L'anello Muretto-Forno

Due giorni fra alta Valmalenco ed Engadina


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CARTE DEL PERCORSO - GALLERIA DI IMMAGINI - APPROFONDIMENTO STORICO - APPENDICE STORICA


La Valle del Muretto italiana

Due giorni fra alta Valmalenco e passo del Maloja alle porte dell'Engadina, fra valle del Muretto e valle del Forno, fra storia e spettacolo della natura. Due giorni dedicati alla doppia traversata Chiareggio-Maloja, per la valle del Muretto e Maloja-Chiareggio, per la valle del Forno e la val Bona. Due giorni ed altrettanti passi da valicare, il passo del Muretto e la bocchetta del Forno (o passo di Val Bona). Due giorni per visitare uno dei più suggestivi rifugi retici, la capanna del Forno, nel superbo scenario dell'alta valle del Forno. Un suggestivo anello che non supera l'impegno escursionistico.

1. CHIAREGGIO-PASSO DEL MALOJA
Punti di partenza ed arrivo
Tempo necessario
Dislivello in altezza
in m.
Difficoltà (T=turistica, E=escursionistica, EE=per escursionisti esperti)
Chiareggio-Alpe dell'Oro-Passo del Muretto-Lago di Cavloc-Passo del Maloja
7-8 h
990 (790 in discesa) - Sviluppo: 15,4 km
E
SINTESI. Saliamo in Valmalenco da Sondrio e proseguiamo, oltre Chiesa Valmalenco, sulla strada per San Giuseppe e Chiareggio (m. 1612). Qui giunti, parcheggiamo appena possibile ed attraversiamo il paese. Giunti al suo limite occidentale, ad un bivio andiamo a destra, procedendo su strada, larga e comoda, che sale in una bella pineta con diversi tornanti, nei cui pressi si trovano anche alcune aree di sosta attrezzata. Dopo circa un'ora di cammino, procedeendo verso nord-ovest usciamo dalla pineta e guadagniamo il terrazzo dell'alpe dell'Oro (m. 2010). Ignorata la deviazione a destra per l'alpe dell'Oro, proseguiamo sulla larga strada e dopo un breve tratto si apre al nostro sguardo l'alta valle del Muretto, con il passo che si distingue chiaramente. Giunti al cartello che segnala la quota 2115, lasciamo per un tratto il percorso storico, interrotto più a monte da una frana, per seguire una pista più bassa. Ci portiamo, quindi, alla conca denominata "zòca granda" o "grènda", dove si trovava un nevaio permanente, ora ridotto a ben modeste proporzioni. Il tracciato guadagna quota sul lato destro (per noi), è interrotto in un punto per un breve tratto (lo ritroviamo salendo in verticale per una ventina di metri) e, dopo alcuni secchi tornanti, ci porta al breve corridoio terminale, che termina ai 2562 metri del passo del Muretto, posto sul confine italo-svizzero. La discesa in Valle del Muretto elvetica non presenta troppe difficoltà, anche se avviene su terreno spesso caratterizzato da noiose pietraie. La traccia aggira sulla sinistra una formazione rocciosa appena sotto il passo, scende diritta su terreno franoso per un tratto, piega a destra e si porta sul lato destro della valle, che segue per tutta la rimanente discesa. Passiamo a mezza costa sopra il ripiano ai piedi del passo e scendiamo verso una strozzatura oltre la quale la valle torna ad allargarsi prima di confluire nella più ampia Valle del Forno, all’ampio ripiano del Plan Canin (m. 1976). Qui il sentiero piega a sinistra e su un ponte supera da destra a sinistra il torrente Orlegna, intercettando il sentiero che dal passo del Maloja sale all’alta Valle del Forno (segnavia bianco-rosso-bianchi), dove si trova il ghiacciaio e la capanna omonima. Lo seguiamo scendendo gradualmente verso nord. Allo scenario desolato della Valle del Muretto si sostituiscono i più gentili colori degli scenari tipici delle vallate engadinesi (anche se qui siamo sul limite della Bregaglia elvetica). Il sentiero si allontana gradualmente dal torrente e piega a sinistra (nord-ovest), raggiungendo le baite dell’alpe Cavlocco (Alp da Cavlòc, m. 1911). Procediamo appena a destra di un torrentello e siamo subito alla riva meridionale del lago di Cavlocco (Lagh da Cavlòc, m. 1907), meta di numerosi escursionisti che salgono fin qui dal passo del Maloja per ammirare i bucolici scenari di uno dei più pittoreschi laghi alpini dell’Engadina. Qui il sentiero si fa più largo e passa a destra del lago. Ignorate due deviazioni a sinistra, proseguiamo diritti e riprendiamo a scendere gradualmente verso nord, tagliando il versante fra il torrente Cavlocco a destra ed il Bosch da la Furcela a sinistra. Giunto quasi sulla soglia di un salto roccioso a picco sul torrente, il sentiero piega a sinistra e traversa per breve tratto verso sud-ovest, passando ai margini di una pianetta torbosa, poi piega a destra ed ancora a sinistra. Infine piega a destra e scende leggermente verso nord fino al ponte sul torrente Orlegna, portandosi sul lato opposto della valle, ad un gruppo di baite di quota 1793. Qui imbocchiamo la stradella che traversa in piano a sinistra delle baite e poi, piegando a sinistra, raggiunge le baite di Orden. Descrivendo un arco in senso orario la pista termina in corrispondenza della strada del Maloja, e precisamente dell’ultimo tornante sx (per chi sale) sotto il passo (m. 1790). Una breve salita sulla strada ci porta al passo del Maloja (m. 1809) ed alla località omonima, dove la nona ed ultima tappa della Via Alpina valtellinese termina.


Apri qui una fotomappa della Valle del Muretto e della Val Bona

La prima parte dell'anello coincide con lo storico Sentiero Rusca, da Sondrio al passo del Muretto.
Vi fu un ventennio nel quale la Valtellina fu al centro della storia d'Europa. Non fu un bel periodo per questa terra, saccheggiata ed impoverita dal passaggio degli eserciti che se ne contendevano il controllo. Si combatteva la guerra dei Trent'anni (1618-1648), che vedeva schierati, su fronti opposti, da una parte la Spagna e la corte asburgica di Vienna, dall'altra la Francia e, in Italia, la Repubblica d Venezia. Gli Spagnoli dominavano Milano, mentre i domini assurgici raggiungevano il Tirolo. In mezzo stava proprio la valle dell'Adda, che assunse, quindi, un ruolo strategico decisivo, in quanto il suo controllo da parte degli spagnoli avrebbe assicurato il collegamento fra i due potentissimi alleati.
La valle era però, da più di un secolo, possesso della Lega Grigia, i Grigioni, che facevano parte della Confederazione Svizzera. Costoro erano protestanti, mentre in Valtellina la fede cattolica era rimasta largamente maggioritaria. Di qui una crescente tensione fra i Grigioni e le maggiori famiglie valtellinesi, determinate a resistere ad ogni tentativo di infiltrazione del Protestantesimo nella valle. In questo clima di tensione si inserisce l'episodio che segnò una sorta di punto di non ritorno. Nicolò Rusca, che da 28 anni reggeva con grande energia la parrocchia di Sondrio, venne rapito da una sorta di incursione dei soldati svizzeri e portato a Thusis, dove era stato costituito un tribunale speciale, lo "Strafgericht": qui morì, sotto tortura, il 4 settembre 1618. L'episodio suscitò uno scalpore enorme, e convinse i cattolici a preparare una ribellione sanguinosa che ebbe inizio a Tirano il 19 luglio 1620, con la strage di Protestanti nota con l'infelice denominazione di "sacro macello valtellinese".
Una facile escursione che ci permette di rievocare l'episodio del rapimento del Rusca è quella che ci porta da Chiareggio al passo del Muretto (pas de mürét, chiamato, però anticamente monte dell'Oro, "munt de l'òor", denominazione passata, poi, all'alpe dlel'Oro): fu infatti proprio attraverso questo valico che l'arciprete venne condotto in Engadina (la salita al passo, infatti, è assai agevole, così come lo è la discesa, in territorio svizzero, al passo del Maloja). Un valico di grande importanza storica, militare e commerciale, soprattutto nei tre secoli di dominazione grigiona della Valtellina (dal 1512 al 1797): intensi furono, in questo periodo, i passaggi, nei mesi estivi (giugno-ottobre), di vini, piode, granaglie, sete, steatite e minerali diversi in direzione dei paesi di lingua tedesca.
Si tratta di un'escursione classica, effettuata d'estate da molti turisti, che però si diradano, fino a scomparire, con l'avanzare dell'autunno. Eppure è proprio ad autunno inoltrato che la salita al passo regala gli scenari più suggestivi, finché le prime nevicate giungono a renderla assai più faticosa e talora anche sconsigliabile.
Da Chiesa in Valmalenco imbocchiamo la strada che sale a San Giuseppe (san giüsèf o giüsèp) e prosegue per Chiareggio (cirècc, cirécc o ciarécc; in un documento del 1544 “gieregio”; in una mappa del 1816 risultava costituito dalla chiesetta di S. Anna, dall’Osteria del Bosco, dal baitone di fronte alla chiesa e da sei piccole costruzioni lungo il Mallero -màler-; m. 1612). Sul limite occidentale del paese la strada che lo attraversa porta ad un bivio: proseguendo diritti ci dirigiamo verso la pineta di Pian del Lupo (cattiva trasposizione in italiano di cià lla lòp, o ciàn de la lòp, vale a dire il piano della loppa, o lolla, materiale di scarto derivato dalla cottura del ferro: niente a che fare con i lupi, dunque!), mentre prendendo a destra saliamo alla volta dell'alpe dell'Oro (alp de l'òor, nel 1544 alpis de loro: niente a che vedere con il nobile metallo, ma con la radice che significa "bordo, ciglio su salto o dirupo"; chiamata anche curt de l’òor, in una mappa del 1816 risultava costituita da 22 baite) e della valle del Muretto (o val Muretto), che, insieme alla val Ventina (val de la venténa) ed alla Val Sissone (val de sisùm) costituisce l'estrema propaggine dell'alta Valmalenco. Scegliamo, seguendo le chiare indicazioni di un grande cartello, questa seconda possibilità, dopo aver parcheggiato l'automobile in uno dei parcheggi disponibili nel paese o nei suoi pressi. La strada, larga e comoda, sale in una bella pineta con diversi tornanti, nei cui pressi si trovano anche alcune aree di sosta attrezzata.  
La maggior parte del suo tracciato è sostenuto, nel versante verso valle, da un muretto ben tenuto. Alcune soste ci permettono di ammirare buona parte della testata della val Sissone, dal monte omonimo, a destra (m. 3330), all'impressionante parete nord del monte Disgrazia (m. 3678), alla cui sinistra si distingue il pizzo Cassandra (piz Casàndra o Casèndra, m. 3226). Dopo circa un'ora di cammino usciamo dalla pineta e guadagniamo il bellissimo terrazzo dell'alpe dell'Oro (m. 2010), che costituisce un eccellente belvedere dal quale ammirare la parete nord del monte Disgrazia, con il severo e tormentato ghiacciaio. Non è questa, però, l'unica cima degna di essere osservata con attenzione: alla sua sinistra si distinguono, oltre al citato pizzo Cassandra, il pizzo Ventina ("piz de la venténa", immediatamente a destra dell'omonimo passo) ed il pizzo Rachele; alla sua destra, invece, sono ben visibili le cime di Vazzeda (m. 3301) e di Val Bona (m. 3033), che delimitano il piccolo ghiacciaio di Vazzeda, e l'elegante monte del Forno (fùren, o fórn, ma anche munt rus, m. 3214), a destra dell'omonimo valico. Il percorso da Chiareggio all'alpe costituisce anche una variante della prima parte della quarta tappa dell'Alta Via della Valmalenco (da Chiareggio al rifugio Palù); l'Alta Via, però, si stacca sulla destra dalla strada per il passo (un cartello che segnala il rifugio Longoni è posto proprio nel punto in cui i due percorsi si dividono).
Ignorata la deviazione a destra, proseguiamo sulla larga strada: improvvisamente, dopo un breve tratto, si apre al nostro sguardo l'alta valle del Muretto ed il passo appare, là in fondo, inconfondibile. Sembra che non manchi molto prima di raggiungerlo, ma è un'impressione ingannevole: ci vuole ancora un'ora e tre quarti circa. Tuttavia la salita non è monotona e permette di ammirare, fra l'altro, lo splendido versante nord-orientale, con le cime che vanno dal monte dell'Oro al monte Muretto. Se la giornata è buona, siamo immersi in un vero e proprio bagno di luce (ma teniamo presente che nella prima metà di novembre, periodo in cui la salita regala colori stupendi, il sole ci abbandona intorno alle due del pomeriggio).
Superata la "trincea", punto nel quale la pista (tracciata dal genio militare fra il 1935 ed il 1940) propone una sorta di trincea-posto di osservazione verso l'alta valle del Muretto, giungiamo al cartello che segnala la quota 2115, e qui dobbiamo lasciare per un tratto il percorso storico, interrotto più a monte da una frana, per seguire una pista più bassa. Ci portiamo, quindi, alla conca denominata "zòca granda" o "grènda", ad una ventina di minuti dalla meta: un tempo qui si trovava un nevaio permanente, ora ridotto a ben modeste proporzioni. Davanti a noi è ben visibile il passo, a destra della caratteristica formazione rocciosa che, per la sua forma tondeggiante, è stata chiamata "bàla del mürèt". Poi giungiamo allo strappo finale: il tracciato guadagna quota sul lato destro (per noi), è interrotto in un punto per un breve tratto (lo ritroviamo salendo in verticale per una ventina di metri) e, dopo alcuni secchi tornanti, ci porta al breve corridoio terminale, che termina ai 2562 metri del passo del Muretto, posto sul confine italo-svizzero.
Sul lato opposto si apre lo scenario, non molto ampio, ma grandioso, delle Alpi retiche svizzere. Scenario che però non ebbe certamente modo di gustare l'arciprete che, quasi quattro secoli fa, fu costretto a valicare il passo per trovare in terra svizzera la morte.


La confluenza delle valli del Muretto e del Forno

La discesa in Valle del Muretto elvetica non presenta troppe difficoltà, anche se avviene su terreno spesso caratterizzato da noiose pietraie. La traccia aggira sulla sinistra una formazione rocciosa appena sotto il passo, scende diritta su terreno franoso per un tratto, piega a destra e si porta sul lato destro della valle, che segue per tutta la rimanente discesa. Passiamo a mezza costa sopra il ripiano ai piedi del passo e scendiamo verso una strozzatura oltre la quale la valle torna ad allargarsi prima di confluire nella più ampia Valle del Forno, all’ampio ripiano del Plan Canin (m. 1976).


Il lago di Cavlocco e la Valle del Muretto elvetica

Qui il sentiero piega a sinistra e su un ponte supera da destra a sinistra il torrente Orlegna, intercettando il sentiero che dal passo del Maloja sale all’alta Valle del Forno (segnavia bianco-rosso-bianchi), dove si trova il ghiacciaio e la capanna omonima. Lo seguiamo scendendo gradualmente verso nord. Allo scenario desolato della Valle del Muretto si sostituiscono i più gentili colori degli scenari tipici delle vallate engadinesi (anche se qui siamo sul limite della Bregaglia elvetica). Il sentiero si allontana gradualmente dal torrente e piega a sinistra (nord-ovest), raggiungendo le baite dell’alpe Cavlocco (Alp da Cavlòc, m. 1911). Procediamo appena a destra di un torrentello e siamo subito alla riva meridionale del lago di Cavlocco (Lagh da Cavlòc, m. 1907), meta di numerosi escursionisti che salgono fin qui dal passo del Maloja per ammirare i bucolici scenari di uno dei più pittoreschi laghi alpini dell’Engadina.


Il lago di Cavloc

Qui il sentiero si fa più largo e passa a destra del lago. Ignorate due deviazioni a sinistra, proseguiamo diritti e riprendiamo a scendere gradualmente verso nord, tagliando il versante fra il torrente Cavlocco a destra ed il Bosch da la Furcela a sinistra. Giunto quasi sulla soglia di un salto roccioso a picco sul torrente, il sentiero piega a sinistra e traversa per breve tratto verso sud-ovest, passando ai margini di una pianetta torbosa, poi piega a destra ed ancora a sinistra. Infine piega a destra e scende leggermente verso nord fino al ponte sul torrente Orlegna, portandosi sul lato opposto della valle, ad un gruppo di baite di quota 1793.


Presso il passo del Maloja

Qui imbocchiamo la stradella che traversa in piano a sinistra delle baite e poi, piegando a sinistra, raggiunge le baite di Orden. Descrivendo un arco in senso orario la pista termina in corrispondenza della strada del Maloja, e precisamente dell’ultimo tornante sx (per chi sale) sotto il passo (m. 1790). Una breve salita sulla strada ci porta al passo del Maloja (m. 1809) ed alla località omonima, dove la nona ed ultima tappa della Via Alpina valtellinese termina.


Il passo del Maloja

2. DAL PASSO DEL MALOJA A CHIAREGGIO PER LA BOCCHETTA DEL FORNO

Punti di partenza ed arrivo
Tempo necessario
Dislivello in altezza
in m.
Difficoltà (T=turistica, E=escursionistica, EE=per escursionisti esperti)
Passo del Maloja-Capanna del Forno-Chiareggio
7 h
967 (1450 in discesa)
EE
SINTESI. Dal passo del Maloja scendiamo verso la Val Bregaglia, lungo la strada, verso sud, fino al primo tornante dx. Qui lasciamo la carrozzabile e, seguendo un cartello escursionistico (Lagh da Cavloc, Capanna del Forno) imbocchiamo un sentiero segnalato (segnavia bianco-rosso-bianchi) che sale lungo un dosso roccioso con qualche larice, raggiungendo poi la località Orden, si immette in una stradella. La seguiamo fino alla piazzola di Salecina e proseguiamo su una pista che passa per le caratteristiche baite di Orlegna. Qui superiamo il torrente Orlegna e saliamo a ridosso della gola dell'Orlegna, lungo un ripido versante che ci porta alle soglie della Valle del Forno. Dopo un quarto d’ora o poco più raggiungiamo la riva nord-orientale del lago di Cavlocco (Lac da Cavloc), classica meta di una facile escursione dei turisti che soggiornano al Maloja. La stradella, passando a sinistra del lago, termina all’alpe Cavloc (m. 1911). Qui consultiamo i cartelli e seguendo le indicazioni per la Capanna del Forno imbocchiamo la mulattiera che, restando a destra del torrente Orlegna, attraversa alcune macchie di larici alternate a radure e si inoltra nella valle verso sud e sud-est, con qualche saliscendi, raggiungendo il piccolo sbarramento artificiale di Plan Canin (m. 1932). Qui, ad un bivio, lasciamo a sinistra il sentiero che porta alle baite di Plan Canin ed all'imbocco della Valle del Muretto Elvetica ed andiamo a destra, iniziando la salita lungo la Valle del Forno. Restando sul suo lato destro (per noi) della valle guadagniamo gradualmente quota su terreno morenico, verso sud, superando alcuni corpi franosi. Intorno a quota 2100 la traccia (assai debole, in verità: dobbiamo prestare attenzione ai segnavia bianco-rosso-bianchi) volge leggermente a sinistra (sud), seguendo l’andamento della valle. Prima di accedere all'anfiteatro dell'alta valle, raggiungiamo un grande corpo roccioso al centro della valle: qui ci portiamo, sfruttando un ponte metallico alla nostra sinistra, a sinistra del torrente, proseguendo poi nella salita fino a raggiungere l’ampia spianata morenica che precede la fronte della Vedretta del Forno, timidamente colonizzata da arbusti e gentili fiori. Da qui distinguiamo bene, sul lato sinistro (per noi) della valle, la spianata sommitale del promontorio sul quale è posto il rifugio del Forno. Si trova allo sbocco di una valle laterale che confluisce vicino al limite basso di sinistra della vedretta del Forno. Proseguendo diritti, puntiamo ad un gigantesco ometto posto sul limite della fronte. Presso un grande masso troviamo un cartello che segnala un bivio: andando a destra si inizia l'itinerario di salita al passo di Casnil o Casnile sud (itinerario che seguiremo la seconda giornata) mentre andando a sinistra procediamo in direzione della Capanna del Forno (segnavia bianco-rosso-bianchi). Prendiamo a sinistra e se seguiamo il vecchio itinerario mettiamo piede sul corpo del ghiacciaio (con tutta la dovuta attenzione: le crepe sono già in estate ben visibili, anche se dopo recenti nevicate possono essere nascoste dalla neve), passando presso un grande masso erratico che sembra galleggiare sulla sua superficie. Seguendo le indicazioni traversiamo in piano a sinistra ed in breve lasciamo il ghiacciaio per scendere ad una valletta con grandi blocchi a ridosso del versante montano. La seguiamo fino a quando i segnavia rosso-bianco-rossi ci indirizzano al sentiero che risale il fianco della valle. A questo sentiero possiamo però anche giungere seguendo il nuovo itinerario segnalato, che dal bivio andando a sinistra non sale sulla vedretta ma si accosta al versante orientale della valle e, piegando a destra, segue l'avvallamento fra questo ed il ghiacciaio. Raggiunto il sentiero di accesso al rifugio, aiutati da corrimano e da scalette di legno e metalliche ci alziamo sul fianco del promontorio su cui è posto il rifugio. Non puntiamo, però, direttamente alla sua sommità, ma procediamo per un buon tratto a mezza costa, superando la fascia di placche rocciose e raggiungendo un versante di sfasciumi. Qui il sentiero inverte, piega a sinistra e, salendo verso nord-nord-est, raggiunge finalmente la spianata sulla quale è posta la Capanna del Forno (m. 2574). Dalla capanna del Forno inizia il rientro in Italia per la bocchetta del Forno o passo di Val Bona, ma anche sella del Forno. Seguendo le indicazioni dei cartelli gialli del CAS imbocchiamo il sentiero che sale lungo la ripida china erbosa, fra roccioni, alle spalle del rifugio, verso est, a ridosso dei contrafforti meridionali del monte del Forno. In breve ci affacciamo ad un ampio vallone di blocchi e pietrame, sul ci limite alto, spostato un po’ a destra, riconosciamo l’evidente intaglio della sella del Forno. Guidati dai segnavia bianco-rosso-bianchi non puntiamo diritti al passo, ma stiamo decisamente sul lato sinistro del vallone e saliamo descrivendo un ampio arco in senso orario, seguendo una traccia discontinua che si destreggia fra gli sfasciumi. Dopo un’ora o poco meno di cammino siamo alla bocchetta del Forno o di Val Bona (m. 2768), dalla quale ci affacciamo alla Val Bona, laterale occidentale dell’alta Valmalenco. Il passo ci introduce ad uno stretto ripiano alto, dal quale ci muoviamo fra grandi blocchi e nevaio anche a stagione avanzata, scendendo con attenzione al suo bordo, dal quale cominciamo a vedere qualcosa di più dello scenario che ci sta accogliendo. Non molto ampio ma suggestivo il colpo d’occhio sull’alta valle: alle spalle dell’ampia conca che si apre più in basso, vediamo il versante orientale della val Ventina (val de la venténa), dove si distingue il Bocchel del Cane, fra il monte Senevedo (m. 2561), a sinistra, e la punta Rosalba (m. 2808), a destra. Alla nostra sinistra si trova il roccione sotto il quale il 12 marzo 1944 cercò riparo l’alpinista Ettore Castiglioni, attivo nella guerra di resistenza al Nazifascismo come organizzatore di una rete che avrebbe dovuto favorire l’espatrio di Ebrei dalla Valmalenco all’Engadina. Era giunto fin qui fuggendo dal passo del Maloja, dove le autorità elvetiche lo avevano posto agli arresti, ma vi trovò la morte per assideramento (cfr. approfondimento). Una targa, posta sul roccione nell’ottobre del 2011, è però caduta. I segnavia sono riferimento costante nella discesa, che affronta il lato sinistro (per noi) dell’ampio vallone, sempre ingombro di blocchi. Approdiamo così ad un ampio pianoro, mentre alla nostra destra si propongono in primo la cima di Val Bona (pizzùn, m. 3033), che chiude la valle sul lato meridionale, ed il monte Rosso (m. 3088), sul lato occidentale della sua testata. Siamo presi da un profondo senso di solitudine, in uno scenario selvaggio ma non aspro. Restiamo ancora sul lato sinistro della valle e scendiamo al più gentile Pian delle Marmotte. Il panorama è dominato dall'affilato profilo del pizzo Scalino, che si staglia là, sul fondo, a sinistra del monte Senevedo. I segnavia ci fano piegare a destra per attraversare il torrentello di Val Bona, a quota 2230. Ora il sentiero, a tratti poco evidente, lascia il solco della valle proseguendo verso destra ed iniziando un lungo traverso verso sud-est, lungo il ripido versante solcato da torrentelli e colonizzato da fastidiosi macereti, che nascondono al nostro occhio dove vanno ad infilarsi i piedi, e larici solitari, che osservano disincantati il nostro transito. Perdiamo così gradualmente quota, alternando tratti di più netta discesa a tratti in falsopiano ed attraversando due avvallamenti principali. La discesa ci porta ad un lariceto, dal quale usciamo alla radura con una baita diroccata (qui ignoriamo la deviazione a sinistra per l'alpe dell'Oro) e, poco oltre, raggiungiamo il limite settentrionale dell’alpe Vazzeda superiore (m. 2033). Qui il sentiero si innesta nel più marcato sentiero che scende da destra, dall’ampio anfiteatro ai piedi della cima di Vazzeda. I triangoli gialli segnalano che siamo ora sull’Alta Via della Valmalenco, e precisamente seguiamo l’ultimo tratto di discesa della sua terza tappa. I problemi di orientamento terminano e procediamo con relativa tranquillità (relativa perché le distorsioni sono assai più frequenti in discesa piuttosto che in salita). Il sentiero scende verso destra, alla parte bassa dei prati, dove supera una piccola porta e si infila in una valletta dove perde quota con rapide serpentine, verso sud-est, portandosi alla parte alta dei prati dell’alpe Vazzeda inferiore (m. 1832). Anche qui stiamo sul lato destro dei prati, lasciando a sinistra le baite, e ritroviamo la traccia marcata che traversa nella boscaglia verso sud-est. Attraversiamo subito su un ponticello un torrente e procediamo diritti fra macereti e boscaglia, fino al bivio segnalato dove si stacca a destra il sentiero che sale al rifugio Tartaglione-Crispo. Ignoriamo la deviazione e restiamo sul sentiero principale, che poco oltre confluisce in una pista sterrata, presso un ponte sul Mallero. Oltrepassiamo il ponte sul Mallero del Muretto e proseguiamo sulla pista, in piano, nella splendida cornice della pineta di Pian del Lupo. Dopo un buon tratto usciamo in vista di Chiareggio e ci portiamo alla piana al lato del torrente Mallero adibita a parcheggio. Qui recuperiamo l’automobile chiudendo l’anello escursionistico.


La Capanna del Forno (foto di Enrico Pelucchi, per gentile concessione; cfr. il suo bel volume "Dieci giorni intorno al Bernina", CAI ed., Sondrio, 2014)

Dal passo del Maloja scendiamo lungo la strad, verso sud, in direzione della Val Bregaglia, fino al primo tornante dx. Qui lasciamo la carrozzabile e, seguendo un cartello escursionistico (Lagh da Cavloc, Capanna del Forno) imbocchiamo un sentiero segnalato (segnavia bianco-rosso-bianchi) che sale lungo un dosso roccioso con qualche larice, raggiungendo poi la località Orden, si immette in una stradella. La seguiamo fino alla piazzola di Salecina e proseguiamo su una pista che passa per le caratteristiche baite di Orlegna. Qui superiamo il torrente Orlegna e saliamo a ridosso della gola dell'Orlegna, lungo un ripido versante che ci porta alle soglie della Valle del Forno. Dopo un quarto d’ora o poco più raggiungiamo la riva nord-orientale del lago di Cavlocco (Lac da Cavloc), classica meta di una facile escursione dei turisti che soggiornano al Maloja.


Il lago di Cavlocco e la Valle del Muretto elvetica

Salendo in Valle del Forno

La stradella, passando a sinistra del lago, termina all’alpe Cavloc (m. 1911). Qui consultiamo i cartelli e seguendo le indicazioni per la Capanna del Forno imbocchiamo la mulattiera che, restando a destra del torrente Orlegna, attraversa alcune macchie di larici alternate a radure e si inoltra nella valle verso sud e sud-est, con qualche saliscendi, raggiungendo il piccolo sbarramento artificiale di Plan Canin (m. 1932).
Qui, ad un bivio, lasciamo a sinistra il sentiero che porta alle baite di Plan Canin ed all'imbocco della Valle del Muretto Elvetica ed andiamo a destra, iniziando la salita lungo la Valle del Forno. Restando sul suo lato destro (per noi) della valle ci addentriamo fra scenari che dimenticano la gentilezza idilliaca del lago di Cavlocco ed assumono colori e contorni decisamente di alta montagna. Guadagniamo infatti gradualmente quota su terreno morenico, verso sud, superando alcuni corpi franosi. Intorno a quota 2100 la traccia (assai debole, in verità: dobbiamo prestare attenzione ai segnavia bianco-rosso-bianchi) volge leggermente a sinistra (sud), seguendo l’andamento della valle. Comincia a mostrarsi la testata della valle con al centro il conico profilo del pizzo Torrone orientale, accompaganto sul lato destro dall'inconfondibile Ago di Cleopatra.


Ponte sul torrente

La spianata di fronte alla Vedretta del Forno

Prima di accedere all'anfiteatro dell'alta valle, raggiungiamo un grande corpo roccioso al centro della valle: qui ci portiamo, sfruttando un ponte metallico alla nostra sinistra, a sinistra del torrente, proseguendo poi nella salita fino a raggiungere l’ampia spianata morenica che precede la fronte della Vedretta del Forno, timidamente colonizzata da arbusti e gentili fiori.
Da qui distinguiamo bene, sul lato sinistro (per noi) della valle, la spianata sommitale del promontorio sul quale è posto il rifugio del Forno. Si trova allo sbocco di una valle laterale che confluisce vicino al limite basso di sinistra della vedretta del Forno. Si tratta della valle che culmina nel passo di Val Bona (che da qui non si vede), per il quale si scende a Chiareggio, in Alta Valmalenco. Alla sua destra si vede la parte terminale di una seconda valle laterale, sul cui fianco settentrionale si impone un gigantesco quanto tozzo versante granitico, dalla forma vagamente paragonabile ad un ferro da stiro, con una sorta di mostruosa maschera disegnata sul lato destro. Si tratta del versante meridionale della cima di Vazzeda (m. 3301). Più a destra il fondo della valle, con il defilato monte Sissone (m. 3330) ed i pizzi Torrone orientale (m. 3333) e centrale (quello occidentale resta nascosto più a destra).


Attraversando la Vedretta del Forno

Proseguendo diritti, puntiamo ad un gigantesco ometto posto sul limite della fronte. Presso un grande masso troviamo un cartello che segnala un bivio: andando a destra si inizia l'itinerario di salita al passo di Casnil o Casnile sud (itinerario che seguiremo la seconda giornata) mentre andando a sinistra procediamo in direzione della Capanna del Forno (segnavia bianco-rosso-bianchi).


Fotomappa dei due sentieri che salgono alla Capanna del Forno

Prendiamo a sinistra e se seguiamo il vecchio itinerario mettiamo piede sul corpo del ghiacciaio (con tutta la dovuta attenzione: le crepe sono già in estate ben visibili, anche se dopo recenti nevicate possono essere nascoste dalla neve), passando presso un grande masso erratico che sembra galleggiare sulla sua superficie. Seguendo le indicazioni traversiamo in piano a sinistra ed in breve lasciamo il ghiacciaio per scendere ad una valletta con grandi blocchi a ridosso del versante montano. La seguiamo fino a quando i segnavia rosso-bianco-rossi ci indirizzano al sentiero che risale il fianco della valle.


Verso il rifugio del Forno

A questo sentiero possiamo però anche giungere seguendo il nuovo itinerario segnalato, che dal bivio andando a sinistra non sale sulla vedretta ma si accosta al versante orientale della valle e, piegando a destra, segue l'avvallamento fra questo ed il ghiacciaio. Raggiunto il sentiero di accesso al rifugio, aiutati da corrimano e da scalette di legno e metalliche ci alziamo sul fianco del promontorio su cui è posto il rifugio. Non puntiamo, però, direttamente alla sua sommità, ma procediamo per un buon tratto a mezza costa, superando la fascia di placche rocciose e raggiungendo un versante di sfasciumi. Qui il sentiero inverte, piega a sinistra e, salendo verso nord-nord-est, raggiunge finalmente la spianata sulla quale è posta la Capanna del Forno (m. 2574).


Verso la Capanna del Forno

Verso la Capanna del Forno

La capanna dispone di 104 posti letto e il servizio cucina. L'edificio originario è dei primi del Novecento, ma è stato ampiamente ristrutturato nel 1985. Di proprietà del C.A.S. Section Rorschach, è gestito da Stephan Rauch (tel.: 0041 (0)79 2937374). Il telefono del rifugio è 0041 (0)81 8243182. E' aperto dal 1 luglio al 15 settembre e nei weekend di aprile e maggio per lo sci alpinismo. Sempre aperto, invece, è il locale invernale che dispone di 25 posti.


La Capanna del Forno (foto di Enrico Pelucchi, per gentile concessione; cfr. il suo bel volume "Dieci giorni intorno al Bernina", CAI ed., Sondrio, 2014)

Costituisce uno straordinario terrazzo panoramico non solo sulla testata della Valle del Forno, ma anche sulla Vedretta del Forno, che da qui appare, nella sua interezza, come una lunga striscia di ghiaccio che richiama scenari himalayani.
Così Bruno Galli Valerio, naturalista ed alpinista, descrive la Capanna del Forno il 14 agosto 1905: “E’ una bella capanna, di forma rettangolare, divisa in due parti: l’una chiusa, in cui stanno cuccette e coperte, l’altra aperta, contenente sei cuccette con paglia; un fornello, una pentola, un tavolo e una panca. Ci stiamo e meraviglia. La situazione in questa capanna è meravigliosa. Posta su un promontorio che si incunea nel ghiacciaio del Forno, domina tutto questo immenso fiume di ghiaccio e l’orizzonte vastissimo è chiuso dalle artistiche cime di Rosso, dei Torroni, di Castello, di Cantone, ecc. qui manca completamente la sensazione di soffocamento che si prova in molte altre capanne, troppo rinserrate fra alte cime. Il visitatore della Val Malenco che non si spinge fino alla capanna del Forno, per la facile forcella omonima, perde l’occasione di ammirare uno dei più splendidi panorami di alta montagna… esco dalla capanna. Daudet ha scritto che se il giorno è la vita degli esseri, la notte è la vita delle cose. Un silenzio infinito domina sull’immensa estensione di ghiacci e di nevi, luccicanti sotto i raggi della luna. I giganti che si rizzano d’intorno, appaiono ancor più grandi e, se si fissano, sembrano mettersi in movimento e spostarsi tutt’intorno alla capanna. Di tanto in tanto lo scroscio di un seracco che precipita, pare la voce di quei giganti.” (Bruno Galli Valerio, “Punte e passi”, a cura di Lisa Angelici ed Antonio Boscacci, ed. CAI di Sondrio, Sondrio, 1998).


L'enigmatico volto di pietra sul versante settentrionale della cima di Vazzeda (al centro)

Dalla capanna del Forno inizia il rientro in Italia per la bocchetta del Forno o passo di Val Bona, ma anche sella del Forno. Seguendo le indicazioni dei cartelli gialli del CAS imbocchiamo il sentiero che sale lungo la ripida china erbosa, fra roccioni, alle spalle del rifugio, verso est, a ridosso dei contrafforti meridionali del monte del Forno. In breve ci affacciamo ad un ampio vallone di blocchi e pietrame, sul ci limite alto, spostato un po’ a destra, riconosciamo l’evidente intaglio della sella del Forno. Guidati dai segnavia bianco-rosso-bianchi non puntiamo diritti al passo, ma stiamo decisamente sul lato sinistro del vallone e saliamo descrivendo un ampio arco in senso orario, seguendo una traccia discontinua che si destreggia fra gli sfasciumi. Dopo un’ora o poco meno di cammino siamo alla bocchetta del Forno o di Val Bona (m. 2768), dalla quale ci affacciamo alla Val Bona, laterale occidentale dell’alta Valmalenco.


La Capanna del Forno

Il passo ci introduce ad uno stretto ripiano alto, dal quale ci muoviamo fra grandi blocchi e nevaio anche a stagione avanzata, scendendo con attenzione al suo bordo, dal quale cominciamo a vedere qualcosa di più dello scenario che ci sta accogliendo. Non molto ampio ma suggestivo il colpo d’occhio sull’alta valle: alle spalle dell’ampia conca che si apre più in basso, vediamo il versante orientale della val Ventina (val de la venténa), dove si distingue il Bocchel del Cane, fra il monte Senevedo (m. 2561), a sinistra, e la punta Rosalba (m. 2808), a destra. Alla nostra sinistra si trova il roccione sotto il quale il 12 marzo 1944 cercò riparo l’alpinista Ettore Castiglioni, attivo nella guerra di resistenza al Nazifascismo come organizzatore di una rete che avrebbe dovuto favorire l’espatrio di Ebrei dalla Valmalenco all’Engadina. Era giunto fin qui fuggendo dal passo del Maloja, dove le autorità elvetiche lo avevano posto agli arresti, ma vi trovò la morte per assideramento (cfr. approfondimento). Una targa, posta sul roccione nell’ottobre del 2011, è però caduta.


Salendo verso la bocchetta del Forno


I segnavia sono riferimento costante nella discesa, che affronta il lato sinistro (per noi) dell’ampio vallone, sempre ingombro di blocchi. Approdiamo così ad un ampio pianoro, mentre alla nostra destra si propongono in primo la cima di Val Bona (pizzùn, m. 3033), che chiude la valle sul lato meridionale, ed il monte Rosso (m. 3088), sul lato occidentale della sua testata. Siamo presi da un profondo senso di solitudine, in uno scenario selvaggio ma non aspro. Restiamo ancora sul lato sinistro della valle e scendiamo al più gentile Pian delle Marmotte. Il panorama è dominato dall'affilato profilo del pizzo Scalino, che si staglia là, sul fondo, a sinistra del monte Senevedo.


Salendo verso la bocchetta del Forno

I segnavia ci fano piegare a destra per attraversare il torrentello di Val Bona, a quota 2230. Ora il sentiero, a tratti poco evidente, lascia il solco della valle proseguendo verso destra ed iniziando un lungo traverso verso sud-est, lungo il ripido versante solcato da torrentelli e colonizzato da fastidiosi macereti, che nascondono al nostro occhio dove vanno ad infilarsi i piedi, e larici solitari, che osservano disincantati il nostro transito. Perdiamo così gradualmente quota, alternando tratti di più netta discesa a tratti in falsopiano ed attraversando due avvallamenti principali.


Scendendo lungo la Val Bona

La discesa ci porta ad un lariceto, dal quale usciamo alla radura con una baita diroccata (qui ignoriamo la deviazione a sinistra per l'alpe dell'Oro) e, poco oltre, raggiungiamo il limite settentrionale dell’alpe Vazzeda superiore (m. 2033). Qui il sentiero si innesta nel più marcato sentiero che scende da destra, dall’ampio anfiteatro ai piedi della cima di Vazzeda. I triangoli gialli segnalano che siamo ora sull’Alta Via della Valmalenco, e precisamente seguiamo l’ultimo tratto di discesa della sua terza tappa. I problemi di orientamento terminano e procediamo con relativa tranquillità (relativa perché le distorsioni sono assai più frequenti in discesa piuttosto che in salita).


Pian delle Marmotte

Il sentiero scende verso destra, alla parte bassa dei prati, dove supera una piccola porta e si infila in una valletta dove perde quota con rapide serpentine, verso sud-est, portandosi alla parte alta dei prati dell’alpe Vazzeda inferiore (m. 1832). Anche qui stiamo sul lato destro dei prati, lasciando a sinistra le baite, e ritroviamo la traccia marcata che traversa nella boscaglia verso sud-est. Attraversiamo subito su un ponticello un torrente e procediamo diritti fra macereti e boscaglia, fino al bivio segnalato dove si stacca a destra il sentiero che sale al rifugio Tartaglione-Crispo. Ignoriamo la deviazione e restiamo sul sentiero principale, che poco oltre confluisce in una pista sterrata, presso un ponte sul Mallero.
Oltrepassiamo il ponte sul Mallero del Muretto e proseguiamo sulla pista, in piano, nella splendida cornice della pineta di Pian del Lupo. Dopo un buon tratto usciamo in vista di Chiareggio e ci portiamo alla piana al lato del torrente Mallero adibita a parcheggio. Qui recuperiamo l’automobile chiudendo l’anello escursionistico.


Alpe Vazzeda inferiore

APPROFONDIMENTO: LA MORTE DI ETTORE CASTIGLIONI POCO SOTTO LA BOCCHETTA DEL FORNO

La salita dal Maloja alla vedretta del Forno fu scenario di un fatto storico poco noto durante la seconda guerra mondiale. Pochi sanno, infatti, che la bocchetta del Forno (posta poco a monte del rifugio, ad est, sul confine italo Svizzero) fu teatro di una tragedia che merita assolutamente di essere raccontata. Poco sotto il valico, sul versante italiano, morì assiderato da una tormenta, il 12 marzo del 1944, Ettore Castiglioni, figura di rilievo primario dell’alpinismo italiano, ma anche protagonista importante della guerra di Resistenza. Il suo corpo fu trovato nella successiva tarda primavera a quota 2650, là dove poi nel 2011 è stata posta una targa commemorativa (sul roccione presso il quale aveva tentato di ripararsi). Nato nel 1908 da una ricca famiglia milanese, si era imposto fin da giovane all’attenzione del mondo alpinistico, con diverse “prime” di prestigio che gli avevano meritato la medaglia d’oro al valor alpinistico. Fra queste, la parete nord-ovest del pizzo Badile, con Vittorio Bramani (luglio del 1937). Allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale era il più famoso alpinista italiano.


Sotto la bocchetta del Forno, nei pressi del luogo dove morì Ettore Castiglioni

Durante la guerra prestò servizio come tenente degli Alpini, fino all’armistizio del 8 settembre 1943. Scelta la guerra partigiana, si rifugiò sull’Alpe Berrio Damont (1932 m), sopra Ollmont (in Valpelline), dove operò per agevolare l’espatrio in Svizzera di un centinaio di Ebrei ed oppositori politici che sfuggivano ai rastrellamenti. Fra questi anche Luigi Einaudi, che sarà poi il primo Presidente eletto della Repubblica italiana. Ben presto però (ottobre 1943) le autorità elvetiche lo arrestarono sul confine e lo incarcerarono per 5 settimane sotto l’accusa di spionaggio e contrabbando. Seguì l’espulsione con il divieto di rimettere piede nella Confederazione Elvetica.


La targa collocata nell'ottobre del 2011

Il Castiglioni proseguì la lotta di resistenza e su incarico del CLN decise di tornare in Svizzera per organizzare un nuovo nucleo, questa volta dalla Valtellina. L’11 marzo del 1944 partì con gli sci dalla Capanna Porro, portando con sé un passaporto scaduto intestato al cittadino svizzero Oscar Braendli. Scese al Maloja, ma la gendarmeria elvetica scoprì il sotterfugio e lo arrestò per la seconda volta. Venne privato di pantaloni, scarponi e sci e trattenuto in arresto nell’Hotel Longhin. Deciso a non finire sotto processo per la seconda volta, alle cinque di mattina della successiva domenica 12 marzo si calò con lenzuola annodate dal primo piano e fuggì verso la Valle del Forno, per tornare in Italia. Era sommariamente riparato da una coperta. Ai piedi alcuni stracci gli permettevano a malapena di calzare i ramponi. Nonostante ciò riuscì a guadagnare la bocchetta del Forno, ma l’inclemenza del tempo non gli lasciò scampo. Sorpreso da una tormenta, cercò riparo nell’anfratto di un roccione poco sotto il valico, in territorio italiano. Qui morì assiderato, a soli 36 anni.


Sotto la bocchetta del Forno, nei pressi del luogo dove morì Ettore Castiglioni

Sulla fiancata destra della chiesa di S. Anna a Chiareggio una targa lo ricorda. Nel 1999 venne edita la sua biografia, Il vuoto alle spalle. La storia di Ettore Castiglioni, scritta da Marco Albino Ferreri (Corbaccio Editore). Per maggiori dettagli è utile anche l’articolo all’indirizzo http://www.anpi.it/donne-e-uomini/ettore-castiglioni/

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APPENDICE STORICA

Tarcisio Salice, in un articolo sul castello di Malenco pubblicato sul Bollettino della Società Storica Valtellinese del 1979, così inquadra il rilievo storico del passo del Muretto:
“Nell'alto Medioevo la «via» della Valmalenco o del Muretto — inteso questo termine nel senso voluto da Cassiodoro — servì soprattutto per trasportare al piano i minerali e il legname, di cui la zona era particolarmente ricca; nel secolo XI, però, essa riprese importanza anche come naturale prolungamento verso i paesi transalpini delle mulattiere che dalla Bergamasca conducono alla media Valtellina attraverso la Valmadre e la convalle di S. Salvatore. Ne è prova la chiesa di S. Giacomo, menzionata per la prima volta nel Liber censuum della Chiesa romana, compilato nel 1192 dal cardinale Cenzio Savelli, poi papa Onorio III. Significativo è pure il fatto che tra i diritti feudali della famiglia De Capitani di Sondrio ci sia stato anche il pedaggio sul traghetto di Albosaggia.
Quella chiesa, sorta quando più frequenti divennero i pellegrinaggi dalle regioni germaniche al santuario di S. Giacomo di Compostella, sta ad indicare che all'interno dell'ansa del Mallero — e quindi ben protetto —andava già sviluppandosi quello che diverrà il paese principale della valle, anzi il suo capoluogo amministrativo e religioso. Alla fine del '200 la chiesa dei santi Giacomo e Filippo di Malenco appare già provvista di un proprio clero beneficiato e precisamente di un prete di nome Cressio Della Pergola e di un chierico (Ruggero Capitani) che era anche canonico di Sondrio. Nel 1343 la contrada di Chiesa mandava già quattro rappre­sentanti al consiglio generale del comune di Sondrio, come Ponchiera.
Il Duby ritiene che in casi consimili siano stati gli stessi signori feudali a decidere di organizzare il popolamento delle valli alpine, mossi molte volte da considerazioni politiche. «Si trattava — egli scrive — di rafforzare la sicurezza di una strada popolando le foreste che attraversava, oppure di consolidare la frontiera [del loro dominio] insediando nelle marche boscose e deserte che finora gli avevano formato intorno un largo spalto protettivo, forti comunità contadine costrette al servizio militare».
Che tale possa essere stato anche il caso della Valmalenco lo indica, a mio parere, il termine anziano, col quale veniva designato il capo amministrativo di quella quadra. Nei documenti chiavennaschi della seconda metà del '200 il titolo di anziano viene dato normalmente al vicino preposto a un drappello di soldati per distinguerlo dal nobile, al quale spettava quello di capitano. E' possibile, quindi, che il responsabile amministrativo della comunità di Malenco abbia avuto, almeno in origine, anche
compiti militari connessi col castello. Il periodo che va dall'XI al XIII secolo si distingue appunto per un notevole incremento demografico con conseguente espansione delle antiche zone agricole, per lo sfruttamento dei grandi erbai degli alpeggi e per l'intensificarsi del commercio di prodotti dell'allevamento, della lana, delle pelli e del legname da costruzione.

L'importanza militare del passo del Muretto aumentò specialmente durante l'interminabile contesa tra le due fazioni dei Rusca (ghibellini) e dei Vittani (guelfi) per la signoria di Como. Passarono sicuramente per quel passo i tre uomini che, fuggiti dalla Valtellina nel 1289 chi per Malenchum e chi per vallem Malenchi, furono catturati dai chiavennaschi e condotti a Como. Fu attraverso quel passo che nel 1326 i guelfi sondraschi fecero «una grande andata in servizio del signor Giorgio di Vicosoprano» e nell'anno successivo Egidio De Capitani, zio di Tebaldo, «mandò in soccorso del vescovo di Coira cinquanta uomini».
Sotto gli Sforza la via del Muretto fu considerata così importante per la difesa militare della Valtellina da essere compresa nel piano di revisione generale della viabilità valligiana voluto da Ludovico il Moro. Attraverso il Muretto i devoti di S. Gaudenzio martire pellegrinavano fino a Casaccia. in Valbregaglia, a venerarne le reliquie, mentre i De Vizzola e i Beccaria, loro successori nel capitaneato delle pievi di Sondrio e di Berbenno, allacciavano nodi matrimoniali coi Marmorera e i Castelmuro. Eppure, a detta del Lavizzari che cita in proposito il cronista Stefano, a Merlo, il passo del Muretto — o della Montagna dell'Oro, com'era anche chiamato — era transitabile soltanto in alcuni mesi estivi; solo eccezionalmente, nel 1540, era rimasto aperto tutto l'anno perché «dalle Calende di ottobre del 1539 non [era] caduta neve od acqua alcuna sino al 15 aprile dell'anno seguente»”

Ecco, infine, quanto scrive Nemo Canetta in un articolo del medesimo Bollettino della Società Storica Valtellinese, nel numero del 1978:
“Però non furono certamente solo considerazioni geografiche a far scegliere il passo del Muretto come via di comunicazione principale tra la media Valtellina ed il Nord, certo notevole peso ebbe il fatto che ai due capi delle valli che adducono al passo, vi siano Sondrio, capitale della Valtellina, e il passo della Maloggia. Il tragitto risulta particolamente breve e, a quanto ci consta, nel 1500 le carovane, che portavano nei Grigioni vino e «piode» di Valmalenco, impiegavano solo un giorno e mezzo dalla metropoli valtellinese al passo della Maloggia, con evidente risparmio di tempo rispetto ai lunghi giri sugli itinerari principali, inoltre l'itinerario attraversava la Valmalenco che, con i suoi oltre trecento kmq e le sue grandi ricchezze in boschi, pascoli e minerali, costituiva e costituisce tuttora una delle principali convalli della Valtellina, tanto che in essa sono compresi ben cinque comuni (Spriana, Torre Santa Maria, Chiesa, Caspoggio e Lanzada) oltre a larghi tratti del comune di Sondrio e Montagna. Pertanto la strada del Muretto non attraversava sterili lande ma territori relativamente ricchi e che anzi potevano concorrere ai commerci, ad esempio con le già citate «piode». A questo punto riteniamo che non vi sia bisogno di aggiungere altro sull'importanza di questo valico. ... Già parlando in generale del passo del Muretto è stata citata la strada che ad esso adduceva, sarà però opportuno chiarire che non si trattava di un solo itinerario ma di una serie di mulattiere che percorrevano i due fianchi della valle, almeno nella sua parte medio-inferiore. L'itinerario più antico, secondo alcuni avrebbe addirittura origine pre-romana, partiva dall'attuale abitato di Mossini passava per il borgo di Gualtieri e da qui si alzava a Cagnoletti e dopo un tratto a mezza costa portava a Bondoledo (Ca' Bianchi) ed al Castello di Torre, al di là del quale il percorso si confondeva in gran parte con le strade moderne fino a Chiesa. Qui con ogni probabilità l'itinerario si divideva in due: uno superiore che passando da Sasso portava a Primolo e da qui a S. Giuseppe e uno inferiore, forse più importante, che transitando dall'attuale centro di Chiesa conduceva al ponte di Curlo ed al Castello di Malenco e per la stretta del Giovello anch'esso a S. Giuseppe. Di qui la strada proseguiva con un tracciato più basso dell'attuale sino a Chiareggio e al passo. Verso la fine del Medio Evo la parte inferiore di questo itinerario doveva essere, almeno parzialmente, caduta in disuso con la costruzione del ponte di Arquino e la successiva stradetta che porta sotto Cagnoletti, prosegue poi per Tornadù ricongiungendosi con la precedente all'altezza di Torre.
Questo itinerario rimase il principale sino all'epoca della dominazione austriaca quando, sotto Bedoglio, venne costruito il ponte della Luisa; fu questa la prima vera strada carreggiabile della valle, tuttavia sia il ponte di Arquino che le tracce successive di strada sotto Cagnoletti dimostrano che questo itinerario già aveva la possibilità di essere percorso, almeno in parte, da qualche leggero traino locale. E' probabile che più o meno nello stesso periodo prendesse forma anche un altro itinerario, totalmente alternativo ed ancor oggi in gran parte percorribile se non fosse per la frana di Bedoglio. Sempre dal ponte di Arquino, ma tenendosi sul lato sinistro orografico della valle, una bella mulattiera si alza a Cucchi e da qui a Bedoglio, per Spriana e Marveggia ci si porta poi a Zarri e da qui a Cristini e a Milirolo. Da Milirolo il tracciato si confonde in gran parte con l'attuale strada provinciale, ma allora portava senza dubbio al Castello di Caspoggio e da qui all'omonimo borgo. Passando poi per Lanzada, Vassalini ed il Curlo ci si ricollegava alla strada principale…
Da quanto prima esposto risulta evidente che in un paio di giorni di marcia un esercito invasore poteva piombare dal cuore dei Grigioni su Sondrio, la capitale. Inoltre tale esercito, ed è proprio ciò che successe all'epoca del «Sacro Macello», una volta discesa la Valmalenco non aveva di fronte più nessun ostacolo naturale e pertanto poteva prendere sul rovescio tutte le forze di difesa dell'alta Valtellina. E infatti nell'agosto del 1620, quando le forze grigione, bloccate lungo gli itinerari principali, riuscirono a forzare il passaggio al Castello di Valmalenco non solo conquistarono Sondrio ma misero anche in crisi tutto lo schieramento degli insorti provocando l'intervento diretto degli Spagnoli.


Monte Disgrazia

Su un piano militare bisogna inoltre tener conto di altri due fattori: innanzitutto la strada del Muretto non è costituita da un singolo itinerario che, come tale, può essere facilmente interrotto o sbarrato da esigue forze, ma da un fascio di mulattiere che a partire dall'alpestre borgo di S. Giuseppe scendono verso Sondrio tenendosi talora a notevole distanza l'una dall'altra. Inoltre esistono alcuni valichi, già citati, tra la Valmalenco orientale e l'alta valle di Poschiavo, territorio quest'ultimo che fu praticamente sempre sotto controllo grigione.
Questa via di penetrazione era importante in quanto permetteva di aggirare completamente la stretta del Giovello, fortificata dal castello di Malenco, e la cosa è comprovata dal fatto che durante la rivolta valtellinese furono inviati su questi confini dei guastatori per interrompere le comunicazioni.
Da quanto sopra esposto risulta evidente che chi aveva il controllo di Sondrio, se voleva guardare i confini settentrionali, non poteva limitarsi a presidiare un castello in Valmalenco, anche se in posizione strategica (castello di Malenco), ma doveva fortificare tutta la valle facendo sì che le varie opere fossero in comunicazione ottica una con l'altra. In tale modo, come da noi sperimentato tempo fa, Sondrio poteva essere avvertita del pericolo ai confini, in poco più di mezz'ora, quando le truppe nemiche fossero state ancora all'altezza di S. Giuseppe, a distanza cioè di più di mezza giornata di marcia dal capoluogo valtellinese.


Discesa lungo la Valle del Muretto elvetica

Vi sarebbe perciò stato tutto il tempo, mentre le fortificazioni della valle trattenevano l'esercito invasore, non solo di approntare la difesa della città ma anche di reagire controffensivamente. Va tuttavia detto che non vi sono prove certe che questo sistema sia stato effettivamente utilizzato. Probabilmente all'epoca del cosidetto «Sacro Macello» era già caduto in disuso o perlomeno i vari autori non ne fanno parola.Dobbiamo però notare che la tradizione di queste comunicazioni ottiche, da un fortilizio all'altro, si è tenacemente perpetuata sino ai giorni nostri e che anzi ci è sovente capitato di incontrare anziani valligiani che ne parlavano con assoluta sicurezza e cognizione di causa. Lo schema delle fortificazioni della Valmalenco è pertanto il seguente:
Alta valle del Mallero: nessuna fortificazione; vi è però qualche vaga tradizione di posti di avvistamento nella zona di S. Giuseppe, il che è perfettamente plausibile.
Castello di Malenco: a sbarramento della stretta del Giovello, più o meno fiancheggiato da trinceramenti nella zona di Primolo.
Castello di Caspoggio: su di un dosso di fronte a Chiesa Valmalenco, al di là del Mallero.
Torre di q. 822 (detta anche di Basci): lungo l'attuale provinciale Torre Santa Maria - Chiesa.
Torri di Milirolo: complesso fortificato situato sulla parte anteriore dell'omonimo borgo.

Castello di Torre Santa Maria: si trattava probabilmente di una residenza castellata, è situata in località Volardi.
Torre nel comune di Spriana: di incerta localizzazione ma ricordata da numerose tradizioni orali.
Torre di Gualtieri: sita nei pressi dell'omonima frazione di Sondrio.
Castel Masegra.”

CARTE DEL PERCORSO sulla base della Swisstopo, che ne detiene il Copyright. Ho aggiunto alla carta alcuni toponimi ed una traccia rossa continua (carrozzabili, piste) o puntinata (mulattiere, sentieri). Apri qui la carta on-line

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