Prato Isio e Prato Maslino e, alle loro spalle, il Culmine di Dazio, il monte Legnone ed uno scorcio dell’alto Lario. Sulla destra, invece, si apre, ad un certo punto, un bel colpo d’occhio sulle cime, da sinistra, del Sasso Bianco (riconoscibile per il colore candido delle rocce calcaree), del monte Arcoglio (termine connesso con “arco”, in riferimento alla forma della valle) e del monte Canale. A quota 1990, in un punto nel quale il bosco è tornato a farsi più fitto, incontriamo una rete di recinzione che impedisce l’accesso ad un tratto del crinale (probabilmente per la pericolosità potenziale del tratto, esposto a mo’ di cornice sul dirupo che si apre alla nostra sinistra). Ci appoggiamo, dunque, a destra, e riconosciamo un sentiero che inizia una traversata del dosso verso destra. Non seguiamo, però, questa traccia ma, appena possibile, risaliamo sul crinale, proseguendo nella salita. Poco sopra, il crinale ha un’impennata e la traccia tende leggermente a destra, lasciandolo e risalendo una sorta di corridoio fra radi larici. Al termine del corridoio, a quota 2040 circa, volgiamo di nuovo a sinistra e torniamo sul crinale, procedendo tra radi larici e macereti.


Panorama occidentale dalla Croce Capin

A quota 2110 circa possiamo dire di esserci lasciati la macchia alle spalle: ora siamo ai pascoli più alti, anche se possiamo vedere ancora, qua e là, qualche abete e qualche larice. Procediamo non distanti dal ciglio del dirupo, sulla nostra sinistra; guardando in alto, possiamo scorgere, sul ciglio del dirupo più alto e marcato, la croce Capin (m. 2278), che alla fine raggiungiamo, dopo circa 2 ore ed un quarto di cammino.
È già, di per se stessa, questa croce, con il suo fascino e la sua collocazione panoramica, degna meta di un’escursione a se stante. Il suo fascino è legato alla posizione particolarissima: innanzitutto siamo, come già detto, proprio sul ciglio del più alto ed impressionante dei dirupi che precipitano sul versante orientale della bassa Valle di Postalesio, deturpata da un vasto movimento franoso; poi passa di qui l’unico sentiero che collega le valli di Postalesio e del Boco (ci raggiunge, con traccia appena visibile, da destra, e prosegue, rimanendo in quota, su un versante insidioso e ripidissimo, a sinistra). Meglio sarebbe dire, però, collegava, in quanto sul versante della Valle di Postalesio si perde in una fascia selvaggia ed insidiosa, per cui è del tutto sconsigliabile cercare di seguirlo per scendere in questa valle.


Il lago di Colina

Davvero buono il panorama che da qui si gode. A sud si domina l’intera catena orobica, mentre a nord-ovest appare un bello scorcio dell’alta Valle di Postalesio, dominata dai Corni Bruciati. Alla loro destra, in primo piano, a nord, il crinale che abbiamo risalito prosegue e ci propone la cima quotata 2609 metri (bella a vedersi, anche se, purtroppo, ci nasconde quasi interamente il monte Caldenno, m. 2669, e, quel che è peggio, interamente il monte Disgrazia, m. 3679). Più a destra, a nord e nord-est, sullo sfondo appare la testata della Valmalenco, sulla quale si distinguono, da sinistra, il pizzo Gluschaint (3594), le caratteristiche cime gemelle della Sella occidentale ed orientale (m. 3564), i meno pronunciati pizzi Gemelli (m. 3501) e pizzo Sella (m. 3511), i giganti della testata, pizzo Roseg (m. 3936), monte Scerscen (m. 3971), pizzo Bernina (m. 4050), Cresta Güzza (m. 3869), pizzo Argient (m. 3945), pizzo Zupò (m. 3996), chiudendo con il pizzo Palù (m. 3906). Più a destra, alle spalle della già citata triade Sasso Bianco-Monte Arcoglio-Monte Canale, si vede il gruppo Painale-Scalino, che propone, da sinistra, l’inconfondibile piramide del pizzo Scalino (m. 3323), seguita dalla punta Painale (m. 3248) e dalla vetta di Ron (m. 3136), sulla cresta di confine fra l’alta Val di Togno (Val Painale) e la Val Fontana. Il panorama è chiuso, infine, ad est, sullo sfondo, dal gruppo dell’Adamello.


L'alpe Colina

Per la discesa prestiamo particolare attenzione alla poco visibile traccia di sentiero che taglia il fianco orientale del crinale, quello alla nostra destra (se rivolgiamo la faccia a monte). Il sentierino scende zigzagando nel primo tratto verso est, poi piega gradualmente a sinistra ed aggira il fianco di un dosso, oltre il quale vediamo l'alpe Colina, nostra meta. Il sentiero è qui più marcato e scende diritto tagliando il fianco ombroso del dosso, verso nord-nord-est. Superato un valloncello, ci appare il lago di Colina, al quale il sentiero punta. Raggiungiamo così la riva occidentale del lago di Colina (m. 2076). Il sentiero si fa strada fra il pietrame ed i magri pascoli ed aggira il laghetto da nord, piegando poi a sinistra e scendendo da un poggio verso la pista sterrata che raggiunge l'alpe.
Passiamo a destra del baitone e dopo una sequenza di tornanti dx-sx scendiamo alle baite più basse dell'alpe Colina (m. 1948), ben tenute e disposte in bell'ordine.


L'alpe Colina

L'alpe Colina e quella di Caldenno sono, come scrive Dario Benetti nell’articolo “I pascoli e gli insediamenti d’alta quota” (in “Sondrio e il suo territorio”, edito da IntesaBci, 1999), “esempi tra i più significativi di insediamenti di quota sul versante retico della media Valtellina… Nel caso dell’alpe Caldenno si ha la permanenza di un consorzio che ha mantenuto ancora oggi la proprietà indivisa dei pascoli, mentre gli edifici sono di proprietà privata. Come avveniva in tutti i casi di caricamento familiare, l’alpeggio produceva e produce formaggio semigrasso e burro. Numerosi caselli per il latte, situati vicino al corso d’acqua, venivano utilizzati per depositare il latte nelle conche al fresco, in modo che potesse affiorare la panna necessaria per la produzione del burro. Le baite si sviluppano su due piani, con una pianta quasi quadrata e hanno muratura in pietrame e poca malta, a volte a secco, con tetto a due falde e manto di copertura in piode (lastre di pietra) locali. Il piano seminterrato è utilizzato come stalla, con un piccolo spazio esterno, in genere nel sottoscala, per il ricovero dei suini. Il piano rialzato riunisce le funzioni di lavorazione del latte, con un angolo focolare ove è presente la tradizionale struttura girevole in legno per la culdèra, il deposito dei formaggi (in un locale controterra completamente interrato che fuoriesce dal sedime dell’edificio) e un tavolo ammezzato in legno su cui erano ricavati i giacigli per la notte. La scala è esterna, ricavata in facciata, parte in muratura e parte in legno. Il fumo del focolare fuoriesce da una finestrella in facciata. Sulla facciata era posta anche una mensola per fare sgocciolare la ricotta fuori dalla portata degli animali”.


L'ape Colina

Scendiamo ancora sulla pista passando accando ad una fontana in sasso. Lasciata l'alpe alle spalle, proseguiamo sulla pista verso sud. Ben presto torniamo all'ombra della pecceta e per un buon tratto proseguiamo diritti, passando per un'edicola con una piccola statua di S. Antonio. Inizia poi una serie di tornanti, sx-dx-sx-dx, che ci riporta all'automobile, chiudendo l'anello dopo 4-5 ore di cammino.


Alpe Colina e Sasso Bianco

CARTA DEL PERCORSO sulla base della Swisstopo, che ne detiene il Copyright. Ho aggiunto alla carta alcuni toponimi ed una traccia rossa continua (carrozzabili, piste) o puntinata (mulattiere, sentieri). Apri qui la carta on-line

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