Anche
in provincia di Sondrio, come nei romanzi di Tolkien, esiste una Terra
di Mezzo, una terra che segna il confine fra le due grandi valli di
cui è costituita, la Valtellina e la Valchiavenna. I passi
di chi la calpesta sono come sospesi: non sappiamo a quale dei due
regni appartengano, forse appartengono solamente, appunto, a questa
terra, unica, quasi mitica, la terra del confine.
Si tratta del lungo crinale che dai 2143 metri del monte Brusada,
fra Costiera dei Cech e Valle dei Ratti, scende fino a Dubino, sul
fondovalle, passando per il passo del Culmine (m. 1818), per i monti
Bassetta (m. 1746) e Foffricio (m. 1258), per l’alpe Piazza
(m. 980) ed i prati di San Giuliano (m. 760). Possiamo percorrerlo
senza difficoltà dal piano fino al passo del Culmine: solo,
dobbiamo armarci di spirito di resistenza ed adeguato allenamento,
perché sono necessarie almeno 4 ore di cammino per portare
a compimento l’ascensione.
Punto di partenza è la frazione Monastero di Dubino (ce ne
sono due, di Monastero, in Valtellina: Monastero di Dubino e Monastero
di Berbenno). Per raggiungere Dubino possiamo seguire diverse vie.Se
proveniamo dalla Valchiavenna, all’altezza di Nuova Olonio dobbiamo
imboccare, prendendo a sinistra, la strada provinciale Valeriana, che tocca tutti i paesi del piano della Costiera dei Cech. Dubino
è il primo che si incontra dopo aver attraversato Nuova Olonio,
che è una sua frazione. Se proveniamo da Milano ci conviene,
invece, lasciare la ss. 38, sulla sinistra, all’altezza di Delebio,
seguendo, appunto, le indicazioni per Dubino. Se, infine, veniamo
da Sondrio possiamo sfruttare il medesimo svincolo a Delebio, oppure
lasciare prima la ss. 38, sulla destra, all’ultimo semaforo
in uscita da Morbegno, seguendo le indicazioni per la Costiera dei
Cech; in questo caso, raggiunto e superato il ponte sull’Adda,
dovremo prendere a sinistra, imboccando la già citata provinciale
Valeriana, per poi attraversare Traona, Piussogno e Mantello, prima
di raggiungere Dubino.
Bene, a Dubino siamo arrivati: ora dobbiamo salire alla frazione di
Monastero, posta leggermente più a monte e ad ovest rispetto
al centro del paese: la possiamo riconoscere per la presenza della
ben visibile chiesa dedicata alla Beata Vergine Immacolata, riedificata
alla fine del 1600 su un nucleo che risale al secolo XIII. Se proveniamo
da Mantello, possiamo svoltare a destra subito dopo l’incrocio
fra la provinciale Valeriana e la strada che proviene da Delebio;
salitiper
un tratto verso il centro del paese, prendiamo poi a sinistra, proseguendo
nella salita fino ad intercettare la via che, percorsa verso sinistra,
porta al parcheggio che si trova immediatamente a valle della chiesa.
Lasciamo qui l’automobile, ed incamminiamoci, da una quota di
265 metri, alla volta di San Giuliano, prima tappa della lunga salita.
Ecco cosa riporta di questo itinerario la seconda edizione della “Guida
della Valtellina” del C.A.I., edita nel 1886: “Da Monastero,
per erto sentiero, si sale in un’ora e mezzo alla solitaria
chiesuola di S. Giuliano. Sorge essa sopra un promontorio che si protende
nella valle, e dal quale si gode una meravigliosa vista. Anzitutto
lo sguardo si sofferma ad ammirare l’ampio bacino superiore
del lago di Como colle sue borgate e colle sue ville, poi si eleva
a considerare la pittoresca cerchia delle montagne che l’attornia;
poi abbraccia tutto il tratto della Valtellina inferiore, la valle
di Lesina e il Legnone, le valli del Bitto e di Tartano, il colmo
di Dazio e più oltre i monti della Valtellina superiore; in
fine volgendosi al nord s’interna in quel labirinto di monti,
fra i quali stanno la valle Codera, la valle Pregallia e la valle
di S. Giacomo”. Una presentazione che sottolinea i numerosi
motivi di interesse legati all’escursione.Del nucleo di S. Giuliano parla anche il vescovo di Como, di orogine morbegnese, Feliciano Ninguarda, nel resoconto della sua visita pastorale del 1589: "A due miglia sopra il monte vi è un'altra famiglia di coloni del predetto monastero (sc. di Dubino). Sono venti famiglie tutte cattoliche. La chiesa è dedicata a S. Giuliano, da cui prende il nome la frazione, ma raramente vi si celebra la messa". S. Giuliano, poi, è, secondo un'antichissima tradizione, uno dei sette eremiti legati alla leggenda dei Sette Fratelli e disseminati in altrettanti punti della bassa Valtellina.
Nell’ultima edizione della più
completa e pregevole Guida Turistica della Provincia di Sondrio, edita
nel 2000 dalla Banca Popolare di Sondrio, invece, di questa escursione e dell’esistenza
stessa di San Giuliano non si fa menzione. Cos’è cambiato?
Forse lo spirito dei tempi, che di erti sentieri meno volentieri sente
parlare, forse l’attrattiva del percorso, considerata una certa
decadenza e rinselvatichimento dei luoghi, sempre più abbandonati
all’ingiuria dell’oblio. Eppure la Terra di Mezzo inizia
proprio fra questi boschi.
Guardiamo in alto: il versante montuoso appare segnato da aspre rocce,
semicoperte da vegetazione selvaggia. Di là sicuramente non
si passa. Intuiamo che per salire alla conca di S. Giuliano, che già
da qui si indovina, dovremo prima guadagnare il crinale a sinistra
della fascia dirupata. Mettiamoci, dunque, in cammino, per scoprire
se l’oblio sia meritato o ingiusto.
Saliamo alla parte alta di Monastero, dove troveremo una pista che
piega a destra. Appena prima della svolta, stacchiamocene sulla sinistra,
seguendo una pista più stretta, tracciata di recente.
Pochi
passi oltre l’inizio di questa pista, però, troviamo
la partenza di un sentiero, sulla destra, che sale nella selva, mentre
la pista prosegue al suo limite, con andamento sostanzialmente pianeggiante. La
via più breve per S. Giuliano passa per il sentiero, mentre
una via alternativa, più lunga ma un po’ meno faticosa,
segue la pista. Se imbocchiamo il sentiero, non segnalato, cominciamo
una lunga salita in diagonale: la traccia è sempre abbastanza
visibile, anche se in diversi punti piuttosto sporca, per cui non
possiamo perderla.
Ad un certo punto troviamo, su un masso a lato del sentiero, una grande
freccia color arancio, contornata da piccoli bolli del medesimo colore:
è il punto in cui nel nostro sentiero si innesta un sentierino
secondario, ma segnalato, che proviene dal bosco alla nostra sinistra.
Da qui in poi perdersi è impossibile, tanta è l’abbondanza
di segni, color arancio o color rosso, che costellano il percorso,
tanto da suscitare, in alcuni punti, la singolare impressione che
i tronchi degli alberi, che li ospitano, siano vittime di una qualche
forma di reazione allergica (non agli escursionisti, direi: di gente,
per questo sentiero, ne passa ben poca). Il sentiero piega a destra
ed attraversa una vallecola, prima di assumere un andamento decisamente
ripido, risalendo l’ampio crinale del monte, all’ombra
di un bel bosco di castagni.
Qualche pausa si impone: laddove la vegetazione apre qualche finestra,
possiamo osservare, sulla destra, la centrale idroelettrica Vanoni
e, più a sinistra, le anse dell’Adda nella piana di fronte
a Monastero, frutto
dell’opera di canalizzazione promossa, a metà dell’Ottocento,
dal governo austriaco, opera che permise di recuperare alle colture
agricole ampie porzioni di terreno. Nella salita incontriamo anche
quattro tralicci, prima di approdare al poggio panoramico che ospita
la chiesetta di S. Giuliano, posta a 772 metri.
La chiesetta di San Giuliano, abbiamo detto: non ci si attenda una
di quelle graziose chiesette alpine, più o meno ben curate,
meta, almeno una volta all’anno, del concorso di gente che sale
per partecipare alla celebrazione liturgica nella ricorrenza del santo
cui sono dedicate. Niente di tutto ciò: la chiesetta è
un rudere, attorniato da un coacervo caotico di rovi e boscaglia,
nel quale la preziosa opera di qualche mano santa ha aperto giusto
la via per poterci passare attraverso. Una piccola chiesetta di cui
è andato in rovina il tetto, con mura che hanno tutta la parvenza
di essere pericolanti. Eppure, anche nella decadenza estrema, essa
sembra conservare un residuo, seppur piccolo, del suo antico orgoglio,
almeno per la posizione che occupa, il poggio, appunto, che domina
i prati e le baite di S. Giuliano (ruderi anch’esse), posti
più a monte, ma qualche metro più in basso rispetto
alla sua sommità. Dal
poggio scendiamo rapidamente ai prati, intercettando un sentiero che
sale alla nostra sinistra. È, questa, la seconda e più
lunga via per raggiungere S. Giuliano.
Torniamo alla pista sopra Monastero, e prendiamo a seguirla per un
buon tratto, finché comincia decisamente a scendere. Lasciamola
proprio in quel punto, seguendo il sentiero che se ne stacca sulla
destra, proseguendo con andamento per lunghi tratti quasi pianeggiante.
Ignorate diverse deviazioni a valle ed a monte, ci ritroviamo, ad
una quota di 527 metri, di fronte ad un impressionante dirupo di rocce
biancastre, a nord-ovest rispetto al punto che abbiamo raggiunto.
Nei pressi del sentiero vediamo anche una casupola in mattoni e cemento,
su cui è tracciata la scritta S.G., corredata di una freccia:
è la segnalazione della partenza del sentiero che, piegando
a destra rispetto alla direttrice che abbiamo finora tenuto, sale
verso San Giuliano.
In questo tratto, la nostra mitica Terra di Mezzo sembra avere la
connotazione assai comune della fascia di castagneti di mezza montagna
di cui sono ricche Valtellina e Valchiavenna. Ma resta il fascino
dell’indeterminatezza: consultando la carta, non sapremmo stabilire
con sicurezza quando abbiamo lasciato la terra di Valtellina ed a
quale dei due regni appartenga quel sentiero che si inerpica con tanta
risolutezza nel cuore del bosco.Anche
questo sentiero ha un andamento piuttosto ripido, ed attraversa un
bel bosco di castagni, fino a sbucare al limite interiore dei prati
di S. Giuliano, più ad ovest (a sinistra) rispetto al poggio
raggiunto dal sentiero più diretto. Del panorama che si apre
da qui ha già detto la Guida del C.A.I.
Non resta che raccontare come proseguire la salita del lungo crinale
di mezzo, che da qui appare nella sua interezza, fino alla cima del
monte Brusada. Dalla parte alta dei prati parte una pista che porta,
in breve, alla carrozzabile che congiunge Cino (il paese della Costiera
dei Cech posto a monte di Mantello, a 487 metri) all’alpe Piazza.
Si tratta di una carrozzabile chiusa al traffico dei veicoli non autorizzati.
Chi volesse sfruttarla per una salita all’alpe Piazza in mountain-bike,
la troverà non difficile, dato che le pendenze sono sempre
abbordabili. Camminiamo anche noi, per un buon tratto, sulla carrozzabile
che, con fondo in cemento e sterrato, risale, quasi pigramente, una
fascia di boschi caratterizzata da una pendenza assai mite, denominata
“Posto Bello”.
Dopo qualche tornante, eccoci al limite inferiore dell’ampia
alpe Piazza, i cui prati si dispongono ad una quota compresa fra i
960 ed i 1000 metri. L’alpe offre un aspetto davvero gentile:
le numerose baite, ben curate, le conferiscono un volto ancor più
accogliente.Qui
la nostra Terra di Mezzo dischiude al nostro sguardo il suo angolo
sicuramente più ameno. Un angolo di grande valore anche panoramico:
la visuale sull’alto Lario, dalla parte alta dei prati, è
ampia e sorprendente. Qui potremmo anche concludere la nostra escursione:
siamo in cammino da circa due ore, il dislivello superato in altezza
è approssimativamente di 720 metri. Ma, così facendo,
perderemmo altri angoli, altri scorci, altri segreti della Terra di
Mezzo. Alzando gli occhi, incontriamo con lo sguardo il ben visibile
ripetitore posto sulla cima boscosa del monte Foffricio: almeno fin
lì potremmo arrivare.
Seguiamo, allora, i segnavia rosso-bianco-rossi (non numerosi, per
la verità), che ci accompagnano lungo il sentiero che porta
fin lì. Per imboccarlo dobbiamo portarci sul limite orientale
dei prati, per poi piegare a sinistra (direzione nord), seguendo il
limite dei prati, senza proseguire verso est, cioè in direzione
della nuova pista sterrata che congiunge l’alpe Piazza agli
alpeggi dei Prati dell’O, dei Prati Nestrelli e dei Prati di
Bioggio (termine connesso con la voce dialettale “bedoia”, betulla, oppure con “Biogio”, soprannome personale). Il sentiero, che in questo tratto è largo, quasi una
mulattiera, entra quindi in un bel bosco, cominciando a guadagnare
quota, fino ad un bivio, al quale, guidati dai segnavia, dobbiamo
prendere a sinistra, fino a raggiungere la radura a monte della poco
pronunciata cima del monte Foffricio (m. 1258), presidiato dal già
citato ripetitore.
Il
sentiero piega qui a destra, e propone subito un secondo bivio: anche
qui, seguendo i segnavia, dobbiamo prendere a sinistra, proseguendo
sulla traccia meno marcata. Ora siamo veramente nel punto più
delicato della Terra di Mezzo: dopo un breve traverso a sinistra,
una nuova svolta a destra ci porta proprio sul filo del crinale, un
filo in molti punti esiguo, delimitato, sulla nostra destra, da una
fascia di boscaglie e vegetazione disordinata, e, sulla nostra sinistra,
da un versante assai ripido, coperto da ombrose pinete. In qualche
punto, soprattutto se c’è neve o ghiaccio, dovremo prestare
attenzione, perché uno scivolone sulla nostra sinistra potrebbe
avere conseguenze assai spiacevoli.
Clicca qui per aprire una panoramica a 360 gradi dall'alpe Bassetta
Le due grandi valli, Valtellina e Valchiavenna, qui paiono davvero
toccarsi, separate, come sono, solo dall’esile striscia che
il sentiero, sempre ben visibile, segue con diligenza. Qualche masso
erratico conferisce un aspetto ancor più enigmatico a questi
luoghi, che meritano davvero di essere visitati. Anche per le sorprese
panoramiche che riservano: ad un certo punto, ecco, alla nostra sinistra,
aprirsi uno splendido scorcio sulla piana di Chiavenna, con una visuale
di impagabile bellezza sull’inconfondibileprofilo
del Sasso Manduino (m. 2888), la stupenda parete rocciosa posta fra
Valle dei Ratti e Val Codera.
Poi, poco al di sotto di quota 1500, il crinale comincia ad allargarsi,
il bosco a diradarsi, compare una lunga fascia di prati, che accompagna
l’ultima parte della salita alla cima del monte Bassetta (m.
1746). La pendenza del sentiero è sempre piuttosto pronunciata,
per cui qualche sosta ci scappa: volgendo lo sguardo, scopriremo che
si tratta di una sosta quanto mai opportuna, perché il colpo
d’occhio sul lago di Como lascia davvero senza fiato. All’ingresso
dell’alpe troveremo, su un masso, un segnavia inclinato, che
segnala, sulla nostra destra, il rudere della cosiddetta “Prima
baita” (m. 1661), posto a valle di una vasca di cemento per
la cattura dell’acqua piovana.
Teniamo presente questo luogo: appena sotto il rudere parte un sentiero
che scende fino ai Prati dell’O (m. 1226), dove si trova la
pista che riconduce all’alpe Piazza, il che ci offre una possibilità
interessante per tornare all’alpe per una via diversa, lasciando
la Terra di Mezzo per immergerci nella terra dei Cech. Ma torniamo
alla nostra salita: un monte si impone, perentorio, al nostro sguardo
che segue la linea del crinale, ma non è il monte Bassetta,
bensì il monte Brusada (m. 2143), dal profilo severo, quasi
altero.
Il
monte Bassetta ha un profilo ben più modesto, ma, a suo modo,
accattivante e simpatico: la sua cima altro non è se non l’arrotondato
poggio erboso nel quale il crinale raggiunge la sua prima significativa
elevazione (m. 1746), prima di cominciare a scendere leggermente.
Se il monte è modesto, il panorama è amplissimo, in
direzione della Valchiavenna, del lago di Como, della catena orobica.
Guardando verso nord, in particolare, distinguiamo alcune fra le più
importanti cime della Val Codera e della Valle dei Ratti: da sinistra,
il monte Matra (m. 2206), il pizzo di Prata (m. 2727), l'affilata
Punta Redescala (m. 2304), il Sasso Manduino (m. 2888), il pizzo Ligoncio
(m. 3033).
Questo è, forse, il cuore rotondo della Terra di mezzo, il
suo baricentro, il suo punto archetipico. Non siamo né di qua,
né di là, ma nella rotonda sospensione di un luogo arcano.
Poco oltre, e poco più in basso, due grandi baite ben ristrutturate
sembrano rompere l’incanto, e ricordare che questo è
anche un posto di uomini, con le loro vicissitudini, necessità
ed occupazioni. A monte delle baite, un singolare e grande masso erratico,
sospeso, come tutto, qui, nella Terra di Mezzo. Dalle baite parte
un sentiero che punta verso est-nord-est, correndo
poco al di sotto del crinale, che riprende a salire, alternando radi
alberi, massi e piccole radure.
Dove andare, oltre? Camminiamo da almeno 4 ore, abbiamo già
sormontato circa 1480 metri di dislivello, la stanchezza si fa ormai
sentire. Perché non fermarci ad ascoltare qui il respiro della
terra e del cielo? Perché c’è, poco più
avanti, un luogo che non possiamo mancare di vedere, c’è
la porta, la più agevole ed importante fra le porte che congiungono
i due mondi, le due grandi valli, il passo del Culmine (m. 1818).
Ancora qualche sforzo, dunque.
Seguiamo il sentiero, fino ad un ampio spiazzo, delimitato anche,
verso valle (destra) da un corrimano protettivo. Lasciamo, ora, il
sentiero, che prosegue, effettuando una traversata verso est, fino
ai prati della Brusada (m. 1580), ed effettuiamo una breve salita
verso destra, fino a guadagnare il crinale. Seguiamo, poi, il crinale,
salendo per un ulteriore breve tratto, guidati sa segnavia bianco-rossi
e rosso-bianco-rossi, fino al punto in cui l’inclinazione dello
stesso si fa un po’ più accentuata.
Proprio qui, sulla sinistra, parte il sentiero, segnalato, che taglia
i fianchi occidentale e settentrionale del monte Brusada (con tratti
esposti: attenzione,
se si decide di percorrerlo, per rientrare magari sul versante dei
Cech dal passo della Piana, posto a monte dell’alpe e ad est
del monte Brusada, a 2052 metri), portando all’alpe Codogno,
in Valle dei Ratti (m. 1878). È qui il passo, è questa
la porta, un tempo frequentata dai pastori che passavano dall’uno
all’altro alpeggio.
Ecco, qui davvero possiamo concludere l’escursione, dopo circa
4 ore e mezza di cammino (1550 sono i metri di dislivello in salita
superati). Qui, in questo luogo nella quale la Terra di Mezzo mostra
il suo vero volto, quello di terra che congiunge ed unisce, invece
che separare i due mondi. Oltre, il crinale sempre più aspro,
fino alla cima del monte Brusada, cima a cui non si sale da qui, ma
dal versante opposto (quello orientale). Ma questa è un’altra
storia.
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