Il trekking che circonda la più famosa cima delle Orobie occidentali
CARTE DEL PERCORSO - ANELLO LUNGO ED ANELLO BREVE DEL PIZZO DEI TRE SIGNORI- GALLERIA DI IMMAGINI - ALTRE ESCURSIONI A GEROLA ALTA - PASSI E PENSIERI DI IVAN FASSIN
Il pizzo dei Tre Signori ("Piz di tri Ségnùr") non è una montagna qualunque, ma una specie di simbolo, di icona di questo comprensorio, oltre che, con i suoi 2554 metri, la vetta più elevata della Val Gerola. Quando pensiamo a questa cima oggi ci viene in mente soprattutto l’ampiezza del panorama che essa ci apre. Ma l’importanza di questo gigante, nel passato, era legata soprattutto al suo corpo poderoso, nel quale vennero scavate miniere di ferro, conosciute e sfruttate sin dall'epoca romana.
La bocchetta di Trona ("buchéta de Truna", m. 2092), che si apre poco a nord del pizzo, fu, infatti, fin da epoche antichissime, il più agevole valico che congiungeva, attraverso la Valsassina, il milanese alla Valtellina: solo in tempi molto più recenti, infatti, la via del lago di Como divenne praticabile. Per la cosiddetta Via del Bitto, da Introbio, in Valsassina, a Morbegno passarono, quindi, nei secoli genti, mercanti ed eserciti. Sempre sotto lo sguardo impassibile e disincantato del pizzo che gli uomini, con presunzione, hanno battezzato dei Tre Signori, ma che è in realtà il signore di queste montagne.
Vale però la pena segnalare che esiste anche la possibilità di chiudere un non meno affascinante anello escursionistico intorno al pizzo, passando per due rifugi (presso i quali si può ovviamente anche pernottare, diluendo l'impegno dell'escursione, il rifugio F.A.L.C. ed il rifugio S. Rita). Se avessimo percorso questo itinerario nei secoli XVI, XVII e XVIII avremmo attraversato 4 confini, passando per il territorio di tre diverse Signorie (di qui il nome del pizzo), quella delle Tre Leghe Grigie (Valtellina, quindi Val Gerola), del Re di Spagna (Milano, quindi lecchese) e Serenissima Repubblica di Venezia (Bergamasca, quindi Val Brembana). L'anello viene descritto assumendo come punto di partenza ed arrivo la località di Pescegallo, sopra Gerola Alta, anche se ciascuno dei due rifugi menzionati può fungere da punto di partenza ed arrivo. Clicca qui per aprire una panoramica a 360 gradi dalla cima del Pizzo dei Tre Signori ANELLO LUNGO DEL PIZZO DEI TRE SIGNORI (PER LE BOCCHETTE DI PIAZZOCCO, DELLA CAZZE E DELL'INFERNO)
Entriamo in Val Gerola staccandoci dalla SS 38 dello Stelvio alla prima deviazione a destra in corrispondenza della rotonda di ingresso (per chi viene da Lecco) a Morbegno. Dopo 15 chilometri sulla strada provinciale 7 della Val Gerola, siamo a Gerola Alta (m. 1053). Proseguendo sulla carozzabile, incontriamo il nucleo di Fenile e raggiungiamo il Villaggio Pescegallo il Villaggio Pescegallo (m. 1454), dove la carozzabile termina. Parcheggiata qui l'automobile, dirigiamoci verso l'edificio da cui parte la seggiovia per il rifugio Salmurano.
Alle sue spalle inizia un sentiero, segnalato da due cartelli e da segnavia rosso-bianco-rossi (percorso 8), che punta in direzione nord-ovest, entrando ben presto in un bel bosco. I cartelli indicano i due percorsi 144 (sentiero dell’Homo Salvadego, con il rifugio Benigni dato a 2 ore e 15 minuti ed il rifugio Trona Soliva a 2 ore e 30 minuti) e 148 (con il lago di Trona dato ad un’ora e 40 minuti ed il lago Rotondo a 3 ore): la direttrice che ci interessa è quella lago di Trona-lago Inferno-Bocchetta di Piazzocco. Entrati in una bel bosco di abeti rossi, dopo un tratto di severa pendenza raggiungiamo la pianetta di quota 1550, dove troviamo un pannello che ci parla delle diverse conifere che possiamo trovare nei boschi della valle.
Superiamo, poi, tre torrentelli (altrettanti rami del “bit de trunèla”, il torrente che scende dalla Val Tronella) e saliamo, con qualche tornantino, ad un ampio versante occupato da un pascolo (m. 1660). Entriamo in un ampio recinto per il bestiame (delimitato da un basso muretto perimetrale) uscendone verso sinistra. Alla nostra sinistra la Val Tronella si mostra ora in tutta la sua bellezza: sul suo lato sinistro vediamo anche la costiera che la delimita ad est, costituita dalla cosiddetta Rocca di Pescegallo (o Denti della Vecchia, “ul filùn de la ròca” o “denc’ de la végia”, cinque torrioni il più alto dei quali è quotato m. 2125 e che vengono visti come un unico torrione da Gerola, chiamato anche “piz de la matìna” perché il sole vi sosta, appunto, la mattina).
Inizia ora una salita faticosa: inanellando un tornante dopo l’altro, guadagniamo quota sul ripido versante a monte dei pascoli. Dopo una prima serie di tornantini, effettuiamo un traverso a sinistra; segue una sequenza di tornanti dx-sx-dx-sx-dx, all’ultimo dei quali (m. 1810) si stacca, sulla sinistra, il sentiero che si addentra in Val Tronella (si tratta della Gran Via delle Orobie, che giunge fin qui da destra e prosegue per il lago di Pescegallo, dato ad un’ora e 10 minuti, il passo di Verrobbio, dato ad un’ora e 50 minuti, ed il passo di San Marco, dato a 2 ore e 50 minuti). Se invece proseguiamo sul sentiero principale i cartelli danno il lago di Trona a 30 minuti, il lago Zancone a 50 minuti, il lago Rotondo ad un’ora e 50 minuti ed il rifugio Trona Soliva ad un’ora. Di questi luoghi noi toccheremo solo il primo. Proseguiamo, dunque, verso destra, con un ultimo strappo, poco prima della fine del quale notiamo un sentierino che si stacca dal nostro sulla sinistra; non ci sono cartelli, solo la scritta, su un masso, “1/2 luna”, perché esso porta proprio ai piedi del celeberrimo e suggestivo uncino di roccia del torrione della Mezzaluna. Ignorata la deviazione, per un bel tratto proseguiamo diritti, con diversi saliscendi, allietati dallo spettacolo delle cime del gruppo del Masino, che si mostrano, dal pizzo Badile al monte Disgrazia, proprio davanti a noi. Cominciano a moltiplicarsi anche le indicazioni della segnaletica “orizzontale”: su diversi massi troviamo le indicazioni “Pizzo 3 S” e “Rifugio Falc”.
Passiamo, così, leggermente a valle della baita quotata 1857 e raggiungiamo uno splendido terrazzo sul filo del dosso che scende, verso nord, dalla costiera Mezzaluna-Tronella. Alle nostre spalle il picco roccioso denominato pizzo del Mezzodì (m. 2116); davanti a noi una pozza e la baita quotata 1835 metri. Sul fondo, lo splendido scenario del gruppo del Masino. Un luogo davvero stupendo. Il cartello della G.V.O. nella quale ci siamo immessi, dà ora il lago di Trona a 20 minuti ed i rifugi Falc e casera di Trona ad un’ora. Ora il sentiero cambia nettamente direzione: prendiamo a sinistra e percorriamo quindi, dopo una breve salitella, un lungo tratto sostanzialmente pianeggiante verso sud-ovest, avvicinandoci alla soglia della Valle di Trona, circondati da splendidi larici. Guardando a destra, vediamo bene il fianco occidentale dell’alta Valle della Pietra, con la bocchetta di Trona (la riconosciamo per il traliccio nei suoi pressi) e, alla sua destra, l’ampio terrazzo dell’alpe di Trona soliva, dominato dalla forma regolare del pizzo Mallasc (“melàsc”, m. 2465); alla sua sinistra, invece, in primo piano si mostra una delle più belle
Torniamo, dunque, al bivio presso la baita di quota 1888 e proseguiamo, questa volta, sul sentiero principale (che, per la verità, per un bel pezzo sarà poco marcato), cioè seguendo l’indicazione su un masso “Pizzo 3 s – lago Inferno. Saliamo per un tratto su sfasciumi, passiamo a sinistra di un grande masso e proseguiamo con un tratto pianeggiante. Dopo uno strappetto che ci porta a tagliare uno speroncino roccioso, attraversiamo un torrentello che scende da una bella gola di rocce arrotondare e siamo alla baita quotata 1914 metri. La oltrepassiamo, procedendo diritti e passando sul limite destro di un pianoro acquitrinoso. Quando il prato comincia a salire, dobbiamo stare attenti ad un secondo bivio (la traccia qui è debolissima): la traccia di destra prosegue per il rifugio di Trona, mentre noi dobbiamo prendere a sinistra (indicazione su un masso “pizzo 3 s e rifugio Falc). Un po’ più in alto la traccia si fa più marcata e, salendo ancora, intercetta un sentiero ben marcato che proviene, da destra, dall’alpe di Trona.
Lo seguiamo verso sinistra, puntando alla diga dell’Inferno, di cui possiamo vedere lo sbarramento. Il sentiero effettua un lungo traverso sul ripido fianco occidentale della Val della Pietra, avvicinandosi alla Valle dell’Inferno. Per buona parte il percorso si snoda sulla viva roccia, perché camminiamo sul dorso arrotondato di grandi roccioni, tenendoci sempre in prossimità del versante montuoso: gli abbondanti segnavia ci aiutano a non perderlo. Ad un certo punto raggiungiamo una sorta di corridoio, con un grande roccione alla nostra sinistra, sul quale si trova una targa ormai illeggibile. Qui ecco un nuovo bivio: un sentiero prende a destra, invertendo la direzione, e torna all’alpe di Trona; il sentiero che ci interessa, invece, pur piegando anch’esso a destra, procede in direzione opposta. Tagliamo, poi, un ripido versante erboso, superando un paio di punti esposti, insidiosi con fondo bagnato: attenzione! Ci ritroviamo, così, alti sopra il camminamento della diga dell’Inferno, che vediamo alla nostra sinistra, e ci raggiunge, da sinistra, il sentierino, già citato, che sale proprio dal camminamento.
Procediamo diritti, piegando poi leggermente a destra, e ci ritroviamo alla bocchetta del Varrone (m. 2126), la larga sella che si apre appena ad ovest e leggermente a monte del lago dell’Inferno, fra il pizzo Varrone (“varùn”, m. 2325), a sud, e la cima quotata 2191, a nord. È, questa, una delle tre porte che si aprono fra alta Val Varrone ed alta Val Gerola: la principale si trova più a nord, ed è la bocchetta di Trona; la terza, cioè la bocchetta di Piazzocco, è posta di poco più in alto. Queste tre porte hanno un’importanza storica enorme, avendo costituito per secoli il più agevole accesso alla bassa Valtellina, prima che venisse aperta la strada che segue la riva orientale del Lario.
Poco sotto la bocchetta, sul versante dell’alta Val Varrone, cioè alla nostra destra, vediamo il rifugio F.A.L.C. (m. 2120, detto, dialettalmente, "cà dul bóla"), edificato dall'omonima Società Alpinistica milanese ed inaugurato il 18 settembre 1949. F.A.L.C. è un acronimo dell'espressione beneaugurante latina Ferant Alpes Laetitiam Cordibus, cioè Arrechino le Alpi gioia ai cuori.
Descrivendo un arco verso destra i segnavia ci indirizzano ad un facile canalone e alla bocchetta di Castel Reino(m. 2138) per la quale guadagniamo il Pian delle Parole, o Castel Reino, il solare crinale erboso sul quale intercettiamo il sentiero 101 (Sentiero delle Orobie Occidentali) che proviene, dalla nostra destra, dal rifugio Grassi (m. 1987). Siamo nel cuore della signoria del Pizzo, che appare da qui davvero meritevole del nome (laddove dalla Val Gerola si mostra più come cupolone di imponenza minore). E siamo anche ad un secondo confine: ci affacciamo sulla Valtorta e quindi sulle Orobie bergamasche, quindi da Madrid a Venezia: la Serenissima per secoli fu infatti signora delle valli bergamasche. Un cippo di confine con la scritta "Stato di Milano" conferma questo passaggio da signoria a signoria.
Il colpo d'occhio, alla nostra sinistra, sulla conca del lago di Sasso è davvero bello. Proseguendo verso est (sinistra) saliamo, sempre su sentiero ben segnalato, seguendo una dorsale che si restringe (ci teniamo sul lato sinistro, a nord) ad un dosso, dal quale con breve discesa ci portiamo alla bocchetta Alta (m. 2235), dove siamo ad un bivio: di qui parte infatti la direttissima per il pizzo dei Tre Signori chiamata anche via del Caminetto (numerazione 45), perché propone un passaggio attrezzato attraverso uno stretto camino roccioso, poco sotto la cima.
Noi invece proseguiamo diritti, piegando leggermente verso destra (direzione sud-est), tagliando con andamento quasi pianeggiante il lungo e ripido versante erboso che si stende ai piedi delle rocciose propaggini meridionali del pizzo (è il cosiddetto Sentiero dei Solivi, che fa parte del Sentiero delle Orobie Occidentali, con numerazione 101; si tratta, per la precisione, della sezione 101-4 e va affrontato con molta cautela perché in molti punti è esposto). Procediamo in saliscendi superando così diversi avvallamenti e passando a sinistra della cima bifida del pizzo San Giovanni (m. 2048).
La lunga traversata termina, con breve discesa, ad una pianetta dove si trova una colonnina di telesoccorso installata opportunamente dal C.A.I., per offire un prezioso servizio a quanti si trovassero in difficoltà in un punto piuttosto lontano da strutture di appoggio. Segue una discesa verso sud-est, che passa accanto ai resti di un antico scavo in miniera, poi, giunti di fronte all'erbosa Cima Fontane (m. 2095), pieghiamo decisamente a sinistra (direzione nord), lasciamo il crinale e scendiamo all'ampio vallone della Valle d'Inferno (versante di Val Brembana), dove, ad una quota approssimativa di 2040 metri, intercettiamo il sentiero con numerazione 106, che sale da Ornica.
Qui lasciamo il sentiero 101 e prendiamo a sinistra (sentiero 106), salendo in direzione nord-ovest su terreno di sfasciumi, fino alla bocchetta dell'Inferno (m. 2306). Sulla salita incombe, alla nostra sinistra, la caratteristica formazione rocciosa sul versante nord-orientale del pizzo, denominata la Sfinge. Nonostante la sinistra ed abissale denominazione, la bocchetta rappresenta il punto più alto dell'intero anello, varcato il quale siamo di nuovo proiettati dal clima mite di Venezia a quello rigido di Coira, perché rientriamo in Val Gerola e quindi nell'antico dominio delle Tre Leghe Grigie.
Ecco, dunque, la valle dell'Inferno, denominazione dettata dal colore rossastro delle rocce (colore dovuto alla presenza del conglomerato assai duro e pregiato, denominato Verrucano lombardo), ma, forse, anche da un clima un po' sinistro, quasi che nell'aria aleggiasse una minaccia indefinita o l'inespressa sofferenza di anime segregate qui da un verdetto di dannazione eterna. Suggestione dei nomi!
Sia come sia, incontriamo subito l'indicazione della via direttissima al Pizzo dei Tre Signori (“piz di tri ségnùr”, m. 2554, chiamato così, dopo il 1512 - prima era chiamato pizzo Varrone - perché punto d’incontro dei confini delle signorie delle Tre Leghe in Valtellina, degli Spagnoli nel milanese e dei Veneziani nella bergamasca): infatti è proprio la poderosa mole del celebre colosso orobico a chiudere la valle a sud-ovest.
Noi, invece,
seguiamo il sentiero che comincia a discendere la valle, in direzione
della grande diga dell'Enel (m. 2085). Prendiamo poi a destra (nord-
“All'estremità occidentale il comprensorio di Trona si chiude, sotto le vette del Pizzo Tre Signori e del Pizzo Varrone, con una sorta di corridoio costituito dai due valloni d'Inferno. bergamasco e valtellinese, posti in continuità e separati da una alta bocchetta (Bocchetta d'Inferno, appunto). Nel vallone che scende verso la Val Gerola c'era un laghetto, ingrandito ora dall'intervento umano che ha eretto una diga in una gola più a valle. Il livello del lago si è alzato di 30-35 m, la superficie è ora molto più estesa, ma permane il colore cupo delle acque, che va dall'azzurro intenso al viola, a seconda delle ore e della luce. Un lago lungo, affiancato da scogliere dirupate, come confitto e incastrato tra il Pizzo Varrone e il Pizzo di Trona, ai piedi di una gradonata ciclopica che scende dal passo e dal Pizzo Tre Signori, che campeggia sullo sfondo.”
Al rifugio FALC l'anello si chiude, perché ci ricongiungiamo all'itinerario seguito salendo. Se vogliamo tornare a Pescegallo con una leggera variante, che abbrevia anche i tempi di percorrenza, portiamoci al camminamento della diga dell'Inferno e, raggiunto il lato opposto (orientale) cerchiamo i segnavia che segnalano un sentierino che serpeggia fra un ripido versante franoso (è la cosiddetta via direttissima per il lago d'Inferno) e che si congiunge, più in basso, con il sentiero che scende alla diga di Trona, oltrepassata la quale proseguiamo verso est sul sentiero della Gran Via delle Orobie che ci riporta a Pescegallo.
ANELLO BREVE DEL PIZZO DEI TRE SIGNORI (PER IL SENTIERO DEL CARDINALE)
Il beato Andrea Carlo Ferrari, popolarmente conosciuto come Cardinal Ferrari, fu vescovo di Como dal 1891 al 1894 e poi arcivescovo di Milano. Vale la pena di ricordare la singolare ed amatissima figura di questo arcivescovo, noto per la sua semplicità e per le sue umili origini contadine. Basti raccontare un aneddoto. Quando era ancora vescovo di Como (1891-94) venne in visita pastorale in Valtellina e passò per un impervio sentiero in Val Fabiolo (Val di Tartano), la Rusanìda. Quando giunse al punto più critico, dove il sentiero è intagliato nella viva roccia e corre su un impressionante strapiombo, gli uomini che gli facevano da guida si offrirono di sorreggerlo e di dargli la mano per sicurezza. Egli, però, non volle farsi aiutare, e rivelò di essere stato, da ragazzo, umile capraio: ne aveva visti di passaggi sospesi sul vuoto, ormai non lo impressionavano più.
In paese non si parlava d'altro: tutta la gente esprimeva la sua ammirazione per quel cardinale così santo, così coraggioso e così alla mano. Dicevano: "Pensée mò che l'è pasà da Rusanìda!" Da allora, quando qualcuno si lamentava di dover badare alle capre, veniva quasi sempre apostrofato con frasi di questo tenore: "Vàrda che dàa 'l cardinal Feràri l'ha fàc ul cauréer", cioè "Guarda che anche il cardinal Ferrari ha fatto il capraio!". Si diceva anche: "Crèet mìa da sbasàt a cürò 'l càure, che dàaa 'l cardinàl Feràri, quànt l'èra 'n tùus, l'andàva cul càure", cioè: "Non credere di fare un lavoro umile curando le capre, perché anche il cardinal Ferrari, quando era ragazzo, andava con le capre" (cfr. il Vocabolario dei dialetti della Val Tartano di Giovanni Bianchini).
La mattina del 20 agosto 1913 faceva ritorno dal Pizzo dei Tre Signori (dove venne collocata una croce sostituita poi nel 1935 dalla grande croce che ancora oggi lo presidia) quando fu sorpreso, sul sentiero che corre a valle della bocchetta di Foppagrande ed a monte della conca del Lago di Sasso, da un violento temporale. Riparò in una spelonca naturale originata da due enormi massi erratici. Fu quella, da allora, la grotta del Cardinal Ferrari ed il sentiero venne chiamato sentiero del Cardinal Ferrari. Esso traversa l’alto versante orientale dell’estremo lembo di Val Biandino, la conca del lago di Sasso, dalla bocchetta di Piazzocco, a nord, al Pian delle Parole, a sud, appena sotto l’imponente bastionata di Piazzocco. Può quindi essere utilizzato per compiere un anello più breve intorno al pizzo dei Tre Signori. Più breve, ma comunque di impegno sempre ragguardevole. Ecco come procedere. Alla prima rotonda all'ingresso di Morbegno (per chi proviene da Milano) prendamo a destra ed alla successiva ancora a destra; dopo un ponte imbocchiamo la provinciale della Val Gerola, saliamo a Gerola Alta e proseguiamo fino al termine della strada, a Pescegallo (m. 1450). Parcheggiamo qui ed incamminiamoci sul sentiero che si trova ad ovest degli impianti di risalita (indicazioni per l'anello dei laghi). Il sentiero entra subito in una pineta, sale e raggiunge presso una baita isolata la deviazione a sinistra per la Val Tronella. La ignoriamo e proseguiamo uscendo dal bosco. Superato il torrente Tronella cominciamo a salire con ripidi tornanti un ampio dosso che costituisce il fianco orientale del Pizzo del Mezzodì, per poi prendere a destra e raggiungere, con un tratto pianeggiante verso nord-ovest il dosso panoramico con una pozza e la baita di quota 1835 (il Pich o Dossetto). Il sentiero prosegue volgendo a sinistra e salendo gradualmente verso l'imbocco della Val Pianella, in direzione sud-ovest, Scende quindi ad un avvallamento e risale al camminamento dello sbarramento del lago di Trona. Oltre il camminamento, riprendiamo a salire, superando alcune roccette (con un primo tratto protetto sulla destra) e raggiungendo un pianoro a sinistra del quale vediamo la baita solitaria quotata 1888 metri. Qui dobbiamo prestare attenzione, perché troviamo un bivio non molto evidente, al quale si stacca, sulla sinistra del sentiero principale, un sentierino che sale, per via direttissima, al lago dell’Inferno.
Non c’è segnalazione. Unico ausilio, l’indicazione su un masso “lago Zancone”; poco più avanti, ad un nuovo bivio, lasciamo la traccia per il lago Zancone che va a sinistra e proseguiamo a destra (indicazione lago Inferno direttissima). Il sentierino non è molto visibile e risale il l’ampio versante di sfasciumi che si stende ai piedi del limite settentrionale della costiera del pizzo di Trona; dopo un traverso a destra, supera un passaggino esposto sulla destra (attenzione!), per poi risalire, con molti tornantini, un versante di sfasciumi; lasciati gli sfasciumi sulla sinistra, continua nella salita (pochi i segnavia), con un curioso passaggio su roccia che si apre ad una cavità nella roccia (corda fissa). Infine passiamo a
Procediamo fra magri pascoli ed in breve raggiungiamo un ripiano occupato in parte da enormi massi scaricati dalla parete meridionale del pizzo dei Tre Signori. Due di questi, appoggiati l’uno sull’altro, hanno dato origine alla grotta del Cardinal Ferrari, segnalata da una targa. Guardando a nord, cioè a monte, possiamo ammirare lo splendido scenario della massiccia parete meridionale del pizzo dei Tre Signori, che mostra nella parte alta un curioso ago e più in basso il torrione chiamato pizzo di San Giovanni. A sinistra della parete si vede l’ampio canalone
Il colpo d'occhio, alla nostra sinistra, sulla conca del lago di Sasso è davvero bello. Proseguendo verso est (sinistra) saliamo, sempre su sentiero ben segnalato, seguendo una dorsale che si restringe (ci teniamo sul lato sinistro, a nord) ad un dosso, dal quale con breve discesa ci La lunga traversata termina, con breve discesa, ad una pianetta dove si trova una colonnina di telesoccorso installata opportunamente dal C.A.I., per offire un prezioso servizio a quanti si trovassero in difficoltà in un punto piuttosto lontano da strutture di appoggio. Segue una discesa verso sud-est, che passa accanto ai resti di un antico scavo in miniera, poi, giunti di fronte all'erbosa Cima Fontane (m. 2095), pieghiamo decisamente a sinistra (direzione nord), lasciamo il crinale e scendiamo all'ampio vallone della Valle d'Inferno (versante di Val Brembana), dove, ad una quota approssimativa di 2040 metri, intercettiamo il sentiero con numerazione 106, che sale da Ornica.
Qui lasciamo il sentiero 101 e prendiamo a sinistra (sentiero 106), salendo in direzione nord-ovest su terreno di sfasciumi, fino alla bocchetta dell'Inferno (m. 2306). Sulla salita incombe, alla nostra sinistra, la caratteristica formazione rocciosa sul versante nord-orientale del pizzo, denominata la Sfinge. Nonostante la sinistra ed abissale denominazione, la bocchetta rappresenta il punto più alto dell'intero anello, varcato il quale siamo di nuovo proiettati dal clima mite di Venezia a quello rigido di Coira, perché rientriamo in Val Gerola e quindi nell'antico dominio delle Tre Leghe Grigie.
Ecco, dunque, la valle dell'Inferno, denominazione dettata
dal colore rossastro delle rocce (colore dovuto alla presenza del conglomerato
assai duro e pregiato, denominato Verrucano lombardo), ma, forse, anche
da un clima un po' sinistro, quasi che nell'aria aleggiasse una minaccia
indefinita o l'inespressa sofferenza di anime segregate qui da un verdetto
di dannazione eterna. Suggestione dei nomi!
“All'estremità occidentale il comprensorio di Trona si chiude, sotto le vette del Pizzo Tre Signori e del Pizzo Varrone, con una sorta di corridoio costituito dai due valloni d'Inferno. bergamasco e valtellinese, posti in continuità e separati da una alta bocchetta (Bocchetta d'Inferno, appunto). Nel vallone che scende verso la Val Gerola c'era un laghetto, ingrandito ora dall'intervento umano che ha eretto una diga in una gola più a valle. Il livello del lago si è alzato di 30-35 m, la superficie è ora molto più estesa, ma permane il colore cupo delle acque, che va dall'azzurro intenso al viola, a seconda delle ore e della luce. Un lago lungo, affiancato da scogliere dirupate, come confitto e incastrato tra il Pizzo Varrone e il Pizzo di Trona, ai piedi di una gradonata ciclopica che scende dal passo e dal Pizzo Tre Signori, che campeggia sullo sfondo.”
Al rifugio FALC l'anello si chiude, perché ci ricongiungiamo all'itinerario seguito salendo. Se vogliamo tornare a Pescegallo con una leggera variante, che abbrevia anche i tempi di percorrenza, portiamoci al camminamento della diga dell'Inferno e, raggiunto il lato opposto (orientale) cerchiamo i segnavia che segnalano un sentierino che serpeggia fra un ripido versante franoso (è la cosiddetta via direttissima per il lago d'Inferno) e che si congiunge, più in basso, con il sentiero che scende alla diga di Trona, oltrepassata la quale proseguiamo verso est sul sentiero della Gran Via delle Orobie che ci riporta a Pescegallo.
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PASSI E PENSIERI DI IVAN FASSIN Il 28 giugno del 2015 è scomparso Ivan Fassin, grande uomo di cultura che ha vissuto la passione per la montagna e quella per il pensiero e le scienze umane come dimensioni profondamente legate. Nel suo volumetto “Il conglomerato del diavolo – Fantasticherie alpine” (Sondrio, L'officina del Libro, 1991) così racconta una sua escursione in questi luoghi (salita da Pescegallo, per il passo di Salmurano, all'altipiano dei Piazzotti ed alla cime dei Piazzotti occidentale, discesa alla boccehtta di Val Pianella e traversata alla bocchetta d'Inferno per il sentiero 101, discesa alla bocchetta di Varrone e traversata alla bocchetta di Trona, discesa al lago di Trona ed all'imbocco della Val Pianella o Val di Trona):
“Sbuchiamo sul dosso delle Foppe di Pescegallo… Traversata in fondo la valle risaliremo per per il più diretto sentiero… sotto il costone della cima orientale di Piazzotti, all'aereo passo di Salmurano. Intanto già da un po' andavamo guardando i primi contrafforti del regno del conglomerato, vale a dire la costiera turrita dei Denti della Vecchia, illuminata dai primi raggi del sole, rosa.violacea come piccole dolomiti locali. Al passo, come accade, si presenta una situazione geografica del tutto diversa da quella immaginata: una fossa profonda, rotondeggiante, ancora in ombra, costituisce la testata della Val Salmurano… Ora il sentiero si sviluppa per un tratto pianeggiante o in leggera discesa, tagliando in costa i ripidi pendii erbosi sotto gli erti colonnati di conglomerato rossiccio che fanno da sostegno, su questo lato, alla Cima Piazzotti (est). La via poi si inerpica entro un singolare canale sassoso, in cui prosperano certi fiori gialli.. A quanto pare l'incertezza dei crinali e dei deflussi va fatta risalire almeno all'era glaciale, quando il ghiacciaietto sospeso sull'altopiano Piazzotti, intanto che scavava la piccola fossa in cui oggi si annida il lago, riversava le sue lingue sia verso la Val Tronella che su questo lato.
Ci avviamo sul pendio tutto solcato da vallette che, sviluppandosi per qualche centinaio di metri (e cento in altitudine) porta alla cima Piazzotti occidentale. Saliamo ancora verso la croce, preceduti da un silenzioso giovane che punta a quella meta come un pellegrino frettoloso; dall'altra parte della valle, tra nebbie dense e grigiastre, un gregge sta abbarbicato in posizione impossibile sul torrione di Giacomo: belano e invocano forse sale o acqua, che scarseggia. Da queste parti sembrano comunicare più gli animali che gli uomini… Dalla vetta gettiamo uno sguardo nel grigiore opaco della valle di Trona, e una occhiata nostalgica al torrione della Mezzaluna, che appare come un miraggio, ancora illuminato dal sole, in un solco della cresta; poi ci affrettiamo a scendere, nella convinzione che il tempo precipiti.
Non però per ritornare al rifugetto Benigni esposto a tutti i venti sul piccolo altopiano là in fondo, né divallando su Trona lungo una enorme ganda che riempie un vasto canale, bensì calando cauti sulla bocchetta di val Pianella, tra l'erba scivolosa, su una traccia sommaria, ma distinta… Proseguiamo… su un bel percorso che va verso il rifugio Grassi, correndo in quota sul versante meridionale del gruppo. Ma ovviamente vediamo poco più che il sentiero, intuiamo un “sopra” tetro e incombente, un “sotto” che fugge via: il cammino esige qualche attenzione, correndo alto su pendii erbosi ripidi, e più di rado traversando scogli e crestoni rocciosi… In questa tetraggine avanziamo molto rapidamente, apprezzando però l'intelligenza del tracciato, e la sua “esposizione” (ce ne aveva resi avvertiti la pallidezza di un ragazzo che col padre lo percorreva in senso opposto al nostro, e che avevamo incontrato all'inizio sul dosso di Giarolo), finché approdiamo a un piccolo circo invaso da enormi massi e, dopo lo scavalcamento di un ennesimo crestone, ci infiliamo nel rettilineo vallone d'Inferno (bergamasco). A sinistra la Sfinge è invisibile nella nebbia…
Così, dopo la bocchetta d'Inferno… andiamo di corsa su un sentierino che fa lievi saliscendi su canali e pascoli ripidi che scivolano verso il lago, alla bocchetta di Varrone, più un largo spiazzo che un passo, quasi uno svaso da cui l'antico ghiacciaio prendeva la via della Val Varrone. Anche noi ci affacciamo a guardare la testata di quella valle, il rifugetto FALK che sembra oggi deserto… Dall'altra parte di questa dorsale che fa da testata alla Val Varrone, sopra l'altro passo (Bocchetta di Trona) un piccolo bunker d'alta quota, resto forse di trinceramenti militari, poi chiesetta e poggi ridotto a rudere, porta ancora il nome, un po' incredibile, di Casa Pio XI. Nello squallore dell'interno (umido antro gelido), ancora una lapide ricorda la tragica vicenda di un giovane caduto sul Pizzo di Trona…
Dopo un altro tratto di costa, scendiamo cautamente alla diga e la traversiamo, un po' sorpresi di non trovare perentori divieti né arcigni custodi. Scivoliamo rapidamente giù per le pendici franose sotto i dentini di Trona, lungo una traccia non certo migliorata dalle discariche dei lavori, fino a una baita isolata su un dosso. Da lì, piegando verso la val Trona, aggiriamo verso monte il lago e andiamo a sostare… presso le casupole dell'alpe sotto il lago Zancone… Sul pianoro irregolare alcuni enormi massi erratici collocati in equilibrio precario sembrano minacciare la valle sottostante e il lago, verdeggiante in un raggio di sole. In fondo alla valle, grandi massi ora spaccati si devono essere scontrate scendendo da differenti postazioni, come fossero state fatte rovinare da un popolo di giganti in una contesa intestina…
Mentre sosto trasognato e un po' incerto, un violento scampanio di rochi “zampugn” e urla scomposte di umani sull'altro versante della valle mi richiamano a una scena d'altri tempi. Una lunga fila di capre, seguire da un pastore vociante, si snoda controluce lungo un sentiero di mezzacosta, un sentiero apposito, una via di penetrazione in questo regno della pietra, diretta a chissà quale meta che non si indovina prossima. Questa immagine fa da contrappeso alla turba di turisti sparpagliati in cima al lago che, appostati da ore di attesa del sole che scarseggia, non la smettono di lanciare urla sguaiate.
Nello scarto fra i due suoni si insinua una riflessione su quale doveva essere la vita quassù un tempo, nella pur breve stagione del pascolo. Luoghi, temo, non troppo amati, per la loro asprezza, la solitudine, la distanza dal fondovalle. Impossibile attribuire ai coloni una disinteressata contemplazione della selvaggia natura, presi com'erano dalla cruda necessità. Alla base di storie e leggende, che vi saranno state di certo, come sembrano attestare anche i sinistri toponimi, non la gioia del fantasticare, ma solo forse i terrori infantili e la noia dell'adulto nelle ore della sorveglianza al pascolo, e poi il tenace ricordare delle donne e l'ironica verbosità degli anziani.
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