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CAMPANE DI MONASTERO 1, 2 - PEDEMONTE - REGOLEDO


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IL COMUNE IN SINTESI (DATI RELATIVI AL 1996)
Abitanti (Berbennesi): 4135 Maschi: 2004, Femmine: 2131
Numero di abitazioni: 1991 Superficie boschiva in ha: 1409
Animali da allevamento: 2784 Escursione altimetrica (altitudine minima e massima s.l.m.): m. 258, m. 3114
Superficie del territorio in kmq: 35,70 Nuclei con relativa altitudine s.l.m.: Berbenno m. 370, Monastero m. 636, Pedemonte m. 334, Case Negri m. 269, Case Rossi m. 264, Maroggia m. 484, Prati di Gaggio m. 1212, Prato Maslino m. 1629


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Secoli XVI, XVII e XVIII


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Berbenno di Valtellina (la dizione completa lo distingue da un Berbenno in Val Brembana, sul versante bergamasco della catena orobica) è uno dei più antichi nuclei del versante retico mediovaltellinese ad ovest di Sondrio. L’origine stessa del nome, probabilmente etrusca, lo testimonia. È anche possibile, però, che il nome derivi dalle radici celtiche “pläne”, piana, e “bär”, orso, con il significato originario, quindi, di piana degli orsi.
In entrambi i casi l’etimo testimonia di una colonizzazione assai antica del territorio allo sbocco dei torrenti Finale e Caldenno, anche grazie alla felice posizione leggermente elevata sul fondovalle, assicurata da bastioni rocciosi di gneiss granatoide (da ovest, il Sasso del Palasio, il Roccascissa ed il Sassolto). Una colonizzazione operata dai Liguri, prima, in età ancora preistorica, dai Galli (di stirpe celtica) poi, probabilmente dopo il 600 a.C., ma anche da nuclei di popolazione etrusca rifugiatisi in Valtellina proprio per sfuggire alle ondate di invasione gallica. Con il tempo questi tre ceppi originari probabilmente si fusero, sotto l’egemonia di matrice celtica, organizzando il territorio valtellinese in “pagi”, cioè villaggi, comunità agricole confederate ma fortemente autonome. Un’ipotesi vuole che Berbenno, per la sua posizione centrale e strategica, fosse il centro fortificato del “pagus” che si estendeva sul fondovalle valtellinese dal torrente Mallero (màler) al Masino.
Altri fanno invece risalire la fondazione del nucleo alla successiva dominazione romana, e pensano che in origine Berbenno fosse un “castrum”, cioè un campo fortificato romano. Le legioni romane vennero in Valtellina fra il 22 ed il 15 a.C., nel contesto della campagna voluta da Cesare Augusto per punire i Reti (così i Romani chiamavano, genericamente, le popolazioni delle Alpi Centrali) che avevano assediato e distrutto Como. La campagna ebbe come conseguenza la fine dell’autonomia della valle: come annota lapidariamente Tarcisio Salice, nel suo saggio “Berbenno e la sua pieve” (pubblicato nel Bollettino della Società Storica Valtellinese), “i Valtellinesi diventarono servi della gleba dei notabili di Como”, e la Valtellina fu sottoposta alla giurisdizione di questo municipio (dipendenza di cui sussiste ancora oggi un’ultima propaggine, perché dal punto di vista religioso la valle è interamente ricompressa nella diocesi di Como).


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Da Como si irradiò anche la fede cristiana, che gradualmente, dal secolo IV d.C., iniziò a penetrare in Valtellina. La riorganizzazione territoriale nel medioevo cristiano era centrata sulle pievi o chiese battesimali, nelle quali gli arcipreti sorvegliavano i sacerdoti delle chiese minori. Intorno al Mille il territorio compreso fra i torrenti Davaglione (Montagna in Valtellina) e Masino (Ardenno) era diviso nelle tre pievi di Sondrio, Berbenno ed Ardenno. La Pieve di Berbenno ebbe, fino al secolo XV, un ruolo rilevante nella gestione di un territorio che comprendeva anche gli attuali comuni di Colorina e Fusine. Le pievi, giurisdizioni religiose, erano difese militarmente da un capitano: i signori di Vizzola, di origine longobarda, furono i primi capitani della pieve di Berbenno, che rappresentavano il potere del Vescovo di Como. Accanto ad esse rimanevano i “pagi”, cioè le antiche comunità agricole preromane, e si erano costituite, nei secoli precedenti, le “corti”, territori sottratti ai pagi ed alle pievi in seguito all’invasione dei Longobardi (cui subentrarono i Franchi), possesso della nuova aristocrazia guerriera di matrice germanica.
Corti e pievi promossero la costruzione delle numerose fortificazioni (castelli) che sono parte integrante del paesaggio medievale. A Berbenno il Castello di Roccascissa (sec. XI), costruito sull’omonimo bastione roccioso (in posizione ideale per difendersi da alluvioni e scorrerie, ma anche per avvistare movimenti di armati), del quale oggi restano solo poche tracce, costituì il primo nucleo del sistema difensivo che, nei secoli XIII e XIV, venne completato con la costruzione della Torre dei Capitanei (che è ancora visibile nel centro di Berbenno) e del castello di Mongiardino (di cui resta solo l’annessa chiesetta di S. Gregorio). Presso il Castello di Roccascissa sorse, poi, in epoca romanica (sec. XII), il primo nucleo della Chiesa di Santa Maria Assunta, poi ricostruita nel Seicento dopo le devastazioni subite nella prima metà del secolo dopo la ribellione cattolica contro i Grigioni del 1620, nel contesto della Guerra dei Trent’Anni. Solo nel 1761, però, essa acquisì i diritti di pieve: fino ad allora la chiesa principale era stata la basilica di S. Pietro al piano, costruita in corrispondenza dell’antichissimo ponte in legno che consentiva di passare da un lato all’altro del fiume Adda.
Così riassume l'inventario delle fortificazioni della Berbenno medievale lo storico Guido Scaramellini: "Si vuole che Berbenno abbia avuto nel Medioevo tre castelli e due torri (il castello di San Gregorio in località Castellaccio, il castello di Roccascissa dov’è oggi la chiesa parrocchiale e il castello di Mongiardino, appartenente nel 1361 a Masceto Rusca). Oggi sopravvive in mezzo all’abitato la torre, forse quattrocentesca, dei Capitanei di Sondrio, poi degli Odescalchi, dove si notano una finestra rettangolare e, sopra, un’altra più ampia arcuata Tra le case che oggi vi si addossano si notano muri antichi, appartenenti a quella che doveva essere una casa torre" (da "Le fortificazioni in Valtellina e Valchiavenna", ottobre 2004).
A seguito della divisione amministrativa della città e territorio di Como disposta dal podestà comense marchese Bertoldo de Hohenburg, nel 1240 la pieve di Berbenno venne compresa nella circoscrizione di porta San Lorenzo, insieme alle pievi di Sondrio, Ardenno, Chiavenna, Samolaco, Olonio. In quel medesimo secolo, probabilmente, si trasferirono a Berbenno alcuni rappresentanti di illustri famiglie comasche, come gli Odescalchi, i Parravicini-Capello ed i Carbonera.


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Nel secolo successivo i Visconti di Milano imposero la loro signoria sulla valle, che venne divisa in tre terzieri; Berbenno, negli Statuti di Como del 1335, figurava come “comune loci rusticorum de Berbenno” del terziere di mezzo, e comprendeva ancora tutto il territorio della pieve, eccetto Postalesio e Cedrasco, che costituivano già un comune a sé. Il suo centro era la cosiddetta “villa di Berbenno”, , nel centro dell’attuale paese, con la piazza, l’osteria, il mulino ed il forno pubblici. Di fatto, però, il comune di Berbenno risultava diviso in due comunità, aventi ciascuna un proprio console: quella sul versante retico, denominata “citra Abduam” oppure “versus plateam”, e quella sul versante orobico, chiamata “ultra Abduam” o anche “versus Fuxinas”. Il console di Berbenno “citra Abduam” era detto “consul et in antea”, perché esercitava un’autorità preminente nei consigli generali di tutto il comune. Fino alla metà del XV secolo il comune di Berbenno comprese, dunque, anche le contrade di Fusine e Colorina, che formarono solo in seguito un comune autonomo.


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Agli inizi del XVI secolo il comune di Berbenno risultava territorialmente ridimensionato al versante retico, ed era diviso nelle quadre di Monastero, Piazza e Polaggia, ciascuna con propri decani.
Non fu, il cinquecento, secolo clemente, almeno nella sua prima metà: la natura si mostrò più volte piuttosto matrigna che madre. Nel 1513 la peste infierì in molti paesi della valle, Bormio, Sondalo, Tiolo, Mazzo, Lovero, Tovo, Tresivio, Piateda, Sondrio, Fusine, Buglio, Sacco, e Morbegno, portandosi via diverse migliaia di vittime. Dal primo agosto 1513 al marzo del 1514, poi, non piovve né nevicò mai, e nel gennaio del 1514 le temperature scesero tanto sotto lo zero che ghiacciò perfino il Mallero. L’eccezionale ondata di gelo, durata 25 giorni, fece morire quasi tutte le viti, tanto che la successiva vendemmia bastò appena a produrre il vino sufficiente ai consumi delle famiglie contadine (ricordiamo che il commercio del vino oltralpe fu l’elemento di maggior forza dell’economia della Valtellina, fino al secolo XIX). Le cose andarono peggio, se possibile, l’anno seguente, perché nell’aprile del 1515 nevicò per diversi giorni e vi fu gran freddo, il che arrecò il colpo di grazia alle già duramente colpite viti della valle.


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Nel comune di Sondrio, annota il Merlo, cronista del tempo, vi furono in tutto solo un centinaio di brente di vino. Nel 1526 la peste tornò a colpire nel terziere di Mezzo, e ne seguì una dura carestia, come da almeno un secolo non si aveva memoria, annota sempre il Merlo. L’anno successivo un’ondata di freddo e di neve nel mese di marzo danneggiò di nuovo seriamente le viti. Dalle calende d’ottobre del 1539, infine, fino al 15 aprile del 1540 non piovve né nevicò mai, tanto che, scrive il Merlo, “per tutto l’inverno si saria potuto passar la Montagna dell’Oro (cioè il passo del Muretto, dall’alta Valmalenco alla Val Bregaglia) per andar verso Bregaglia, che forse non accadè mai tal cosa”. La seconda metà del secolo, infine, fu caratterizzata da una grande abbondanza di inverni rigidi e nevosi ed estati tiepide, nel contesto di quel tendenziale abbassamento generale delle temperature, con decisa avanzata dei ghiacciai, che viene denominato Piccola Età Glaciale (e che interessò l’Europa fino agli inizi dell’Ottocento). C’è davvero di che far meditare quelli che (e non son pochi) sogliono lamentarsi perché non ci sono più le stagioni di una volta…


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Nel 1512 iniziarono i quasi tre secoli di dominio delle Tre Leghe Grigie sulla Valtellina. I nuovi signori sentirono il bisogno, per poter calcolare quante esazioni ne potevano trarre, di stimare la ricchezza complessiva di ciascun comune della valle. Furono così stesi gli Estimi generali del 1531, che offrono uno spaccato interessantissimo della situazione economica della valle (cfr. la pubblicazione di una copia secentesca del documento che Antonio Boscacci ha curato per il Bollettino della Società Storica Valtellinese n. 53 del 2000). Nel "communis Berbenni" vengono registrate case e dimore per un valore complessivo di 774 lire (per avere un'idea comparativa, Forcola fa registrare un valore di 172 lire, Tartano 47, Ardenno 1263, Talamona 1050, Morbegno 3419); i prati ed i pascoli hanno un'estensione complessiva di 3930 pertiche e sono valutati 1724 lire; campi e selve occupano 3141 pertiche e sono valutati 1666 lire; viene citato un mulino del valore di 27 lire; gli alpeggi, che caricano 105 mucche, vengono valutati 21 lire; i vigneti si estendono per 1195 pertiche e sono stimati 2040 lire; vengono torchiate 49 brente di vino (una brenta equivale a 90 boccali), valutate 49 lire; il valore complessivo dei beni è valutato lire 6415 (sempre a titolo comparativo, per Tartano è 642, per Forcola 2618, per Buglio 5082, per Ardenno 9140, per Talamona 8530 e per Morbegno 12163). Vengono registrati a parte i beni del "communis Pollagiae": case e dimore per 386 lire, campi per 25 pertiche e 11 lire, 2 mulini ed una segheria, prati e pascoli per 88 pertiche e 35 lire, boschi e terreni comuni per 25 lire: un valore complessivo di 96 lire.
Merita di essere segnalata, in questo secolo, la figura quantomeno singolare dell'(anche) arciprete di Berbenno Bartolomeo Salis (o Salice); ecco come ne tratteggia la figura Cesare Cantù, nell'opera "Il Sacro Macello di Valtellina", del 1832: "Aggiungi che dal 1520 al '63 v'era stato intruso arciprete (sc. di Sondrio) Bartolomeo Salice, che contemporaneamente era arciprete di Berbenno, curato di Montagna, arciprete di Tresivio e in nessun luogo risedeva, lasciando che il gregge sviasse a pascoli infetti. Dei benefizii si valeva per dotare nipoti. Portò anche le armi, il che tutto giovava miserabilmente alla diffusione dell'eresia." Se il Salis era quantomeno difettoso come pastore d'anime, si mostrò, invece, assai valente come straziatore di corpi nella battaglia di Dubino del 1525, in cui, militando fra le truppe grigioni che sconfissero quelle del Duca d'Arco che intendeva ripristinare in Valtellina l'autorità degli Sforza di Milano, uccise a colpi d'ascia 11 nemici.


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Assai attento alla situazione delle anime della sua diocesi era, invece, il vescovo di Como, di orogine morbegnese, Feliciano Ninguarda, che, nel 1589, venne in visita pastorale a Berbenno. Nel suo resoconto annotò che la comunità di Berbenno, con Polaggia, Ducone e altre quattro contrade, risultava composta da circa 380 famiglie (diciamo 2000 abitanti o poco meno), a cui si dovevano aggiungere i 45 fuochi di Monastero, 45 fuochi di Maroggia e i 25 di Pedemonte, compresi nel territorio comunale. Vale la pena di riportare un estratto della sua relazione, perché costituisce uno spaccato interessante della Berbenno cinquecentesca:
"La chiesa arcipretale di Berbenno, dedicata a San Pietro Apostolo, è al di là del fiume Adda, nei pressi della riva, poco discosto dal ponte dell'Adda: non vi sorge alcuna casa eccetto una pubblica locanda assai capace, il cui gestore ha cura anche della chiesa arcipretale avendone in custodia le chiavi. Poiché la predetta chiesa arcipretale di San Pietro, costruita seicento anni addietro, minacciava di cadere in rovina, fu recentemente rimessa a nuovo dai paesi circostanti, che ne sono dipendenti: non è ancora tinteggiata, ma durante questa visita, hanno promesso di farlo. Berbenno, da cui prende nome la chiesa arcipretale, sorge sul pendio del monte a un quarto di miglio dalla stessa chiesa arcipretale: per maggior comodità degli abitanti di Berbenno, è stata costruita sul luogo una chiesa dedicata alla Beatissimo Vergine Maria presso la quale è stata trasferita anche la residenza dell'arciprete e dei canonici: per loro infatti è stato edificato presso detta chiesa un ampio caseggiato, che chiamano canonica, dove risiedono l'arciprete e i canonici: però da molti anni. non vi è più alcun canonico, ma solo l'arciprete che attualmente è Don Antonio Maria Scotti di Ponte. Costui per le necessità, non solo del borgo di Berbenno e della chiesa arcipretale di San Pietro, ma anche di tutti gli altri paesi dipendenti, dovrebbe mantenere tre cappellani, ma durante la visita fu rilevata la presenza del solo arciprete con un unico religioso carmelitano, fra Francesco da Vercelli: per questo motivo fumo dal Vescovo visitante raccolte molte proteste e lagnanze, alle quali egli, secondo le possibilità, cercò di dar soddisfazione. E' poi sorprendente l'attuale arciprete e probabilmente anche il suo antecessore abbiano talmente trascurato la chiesa e la canonica che la prima abbisogna dì radicali restauri e di paramenti e la canonica sta rovinando e richiede sollecite riparazioni.


Berbenno di Valtellina

Il centro di Berbenno è piccolo, ma con le frazioni di Polaggia e di Durone e quattro altre contrade aggregate conta trecentottanta famiglie tutte cattoliche, eccetto i seguenti… Costoro, su decreto dei Reti, mantengono un proprio predicatore a spese però di tutta la comunità… Nel predetto borgo di Berbenno vi è un’altra chiesa dedicata a Sant’Antonio, occupata dai suddetti eretici e dove il predicante eretico tiene le sue riunioni. Appena fuori dal borgo. discendendo verso l'arcipretale di San Pietro, vi èun'altra chiesa in onore di San Michele, da qualche anno in rovina, i cui redditi sono usurpati dai  laici.
Sopra Berbenno, a un quarto di miglio sulla montagna, vi è la chiesa di San Gregorio, dove convengono processionalmente moltissimi fedeli nella festa dello stesso Santo. Sulla cima del monte detto Caldenno vi è una cappella in onore di Santa Mergherita, dove si celebra solo una volta all'anno, nel giorno della festa, e dista da Berbenno cinque miglia. Risalendo a sinistra  vi è il paese di Monastero, distante due miglia da Berbenno, dove sorge la chiesa vicecurata dedicata a San Benigno e dove si seppelliscono i morti del luogo: vi è un cappellano che non solo fa servizio nel predetto paese, ma anche in un'altra frazione poco distante detta Maroggia: questi due villaggi contatto quarantacinque famiglie tutte cattoliche e vi è attualmente come curato il sac. Camino Odescalchi di Berbenno. Sotto i due villaggi vi è una frazione detta Pedemonte con venticinque famiglie tutte cattoliche, dove vi è una chiesa semplice dedicata a San Bartolomeo
”.
La presenza degli eretici cui si riferisce il vescovo si spiega con la dominazione delle Tre Leghe Grigie sulla Valtellina, iniziata nel 1512.


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La prima metà del Seicento fu, per l’intera Valtellina, un periodo nero. La tensione fra protestanti, favoriti dalle autorità grigioni, e cattolici crebbe soprattutto per le conseguenze del decreto del 1557, nel quale Antonio Planta stabilì che, dove vifossero più chiese, una venisse assegnata ai protestanti per il loro culto, e dove ve ne fosse una sola venisse usata a turno da questi e dai cattolici. L'istituzione del tristemente famoso Strafgericht di Thusis, tribunale criminale straordinario di fronte al quale si dovevano presentare tutti coloro che venissero sospettati di attività eversive del potere grigione in Valtellina, rese la tensione ancora più acuta. La tensione toccò il punto culminante quando, nel 1618, l'arciprete di Sondrio Nicolò Rusca venne rapito da un vero e proprio corpo di spedizione grigione e portato, per il passo del Muretto, nel territorio delle Tre Leghe Grigie; torturato, morì per gli strazi a Thusis. Di nuovo, ecco il Cantù: "Il ben vissuto vecchio, benché fosse disfatto di forze e di carne e patisse d'un ernia e di due fonticoli, fu messo alla tortura due volte, e con tanta atrocità che nel calarlo fu trovato morto. I furibondi, tra i dileggi plebei, fecero trascinare a coda di cavallo l'onorato cadavere, e seppellirlo sotto le forche, mentre egli dal luogo ove si eterna la mercede ai servi buoni e fedeli, pregava perdono ai nemici, pietà per i suoi."
In quel medesimo 1618 era scoppiata la Guerra dei Trent’anni (1618-1648), nella quale la Valtellina, avendo una posizione strategica di nodo di comunicazione fra i territori degli alleati Spagna (milanese) ed Impero Asburgico (Tirolo), venne percorsa dagli eserciti dei fronti opposti, quello imperiale e spagnolo da una parte, quello francese e dei Grigioni, dall’altra.


Berbenno di Valtellina

Due furono i momenti più tragici di questo periodo. La comunità protestante di Berbenno fu anch’essa duramente colpita dalla caccia all’eretico scatenata durante la rivolta cattolica del 1620 (di essa si parla nel romanzo storico “Giorgio Jenatsch”, di Corrado F. Mayer, che ha come protagonista l’omonimo pastore protestante di Berbenno in quel tragico 1620, eroe nazionale grigione (vedi appendice letteraria in fondo alla pagina). Scrive il Cantù (op. cit.): "A Bartolommeo Porretto di Berbenno fu scritto l'ordine dell'uccisione, ma il buon uomo mostrò la lettera ai Riformati. Qual ebbe merito la sua virtù? Un furibondo Cattaneo trucidò lui e due altri cattolici: esordio alla strage dei calvinisti di colà. La fama precorsa aveva intanto fatto agio a molti delle squadre inferiori di cansarsi. Ma quando i satelliti, messi alla posta sulle frontiere, ebbero sentore della sommossa, precipitarono a Morbegno per pigliar parte all'impresa gloriosa dei fratelli. Alcuni calvinisti, assicurati di salute sulla pubblica parola, furono richiamati, e poi crudelmente ed iniquamente ammazzati. I predicanti Bortolo Marlianici, G. B. Mallery di Anversa, M. A. Alba furono uccisi. L'Alessio campò con Giorgio Jenatz predicante di Berbenno ed altri."


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Ecco, ancora, quanto racconta Giuseppe Romegialli, nella sua "Storia della Valtellina" del 1832: "Spedì il Guicciardi (22 detto) lettere a Bartolomeo Porretti in Berbenno, nelle quali ordinavagli subito, senza distinzione, uccidere que' protestanti. Il Porretti, sebbene cattolico, aborrendo la rivolta e più la strage aperse il tutto a protestanti onde a sè provvedessero; ma questo atto, eroico allora, di umanità gli valse la morte, perchè Giovanni Marco Cattaneo di quel comune fu presto a trovarlo e l'uccise. Lo stesso furibondo Cattaneo diede morte a Pietro Rinzetti o Ranzetti e alla servente di quell'arciprete, per non aver essi serbato il secreto. Giovanni Battista ed Orazio fratelli Parravicini, il loro cugino Ottavio Parravicini-Capelli d'anni 38 ed altri, eransi fuggiti al monte e celati vi stavano; ma fidati alle parole di Severino anch'esso Parravicini, arciprete del luogo, erano discesi. Sedotti infine da lusinghe del Robustelli loro giunte per l'arciprete, o piuttosto, come vogliono alcuni, provvisti di salvacondotto il 25 furono a Sondrio, e quindi al medesimo, che per voto soltanto de' rivoltosi ostentavasi governatore e capitano generale della Valle. Faceva egli loro umanissimo viso... Dopo tanta paura, tornavano lieti; ma giunti al luogo detto la Sassella, dagli ivi posti alla macchia, erano tutti massacrati e gittati nell'Adda. Dicesi che Orazio, quantunque inerme, si difendesse. Contava soltanto anni 31. Gli assassini erano di Polaggia, e de' primi Pietro Carelli e Pietro De Rossi detto il Mercadante. Metteva quest'ultimo a morte anche il cattolico Pietro Brusegato perchè già portatore di viveri agli estinti Parravicini in tempo di loro scampo sul monte.


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Vuolsi l'eccidio ordinato dal Robustelli devoto alla massima non doversi tenere parola agli eretici... E' orribile a dirsi lo strazio di Bartolomeo Parravicini figlio di Davide, e giovinetto di soli 14 anni. Abbracciata la cattolica fede, aveva anche assistito alla messa; pure trovandosi egli nella piazza di Berbenno presso a un asso detto del Mal Consiglio, Giovanni Tomasetto, scaricogli contro il fucile, ma non colpì; fugli subito addosso colla mazzetta usata a calzare i cerchi alle botti e ai tini, Giacomo Pontaschino e gravemente il ferì: cercò scampo il meschino nelle proprie case; ma inseguito dal Pontaschino, da Martino del Pro e da Antonio Crapella, nuovamente colto, fu con quello strumento più volte arrivato e, sebbene invano, quei crudeli tentarono più volte a pugnali trafiggerlo. Tutta rotta e contusa la persona, steso sul suolo nella gora del sangue, quale se morto, il lasciarono. E mentre posto in letto, tale per anche diffatti appariva, sorse improvviso esclamò essergli apparsi gli angeli di Dio risplendenti in figura di giovanetti e donzelle; dopo otto giorni di intensissima pena, finalmente spirò. Sorta poi rissa, a cagione della preda, tra Giovanni Meraviglia e Pietro Guarinoni, il primo uccise il secondo.


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Proseguiva in Berbenno la strage. Adamo Scaramuccia di Tirano... volendo Teosina Parravicini-Capelli, d'anni 55 madre agli uccisi Giovanni Battista e Orazio, a Sondrio scortare, da quei di Polaggia dal Mercadante condotti, fu con lei trucidato. Concordia Crotti di Tirano moglie a Giovanni Gugelmann Zurigano; Anna di Casaccia in Pregallia moglie a Teofilo Pescatori; Anna Boera di Ginevra moglie all'ucciso Ottavio Parravicini, corsero la medesima sorte. Cercava questa sottrarsi a morte, fuggendo con alcuni grigioni, ma dalla propria mole e pinguedine resa tarda, rimase trafitta da uno di quei molti colpi d'archibugio che dietro i fuggenti erano scaricati. Il Pescatori (era di Organa nella Romania, da vent'anni dimorante in Berbenno) fu ucciso nel prossimo villaggio di Luscione e Aurelio Parravicini figlio di Nicola, fuggendo a Sondrio, sorpreso nella pianura di Castione fu ivi tolto di vita. Molti altri ne correvano alle opposte montagne, raggiunti sul ponte di S. Pietro presso Berbenno, erano gittati nell'Adda."


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La reazione delle Tre Leghe non si fece attendere: corpi di spedizione scesero dalla Valchiavenna e dalla Valmalenco. Il primo venne però sconfitto al ponte di Ganda e costretto a ritirarsi al forte di Riva. La battaglia di Tirano liberò provvisoriamente la Valtellina dalla loro signoria, ma un’alleanza fra Francia, Savoia e Venezia, contro la Spagna, fece nuovamente della valle un teatro di battaglia. Morbegno venne occupata nel 1624 dal francese marchese di Coeuvres, che vi eresse un fortino denominato “Nouvelle France”. Le vicende belliche ebbero provvisoriamente termine con il trattato di Monzon (1626), che faceva della Valtellina una repubblica quasi libera, con proprie milizie e governo, ma soggetta ad un tributo nei confronti del Grigioni. Dopo il trattato di Monzon, il triennio 1626-29 segnò una tregua: niente più armi né soldatesche, almeno per il momento, in valle. Ma non furono tre anni sereni. Ci si mise il clima a tormentare la vita già di per sé non semplice dei cristiani, un clima pessimo, caratterizzato da eccezionale piovosità, soprattutto primaverile, accompagnata da repentine ondate di freddo, tanto da ritardare le vendemmie anche di due settimane rispetto al consueto, da compromettere seriamente i raccolti e da determinare una situazione di carestia.


Pedemonte

Ma, al di là di tutto, la pace sembrava tornata e tutti tirarono il fiato; fu, però, il sollievo dell’inconsapevolezza, perché il peggio doveva ancora venire. Il nefasto passaggio dei Lanzichenecchi, scesi dalla Valchiavenna per partecipare alla guerra di Successione del Ducato di Mantova, portò con sé la più celebre delle epidemie di peste, descritta a Milano dal Manzoni, quella del biennio 1630-31 (con recidiva fra il 1635 ed il 1636). Non era certo la prima: solo nel secolo precedente avevano toccato il territorio di Berbenno le epidemie del 1513-14, del 1526-27 e del 1588. Ma quella fu la più terribile.


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In quel tragico periodo fu posto un "rastrello" sul ponte dell'Adda presso S. Pietro, per evitare che abitanti di Fusine, Cedrasco e Colorina, zone di maggior contagio, passassero dall'una all'altra sponda del fiume senza una regolare bolla di sanità. Il quadro del tormentato periodo si chiude con la campagna del francese duca di Rohan contro spagnoli ed imperiali (1635-37): Berbenno ne venne direttamente coinvolta, perché dovette, suo malgrado, ospitare, come Buglio e Polaggia, la cavalleria francese del Villet. I Francesi portarono, oltre alla consueta dose di soprusi ed arroganza, una seconda terribile ondata di peste, che colpì duramente anche Berbenno nel biennio 1635-36. Come Dio volle, nel 1639 il Capitolato di Milano pose fine alle guerre di Valtellina: i Magnifici Signori Reti riprendevano la valle, dove però era ammesso il solo culto cattolico.


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Un quadro sintetico di Berbenno nella prima metà del Seicento è offerto dal prezioso manoscritto di don Giovanni Tuana (1589-1636, grosottino, parroco di Sernio e di Mazzo), intitolato “De rebus Vallistellinae” (Delle cose di Valtellina), databile probabilmente alla prima metà degli anni trenta del Seicento (edito nel 1998, per la Società Storica Valtellinese, a cura di Tarcisio Salice, con traduzione delle parti in latino di don Abramo Levi). Vi leggiamo: “La pieve di Berbenno ha cinque cure et cinque vicecure. Le cure sono queste: Sidrasco, Fusine, Postaleso, Monasterio, Pedamonte. Le vicecure sono: Colorina, Valle, Rodolo, Corna et Valmadre. Da parte soliva vi è Postaleso, Berbenno, Monasterio et Pedamonte: da purivo l'altre. Berbenno haverà 750 anime, essendone morti tant'altri per la peste. È d'aria non buona particolarmente d'agosto, sollevandosi dalle vicine paludi puzzolent'aria et portata là dalla breva. È abbondante di grano, vino et fieno, è povero solo di legna havendo li monti quasi privi di quelle et puoco utili per pascoli.


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Il piano è ampio, ma in gran parte puoc'utile, essendo paludoso et caregioso. È situato Berbenno quasi un quarto di miglio sopra il piano della valle in luoco ameno, tra belle vigne et delitiosi giardini, con casamenti superbi, pacando per quella un fiumicello, qual scorre dalla cima de monti, apresso il quale v'è in mezzo la terra una torre chiamata Torre del Vescovo. Questa terra ha alcune contrate sparse per la montagna. Le principali sono: Polagìa, sopra Berbenno tra le vigne dov'è una chiesa di S. Abondio, et Rovoledo verso sera. La chiesa principale di Berbenno et plebana, dove concorrono le cure vicine ad udir la predica di quaresima, è di S. Pietro nel piano vicino ad Adda in luoco puoco felice, è però bellissima chiesa fatta con buona architettura capace di 500 o mille persone, è però senza campanile. Questa è solitaria del tutto, essendo destrutte alcune case, dov'altre volte si faceva hostaria, et perciò è discommoda alli Berbennaschi. La chiesa parochiale è sopra una rupe in vista a passagieri, dedicata all'Assumptione della Beata Vergine, con torre, sacrestia nobilissima, con vestiarij nobilissimamente fatti di noci. La chiesa è bella et capace del suo popolo. et quivi risiede l'arciprete, ma senza canonici, supplendo a questi duoi capellini, quali l'aiutano nella cura dell'anime. Non v'è chiesa in Valtellina qual babbi maggior entrata di questa. Sono molte famiglie nobili in questa terra, ma perché in parte san Rimani. mentre stanno lontane dalla religione catolica, son sforzate a star lontano dalla patria et perciò restano le loro case dishabitate.


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Un sintetico schizzo della media Valtellina da Sondrio ad Ardenno ci viene offerto, infine, dalle annotazioni (1621) di un anonimo cronista originario della Valcamonica (pubblicato nell’articolo «Paesi e paesani di Valtellina nella descrizione di un anonimo del Seicento» di Sandro Massera,  in un numero della Rassegna Economica della Provincia di Sondrio della CCIAA):
Vi sono de sotto de Sondrio le terre de Castiòn, Berbèn, Pedemónt Pestolés, Arden e tutte queste sono lavoranti de vigne, ma gran parte ne vanno in Italia per fachini, che ne sono piene le dovane e magazin de vini. In Roma, Napoli, Mesina, Palermo non vi è canton de fachini che non siano de costoro: huomini non di grande statura, ma sperti, acorti, amatori del dinaro.
Sarebbero anche belle le donne di Pedemònt, Pestolés, Berben e Arden; è che non tengono troppo all'eleganza. Vestiscono a un certo modo male, massime le donne, che più presto rendono risa che altrimente et se le donne fossero vestite bene, di bellezza ordinariamente stariano al paro delle romane di bellissimo sangue
.”


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La seconda metà del seicento ed il settecento videro un complessivo miglioramento della situazione ed una ripresa demografica, che interessò anche Berbenno.
La ripresa settecentesca non fu, però, priva di arresti e momenti difficili, legati soprattutto ad alcuni inverni eccezionalmente rigidi, primo fra tutti quello memorabile del 1709 (passato alla storia come “l’invernone”, “l’inverno del grande freddo”), quando, ad una serie di abbondanti nevicate ad inizio d’anno, seguì, dal giorno dell’Epifania, un massiccio afflusso di aria polare dall’est, che in una notte gelò il Mallero e parte dell’Adda. Ed ancora, nel 1738 si registrò una nevicata il 2 maggio, nel 1739 nevicò il 27 ed il 30 marzo con freddo intenso, nel 1740 nevicò il 3 maggio, con freddo intenso e nel 1741 nevicò a fine aprile, sempre con clima molto rigido e conseguenze disastrose per le colture e le viti. Berbenno, alla metà del secolo, risultava, secondo quanto scrive lo storico Francesco Saverio Quadrio, costituita dalle frazioni di Polaggia, Priviolo, Sgina, Dusone, Sedurno, Rogoledo, Sagno, Muscio, Lescuno, Bulgaro, San Pietro, Pedemonte, Monistero, Marogia.
Lo storico Francesco Saverio Quadrio, nelle “Dissertazioni critico-storiche intorno alla Rezia di qua dalle Alpi oggi detta Valtellina” (Edizione anastatica, Bologna, Forni, 1971), ci offre, a metà del settecento, queste notizie del paese:
Berbeno (Bertena, o Berbena). Di questo Luogo si è già parlato altrove alcun poco. Esso ha nove Contrade a se sottoposte, che sono Polagia, Priviolo, Sgima, Du sone, Sedurno, Rogoledo, Sogno, Muscio, Lescuno, Bulgaro, San Pietro, Pedemonte, Monistero, e Marogia.


Berbenno di Valtellina

Il Finale, Fiume non povero, ne taglia per mezzo questa Comunità. Sotto a Berbeno presso alla Chiesa di San Michele, or rovinata, vi era un Castello col nome di Rocca Scissa: un altro ne aveva nella sommità del Monte sopra Dusone, col nome di Castello di San Gregorio per la Chiesa a tal Santo intitolata, ivi racchiusa, o con altro nome il Castello Mongiardino, in cui tuttavia la Cisterna si vede co' suoi Condotti, che degna è d'osservazione per que' tempi: poiché essendo il Monte Isolato; ed essa posta nell'Apice di esso nel Cuor del Castello, da qualunque parte, che vi traessero di fuori l'acqua, di non mediocre saputa, e artifizio era stato loro bisogno. Altro Castello in capo alla Contrada di Polagia verso Postalesio pur era, di cui le massiccie fondamenta, che estano, fan chiara fede: e chiamasi in oggi pur Castellaccio. Per avventura era un Forte avanzato, comandato dal Castello di S. Gregorio, da cui non è più distante, che mille passi. Seguiva poi al detto Castellaccio in distanza di mezzo miglio altra Torre, appellata la Guardia, nome, che tuttavia ritiene: e questa pure rimaneva, come il detto Castellaccio, sotto l'occhio del Maggior Castello di San Gregorio; ed era in que' tempi alla riva del Fiume di Postalesio, come che più non lo sia, per aver questo mutato il Letto. È osservabile, che nella Chiesa del Castello di San Gregorio vi era pure il Cimiterio annesso, dove si seppellivano i Morti, e dove molte Ossa si veggono. Ciò mi conferma nell'opinione, che antichissima Città più tosto fosse il detto Castello, che Fortezza a bello studio per tal fine formata: da che nelle sommità appunto de' Colli era uso presso gli Antichi di fondare le loro Abitazioni; ma che poi per multiplicazion delle Genti, e per altre ragioni, si sia quella Popolazione portata sotto esso Castello più al basso. Fiorironvi quivi le Famiglie Capitanei, Carbonera, Colla, Fondra, Noghera, Odescalchi, Perari, Ranzetti, Vassalli ec.”

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Nel 1797, sul finire del secolo, terminò anche la dominazione delle Tre Leghe sulla valle, dopo la bufera scatenata sull’Europa dalle guerre napoleoniche.


Vigneti sopra Pedemonte

Fu, più in generale, una svolta importante anche per l’intera valle, perché il periodo della dominazione francese rappresentò, secondo quanto sostiene Dario Benetti (cfr. l’articolo “I pascoli e gli insediamenti d’alta quota”, in “Sondrio e il suo territorio”, IntesaBci, Sondrio, 2001), l’inizio di una crisi senza ritorno, legata alla cancellazione di quei margini di autonomia ed autogoverno per Valtellina e Valchiavenna riconosciuti durante i tre secoli di pur discutibile e discussa signoria delle Tre Leghe Grigie: ”L’1 aprile 1806 entrò in vigore nelle nostre valli il nuovo codice civile, detto Codice Napoleone, promulgato nel 1804. A partire da questo momento si può dire che cessi, di fatto, l’ambito reale di autonomia delle comunità di villaggio che si poteva identificare negli aboliti statuti di valle. I contadini-pastori continueranno ad avere per lungo tempo una significativa influenza culturale, ma non potranno più recuperare le possibilità di un pur minimo autogoverno istituzionale, soffrendo delle scelte e delle imposizioni di uno Stato e di un potere centralizzati.


Pedemonte

Già l’annessione alla Repubblica Cisalpina, peraltro alcuni anni prima, il 10 ottobre 1797, dopo un primissimo momento di entusiasmo per la fine del contrastato legame di sudditanza con le Tre Leghe, aveva svelato la durezza del governo francese: esso si rivelò oppressivo e contrario alle radicate tradizioni delle valli; vennero confiscati i beni delle confraternite, furono proibiti i funerali di giorno, fu alzato il prezzo del sale e del pane, si introdusse la leva obbligatoria che portò alla rivolta e al brigantaggio e le tasse si rivelarono ben presto senza paragone con i tributi grigioni. Nel 1798 a centinaia i renitenti alla leva organizzarono veri e propri episodi di guerriglia, diffusi in tutta la valle: gli alberi della libertà furono ovunque abbattuti e sostituiti con croci.. Nel 1797, dunque, la Valtellina e contadi perdono definitivamente le loro autonomie locali, entrano in una drammatica crisi economica e inizia la deriva di una provincializzazione, di una dipendenza dalla pianura metropolitana e di un isolamento culturale e sociale che solo gli anni del secondo dopoguerra hanno cominciato a invertire”.


Il monte Disgrazia visto dalla cima del Pizzo Bello

La comunità di Berbenno nel 1797 contava allora 2712 abitanti. Vennero, poi, anni di vorticosi riassestamenti giuridico-amministrativi. Il 3 marzo 1798 il comune di Berbenno figurava compreso nella prima ripartizione del dipartimento d’Adda e Oglio. Nell’assetto definitivo della repubblica cisalpina, determinato nel maggio del 1801, Berbenno era uno dei settanta comuni che costituivano il distretto III di Sondrio del dipartimento del Lario. Alla Repubblica si sostituì, nel 1805, il Regno d’Italia, nel quale Berben­no venne assegnato al cantone I di Sondrio, come comune di III classe, che contava 2.063 abitanti, composto dalle frazioni di Berbenno (1063) e Polaggia (1000).
Cadde, poi, anche Napoleone e la Valtellina, nel Regno lombardo-veneto, fu assegnata all’impero asburgico. In base alla compartimentazione territoriale del Regno lombardo-veneto, del 1816, il comune di Berbenno con Pedemonte e Monastero fu inserito nel distretto I di Sondrio; Berbenno e Pedemonte, con Monastero, tennero però distinti i singoli patrimoni. Nel 1853 Berbenno, con le frazioni Pedemonte con Monastero, Regoledo e Polaggia, era comune con consiglio comunale senza ufficio proprio e con una popolazione di 2.417 abitanti, sempre inserito nel distretto I di Sondrio.


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Il periodo della dominazione austriaca fu segnato da eventi che incisero in misura pesantemente negativa sull’economia dell’intera valle. L’inverno del 1816 fu eccezionalmente rigido, e compromise i raccolti dell’anno successivo. Le scorte si esaurirono ed il 1817 è ricordato, nell’intera Valtellina, come l’anno della fame. Vent’anni dopo circa iniziarono le epidemie di colera, che colpirono la popolazione per ben quattro volte (1836, 1849, 1854 e 1855), mentre quella della crittogama, negli anni cinquanta, misero in ginocchio la vitivinicoltura valtellinese. Queste furono le premesse del movimento migratorio che interessò una parte consistente della popolazione nella seconda metà del secolo, sia di quella stagionale verso Francia e Svizzera, sia di quella spesso definitiva verso le Americhe e l’Australia.
Alla proclamazione del Regno d’Italia, nel 1861, Berbenno contava 2668 abitanti. La statistica curata dal prefetto Scelsi nel 1866 registrava il seguente quadro analitico: nel centro di Berbenno vivevano 380 persone, 185 uomini e 195 donne, in 91 famiglie e 78 case, di cui 17 vuote; a Pedemonte vivevano 153 persone, 77 uomini e 76 donne, in 26 famiglie e 33 case, di cui 7 vuote; a Polaggia vivevano 902 persone, 473 uomini e 429 donne, in 178 famiglie e 170 case, di cui 10 vuote. I rimanenti nuclei venvano classificati come casali, e comprendevano: Dusone con 217 abitanti, 98 uomini e 119 donne, in 42 famiglie e 38 case, di cui 2 vuote; Dosso con 85 abitanti, 43 uomini e 42 donne, in 14 famiglie e 22 case, di cui 12 vuote; Fomasetti con 67 abitanti, 35 uomini e 32 donne, in 14 famiglie e 14 case; Foppa con 34 abitanti, 18 uomini e 16 donne, in 6 famiglie e 15 case, di cui 8 vuote; Maroggia con 148 abitanti, 74 uomini e 74 donne, in 20 famiglie e 20 case; Monastero con 221 abitanti, 111 uomini e 110 donne, in 36 famiglie e 36 case; Muscio con 123 abitanti, 65 uomini e 58 donne, in 27 famiglie e 27 case; Regoledo con 172 abitanti, 82 uomini e 90 donne, in 29 famiglie e 29 case; San Pietro con 4 abitanti, 2 uomini e 2 donne, cioè una famiglie in una casa; Scima con 122 abitanti, 68 uomini e 54 donne, in 28 famiglie e 36 case, di cui 10 vuote; Val Dorta con 40 abitanti, 23 uomini e 17 donne, in 8 famiglie ed 8 case.
Alla I Guerra di Indipendenza (1848) avevano partecipato i berbennesi Mainetti Nicola, Noghera cav. Giovanni e Noghera comm. Eugenio, ed alla II Guerra di Indipendenza (1859-60), che aveva portato all'unità d'Italia, i berbennesi Noghera cav. Giuseppe, Noghera nob. Venceslao, Noghera cav. Giovanni e Noghera comm. Eugenio. Alla III Guerra d'Indipendenza (1866), sempre contro l'Impero Asburgico, parteciparono, infine, i berbennesi Andreoli Giacomo, Bianchi Fanciulli Giovanni, Bardaglia Giuseppe, Bongiolatti Andrea, Bassi Antonio, Della Vedova Domenico, Fontana Giovanni, Fontana Vittore, Forno G. Antonio, Gilardi Giovanni, Meraviglia Protasio, Noghera cav. Giovanni, Rossi Andrea, Scarafoni Domenico, Vanotti Giovanni Battista, Viganò Clemente e Zucchi Giovanni. Corlatti Giuseppe partecipò alla breve campagna che portò, nel 1870, alla presa di Roma attraverso la famosa breccia di Porta Pia.
Gli abitanti di Berbenno crebbero, costantemente, fino alla vigilia della Prima Guerra Mondiale (1911): erano 3045 nel 1871, 3224 nel 1881, 3304 nel 1901 e 3544 nel 1911.


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Dall’opera “La Valtellina (Provincia di Sondrio)”, di Ercole Bassi (Milano, Tipografia degli Operai, 1890), ricaviamo diverse interessanti notizie statistiche sul paese intorno agli anni ottanta dell’ottocento, riportate nella seguente tabella:

Frazioni principali:
Pedemonte, Maroggia, Polaggia, Monastero

Mandamento:
Sondrio

Numero delle case al 1865: 527

Numero di famiglie al 1865:
520

Abitanti nel 1881:
3030

Patrimonio al 1865 (in Lire): 63728

Passivo al 1883 (in Lire):
39363

Latteria/e
(anno di fondazione, kg. di formaggio e di burro prodotti):
-

Sordomuti (m e f): 6, 1

Ciechi (m e f): 2, 0

Cretini

 

 

 

 

 

 


Alpeggi (fra parentesi: proprietà, numero di vacche sostenibili, prodotto in Lire per vacca, durata dell’alpeggio in giorni): Alpe Caldenno
(300, 35, 80) alpe Vignone (230, 30, 70).


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Ecco come la Guida della Valtellina, curata da Fabio Besta e pubblicata nel 1884 a cura del CAI di Sondrio, tratteggia in sintesi il paese: "La Stazione di S. Pietro, a quindici chilometri da Morbegno e a dieci da Sondrio, prende nome da una chiesa lì vicina, antichissima, ma rifatta nel secolo decimosesto. E' degna di essere osservata la porta di questa chiesa di puro stile del cinquecento, con pregevolissimi ornati. Da S. Pietro una via carrozzabile sale a girivolte il versante aprico della valle, e conduce in mezz'ora a Berbenno (450 m., 3224 ab.), grossa e ridente borgata. Bella vista dalla chiesa della parrocchia, che sorge isolata sopra un poggio. Sotto a Berbenno, presso la chiesa di S. Michele, rovinata già ai tempi del Quadrio, esisteva, dice questo storico, un castello col nome di Rocca Scissa; un altro ve n'aveva sopra Dusone col nome di Castel Mongiardino o di S. Gregorio per la chiesa a tal santo intitolata, che ivi era racchiusa."


Alpe Vignone

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Nel 1914 si registra un importante evento per la comunità: la ditta Picolli costruisce due elettrodotti da 8000 Volt che dalla Centrale idroelettrica del Masino (servita dal bacino fra Pioda e Piazzalunga), della Società Idroelettrica Italiana, porta l'energia elettrica alle cabine di trasformazione di Berbenno e Dazio, servendo i centri di Dazio, Masino, Ardenno, Villapinta, Buglio, Pedemonte, Regoledo e Berbenno. Ecco come l'evento viene salutato in un articolo del 14 gennaio 1914 del Corriere della Valtellina: "Civiltà e luce: questi due nomi sfolgoranti di pura idealità vanno sempre appaiati e non potevano non esserlo anche nel grazioso comune di Berbenno. Già da parecchi anni uomini ai quali stava a cuore ogni progresso avevano lanciato l'iniziativa di un impiantoelettrico per l'illiminazione del paese. Per l'insorgere di parecchi impedimenti solo quest'anno toccava all'instancabile ing. Dassogno la fortuna di condurla in porto. Infatti egli coadiuvato da numerosi amici potè in questi giorni ottenere che il municipio e privati accogliessero la proposta della ditta Fulvio Picolli fornitrice della luce ricavata dalla centrale della Società Elettrica Italiana." (citato da "L'energia elettrica in Provincia di Sondrio", di Giuseppe Songini, edito a cura del BIM di Sondrio).


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Pesante è il tributo dei caduti nella Prima Guerra Mondiale: il monumento ai caduti riporta i nomi di Lorenzo Leoni, Andrea Mainini, Francesco Romolo Meraviglia, Giovanni Battista Meraviglia, Angelo Ravizza, Vincenzo Scarafoni, Giuseppe Scherini, Felice Airoldi, Bartolo Alberti, Pietro Giuseppe Andreoli, Giuseppe Bongiolatti, Vittorio Bongiolatti, Giuseppe Coltelli, Giovanni Crotti, Gaspare Marino Cincera, Enrico Dassogno, Basilio Fontana, Luigi Morelli, Benedetto Alberti, Pietro Crotti, Ottorino Curtoni, Valeriano Dassogno, Giovanni Ghelfa, Allegro Gialli, Albino Meraviglia, Luigi Meraviglia, Giuseppe Meraviglia, Alberto Pomina e Gian Domenico Scherini. Sono menzionati anche i morti per malattia Ippolito Negri, Giovanni Rossi e Vittorio Triangeli, ed i dispersi Giuseppe Pietro Corlatti, Luigi Benigno Della Valle e Giuseppe Traversi.


Tramonto al Gaggio di Monastero

I due decenni successivi segnarono, invece, una flessione demografica (3291 abitanti nel 1921 e 3156 nel 1931), con lenta ripresa negli anni Trenta (3265 abitanti nel 1936). La Guerra d'Africa si portò via, nel 1936, Giuseppe Meraviglia.
Ampia la presentazione del paese che Ercole Bassi inserisce in “La Valtellina – Guida illustrata”, del 1928 (V ed.): “Dopo circa km. 6 da Ardenno si arriva a S. Pietro di Berbenno (staz. ferr. - due alb., posta, meccan., nol. vett. - scuola complement.), dal quale una rotabile, salendo a sin., conduce alla sede del comune di Berbénno (m.375 - ab. 624-3354 - P. T. - farm. - med.cond. - coop. per l'assicur. best. a Polaggia, varie osterie; soc. musicale), situato sopra un'altura, e dalla quale si accede alle grosse frazioni di Pedemonte, Monastero (unione coop.), Polaggia, Dusone e Maroggia. Presso la stazione si trova la chiesa di S. Pietro, del X sec., già plebana di Berbenno, abbandonata per le alluvioni dell'Adda, rifatta nel XVI secolo. Gli stipiti del portone d'ingresso con pregevoli ornati a bassorilievo, portano la data del 1563 e furono attribuiti ai Rodari. Il pulpito in legno intagliato, la balaustra in marmo dell' altar maggiore, e l'ancona dello stesso altare sono del sec. XVII. Bella, benchè di proporzioni piuttosto massicce, la pila dell'acqua santa. L'interno è a tre navate, la centrale ad archi acuti. Secondo A. Giussani non è l'originale, anteriore al 1000, ma rifatta verso il 1400. Gli archi longitudinali sono a sesto acuto nella 1. e 4. campata; a tutto sesto nelle intermedie. L'abside è coperta da una volta reale a mezza tazza. Il pavimento fu sopralzato due volte per oltre due metri. Il presbiterio è separato con elegante balaustra di marmo variegato di stile barocchino, dono degli abitanti di Polaggia emigrati a Roma nel 1809.


Pra' Misciold

Nella parrocchiale di Berbenno, dedicata all'Assunta, il portale è di marmo bianco venato; la porta ricca di begli intagli; il coro intagliato ed intarsiato in legno, del 1648, è opera di Gio. Schmidt di Lipsia. Questa chiesa  sarebbe divenuta plebana, in sostituzione di quella di S. Pietro il 19 Luglio 1766. Secondo il prof. Enrico Besta esisteva sino dal 1383, eretta sulle rovine del castello di Roccascissa, sino dal 1400 era la sede normale dell'ufficiatura. Fu rifatta più volte, e vi risiedeva l'arcidiacono che vi teneva tribunale. La chiesa possiede pure affreschi di Cesare Lipari; una Assunzione sulla volta del presbitero; due grandi tele del 500, e altre sei di contro; due bei reliquari dei Ss. Pietro e Paolo; bella statua della V. in una ricca ancona del 1600; e sei statue antiche collocate in apposite nicchie sugli altari. Nella casa dell'arciprete esiste un genuflessorio in legno intagliato, con la Passione di N. S. Nella chiesa di S. Gregorio vi è una bella ancona, opera di Socio Filippo e Bartolomeo, probabilmente di Bórmio. È bellissima la pala dell'altar maggiore della chiesa di Polaggia, firmata da C. Lipari. A Monastero sono notevoli l'altar magg., e l'urna di S. Benigno, opera d'intaglio squisito. Questo S. Benigno, frate dell'ordine degli Umiliati, al secolo Ippolito De Medici della famiglia medicea di Firenze, vuolsi fosse venuto a stabilirsi a Monastero (già chiamato Assovinno) nel 1466 fondandovi un convento, e vi rimanesse fino alla morte, avvenuta nel 1472. Donò alla chiesa le sue preziose vesti di porpora e di seta, che furono convertite in paramenti, nonchè le sue biancherie e vasi di metallo.


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Buoni dipinti si trovano in case private. Meritano menzione: uno stemma scolpito sopra una pietra dietro il focolare della cucina Dassogno e la cappa del camino della cucina Negri. Sopra la frazione di Dusone vi era il castello di Mongiardino o di S. Gregorio. Da pochi anni nella località detta "Roccie di Palasio", sopra un promontorio sovrastante la ferrovia, fu scoperto un masso-avello scolpito nella roccia di gneis granitoide. A. Giussani ha anche visitato certe cavità somiglianti a scodelle nella pietra viva, conosciute col nome di Preda di danèe (pietra dei danari) fra la località Campise e il prato Maslin, che si ritengono opera dell'uomo preistorico, probabilmente pietre capellifere, come quelle di Colico. Ha destato e desta tuttodì interesse una fiammella che si vede talvolta vagolare di notte vicino alla parrocchiale, e di cui non si sa spiegare la causa. A Berbenno nacque Caterina o Elisabetta Scannagatta, che, arruolatasi al posto di un fratello sotto Napoleone I, prese parte a molte battaglie. Si guadagnò il grado di capitano, finchè, ferita, se ne scoperse il sesso, e fu licenziata con molti onori. Di famiglia berbennese nacque in Albosaggia nel 1719, G. B. Noghera, teologo, buon letterato e poeta.


Regoledo

Nella Seconda Guerra Mondiale caddero Lino Alberti, Claudio Bianchini, Silvio Catelotti, Aristide Capelli, Silvio Catelotti, Edoardo Fumasoni, Giulio Ghelfa, Egidio Morelli, Umberto Salinetti, Abele Tantera, Giuseppe Vitali e Vittorio Venturini. Furono dichiarati dispersi in Russia Ottorino Andreoli, Lino Badorini, Rino Bassi, Riccardo Bruni, Celeste Bedognè, Franco Bianchini, Renzo Corlatti, Angelo decensi, Lino Fontana, Lorenzo Moncecchi, Giovanni Pinalli, Alberto Scarafoni, Dino Speziali, Adolfo Togninalli, Beniamino Togninalli e Natale Togninalli.


Piana di Berbenno

Costante la popolazione negli anni cinquanta (3411 abitanti nel 1951 e nel 1961), prima di un nuovo periodo di crescita demografica (a vantaggio, però, del centro di Berbenno, ed a discapito dei nuclei di mezza costa come Monastero), che porta gli abitanti a 3628 nel 1971, 4033 nel 1981, 4135 nel 1991, 4177 nel 2001 e 4225 nel 2005.
La seguente tavola, tratta da “Agricoltura e lavoro agricolo in Provincia di Sondrio” di Federico Bocchio (edito dalla Camera di Commercio I. A. di Sondrio nel 1965) offre un quadro interessante della situazione agricola del comune alla metà degli anni Sessanta, riportando le ore annue impegnate nelle diverse attività nei diversi mesi, da gennaio (prima colonna) ma dicembre (ultima colonna; i numeri accanto al nome del comune riguardano rispettivamente la popolazione residente P.R., la popolazione attiva P. att. – fra parentesi la popolazione maschile -, il numero delle aziende con bestiame ed il numero totale di aziende – a destra del comune – ed infine la popolazione agricola P. Agr. – fra parentesi la popolazione maschile -):

Interessanti anche le seguenti tavole, tratta dal medesimo studio:


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Dopo quest’ampia panoramica storica, qualche nota sul territorio. I 35,7 km quadrati del territorio comunale si stendono sul versante retico della media Valtellina, innalzandosi dal fondovalle, dove si trova la frazione di S. Pietro, sulla ss. 38 dello Stelvio a circa 10 km ad ovest di Sondrio (m. 271), fino al punto di massima elevazione costituito dalla punta centrale dei Corni Bruciati, sulla testata della Valle del Caldenno (m. 3114), anche se il punto più a nord è costituito dalla punta settentrionale dei Corni Bruciati (m. 3097), leggermente a nord-est della prima. Il nucleo centrale si trova leggermente a monte rispetto a S. Pietro, ad una quota compresa fra i 370 ed i 400 metri. Ai suoi lati, leggermente a monte, le frazioni di Polaggia (est) e Regoledo (ovest). A sud il confine del comune, che lo separa da Fusine e Colorina, segue il fiume Adda, da est ad ovest, dal ponte di Cedrasco fino alla frazione della Piana di Selvetta (esclusa).


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Sale, poi, con andamento quasi diritto, verso nord, separando Berbenno da Buglio e passando ad ovest di Pedemonte (frazione del comune), seguendo la valle del torrente Maroggia e passando ad ovest della Maroggia, di Monastero e del Gaggio di Monastero (anch’esse nel territorio comunale), raggiungendo e seguendo il filo dell’ampio dosso del Termine fino alla croce dell’Olmo (m. 2342), sul crinale che separa il versante retico dalla Val Terzana (Val Masino). Segue, quindi, questo crinale principale, con andamento nord-est, toccando la cima di Vignone (m. 2608) ed il pizzo Bello (m. 2743). Volge, quindi, a nord e segue il crinale roccioso che separa la Valle del Caldenno dalla Val Terzana e dalla Valle di Preda Rossa, toccando il passo di Scermendone (m. 2595) e le già citate punte centrale e settentrionale dei Corni Bruciati (m. 3114 e 3097). Qui volge a sud-est e segue il crinale che separa la Valle del Caldenno dalla Val Torreggio (Val del Turéc') (Valmalenco), passando per la cima di Postalesio (m. 2995), il passo di Caldenno (m. 2517) ed il monte Caldenno (m. 2669).


Prato Isio

Assume, infine, l’andamento sud, che lo riporta al ponte di Cedrasco sul fiume Adda, tagliando prima il fianco orientale, poi quello occidentale della bassa Valle del Caldenno. Rientrano nel comune di Berbenno, quindi, da est ad ovest, l’intera alta Valle del Caldenno (con gli alpeggi di Caldenno e Palù) e parte della bassa valle, il lungo dosso che la separa dalla Val Finale, con l’alpeggio di Prato Isio ed i Prati di Gaggio, la Val Finale, che si eleva monte del centro di Berbenno fino alla cima del Poggio del Cavallo (m. 2557), il dosso che separa la Val Finale dalla Val Vignone, con Prato Maslino e diversi maggenghi minori (le Foppe, la Preda, i Cornelli) ed infine la Val Vignone, con gli alpeggi di Vignone e Baric. Un territorio, quindi, molto composito e vario, ricco di opportunità per gli amanti della cultura, religiosa, storica ed eno-gastronomica, delle camminate e delle escursioni e della pratica della mountain-bike.   


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BIBLIOGRAFIA:

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Xeres, Saverio, "La figura di San Benigno: ripresa critica di una questione complessa", in Bollettino della Società Storica Valtellinese, 2009

 

APPENDICE LETTERARIA: alcune pagine dal romanzo "Jürg Jenatsch" di Conrad F. Meyer (clicca qui per aprire il testo)

CARTA DEL COMUNE sulla base della Swisstopo, che ne detiene il Copyright. Ho aggiunto alla carta alcuni toponimi ed una traccia rossa continua (carrozzabili, piste) o puntinata (mulattiere, sentieri). Apri qui la carta on-line

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