Apri qui una panoramica dei Corni Bruciati in alta Valle del Caldenno

Questa proposta di tre giorni escursionistica non mancherà di suscitare interesse fra coloro che amano scoprire itinerari un po’ diversi da quelli canonici, o anche solo un modo un po’ diverso di combinare sentieri già noti. Si tratta di un anello che congiunge il versante retico mediovaltellinese alla Valle di Preda Rossa (Val Masino) ed alla Val Torreggio (Val del Turéc') (Valmalenco), passando per gli alpeggi di Scermendone alto e basso, la piana di Preda Rossa, il rifugio Ponti, il passo di Corna Rossa, il rifugio Bosio, il passo di Caldenno e la Valle del Caldenno. Un itinerario che può essere giustamente denominato anello dei Corni Bruciati perché si chiude attorno a queste cime, che, con il loro inconfondibile profilo e colore, costituiscono la cifra in cui si ricomprende una buona parte del fascino di questi luoghi, segnati da un antichissimo cataclisma, una pioggia di fuoco sull’egoismo degli uomini. Ma di questo diremo.


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Prima giornata: dal rifugio Marinella (Prato Maslino) al rifugio Ponti.

Punti di partenza ed arrivo
Tempo necessario
Dislivello in altezza
in m.
Difficoltà (T=turistica, E=escursionistica, EE=per escursionisti esperti)
Rif. Marinella (Prato Maslino)-Alpe Vignone-Alpe Scermendone-Scermendone Basso-Preda Rossa-Rif. Ponti
5 h
1260
E
SINTESI. Dal lato occidentale di prato Maslino (m. 1650) imbocchiamo la mulattiera che sale all'alpe Vignone. Dalla parte bassa dell'alpe Vignone (m. 1890) un sentiero si inerpica sul ripido versante e raggiunge la baita di quota 2000 (campanella). Il sentiero prosegue verso sinistra e giunge ad un bivio: ignorato il sentiero di destra che sale all'alpe Baric, seguiamo le indicazioni del Sentiero Italia, che stiamo percorrendo. Procediamo diritti, superiamo quattro torrentelli, affrontiamo qualche saliscendi fra macchie e radure e pieghiamo a destra salendo con tornantini in una pecceta. Ben presto, però, piega di nuovo leggermente a sinistra, riprendendo l’andamento nord-ovest; superata una nuova radura-valloncello, rientriamo nella macchia, ed incontriamo un segnavia su un tronco. Il sentiero poi esce all'aperto e ci porta ad un primo vallone abbastanza marcato, che superiamo, a quota 2080, senza problemi, tagliando, poi, il successivo dosso. Una breve macchia precede un secondo vallone, a quota 2110. Dopo il successivo dosso, il sentiero piega leggermente a destra: ci attende una serie di ripidi canaloni, su un terreno piuttosto brullo. Compaiono i primi paletti bianchi con bordino rosso e scritta S.I. (Sentiero Italia). L’attraversamento del primo canalone richiede attenzione, mentre dopo il secondo troviamo un piccolo smottamento. Anche il terzo canalone, percorso da un modesto corso d’acqua, richiede un po’ di attenzione; la successiva salita ci porta a tagliare il filo di un dosso, oltre il quale incontriamo un modesto avvallamento, che precede un terrazzino erboso. È questo il punto nel quale prestare maggiore attenzione, perché la “paiùsa” ha colonizzato interamente il sentiero, e si rischia di scivolare, soprattutto nella discesa che ci porta ad un nuovo canalone, oltre il quale la salita riprende. Dopo una salita aggiriamo un nuovo dosso, portandoci in vista del bivacco Scermenone, che raggiungiamo procedendo quasi in piano. Poco più avanti ci portiamo alla chiesetta di San Quirico (San Ceres, m. 2131). La prima giornata potrebbe anche terminare al bivacco Scermendone. Se ci vogliamo portare al rifugio Ponti, dal bivacco procediamo verso la chiesetta ed appena prima di essa cerchiamo sulla destra (sul lato opposto del'alpe) la larga pista che si inoltra in Val Terzana. Imbocchiamo il sentiero che se ne stacca subito sulla sinistra, verso nord-est, e scende all'alpe Scermendone basso. Giunti al piano, traversiamo al lato opposto, passando a destra della baita dell'alpe e superando il torrente su un ponticello. Un marcato sentiero taglia la grande frana del fianco del Sasso Arso (ovest, poi nord) e, dopo un vallone, ci porta al limite della Piana di Preda Rossa (m. 1955). Seguendo le abbondanti segnalazioni, ci incamminiamo su una pista, percorriamo il lato di sinistra della Piana di Preda Rossa fino all'inizio del marcato sentiero che sale ad un pianoro, si tiene alla sua sinistra, piega poi a sinistra, risale con ripide serpentine il fianco della valle, piega a destra e guadagna gradualmente quota tagliando il fianco occidentale della Valle di Preda Rossa, fino al rifugio Ponti (m. 2559).

Punto di partenza dell’anello è Prato Maslino, lo splendido ed ampio terrazzo di prati nella parte medio-alta del versante retico sopra Berbenno. Lo si raggiunge salendo verso il centro di Berbenno e prendendo a sinistra (indicazioni per Regoledo). Ci si immette, così, sulla strada asfaltata che attraversa la frazione di Regoledo, ad ovest di Berbenno, e che ci porta ad un bivio: proseguendo diritti si sale a Monastero, mentre svoltando a destra (come chiarisce un cartello) si inizia a salire a Prato Maslino. Nel primo tratto la strada, con andamento complessivo nord-est, supera i prati di Fumaset, Muscio e Bardagli e si porta quasi sul ciglio del versante orientale della Val Finale, a quota 850 metri circa. Piega, poi, decisamente a sinistra, salendo in direzione ovest ed effettuando un lungo traverso, interrotto solo da due brevi tornanti in località Pra Balzàr. Raggiungiamo, quindi, il bel maggengo della Foppa, una splendida conca di prati posta a 1090 metri, che la strada, piegando a destra, taglia con andamento diritto sud-nord.


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La strada assume, quindi, nuovamente l’andamento nord-ovest per un breve tratto, portandosi sul ciglio del versante orientale della Val Vignone. Qui piega a destra ed assume la direzione complessiva nord-est, salendo, con pendenza severa, nella cornice di un’ombrosa pecceta. I tornanti si susseguono incalzanti, finché si sbuca ad una prima ampia radura, un incantevole pianoro a quota 1518, che precede di poco Prato Maslino. Ripresa la salita, l’asfalto lascia il posto allo sterrato, ma ormai la meta è vicina: dopo un ultimo tornante destrorso, al quale ignoriamo una pista secondaria che si stacca sulla sinistra, la pista termina ad un ampio parcheggio, sul limite inferiore dell’ampio terrazzo di Prato Maslìno, a 1610 metri circa.
Lasciata qui l’automobile, notiamo che appena a monte del parcheggio si trova il rifugio Marinella, che dispone di 27 posti letto, servizio di ristorante e servizi, ed è aperto da maggio ad ottobre (gestione: Leana Bongiolatti, di Berbenno, tel. 0342 492838). Saliamo, ora, ai prati, passando fra le numerose e belle baite e nei pressi di una fontana. Alla nostra sinistra notiamo anche una graziosa chiesetta, che veglia sulla profondissima quiete di cui sembra circonfuso lo scenario alpestre di rara bellezza. Procediamo scendendo leggermente alla depressione che precede l’impennata terminale dei prati: qui troviamo una traccia di pista, seguendo la quale verso sinistra raggiungiamo il limite nord-occidentale dell’alpeggio, al quale giunge anche la pista con fondo in cemento di cui sopra si è fatta menzione.
Qui, a quota 1600 circa, troviamo due cartelli dei CAI: il primo indica, nella direzione dalla quale proveniamo (il lato opposto, cioè orientale, dei prati) Prato Isio, dato ad un’ora, l’alpe Caldenno, data ad un’ora e 30 minuti ed il passo Scermendone, dato a 4 ore; il secondo, che ci interessa, indica che la mulattiera porta all’alpe Vignone in un’ora e che proseguendo si può salire, in 2 ore e 50 minuti, al pizzo Bello, o traversare, in 2 ore e 40 minuti, al lago di Scermendone. Imbocchiamo, dunque, la mulattiera che procede in direzione nord-ovest, con un buon tratto iniziale pianeggiante. Superato il vallone che scende ad ovest del dosso di Piviana, ci portiamo sul filo di un secondo dosso, raggiungendo il punto (quotato 1602 metri) nel quale, ad una semicurva a destra, dalla mulattiera si stacca, sulla sinistra, il sentiero che scende ai prati del Gaggio di Monastero. Ignoriamo questa deviazione e proseguiamo sulla mulattiera, che comincia a salire con pendenza abbastanza severa, superando, a quota 1650, un secondo e più ampio vallone, per poi raggiungere il filo del lungo dosso sul quale, oltre quattrocento metri più in basso, si aprono i prati del Gaggio di Monastero. La mulattiera comincia, quindi, a piegare a destra, assumendo l’andamento nord-nord-est. Siamo nel cuore di una splendida pecceta, che però viene gradualmente sostituita da una boscaglia più disordinata. Superiamo, così, un valloncello, in un tratto con fondo in cemento.
Dopo alcuni tornantini, un ultimo traverso ci porta sul limite inferiore dell’alpe Vignone, dove ci accoglie la baita più bassa, quotata 1881 metri. L’alpe si stende su una lunga fascia di prati piuttosto ripida, che però restituisce un grande senso di luminosità ed apertura. La mulattiera lascia quindi il posto ad un sentiero, sempre ben marcato, che sale in direzione di alcune baite poste più in alto. Superiamo così una coppia di baite ed una baita isolata, passando poi a sinistra di un grande ometto. Il sentiero piega, qui, a sinistra e conduce alla baita di quota 2000, dove troviamo una campanella ed un’edicola dedicata alla Madonna. Questa baita rimane sempre aperta per offrire rifugio agli escursionisti che ne avessero bisogno. Il sentiero prosegue verso sinistra (nord-ovest), raggiungendo, in breve, un bivio segnalato da cartelli del CAI, che danno Prato Maslino, nella direzione dalla quale proveniamo, a 40 minuti. Indicano, poi, che il sentiero di destra porta in 40 minuti all’alpe Baric, in un’ora e 50 minuti al pizzo Bello o in un’ora e 40 minuti al laghetto di Scermendone, mentre quello che prosegue diritto, in direzione nord-ovest (si tratta del Sentiero Italia), porta, in un’ora, all’alpe Scermendone ed a San Quirico.
È questa seconda la direzione che ci interessa. Proseguiamo, dunque, diritti, giungendo, in breve, al guado di uno dei rami che confluiscono, più in basso, nel torrente Vignone. Poco più avanti attraversiamo, con l’ausilio di un asse in legno (piuttosto malfermo: attenzione!), un secondo ramo del torrente, e notiamo, appena oltre il guado, su un sasso, un segnavia bianco-rosso molto sbiadito. Dopo una breve discesa, attraversiamo il terzo corso d’acqua e, dopo alcuni saliscendi, il quarto ed ultimo. Una nuova breve discesa ci porta al limite di una macchia di larici ed abeti. Scendendo ancora, raggiungiamo una radura con un valloncello appena accennato: guardando verso sud, vediamo bene la piana della Selvetta ed il paese della Sirta, la Val Fabiolo ed uno scorcio della Val di Tartano, il versante occidentale della Val Gerola e, sul fondo, a destra, il corno del monte Legnone. Dopo una seconda radura, rientriamo nella macchia, incontrando, su un tronco, un secondo segnavia bianco-rosso. Una salitella ci porta ad una nuova radura-valloncello, dove si trovano due caselli dell’acqua ed una vasca in cemento. Da qui si vedono bene, sempre a sud, la Val Madre ed il passo di Dordona. Nuova salitella nella macchia e nuova radura-valloncello. Rientrati nella macchia di abeti e larici, continuiamo a salire, incontrando, sulla destra, alcune formazioni rocciose. Il luogo è molto bello e suggestivo, arcano, quasi, nella sua solitudine profonda.
Poco dopo il sentiero piega leggermente a destra, procedendo in direzione nord con una serie di serrati tornantini. Ben presto, però, piega di nuovo leggermente a sinistra, riprendendo l’andamento nord-ovest; superata una nuova radura-valloncello, rientriamo nella macchia, ed incontriamo il terzo segnavia, sempre su un tronco. Qui la macchia è chiusa ed il fondo del sentiero molto bello, un tappeto di aghi di abete: è una gioia difficile da esprimere respirare l’atmosfera di luoghi come questo. Ben presto però il bosco si dirada ed il sentiero ci porta al primo vallone abbastanza marcato, che superiamo, a quota 2080, senza problemi, tagliando, poi, il successivo dosso. Ora siamo all’aperto: intorno a noi, solo qualche rado abete. Una breve macchia precede un secondo vallone, a quota 2110: la traccia è, qui, un po’ più stretta, insidiata dalla “paiùsa” o “erba vìsega”, ma con un minimo di attenzione non incontriamo problemi.


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Sormontato il successivo dosso, restiamo senza fiato: improvviso si apre, ad ovest, cioè proprio davanti a noi, il bellissimo scenario della sezione occidentale del gruppo del Masino, che propone, da sinistra, il Corno di Colino e la cima del Desenigo (m. 2845), alla cui destra si aprono i passi gemelli di Primalpia (pàs de primalpia, m. 2477) e della bocchetta di Spluga o di Talamucca (bochèta de la möca, m. 2532), che congiungono l’alta Valle di Spluga alla Valle dei Ratti. Procedendo verso destra, notiamo l’affilata cima del monte Spluga o Cima del Calvo (m. 2967), posto all’incontro di Valle di Spluga, Val Ligoncio e Valle dei Ratti. I più modesti pizzi Ratti (m. 2919) e della Vedretta (m. 2909) preparano l’arrotondata cima del pizzo Ligoncio (Ligunc’, m. 3038), che si innalza sopra una larga base di granito, nel catino glaciale che si apre sopra i Bagni di Masino (Val Ligoncio e Valle dell’Oro).


San Quirico

Alla sua destra, la punta della Sfinge (m. 2802) precede la larga depressione sul cui è posto il passo Ligoncio (m. 2575), fra la valle omonima e la Valle d’Arnasca (Val Codera). A nord del passo si distinguono i modesti pizzi dell’Oro (meridionale, m. 2695, centrale, m. 2703 e settentrionale, m. 2576), seguiti dall’affilata punta Milano (m. 2610), che precede di poco la costiera del Barbacan, fra Valle dell’Oro e Val Porcellizzo, la quale culmina nella cima del Barbacan (m. 2738). Ai piedi di questo superbo schieramento di cime si stende il lungo serpente erboso dell’alpe Scermendone.


Il monte Disgrazia visto da San Quirico

Ora il sentiero piega leggermente a destra: ci attende una serie di ripidi canaloni, su un terreno piuttosto brullo, ingentilito solo da qualche rado abete. Compaiono i primi paletti bianchi con bordino rosso e scritta S.I. (Sentiero Italia), che risultano utili, dal momento che la traccia non è sempre chiara. L’attraversamento del primo canalone richiede attenzione, mentre dopo il secondo troviamo un piccolo smottamento.


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Anche il terzo canalone, percorso da un modesto corso d’acqua, richiede un po’ di attenzione; la successiva salita ci porta a tagliare il filo di un dosso, oltre il quale incontriamo un modesto avvallamento, che precede un terrazzino erboso. È questo il punto nel quale prestare maggiore attenzione, perché la “paiùsa” ha colonizzato interamente il sentiero, e si rischia di scivolare, soprattutto nella discesa che ci porta ad un nuovo canalone, oltre il quale la salita riprende. Per fortuna la “paiùsa” allenta la presa ed il piede torna a posarsi su terreno più sicuro (ma sempre insidioso se bagnato). La compagnia di qualche giovane abete, peraltro sempre poco loquace, rende meno noioso questo tratto della traversata. Dopo una salita aggiriamo un nuovo dosso, portandoci in vista del bivacco di Scermendone, che ora vediamo davanti a noi, incorniciato dalla cima di Arcanzo e dalla cima degli Ali, sulla costiera Remoluzza-Arcanzo che separa la Val di Mello dalla Valle di Preda Rossa. Il terreno si fa gradualmente più tranquillo. Incontriamo ben presto, sulla destra, una traccia secondaria che sale ed una vasca di contenimento presso una sorgente inaridita. Più avanti ci raggiunge, salendo da sinistra, una traccia che proviene dal grande dosso sul quale è posta, qualche centinaio di metri più in basso, l’alpe Oligna, nel territorio del comune di Buglio (siamo, infatti, passati dal territorio di Berbenno a quello di Buglio attraversando, prima della sequenza di canaloni, il largo dosso del Termine; lo riconosciamo guardando verso l’alto, perché culmina in uno speroncino appuntito, sovrastato da un grande ometto e dalla Croce dell’Olmo). Attraversiamo, quindi, un primo modesto smottamento ed un secondo ben più vasto (la traccia è comunque anche qui sufficientemente marcata da non creare eccessivi problemi), che precede l’ultima salitella. Il bivacco in questo tratto è nascosto dalla rientranza di un dosso, ed incontriamo, sulla destra, un secondo sentiero che si stacca dal nostro, salendo: lo sfrutteremo per la seconda parte dell’anello. Ora, però, proseguiamo diritti nell’ultimo breve tratto che si separa dal bivacco Scermendone, ottimo punto di appoggio per una sosta ristoratrice, che non guasta dopo le prime due ore di cammino. Qualche nota di bilancio su questa splendida traversata: nonostante la traccia sia in qualche punto debole e corra su versanti piuttosto ripidi, non presenta reali problemi ad une escursionista semplicemente attento; le cose cambiano, però, su terreno bagnato o in presenza di neve o gelo.
Poche decine di metri più in là, sul limite nord-orientale dell’alpe Scermendone vediamo la chiesetta di San Quirico (San Cères, 2131 m.), stupendo esempio di chiesetta alpestre dedicata ad uno dei martiri più piccoli della storia cristiana. La sua campanella ha per secoli chiamato a raccolta i pastori dell’alpe, ed anche oggi, la seconda domenica di luglio, annuncia S. Messa nella festa dedicata al santo, che richiama un numeroso concorso di appassionati di questi splendidi luoghi. L’alpe è davvero una delle più belle del versante retico, per la sua panoramicità ed estensione. Diverse sono le ipotesi sull’origine del nome: forse è da ricercarsi in un nome personale o soprannome, cui è premesso "Scer" da "ser" o "scior", cioè "signore". Alcuni ipotizzano, invece, una derivazione etrusca da "cer", "cerro", o dal germanico "schirm", che significa ricovero per il bestiame. Non è da escludere, infine, la voce del dialetto bergamasco "scérem", che significa soccida, un particolare contratto fra il proprietario di alpeggi ed un prestatore d'opera che vi conduceva anche alcuni capi di bestiame propri. Anche oggi l’alpe è caricata, anche se non si raggiunge più il considerevole numero dei 200 capi che venivano censiti fino a qualche decennio fa. Se proseguiamo, in diagonale, in direzione dell’opposto versante che, pochi passi più in là, guarda sulla Valle di Preda Rossa, potremo ammirare anche uno scorcio del monte Disgrazia. È però il Sasso Arso (che nasconde alla vista i Corni Bruciati) ad imporsi. Le sue caratteristiche tonalità rossastre, che dominano l’intero versante settentrionale della Val Terzana, evocano il terribile evento che segnò, in un’epoca senza nome, indelebilmente questi luoghi.
Un tempo  splendidi e ricchi alpeggi contornavano le cime di questa zona. Venne, un giorno, fra i fortunati pastori che li caricavano un umile mendicante, chiedendo ospitalità a due di loro. Uno lo cacciò, deridendolo, l’altro, invece, ebbe compassione di lui e gli fornì cibo ed alloggio. Congedandosi dal pastore buono, il mendicante gli disse di lasciare al più presto l’alpe senza mai volgersi indietro, perché qualcosa di terribile sarebbe accaduto di lì a poco. Questi obbedì, lasciò Preda Rossa alla volta di Scermendone basso e poi Scermendone alto. Qui giunto, udì un fragore immane, e vide sinistri bagliori dipingere il cielo di un rosso fuoco. Non seppe resistere, si voltò, e per un attimo vide piovere fuoco dal cielo, e vide gli alpeggi bruciare, seppelliti da un torrente di massi infuocati. Vide per pochi attimi, poi fu accecato da una fiammella, perché aveva disobbedito. Pentito, chiese a Dio di perdonare la sua colpa, e fu esaudito: una voce gli disse di bagnare gli occhi presso una fonte che avrebbe trovato nei suoi pressi. L’acqua operò il miracolo. Da allora i pastori di Buglio scampati al diluvio di fuoco dovettero lasciare quei luoghi desolati, ridotti ad un deserto di massi dal caratteristico colore rosso, chiamato Preda Rossa (“sasso rosso”), e si spostarono negli alpeggi di Scermendone e della Val Terzana. I pastori egoisti, invece, furono condannati in eterno a colpire, con le loro mazze, ciascuno di quei massi: erano diventati, per volontà divina, i danàa de Préda Rosa.


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Per ricordare la tremenda punizione divina, il nome pizzo Bello venne tramutato in quello di monte Disgrazia (e le cime vicine si chiamarono Corni Bruciati e Sasso Arso). L’acqua del miracolo fu, invece, chiamata acqua di öcc, acqua degli occhi: troviamo ancora la sorgente, scendendo da San Quirico sul sentiero che porta al grande baitone-ricovero per le bestie; si trova a poca distanza da questo, sulla destra, custodita da una piccola nicchia di sassi, e dona ancora, quando non è inaridita, quell’acqua che preserva dalle malattie gli occhi). Se vogliamo osservare per la prima volta i protagonisti del nostro anello, cioè i Corni Bruciati, dobbiamo allungare di qualche minuto il percorso, portandoci verso la parte centrale dell’alpe: raggiunto il baitone-ricovero, proseguiamo sul largo sentiero, tagliando un dosso che rimane alla nostra destra, e giungiamo in vista di uno splendido microlaghetto, nei pressi di una baita solitaria. Da qui i Corni Bruciati si mostrano chiaramente, a destra del monte Disgrazia. Le acque del laghetto, quando sono ferme, ne imprigionano la sulfurea immagine.


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Torniamo, ora, alla chiesetta di S. Quirico, cercando, alla sua sinistra, pochi passi più in là, la partenza della mulattiera che scende all’alpe di Scermendone basso. Da qui, per la verità, partono due mulattiere: quella di destra si addentra, con andamento pianeggiante, nella misteriosa e solitaria Val Terzana, mentre quella di sinistra, che ci interessa, scende ai 2060 metri dell’alpe, raggiungendone, con pochi tornanti, il limite basso (occidentale). Ora, ignorando il sentiero che, alla nostra sinistra scende alla piana dell’alpe di Sasso Bisolo (sas besö; semplicemente, l'àlp), proseguiamo in diagonale verso destra (lasciando sulla sinistra anche la baita dell’Alpe), in direzione del torrente della Val Terzana, che attraversiamo con l’ausilio di un ponticello in legno. Oltre il ponticello troviamo un sentiero ben marcato, con qualche segnavia rosso-bianco-rosso, che taglia, con qualche saliscendi, la frana scesa dal crinale sud-occidentale del Sasso Arso (m. 2314), descrivendo un arco che lo porta ad assumere, dall’iniziale direzione sud-ovest, a quella finale nord-est.
Al termine della breve traversata scendiamo ad attraversare un torrentello e saliamo alla parte bassa della spianata cui giunge anche la strada asfaltata che sale da Sasso Bisolo, spianata che, nella stagione estiva funge da parcheggio per i molti veicoli che salgono fin qui. Una passerella in legno ci permette di attraversare il torrente di Preda Rossa e di incamminarci sulla pista che sale alla vicina piana di Preda Rossa. In breve siamo al limite sud-occidentale della splendida piana (m. 1900) che si stende ai piedi dell’anfiteatro terminale della Valle di Preda Rossa, dominato dal profilo regale del monte Disgrazia (m. 3678). La prima giornata dell’anello si conclude al rifugio Ponti.


Rifugio Ponti e monte Disgrazia

Il sentiero che lo raggiunge, segnalato da segnavia rosso-ianco-rossi, non passa più, come accadeva in passato, al centro della piana, ma sul suo lato di sinistra (per chi sale), al fine di evitare il delicato equilibrio del terreno di torbiera. Alcuni ponticelli consentono di scavalcare piccoli corsi d’acqua, prima di raggiungere il limite di nord-est della piana, dove si incontra il primo gradino costituito da materiale morenico, colonizzato, in ordine sparso, da larici che non formano una macchia compatta. Sempre rimanendo sulla sinistra, il sentiero sale ad un pianoro superiore, che lascia sulla destra, piegando a sinistra ed iniziando la ripida risalita del fianco nord-occidentale dell’alta Valle di Preda Rossa, destreggiandosi fra grandi placche rocciose e magre strisce di pascolo. Prima dell’inizio della salita, si trova, segnalata, la deviazione, sulla sinistra, per il passo Romilla (si tratta di una traccia assai incerta e faticosa, che effettua una lunga traversata in diagonale verso sinistra, tornando cioè verso la piana di Preda Rossa, per poi risalire la valle dell’Averta fino al passo, che dà sulla Val Romilla, laterale della Val di Mello).


Rifugio Ponti

Il sentiero per il rifugio Ponti, dopo alcuni tornanti, si fa via via meno ripido e, piegando di nuovo leggermente a destra, effettua un lungo traverso in direzione del terrazzo che ospita il rifugio (denominato, nel dialetto locale, "la capana", m. 2559). Riappare, ancora più maestoso, il monte Disgrazia, che chiude la valle di cui è l'incontrastato signore. Dopo una breve discesa necessaria per superare un valloncello, l'ultima salita ci porta al rifugio Ponti, che venne edificato, per iniziativa del C.A.I. di Milano, nel 1928 e dedicato a Cesare Ponti, banchiere che aveva sostenuto finanziariamente questa sezione. In precedenza esisteva nella zona una più antica capanna, la capanna Cecilia, la prima in Val Masino, edificata nel 1882 (ed ampliata nel 1890) per impulso di quel Francesco Lurani che fu appassionato esploratore, scalatore e divulgatore delle montagne di Val Masino, oltre che romantico marito (il nome della capanna, infatti, era un omaggio alla moglie).
Qualche conto. La prima giornata comporta circa 5 ore di cammino; il dislivello approssimativo in salita è di 1260 metri.

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Seconda giornata: dal rifugio Ponti al rifugio Bosio.

Punti di partenza ed arrivo
Tempo necessario
Dislivello in altezza
in m.
Difficoltà (T=turistica, E=escursionistica, EE=per escursionisti esperti)
Rif. Ponti-Passo di Corna Rossa-Rif. Bosio
3h e 30 min.
350
E
SINTESI. Seguiamo il percorso dell'ultimo giorno del Sentiero Roma (traversata Ponti-Bosio). Dal rifugio Ponti seguiamo le indicazioni "Bosio" e "Corna Rossa" procediamo verso est-mord-est, fra placche rocciose, e saliamo sul filo della grande morena del centro della Valle di Preda Rossa, per poi scendere ad un ramo del torrente di Preda Rossa. Saliamo di nuovo sul filo di una morena laterale e di nuovo scendiamo a guadare un altro ramo del torrente. Procediamo verso est e saliamo ad un ripiano di sfasciumi, passando per un grande masso con indicazione "Desio" e "Bosio". Seguendo i segnavia ci approssimiamo al piede della costiera Valle di Preda Rossa-Val Torreggio (Val del Turéc') e cominciamo a risalirne ilversante di sfasciumi con ampie diagonali. Raggiungiamo così la fascia di rocce rossastre e placche, fra le quali serpeggia una traccia. Alcuni passaggi sono assistiti da corde fisse. La salita fra stretti canalini ci porta in vista del parafulmine che annuncia il passo di Corna Rossa (m. 2826), presidiato dal pericolante e dismesso rifugio Desio. Iniziamo a scendere in Val Airale (Val di Rai) (parte terminale della Val Torreggio (Val del Turéc')) fra blocchi e sfasciumi (ignoriamo la deviazione a sinistra per i laghetti di Cassandra), procedendo in direzione sud-sud-est e poi sud. Superata una sorta di gola, siamo ad un ripiano dove volgiamo decisamente a sinistra (est), sempre procedendofra sfasciumi. Poi pieghiamo leggermente a destra (sud-est) e scendiamo a ridosso dei bastioni rocciosi della valle, procedendo a sinistra del torrente. Dopo un buon tratto di discesa, pieghiamo leggermente a sinistra (direzione est) e percorriamo la piana fino al ponte dei Cacciatori, varcato il quale in breve siamo al rifugio Bosio-Galli (m. 2086).


Apri qui una fotomappa della traversata dalla morena centrale di Preda Rossa al passo di Corna Rossa

La seconda giornata dell’anello coincide con l’ultima tappa del Sentiero Roma e prevede il passaggio dalla Val Masino alla Valmalenco, con discesa al rifugio Bosio, in Val Torreggio (Val del Turéc').
Dal rifugio Ponti, seguendo le abbondanti segnalazioni, si può salire al passo di Corna Rossa. Questo itinerario, nella sua prima parte, coincide con quello seguito dagli alpinisti che scalano il Disgrazia. Si attraversa il primo torrente che scende dal ghiacciaio di Preda Rossa ("sgiascé"), per poi salire sul filo della grande morena centrale che termina ai piedi del medesimo ghiacciaio. Seguendo le bandierine rosso-bianco-rosse, si scende, quindi, sul lato opposto, seguendo un sentierino e, ignorate le indicazioni per il Monte Disgrazia ("desgràzia"), si raggiunge un masso sul quale è segnalato il percorso per i rifugi Desio e Bosio.
Volgendo lo sguardo alle spalle, si può godere di un buon colpo d’occhio sulla poderosa costiera Remoluzza-Arcanzo, fra Valle di Preda Rossa e Val di Mello ("val da mèl"), sulla quale sono individuabili, da nord (cioè da destra) la Bocchetta Roma ("pas da ciöda"), il pizzo della Remoluzza (sciöma da remolöza, m. 2814), il pizzo di Averta (dal dialettale "avert", cioè aperto, m. 2853), il pizzo Vicima (sciöma da veciöma, m. 2687), la cima degli Alli (sciöma dei äl, o Ali, m. 2725) e la cima di Arcanzo (m. 2715). La discesa termina sul greto del secondo torrente che scende dal ghiacciaio e che deve essere attraversato. Il sentiero è a tratti ben visibile, ma talora ci si deve affidare alle segnalazioni.
Fra massi rosseggianti sempre più numerosi e con immagini sempre diverse del Monte Disgrazia ("desgràzia", m. 3678, alla cui sinistra si individua bene la sella di Pioda, a sua volta a destra del monte Pioda - "sciöma da piöda"-), il percorso prosegue, passando a monte della seconda morena della valle, quella orientale, e giungendo ad un grande masso, su cui un’indicazione indirizza ad un nevaio che è presente anche a stagione avanzata e che deve essere risalito. E' già visibile, in alto, la piccola depressione del passo (m. 2836), posto a sud della cima di Corna Rossa (m. 3180); il Monte Disgrazia, intanto, si defila sempre più dietro la dorsale della punta di Corna Rossa.
Il nevaio va tagliato verso sinistra, o aggirato a monte, con cautela, perché, nella parte alta, è abbastanza ripido, per cui val la pena di calzare i ramponi. Raggiunta la fascia di rocce sul suo limite superiore, si inizia la salita su un fondo costituito da terriccio, sassi mobili e massi talora scivolosi. Per questo va affrontata con cautela: in un paio di punti corde fisse la rendono più sicura. Sono pochi i punti esposti, ma conviene ugualmente salire senza fretta. Poco oltre il secondo punto attrezzato con corde fisse, si raggiunge finalmente il passo di Corna Rossa, annunciato dalla punta del parafulmine posto nei suoi pressi (e tutt’altro che superfluo: la zona, per la presenza di rocce con alto contenuto ferroso, è particolarmente bersagliata dai fulmini; lo si tenga presente e si eviti, di conseguenza, di affrontare la salita al passo in condizioni di tempo incerto).


Apri qui una panoramica della Valle di Preda Rossa dal passo di Corna Rossa

La prima immagine che lo sguardo incontra, oltre il passo, è quella del versante destro della Val Torreggio (Val del Turéc'). Volgendo lo sguardo a sinistra si vede il versante sinistro della Val Airale (Val di Rai), prosecuzione della Val Torreggio (Val del Turéc'). Più a sinistra ancora, ecco il rifugio Desio (m. 2830), chiuso perché pericolante, a seguito delle eccezionali nevicate dell’inverno 2000-2001: esso rimane oltre il crinale, per cui non è visibile per chi sale. Insieme al rifugio Marinelli, fu il primo costruito in Valmalenco, per facilitare l'ascensione al monte Disgrazia. Nel 1880 venne edificato un primo rifugio, chiamato di Corna Rossa, sostituito poi nel 1924 dal rifugio Desio, del CAI di Desio, per parecchio tempo gestito dalla famiglia di Egidio Mitta. Assolveva alla sua funzione con una capienza di 18 posti letto e servizio di ristorazione.


Apri qui una fotomappa della Valle di Preda Rossa vista dal passo di Corna Rossa

Volgendoci ancora alle spalle ammiriamo la morena centrale di Preda Rossa, parte della costiera Remoluzza-Arcanzo e, sul fondo, alcune fra le più famose cime della Val di Mello ("val da mèl"), che, durante le precedenti giornate, abbiamo imparato a conoscere bene: i pizzi del Ferro ("sciöme do fèr"), la cima di Zocca ed i pizzi Torrone, fra i quali spicca, per la forma a punta di lancia, il pizzo Torrone orientale. Visto da qui, il rifugio Ponti non è che un piccolo punto perso fra le gande.


Apri qui una fotomappa della Val Torreggio (Val del Turéc') vista dal passo di Corna Rossa

Dal passo di Corna Rossa, attraverso la Val Airale (Val di Rai), si deve, ora, scendere in Val Torreggio (Val del Turéc'), il cui fondo è dominato dai Corni Bruciati. Per farlo si seguono gli abbondanti segnavia rosso-bianco-rossi, che dettano il percorso più razionale fra un mare di massi rossi di tutte le dimensioni. Si presti attenzione a non seguire la deviazione a sinistra, anch’essa segnalata, per i laghetti di Cassandra.


Apri qui una panoramica della Va Torreggio dal passo di Corna Rossa

Nel primo tratto di discesa procediamo verso sud, fino ad un cengione che ci fa scendere dal circo superiore della valle e ci fa accedere, a quota 2570 metri circa, ad una scorbutica fascia di grandi massi, fra i quali i segnavia dettano il percorso meno faticoso. Pieghiamo decisamente a sinistra ed a quota 2500 metri circa siamo alle morene di un antico ghiacciaio e ad una strozzatura della valle, oltra la quale si comincia ad intravvedere qualcosa come una traccia di sentiero.


Discesa dal passo di Corna Rossa

Discesa dal passo di Corna Rossa

Discesa dal passo di Corna Rossa

Discesa dal passo di Corna Rossa

Procediamo ora verso nord-est e sud-est, scendendo ad intercettare il sentiero che, alla nostra sinistra, sale al vallone dei laghetti di Sassersa. Procediamo ancora verso sud-est, prima di piegare a sinistra e procedere in direzione est, fino alla piana del rifugio. Superato il torrente Torreggio, alla nostra destra, su un ponte in legno, eccoci finalmente al rifugio Bosio-Galli.


Apri qui una fotomappa della Val Airale (Val di Rai)

Potrebbe essere un’interessante variante allungare la discesa per visitare i suggestivi e nascosti laghetti di Cassandra. Per farlo, iniziamo dal passo di Corna Rossa a scendere in Val Airale (Val di Rai) seguendo il Sentiero Roma, ma, una trentina di metri sotto il passo di Corna Rossa, lo lasciamo per piegare a sinistra, in direzione est (indicazioni "Cassandra"), seguendo segnavia ed ometti nella traversata delle rosse placche del versante meridionale della cima di Corna Rossa (m. 3180).


Apri qui una fotomappa dell'alta Val Torreggio

Il primo tratto della traversata non propone particolari problemi, ma circa a metà dobbiamo perdere quota su un versante di lisci roccioni, sfruttando gradoni, canalini e piccole cengie. I segnavia rosso-bianco-rossi dettano il percorso, che propone passaggi esposti, da affrontare con la massima attenzione. Dopo la breve discesa, tocchiamo un versante di sfasciumi morenici, puntando ad un grande ometto, alle cui spalle lo sguardo raggiunge la media Val Torreggio (Val del Turéc') e la catena orobica. Su un vicino grande masso troviamo la segnalazione di un bivio: prendendo a destra (indicazione "Bosio") troviamo una debole traccia che si cala verso il fondo della Val Airale (Val di Rai), intercettando il sentiero che scende dal passo di Corna Rossa, mentre andando a sinistra (indicazione "Cassandra") ci portiamo ai laghetti di Cassandra. Traversiamo dunque a sinistra, in leggera discesa, fino ad affacciarci ad un ampio vallone che si apre ai piedi del ghiacciaio della Cassandra, annidato nel versante meridionale del monte Disgrazia (m. 3678). Scendendo facilmente su terreno morenico scopriamo, così, lo splendido sistema dei laghetti di Cassandra, nascosti in un vallone nascosto ai piedi del pizzo di Cassandra.


Traversata Corna Rossa-Cassandra

Traversata Corna Rossa-Cassandra

Traversata Corna Rossa-Cassandra

Traversata Corna Rossa-Cassandra

Passiamo così a destra del più alto ed ampio dei laghetti (m. 2746), nelle cui splendide acque di un blu intenso si specchia il nevaio che scende dal ghiacciaio della Cassandra, e di un laghetto più piccolo (m. 2700). Ci affacciamo poi ad un ampio vallone e, sempre seguendo segnavia ed ometti (indicazioni "Bosio"), descriamo un arco in senso orario, quindi assumendo gradualmente l'andamento sud-est e sud ed ignorando, sulla sinistra, la deviazione per il passo Cassandra (m. 3097), che permette di accedere alla Vedretta della Ventina (védrècia de la venténa), in alta Valmalenco (val del màler; la discesa è molto complessa, perché il ghiacciaio è crepacciato, e richiede impegno alpinistico ed assicurazione in cordata).
L’arco descritto ci permette di giungere in vista dei due laghetti inferiori (m. 2464), che vediamo più in basso.


Bivio

Traversata ai laghi di Cassandra

Vallone dei laghi di Cassandra

Lago superiore di Cassandra

Volgiamo ancora a destra (direzione sud-ovest), scendiamo al più grande, passando a sinistra di un pronunciato torrione, quotato 2710 metri, ed a destra di una enorme ganda. In prossimità del laghetto, che resta alla nostra sinistra, procediamo verso sud per superare, con una certa fatica, una fascia di grandi massi rossi (seguiamo i segnavia, per non complicarci inutilmente la vita).


Lago superiore di Cassandra

Poi, piegando a destra (direzione sud-ovest), varchiamo una breve porta e, sfruttando un facile canalino, raggiungiamo il pianoro quotato 2391 metri. Attraversiamo il pianoro, volgiamo a sinistra e, seguendo i segnavia bianco-rossi, superiamo, con cautela, un sistema di roccette, restando a destra del torrente che scende in Val Airale con una cascata. Dopo un’ultima discesa fra pietrame e magri pascoli, intercettiamo, a quota 2250 metri, il sentiero principale che dal passo di Corna Rossa scende alla piana della Val Torreggio (Val del Turéc'). Seguendolo verso sinistra raggiungiamo il rifugio Bosio-Galli.


Apri qui una fotomappa della discesa verso il lago di Cassandra inferiore

Torniamo ora al racconto dell'itinerario principale, nel suo ultimo tratto.
La piana, nella quale il torrente Torreggio disegna qualche pigro meandro, è dominata, ad ovest, dai Corni Bruciati (settentrionale, m. 3097, e meridionale, m. 3114), che, alla fine, risultano le cime che più risaltano nell’intero Sentiero Roma: li possiamo vedere, sotto diverse angolatura, infatti, dalla Val Ligoncio (val dò ligùnc') e dal passo del Barbacan nord fino alla Val Torreggio (Val del Turéc'), cioè durante tutte le giornate della traversata, esclusa la prima.

Rifugio Bosio-Galli

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Terza giornata: dal rifugio Bosio al rifugio Marinella


Apri qui una fotomappa della Val Airale e dell'alta Valle del Caldenno

Punti di partenza ed arrivo
Tempo necessario
Dislivello in altezza
in m.
Difficoltà (T=turistica, E=escursionistica, EE=per escursionisti esperti)
Rif. Bosio-Passo di Caldenno-Alpe Palù-Alpe Caldenno-Prato Maslino
4h e 30 min.
480
E
SINTESI. Dal rifugio Bosio-Galli imbocchiamo il sentiero segnalato per il passo di Caldenno, che nel primo tratto in direzione ovest, in un fitto bosco di pini mughi, poi sud-ovest, tenendo il lato destro (per chi sale) di una vallecola. A quota 2191 piega ancora leggermente a destra, tornando all’andamento ovest ed allontanandosi dalla vallecola, per raggiungere  e seguire il lato sinistro di una seconda vallecola, riprendendo l’andamento sud-ovest. A quota 2375 attraversa il corso d’acqua da sinistra a destra e, piegando ancora a destra, procede salendo con direzione ovest, fino alle ultime balze che precedono il passo di Caldenno, posto a 2517 metri. La discesa dal passo propone un primo tratto su traccia debole erosa da uno smottamento, poi un pianoro con roccioni affioranti ed una discesa con tornanti ad un grande pianoro circondato da una sterminata ganda di rocce rosse. Attraversata una fascia di pianori acquitrinosi, teniamo la direzione sud-sud-ovest, fino ad una pianetta nei cui pressi notiamo un gigantesco masso erratico. Qui, restando a sinistra di un torrentello, pieghiamo a sinistra (direzione sud-est) e portiamoci nei pressi della soglia di un salto dal quale precipita il corso d’acqua. Cerchiamo con un po’ di attenzione il punto di partenza del sentiero, a sinistra del torrentello ed a ridosso di un cocuzzolo erboso: quando l’abbiamo scovato, possiamo scendere per un buon tratto in direzione sud-est senza problemi, perché la traccia è abbastanza marcata. Poi superiamo un torrentello e raggiungiamo una pianetta erbosa; qui la traccia piega a destra (direzione sud) e continua nella discesa ma si fa più debole che ci porta all’alpe Palù. Passiamo a sinistra delle baite dell’alpe e, restando a sinistra del torrente, ci portiamo nei suoi pressi nel punto in cui lascia il suo pigro corso per scendere più veloce lungo il successivo gradino glaciale. Qui troviamo un largo sentiero che scende diretto all’ultimo e più ampio pianoro della valle, dove sono raccolte in due gruppi, ad est e ad ovest, le numerose baite dell’alpe Caldenno (m. 1811). Seguendo i segnavia passiamo a destra delle chiesetta di Santa Margherita ed attraversiamo le baite del lato orientale dell’alpe. Superato, su un ponticello, il torrente Caldenno ci ritroviamo sulla pista sterrata che giunge fin qui da Prato Isio. Seguendola, scendiamo all’ampio parcheggio posto sul lato alto orientale dei prati, dove, a quota 1669 metri, termina la strada aperta al traffico. Dobbiamo, ora, portarci, lasciando la pista e prendendo a destra, sul lato opposto (occidentale). Un cartello nei pressi di un grande masso sul limite inferiore del parcheggio indica che dobbiamo portarci sul lato opposto dei prati (ovest), passando appena sotto la baita più alta dei prati e raggiungendo una fontana in cemento. Un cartello indica la partenza di un sentiero che si addentra nel bosco, in direzione ovest. Inizia, così, da una quota di 1670 metri circa, la traversata verso prato Maslino. Appena dopo la partenza ignoriamo una debole traccia che si stacca, salendo, sulla destra. Poi giungiamo ad un bivio, al quale, ignorando il sentiero più largo che scende a sinistra, dobbiamo prendere a destra, seguendo le indicazioni di un cartello che reca scritto “Prato Maslino – Sentiero Italia”. Segue una traversata di diversi valloni con numerosi saliscendi, che ci porta al limite orientale di Prato Maslino (m. 1650), dove l'anello si chiude.


Apri qui una panoramica sull'alta Valle del Caldenno

La terza giornata (o la seconda parte della seconda) ci riporta a Prato Maslino, per il passo di Caldenno, la Valle del Caldenno e Prato Isio. Essa coincide, con percorso a rovescio, con la 288sima tappa del Sentiero Italia. Lasciamo, dunque, il rifugio Bosio, seguendo le indicazioni per il passo di Caldenno. Un sentiero, segnalato, procede nel primo tratto in direzione ovest, in un fitto bosco di pini mughi, poi sud-ovest, tenendo il lato destro (per chi sale) di una vallecola. A quota 2191 piega ancora leggermente a destra, tornando all’andamento ovest ed allontanandosi dalla vallecola, per raggiungere  e seguire il lato sinistro di una seconda vallecola, riprendendo l’andamento sud-ovest. A quota 2375 attraversa il corso d’acqua da sinistra a destra e, piegando ancora a destra, procede salendo con direzione ovest, fino alle ultime balze che precedono il passo di Caldenno, posto a 2517 metri.
Il pianoro che, sul versante della Val Torreggio (Val del Turéc') si apre nei pressi del passo è ricco di rocce di gneiss, che riportano segni e cavità che danno l’impressione di costituire un segno dell’arte petroglifica preistorica. Ecco cosa ne scrive don Nicolò Zaccaria, prevosto di Sondalo ed esperto mineralista, il quale, nel 1902, dopo aver visitato questi luoghi, scrisse: “L’anno 1864 feci un’escursione sull’alpe Caldenno in comune di Berbenno. Appartiene al gruppo del Disgrazia, ed è un’alpe a circa 2600 metri sul mare. Alla sua sommità vi è un valico pel quale si entra nella Val Malenco sopra Torre. Or bene, proprio a questo passo la roccia gnesiaca è nuda e quasi piana ed in essa sono scalfite parecchie cavità d’una dimensione e d’una profondità poco su e poco giù come quella delle scodelle. Variano tuttavia nella forma, perché a prima vista hanno l’aspetto di un piede di cavallo. Quegli alpigiani mi condussero loro a vedere le orme impresse nella pietra dalle streghe che vi ballavano sopra con i piedi di cavallo”. In realtà, come poi fu appurato da Antonio Giussani, non ci sono di mezzo né uomini preistorici né streghe: si tratta di erosioni della roccia del tutto naturali. Nei pressi del passo troviamo anche, sulla destra, le indicazioni di un sentiero che da esso taglia direttamente al passo di Corna Rossa: non si tratta, però, di una traversata agevole, ed una scritta raccomanda di seguire scrupolosamente i segnavia.


Apri qui una panoramica dal passo di Caldenno

Il panorama dal passo non è molto ampio, ma sicuramente suggestivo. A nord si mostra, splendido, il monte Disgrazia (m. 3567), ed alla sua destra si distingue bene il pizzo Cassandra (m. 3226). Procedendo in senso orario, distinguiamo i due Corni di Airale, sul versante settentrionale della Val Torreggio (Val del Turéc'). L’orizzonte, poi, si allarga alle cime del gruppo dello Scalino, con il pizzo Scalino, la punta Painale e la vetta di Ron. Ad est intuiamo appena il gruppo dell’Adamello, poi il panorama è chiuso dalla cima quotata 2610, che nasconde alla nostra vista il monte Caldenno (m. 2669). Alla sua destra, cioè a sud, si apre, con il suo caratteristico solco ad U, la Valle del Caldenno (o Valle di Postalesio), mentre sul fondo si disegna una porzione delle Orobie centrali, con la Valle del Livrio, la Valcervia e la Valmadre, sul cui fondo si vede bene il passo di Dordona.
A sud-ovest e ad ovest l’orizzonte è chiuso dalle cime che contornano l’alta Valle del Caldenno. Ad est, in particolare, possiamo individuare il passo di Scermendone (m. 2595), che congiunge Valle del Caldenno e Val Terzana: si tratta della più marcata depressione sul crinale. Alla sua destra il crinale sale fino alla torre quotata m. 2900, nel gruppo dei Corni Bruciati. A nord-ovest, infine, il crinale sale fino alla cima di Postalesio (m. 2995), quotata, ma non nominata sulle carte IGM.
Valicato il passo, torniamo nel territorio del comune di Berbenno. Un sentierino taglia il ripido fianco erboso, in direzione ovest, perdendo quota molto gradualmente. Un po’ di attenzione va prestata nel primo tratto, che attraversa un ampio smottamento. Poi, raggiunto una sorta di terrazzo caratterizzato da numerose rocce levigate affioranti, il sentiero piega a sinistra. Si tratta di rocce che mostrano segni analoghi a quelli rilevati sul passo: piede di strega o azione di acqua e vento? Alla nostra destra, invece, notiamo una enorme ganda, costituita da massi rossastri.


Apri qui una fotomappa della Valle di Postalesio o del Caldenno

L’incendio di Preda Rossa è giunto fin qui? La leggenda non lo dice. C’è però un’altra leggenda, che parla dei “cunfinàa”, cioè delle anime che, per le loro colpe, sono state condannate a scalpellare eternamente questi innumerevoli massi (e, se prestiamo attenzione, ne vediamo, effettivamente, di tutte le dimensioni). Tuttavia il loro lavoro disperato inizia solo sul far del tramonto: solo allora si possono udire i colpi sordi e sconsolati del metallo sulla pietra. Dopo un nuovo tornante a destra, la traccia si fa più debole, ed attraversiamo una fascia di pianori acquitrinosi. Teniamo la direzione sud- sud-ovest, fino ad una pianetta nei cui pressi notiamo un gigantesco masso erratico. Qui, restando a sinistra di un torrentello, pieghiamo a sinistra (direzione sud-est) e portiamoci nei pressi della soglia di un salto dal quale precipita il corso d’acqua.  
Cerchiamo con un po’ di attenzione il punto di partenza del sentiero, a sinistra del torrentello ed a ridosso di un cocuzzolo erboso: quando l’abbiamo scovato, possiamo scendere per un buon tratto in direzione sud-est senza problemi, perché la traccia è abbastanza marcata. Poi superiamo un torrentello e raggiungiamo una pianetta erbosa; qui la traccia piega a destra (direzione sud) e continua nella discesa ma si fa più debole. Non ci sono, comunque, particolari problemi, perché il versante è tranquillo e vediamo chiaramente davanti a noi la meta, il pianoro dell’alpe Palù. Teniamoci sulla sinistra, per evitare il terreno acquitrinoso; passiamo, così, a sinistra delle baite dell’alpe e, restando a sinistra del torrente, ci portiamo nei suoi pressi nel punto in cui lascia il suo pigro corso per scendere più veloce lungo il successivo gradino glaciale. Qui troviamo un largo sentiero che scende diretto all’ultimo e più ampio pianoro della valle, dove sono raccolte in due gruppi, ad est e ad ovest, le numerose baite dell’alpe Caldenno (m. 1811).


Apri qui una panoramica dei Corni Bruciati sulla testata della Valle del Caldenno

Seguendo i segnavia passiamo a destra delle chiesetta di Santa Margherita ed attraversiamo le baite del lato orientale dell’alpe. Superato, su un ponticello, il torrente Caldenno ci ritroviamo sulla pista sterrata che giunge fin qui da Prato Isio. Seguendola, scendiamo all’ampio parcheggio posto sul lato alto orientale dei prati, dove, a quota 1669 metri, termina la strada aperta al traffico. Dobbiamo, ora, portarci, lasciando la pista e prendendo a destra, sul lato opposto (occidentale).


Apri qui una panoramica sull'alta Valle del Caldenno

La direzione ci viene indicata da un cartello nei pressi di un grande masso sul limite inferiore del parcheggio (là dove si trova anche un grande pannello con una mappa del comune di Berbenno): dobbiamo portarci sul lato opposto dell'alpe (direzione ovest), passando appena sotto la baita più alta dei prati e raggiungendo una fontana in cemento. Lì vicino possiamo scorgere, segnalata da un cartello che dà Prato Maslino ad un’ora, la partenza di un sentiero che si addentra nel bosco, in direzione ovest.


Apri qui una panoramica dell'Alpe Palù

Inizia, così, da una quota di 1670 metri circa, la traversata verso prato Maslino, sfruttando un sentiero che si snoda con diversi saliscendi e che in diversi punti non è percorribile stando in sella (il taluni punti un po’ esposti, poi, richiede attenzione). Si tratta di una traversata estremamente suggestiva, perché alterna tratti nel cuore di bellissime pinete, dove il sole rinnova il suo eterno gioco trafiggendo l’antichissima quiete delle dense ombre, ad altri in cui si superano valloni ombrosi e selvaggi, ed in particolare il solco della val Grande, posta al centro del percorso, e della val Fontanin, separate dallo splendido Dosso del Buono, valli che poi confluiscono, più in basso, nella val Finale.


Apri qui una fotomappa della Valle del Caldenno

Consideriamolo nel dettaglio. Appena dopo la partenza troviamo una debole traccia che si stacca, salendo, sulla destra, e la ignoriamo. Poi giungiamo ad un bivio, al quale, ignorando il sentiero più largo che scende a sinistra, dobbiamo prendere a destra, seguendo le indicazioni di un cartello che reca scritto “Prato Maslino – Sentiero Italia” (questo sentiero, infatti, effettua la traversata Maslino Isio e poi prosegue in Valle di Postalesio, salendo al passo di Caldenno e scendendo in Val Torreggio (Val del Turéc'), al rifugio Bosio). Seguono un tratto pianeggiante ed alcuni saliscendi. Non troviamo alcun segnavia, ma solo, di tanto in tanto, sementi blu sul tronco delle piante. Oltrepassata una pianta, sulla destra, con un quadrato blu che racchiude il numero 71, incontriamo e superiamo facilmente il primo vallone, oltre il quale ci attende un breve strappo. Dopo aver incontrato una seconda pianta con l’indicazione del numero 15, seguiamo l’andamento del sentiero che volge gradualmente a sinistra. Uno strappetto ed una iscesa ci portano ad attraversare una valle laterale che confluisce nella Val Grande, e che è percorsa da un modesto corso d’aqua: la quota approssimativa è 1640 metri. Una successiva discesa ci porta nel cuore del solco principale della Val Grande, che attraversiamo a quota 1610 metri. Il sentiero taglia poi uno speroncino che lo separa da un solco gemello, attraversato il quale saliamo per un breve tratto a fianco di alcuni roccioni. Segue un tratto in discesa ed un tratto pianeggiante, a quota 1580, nel cuore di una pecceta che regala circonfusa di un’atmosfera fiabesca. L’impressione vivissima è che fate, elfi, gnomi o folletti siano lì lì per tradire l’immancabile presenza, ma poi, probabilmente, nulla accade, e quel che udiamo è solo il fruscio leggero del nostro passo mentre tagliamo il fianco di un largo dosso.
Una nuova discesa, lungo la quale un leggero smottamento del sentiero è stato tamponato con assi di legno, ci porta ad una nuova valle, stretta ed incassata (la val Funtanìn), che attraversiamo a quota 1540. E’ il punto più basso della traversata: da qui in poi guadagneremo gradualmente una cinquantina di metri di quota.  Inizia una salita, seguita da un tratto in falsopiano, lungo il quale incontriamo due deviazioni, una traccia meno marcata che si stacca sulla sinistra, ed una seconda che si stacca sulla destra e sale con rapide serpentine. Ignorate entrambe le tracce secondarie, affrontiamo un tratto dalla pendenza piuttosto marcata, cui segue un nuovo tratto in falsopiano. Più avanti, vediamo, a poco più di una decina di metri a monte del sentiero, la nuova pista forestale Prato Maslino-Valinette. L’ultimo tratto della salita ci porta ad intercettarla ad una quota di circa 1590 metri. La seguiamo verso sinistra, percorrendo un tratto in falsopiano che ci porta al parcheggio di Prato Maslino, dove abbiamo lasciato l’automobile.


Apri qui una fotomappa sulla Valle di Postalesio

Bilancio della terza giornata: 4 ore e mezza di cammino ed un dislivello in altezza di circa 480 metri (oppure, se condensiamo in una la seconda e la terza giornata: 8 ore di cammino ed un dislivello in altezza di 830 metri).


Apri qui una panoramica di Prato Isio

CARTE DEL PERCORSO sulla base della Swisstopo, che ne detiene il Copyright. Ho aggiunto alla carta alcuni toponimi ed una traccia rossa continua (carrozzabili, piste) o puntinata (mulattiere, sentieri). Apri qui la carta on-line

A. PRATO MASLINO-BIVACCO SCERMENDONE E PASSO CALDENNO-PRATO MASLINO

B. BIVACCO SCERMENDONE-RIFUGIO PONTI-RIFUGIO BOSIO-PASSO CALDENNO

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