Apri qui una fotomappa della parte terminale della Val Tartano e della Val Vicima

Punti di partenza ed arrivo
Tempo necessario
Dislivello in altezza
in m.
Difficoltà (T=turistica, E=escursionistica, EE=per escursionisti esperti)
Ronco-Vallle e passo di Vicima-Lago di Bernasca-Rifugio Bernasca
3 h e 30 min.
1100 (+150 in discesa)
E
Ronco-Vallle e passo di Vicima-Lago di Bernasca-Rifugio Bernasca-Baitone di Bernasca-Sovalzo
6 h
1100 (+1400 in discesa)
EE
SINTESI. Saliti a Campo Tartano sulla strada per la Val Tartano, parcheggiamo qui e proseguiamo lungo la carozzabile per Tartano, trovando ben presto, segnalata, la partenza, sul suo lato sinistro, della mulattiera per la Val Vicima, che passa a monte della frazione Ronco e, raggiunto un poggiolo, comincia a inoltrarsi sul fianco meridionale della valle, passando per una cappelletta. Oltrepassate le baite di Vicima (m. 1505), guadiamo un piccolo coso d'acqua da sinistra a destra e passiamo a sinistra dei prati delle baite di quota 1619. Ignorata la deviazione a destra per il Barghèt, proseguiamo a sinistra e passiamo accanto ad un terzo gruppo di baite ai margini di una pecceta. Usciamo poi all'aperto passando a destra delle baite di quota 1763, scendiamo verso destra ad attraversare il torrente Vicima e saliamo fra facili balze fino all'alpe Vicima (m. 1933). Pasiamo a sinistra del recinto dell'alpe e proseguiamo diritti, fino a ritrovare la traccia di sentiero. Oltrepassata l'ultima baita a quota 2050, seguiamo il sentierino che, sempre stando sul lato sinistro per ni) della valle supera due gradini rocciosi e si porta ai piedi del passo di Vicima, cui sale con traccia più marcata (m. 2234, croce in legno). Ignorata una debole traccia che sale alla nostra destra, scendiamo per un breve tratto alla conca sottostante, fino ad affacciarci su un pianoro più ampio, dove ci appare il bellissimo laghetto di Bernasca (m 2134), cui scendiamo su traccia marcata sul lato destro di un gradino roccioso. Passiamo a sinistra del lago e procediamo fino a giungere in vista del rifugio Bernasca (m. 2093), a sinistra del caratteristico corno del Pizzolo.
Se disponiamo di due automobili e ne abbiamo posizionata una a Sovalzo, sopra Colorina (la si raggiunge, previo pagamento di pass, percorrendo la pista a monte di Colorina e lasciandola per seguire la terza pista che se ne stacca a sinistra ad un tornante dx), possiamo intraprendere la discesa dal rifugio a Sovalzo per l'aspro ed affascinante fianco occidentale della bassa Valmadre. Dal rifugio Bernasca cominciamo ad abbassarci superando un ponticello e seguendo la traccia di sentiero che taglia in diagonale verso sinistra. Superiamo così una fascia di pascolo ed una franetta, proseguendo diritti in graduale discesa, fra lembi di pascolo e roccette affioranti. Ci avviciniamo così ad una valletta. Prima di raggiungela, la traccia piega a destra e scende affiancandolo lungo una striscia di pascolo, per poi piegare a sinistra e portarsi sul suo lato opposto. Non la seguiamo, però, in questa svolta, ma restiamo sul medesimo lato, risaliamo per qualche metro la gobba erbosa alla nostra destra e scendiamo lungo un breve corridoio erboso. Pieghiamo ora a destra iniziando a scendere in diagonale fra pascoli e roccette, su facile terreno, fino a raggiungere un facile avvallamento che sdeguiamo stando più o meno al centro. La discesa ci porta ad una sorta di conca, dove intercettiamo un sentiero che scende da destra. Lo seguiamo verso sinistra. Il sentiero descrive un arco verso sinistra, attraversando un pascolo pulito e raggiungendo la valletta sopra menzionata. Sul lato opposto pieghiamo a destra e poi subito a sinistra, raggiungendo la bella conca che ospita la Casera di Bernasca (m. 1965), affiancata da un baitello. Passiamo davanti alle due baite e proseguiamo nella discesa, sempre sul sentiero discretamente marcato, piegando a destra. Raggiunto il centro di un avvallamento, pieghiamo a destra e scavalchiamo un dosso erboso, proseguendo con qualche svolta su una larga striscia di pascolo. Superato un modesto gradito, siamo ad un nuovo avvallamento. Qui il sentiero piega a sinistra, superando piccole franette e portandosi di nuovo ad un’ampia striscia di pascoli. Piegando subito a destra ci portiamo al già ben visibile Baitone di Bernasca (m. 1890), anch’esso affiancato da una baita. Il sentiero passa appena a sinistra di questa baita ed alla sua altezza piega decisamente a sinistra, scendendo ad attraversare una seconda valletta (il solco principale della Valle di Bernasca). Sul lato opposto proseguiamo diritti per un tratto, poi pieghiamo decisamente a destra riattraversando la valletta in una fascia di macereti. Tornati sul pascolo, vediamo alla nostra destra la baita più bassa dell’alpe (m. 1820). Il sentiero però non ragigunge la baita, ma piega prima a sinistra e, descritto un arco, torna ad una fascia di macereti e riattraversa per la terza volta la valletta. Lasciati alle spalle i pascoli dell’alpe Bernasca, il sneiteor, a tratti esposto, punta decisamente a nord e raggiunge, dopo una breve salita, un bel bosco di abeti, dove piega ancora, questa volta a destra, e comincia una lunga discesa, che ci fa perdere 600 metri circa, sul crinale di un largo dosso compreso fra la valle Sciesa, alla nostra destra, ed un vallone laterale della valle del Pizzo, alla nostra sinistra. Dopo un primo breve tratto di discesa, attraversiamo la radura della Piana (m. 1650 circa). Il sentiero diventa larga mulattiera (a tratti scalinata e sorretta da muretti a secco) e prosegue scendendo con le sue serpentine all’ombra di un fiabesco ed incantevole bosco di abeti. Alla fine, poco sotto il rudere della baita Caprile (m. 1141), il sentiero volge a sinistra (attenzione a non perdere la svolta proseguendo verso il fondovalle: ci si ritroverebbe ai margini di un dirupo) ed iniziando l’ultimo lungo traverso sul fianco occidentale della bassa Val Madre, selvaggio e scosceso, procedendo quasi sempre in piano, protetti da corrimano alla nostra destra (ma la mulattiera è sempre larga). Attraversiamo, così, il solco dell’aspra ed impressionante valle del Pizzo (che scende dal versante nord-orientale del pizzo di Presio), proprio nel tratto in cui un salto roccioso forma un’interessante cascata del torrentello. Superato un secondo e più modesto vallone, che scende anch’esso dalle pendici del pizzo, ci ritroviamo, infatti, nell’amena pianetta di Sovalzo (o Soalzo), ad 859 metri, dove ci accoglie un’edicola del Parco delle Orobie Valtellinesi. Seguendo una pista sterrata intercettiamo la carrozzabile che scende con diversi tornanti a Colorina.


Il rifugio Bernasca e, sullo sfondo, monte Disgrazia e testata della Valmalenco

Nel 2002 è stato inaugurato in Val Madre un nuovo rifugio, a 2093 metri, denominato rifugio della Bernasca, in quanto si trova presso la sella del Pizzolo, nella parte alta dell’alpe Bernasca, che, a sua volta, si apre nella parte alta della valle omonima, laterale occidentale della Val Madre. La posizione davvero bella, la vicina presenza di un vero e proprio gioiellino, il laghetto di Bernasca, il colpo d’occhio superbo sulla parte orientale del gruppo del Masino, sulla testata della Valmalenco, sul gruppo Scalino-Painale e sulle Orobie centrali, fanno del rifugio una meta di interesse primario, che non può mancare nel carnet degli amanti dell’escursione. Questi ultimi, oltretutto, possono stare assolutamente tranquilli: il rifugio è posto ad almeno tre ore di cammino dal più vicino luogo raggiungibile in automobile: la quiete è dunque assicurata.
Dispone di una ventina di letti completi di cuscini e coperte, di una cucina, di tavoli con panche, di una stufa e di un camino con legna da ardere. E' provvisto anche di illuminazione da pannello solare e di due bagni con acqua calda.
Il rifugio era inizialmente sempre aperto, ma il deplorevole comportamento di alcuni utilizzatori (consumo di legna senza reintegro, piccoli furti, abbandono di rifiuti) potranno indurre i gestori a rivedere questa scelta. Spiace. Spiace perché sarebbe bello poter pensare che chi ama la montagna possegga anche un minimo senso di correttezza e di sensibilità per il rispetto degli altri. ma non sempre è così. E' bene, dunque, qualora lo si voglia utilizzare per il pernottamento, informarsi presso gli uffici dell'aministrazione comunale di Colorina (anche per verificare il calendario dell'apertura estiva). Ed è altrettanto bene lasciare un'offerta preziosa per le spese di gestione della struttura.


Il laghetto di Bernasca, poco a monte del rifugio

L'edificio del rifugio è stato ricavato dalla baita della quinta e più alta "muda" (stazione di posizionamento dei capi durante il periodo di alpeggio) dell'alpe Bernasca, nei pressi della bocchetta del Pizzolo o di Bernasca, detta anche "Forcello" (la riconosciamo facilmente a destra (per chi scende verso il rifugio) del rifugio. Bocchetta che costituiva l'importante porta di comunicazione fra l'alpe Bernasca e la gemella alpe Cogola, posta più a nord (il caricatore dei due alpeggi era unico). L'alpe Bernasca purtroppo oggi risente delle condizioni di abbandono, ma in passato era un alpeggio di rilevante consistenza, con capacità di carico di 70 vacche ed altrettante capre.
I vecchi di Colorina ricordano ancora che mentre l'alpe di Cògola era detta favorevole ai caricatori, perché la sua erba più fresca faceva produrre alle mucche più latte, quella di Bernasca era detta favorevole ai proprietari, perché l'erba, a causa del maggior soleggiamento, era più matura e tendeva a far ingrassare i capi.


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Tre sono le vie per accedere al rifugio. La prima, più bella, prevede la traversata completa della Val Vicima (laterale della Val di Tartano) e dell’omonimo passo, con discesa finale al rifugio. La seconda parte invece da Sovalzo, località posta sulla media montagna sopra Colorina, e prevede una traversata non priva d’interesse sull’aspro fianco occidentale della bassa Val Madre, lungo il sentiero del dosso di Bernasca. I due itinerari sono, ovviamente, combinabili ad anello, purchè si disponga di due automobili, da lasciare l’una poco sopra Campo Tartano, l’altra a Colorina. La terza, infine, sale dal fondo della media Valmadre, e precisamente dalle Teccie, passando per l'alpe Cògola.
Vediamo la prima. La val Vicìma è la prima laterale orientale importante della Val di Tartano. Per raggiungerla, dobbiamo salire in Val di Tartano, staccandoci dalla ss. 38, dopo il viadotto sul torrente Tartano e prima di quello sul fiume Adda nel tratto fra Talamona ed Ardenno (se proveniamo da Milano). Ci immettiamo, così, sulla strada provinciale Pedemontana Orobica, che lasciamo, però, ben presto, deviando a destra, per imboccare la strada, segnalata, per la Val di Tartano. La strada, costruita negli anni Cinquanta del ‘900, si snoda sull’aspro fianco occidentale del Crap del Mezzodì (m. 1031), inanellando 12 tornanti prima di raggiungere Campo Tartano (m. 1049). Procedendo per circa mezzo chilometro oltre Campo, in direzione di Tartano, troviamo una piazzola a lato della strada, sulla destra, con un tavolo per la sosta. Pochi metri oltre parte, sulla sinistra, il sentiero per la Val Vicima. Dal primo tratto del sentiero si domina la bassa Val di Tartano, con Campo Tartano, mentre sul versante opposto della valle si vedono le case di Postareccio.
Si può intercettare la mulattiera, nei pressi di una cappelletta, anche salendo per un ripido e breve sentierino che parte dalle case della frazione Ronco, dove si trova anche un parcheggio dove si può lasciare l’automobile. Se scegliamo questa soluzione, imbocchiamo, sulla sinistra, la segnalata via Cosaggio, fino al cartello di divieto di accesso. Lasciata lì l’automobile, saliamo verso il gruppo di case della frazione, passando a sinistra di una cappella. Dopo una prima salita, non ci dirigiamo verso le case, ma proseguiamo sulla sinistra, lungo un sentirono che si inerpica, ripido, sui prati che sovrastano le case. Ad un bivio, prendiamo a destra e, in breve, intercettiamo la mulattiera poco sotto la citata cappelletta.
La salita successiva avviene su una bella mulattiera, che regala alcuni suggestivi colpi d’occhio su Campo Tartano, prima di condurre al crinale di un dosso (m. 1400 circa), dove una piccola radura permette una piacevole sosta, rallegrata dal dolce profilo delle betulle. Dal dosso lo sguardo raggiunge, sul fondo della Val Lunga, il passo di Tartano, sormontato da una grande croce. Il sentiero si inoltra, quindi, sul fianco settentrionale della valle e raggiunge una cappelletta che sembra posta a guardia del pauroso dirupo che si apre, alla nostra destra, sul fondovalle. Il sentiero, infatti, è largo, comodo ed in questo tratto quasi pianeggiante, ma esposto su questo dirupo: da qui scorgiamo anche l’audace ponte di Vicima, che, sulla strada che porta a Tartano, supera la selvaggia forra della bassa Val Vicima. Sul lato opposto, cioè a monte, possiamo osservare, invece, la più rassicurante presenza di un bel bosco di abeti e faggi. Riprendiamo la salita: ben presto si raggiungono le baite di Vicima (m 1505), a monte dei ripidi prati che la sapienza contadina ha saputo sfruttare da tempi immemorabili.
Continuiamo, fino ad un secondo gruppo di baite di Vicima (in realtà si tratta di stalle; m. 1619), che raggiungiamo dopo aver superato un piccolo corso d’acqua ed aver attraversato una fascia di bassa vegetazione, dove ignoriamo una deviazione che si stacca dal sentiero sulla nostra destra, scende al torrente della valle e si porta sul suo lato opposto, per raggiungere l’alpeggio del Barghèt. Usciamo, quindi, definitivamente allo scoperto e nella salita successiva incontriamo una fascia di bassa vegetazione, costituita soprattutto dagli ontani verdi. Ci stiamo affacciando all’alta valle, e troviamo, sulla nostra sinistra, a quota 1763, un primo gruppo di baite, prima di scendere sulla destra ad attraversare il torrente e, superata un’ultima balza, giungere in vista dell’ampio pianoro terminale dell’alpe di Vicima, dove, a 1933, troviamo la piccola baita utilizzata dai caricatori dell’alpe. Sulla testata della valle si impone, in direzione sud-est (leggermente sulla sinistra) il roccioso versante settentrionale del pizzo Gerlo (m. 2470). Il passo di Vicima è più a nord-est, immediatamente a sinistra di un piccolo torrione roccioso posto a sua volta a sinistra del pizzo. Se, invece, guardiamo alle nostre spalle distingueremo, sulla destra, la Costiera dei Cech ed uno spaccato della valle di Spluga (prima laterale della
Val Masino), con la cima del Desenigo ed il monte Spluga.
Tenendo la sinistra (per noi) della valle senza però guadagnare quota, aggiriamo il recinto che delimita lo spazio riservato agli animali e percorriamo a vista il pianoro: manca, infatti, una vera e propria traccia di sentiero. Superata un’ultima baita, a quota 2050, ritroviamo il sentiero e risaliamo il fianco sinistro dei due brevi gradini roccioso che ci separano dallo strappo finale. Siamo sempre sul lato sinistro della valle, spostati verso il centro, quando affrontiamo il sentiero ben marcato che, con qualche stretta serpentina, conduce infine al passo di Vicima (m 2234), riconoscibile anche da lontano per il grande ometto (om di Vicima) e la croce in legno che lo sormontano.
Questo itinerario potrebbe anche essere chiamato il sentiero degli ometti, dal momento che ne incontriamo diversi, e di ragguardevoli proporzioni, lungo il percorso. Alcuni sono posti in corrispondenza di luoghi importanti, un passo, un dosso, e quindi hanno la funzione di permettere l’orientamento in condizioni di scarsa visibilità. Questi manufatti, che risalgono ad epoche antichissime, rimangono come muti testimoni di una civiltà di cui ben poco sappiamo e la cui suggestione, proprio per questo, accompagna, come un’ombra enigmatica ed inquietante, i nostri passi nel cammino. La salita fino al passo richiede circa tre ore, necessarie per superare un dislivello approssimativo di 1100 metri in salita. Oltre il passo di Vicima, troviamo subito, sulla destra, una traccia di sentiero che comincia a salire, fino ad una bocchettina, un po’ insidiosa insidiosa, dalla quale si può tornare in Val di Tartano, scendendo, con percorso da affrontare con grande cautela, all’alpe del Gerlo.
Lasciamolo, però, alla nostra destra e proseguiamo, scendendo per un breve tratto alla conca sottostante, fino ad affacciarci su un pianoro più ampio, dove, inatteso, ci appare il bellissimo laghetto di Bernasca (m 2134), dominato, sulla destra, dalla mole del monte Seleron. Il sentiero che percorre il fianco destro di un gradino roccioso, con qualche tornantino, ci permette di scendere alle sue rive. Il luogo, nascosto e tranquillo, regala un’impagabile senso di pace e di armonia. Ci sentiamo, qui, riconciliati con il mondo, o forse, semplicemente, in un altro mondo, nel quale l’eco di quello che quotidianamente ci circonda, e talora ci assale, neppure giunge.
Proseguiamo passando a sinistra del laghetto e del corso d’acqua che ne fuoriesce: in breve ci affacciamo ai prati che ospitano il rifugio, posto a sinistra della sella del Pizzolo, la modesta elevazione sulla costiera che separa l’alpe Bernasca da quella di Cigola. Dopo una breve discesa, raggiungiamo alla fine la meta, a 2093 metri. Siamo in cammino da tre ore ed un quarto circa, ed abbiamo superato un dislivello in altezza di circa 1100 metri.
Guardiamoci intorno, ora. In direzione nord-ovest si impone, in primo piano, l'aspro fianco sud-orientale del pizzo di Presio (m. 2391). Più a destra, un breve spaccato della parte orientale del gruppo del Masino, con il pizzo Torrone orientale, il monte Sissone e, preminente per mole ed eleganza, il monte Disgrazia. Proseguiamo verso destra: oltre il pizzo Cassandra, sul fondo, si intravedono le cime della parte occidentale della testata della Valmalenco, fra le quali si riconoscono facilmente i pizzi Gemelli. Poi, i maestosi pizzi Roseg, Scerscen e Bernina, la cresta Guzza, i pizzi Argient e Zupò, ed i pizzi Palù e Varuna, che chiudono la testata della Valmalenco.
Poi, il gruppo Scalino-Painale-Ron ed il pizzo Combolo. Sullo sfondo, le montagne della Val Grosina. Bello è anche il panorama orobico. Spicca l'elegante ed arrotondata cima del pizzo del Diavolo di Tenda. Più a sinistra, la serrata sequenza delle più alte cime orobiche, sulla testata della val d'Arigna (termine che deriva da “lariana” e, quindi, da “larix”, cioè larice). Infine, immediatamente a monte del laghetto di Bernasca, in primo piano possiamo ammirare l'arrotondata cima del monte Seleron (m. 2519).

Raccontiamo, ora, per chi disponesse di due automobili, come tornare al fondovalle valtellinese effettuando un’affascinante traversata del fianco occidentale della Valmadre. Questo percorso, effettuato a rovescio, costituisce la seconda via di accesso al rifugio (ma è piuttosto faticosa, tenuto conto che il divieto di accesso alla carrozzabile sopra Colorina ci impone di partire da una quota assai bassa). Siamo sul limite superiore di destra dell’alpe di Bernasca.
Se disponiamo di due automobili e ne abbiamo posizionata una a Sovalzo, sopra Colorina (la si raggiunge, previo pagamento di pass, percorrendo la pista a monte di Colorina e lasciandola per seguire la terza pista che se ne stacca a sinistra ad un tornante dx), possiamo intraprendere la discesa dal rifugio a Sovalzo per l'aspro ed affascinante fianco occidentale della bassa Valmadre.

La discesa dal rifugio Bernasca all’attacco del sentiero per Sovalzo, sopra Colorina, richiede attenzione, perché il sentiero, segnalato a tratti, spesso latita e la fascia dell’alpeggio, che si estende per circa trecento metri di dislivello, è costituita non solo da prati, ma anche da noiose fascie di mecereti e roccette.
Procediamo così. Dal rifugio Bernasca cominciamo ad abbassarci seguendo la traccia di sentiero che taglia in diagonale verso sinistra. Superiamo così una fascia di pascolo ed una franetta, proseguendo diritti in graduale discesa, fra lembi di pascolo e roccette affioranti. Ci avviciniamo così ad una valletta. Prima di raggiungela, la traccia piega a destra e scende affiancandolo lungo una striscia di pascolo, per poi piegare a sinistra e portarsi sul suo lato opposto. Non la seguiamo, però, in questa svolta, ma restiamo sul medesimo lato, risaliamo per qualche metro la gobba erbosa alla nostra destra e scendiamo lungo un breve corridoio erboso. Pieghiamo ora a destra iniziando a scendere in diagonale fra pascoli e roccette, su facile terreno, fino a raggiungere un facile avvallamento che sdeguiamo stando più o meno al centro. La discesa ci porta ad una sorta di conca, dove intercettiamo un sentiero che scende da destra. Lo seguiamo verso sinistra. Il sentiero descrive un arco verso sinistra, attraversando un pascolo pulito e raggiungendo la valletta sopra menzionata. Sul lato opposto pieghiamo a destra e poi subito a sinistra, raggiungendo la bella conca che ospita la Casera di Bernasca (m. 1965), affiancata da un baitello.


Apri qui una fotomappa della discesa dal passo di Vicima

Passiamo davanti alle due baite e proseguiamo nella discesa, sempre sul sentiero discretamente marcato, piegando a destra. Raggiunto il centro di un avvallamento, pieghiamo a destra e scavalchiamo un dosso erboso, proseguendo con qualche svolta su una larga striscia di pascolo. Superato un modesto gradito, siamo ad un nuovo avvallamento. Qui il sentiero piega a sinistra, superando piccole franette e portandosi di nuovo ad un’ampia striscia di pascoli. Piegando subito a destra ci portiamo al già ben visibile Baitone di Bernasca (m. 1890), anch’esso affiancato da una baita.


Apri qui una fotomappa della discesa dal rifugio Bernasca alle baite più basse dell'alpe

Il sentiero passa appena a sinistra di questa baita ed alla sua altezza piega decisamente a sinistra, scendendo ad attraversare una seconda valletta (il solco principale dell'alta Val Bernasca). Sul lato opposto proseguiamo diritti per un tratto, poi pieghiamo decisamente a destra riattraversando la valletta in una fascia di macereti. Tornati sul pascolo, vediamo alla nostra destra la baita più bassa dell’alpe (m. 1820).


La baita più bassa dell'alpe Bernasca

Il sentiero però non ragigunge la baita, ma piega prima a sinistra e, descritto un arco, torna ad una fascia di macereti e riattraversa per la terza volta la valletta. Lasciati alle spalle i pascoli dell’alpe Bernasca, dobbiamo ora procedere fra macereti e macchie di larici, dapprima in leggera salita, traversando diritti verso nord, per un buon tratto, lungo il selvaggio versante che scende dalla pizzo di Presio. Il sentiero, pulito di recente, è a tratti esposto, con qualche protezione, e sempre marcato.


Discesa all'attacco del sentiero Bernasca-Sovalzo

Al termine della traversata, il sentiero piega ancora, questa volta a destra, e comincia una lunga discesa, che ci fa perdere 600 metri circa, sul crinale di un largo dosso compreso fra la valle Sciesa, alla nostra destra, ed un vallone laterale della valle del Pizzo, alla nostra sinistra.
Dopo un primo breve tratto di discesa, attraversiamo la radura della Piana (m. 1650 circa). Il sentiero diventa una mulattiera larga ed a tratti scalinata e protetta da muretti a secco, che scende con le sue serpentine all’ombra di un fiabesco ed incantevole bosco di abeti. Curiosamente, non è cartografata sulla carta IGM.


Mulattiera Bernasca-Sovalzo

Alla fine, poco sotto il rudere della baita Caprile (m. 1141), il sentiero volge a sinistra (attenzione a non perdere la svolta proseguendo verso il fondovalle: ci si ritroverebbe ai margini di un dirupo) ed iniziando l’ultimo lungo traverso sul fianco occidentale della bassa Val Madre, selvaggio e scosceso, procedendo quasi sempre in piano, protetti da corrimano alla nostra destra (ma la mulattiera è sempre larga). Attraversiamo, così, il solco dell’aspra ed impressionante valle del Pizzo (che scende dal versante nord-orientale del pizzo di Presio), proprio nel tratto in cui un salto roccioso forma un’interessante cascata del torrentello (dopo piogge abbondanti o in tarda primavera non si potrà evitare di ricevere il fresco spruzzo dell’acqua che precipita dal salto). Superato un secondo e più modesto vallone, che scende anch’esso dalle pendici del pizzo, ritorniamo a luoghi meno selvaggi: ci ritroviamo, infatti, nell’amena pianetta di Sovalzo (o Soalzo), ad 859 metri, dove ci accoglie un’edicola del Parco delle Orobie Valtellinesi.


Apri qui una fotomappa della salita da Sovalzo al rifugio Bernasca

E’ l’inizio della fine, e di una fine un po’ monotona dell’escursione: dobbiamo, infatti, percorrere un tratto su una carrozzabile sterrata, che si immette in una seconda sterrata la quale, a sua volta, si congiunge con la strada principale che sale da Colorina (chi volesse effettuare l’anello in senso inverso tenga presente che per raggiungere Sovalzo ci si deve staccare da questa strada alla terza traversa a sinistra). Non abbiamo altra alternativa che percorrerla in discesa fino al paese, che raggiungiamo dopo aver oltrepassato la bella chiesetta della Madonnina (m. 414).


Mulattiera Sovalzo-Bernasca

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SOVALZO-RIFUGIO E LAGO DELLA BERNASCA-VAL VICIMA-CAMPO TARTANO

Punti di partenza ed arrivo
Tempo necessario
Dislivello in altezza
in m.
Difficoltà (T=turistica, E=escursionistica, EE=per escursionisti esperti)
Sovalzo-Rifugio Bernasca-Lago di Bernasca
4 h
1380
EE
Sovalzo-Rifugio Bernasca-Lago di Bernasca-Passo di Vicima-Val Vicima-Campo Tartano
7 h
1400 (1200 in discesa)
EE


Apri qui una fotomappa della discesa dal passo di Vicima a Sovalzo

Al rifugio ed al lago di Bernasca si può salire, oltre che da Campo Tartano e dalla Val Vicima, anche dal poggio di Sovalzo sopra Colorina. Analogo l’impegno, ma superiore la difficoltà perché la salita dell’ampio alpeggio di Bernasca non è semplicissima, essendo il sentiero, soprattutto nell’ultimo tratto, poco evidente. Il pregio di questa escursione è la natura selvaggia del ripido versante occidentale della bassa Valmadre, lungo il quale si dipana l’itinerario: splendide peccete dove il silenzio regna sovrano, rotto solo dal canto di uccelli.
Per salire al rifugio per questa via dobbiamo staccarci dalla ss 38 dello Stelvio al primo svincolo sulla sinistra all’ingresso di San Pietro di Berbenno. La strada torna indietro per un tratto e porta ad una rotonda, alla quale imbocchiamo la terza uscita, impegnando il cavalcavia che passa sopra la strada statale. Superato il cavalcavia la strada piega a destra e si dirige verso Fusine. La lasciamo però alla prima deviazione a destra, per Colorina. Superato un ponte, ci portiamo alla rotonda ai piedi del paese, con la grande scritta “Colorina”. Qui impegniamo la seconda uscita, saliamo passando a destra della chiesa di San Bernardo e piegando a destra.
Dobbiamo ora acquistare ad un bar il pass di transito per la pista che sale ai maggenghi sopra Colorina. Ci rimettiamo in moto lasciano la strada, poco oltre la chiesa, alla prima deviazione a sinistra. Dopo una breve salita, ad un bivio prendiamo ancora a sinistra e ci portiamo ai prati che circondano la chiesetta della Madonnina (m. 413).


Sentiero Sovalzo-Baita Caprile

La strada inizia ora una lunga salita sul versante orobico a monte di Colorina, con diversi tornanti. A ciascun tornante dx notiamo una pista che se ne stacca proseguendo a sinistra. Ignoriamo le prime due. Al terzo tornante dx, invece, lasciamo la carrozzabile principale per imboccare la pista sterrata che procede in direzione opposta (a sinistra) e, dopo un lungo traverso, termina ad uno spiazzo sospeso sopra la forra terminale della Valmadre. Siamo alla località Sovalzo (m. 845), dove troviamo un’edicola del Parco delle Orobie Valtellinesi. Parcheggiamo qui e ci mettiamo in cammino. Il cartello che ci interessa segnala il sentiero 222, che porta al Rifugio Bernasca in 4 ore, a Cogola in 4 ore e 40 minuti ed alle Teccie in 5 ore e 50 minuti.
Il marcato sentiero ci attente sul limite dello spiazzo che guarda in direzione della Valmadre. Si tratta di una sentiero molto largo, che taglia il ripidissimo versante occidentale della bassa Valmadre. Procediamo quindi diritti, in direzione sud, incontrando dopo una ventina di minuti una cascatella che scende dalla Valle del Pizzo, sul versante del Pizzo di Presio. Il sentiero prosegue, in molti tratti protetto a valle da corrimano, guadagnando gradualmente quota. Alla nostra destra a tratti la nuda roccia, che si alterna alla densa pecceta. Dopo circa tre quarti d’ora raggiungiamo il rudere della baita Caprile (m. 1154).


Sentiero Baita La Piana-Alpe Bernasca

Qui il sentiero piega a destra ed inizia a salire deciso verso sud-ovest, in una splendida pecceta, inanellando una lunga serie di tornanti. Dopo oltre un’ora di salita il bosco si apre alla radura della baita La Piana (m. 1664, dove però della baita non sembra esserci traccia), poi rientra nella pecceta e riprende la salita. Dopo qualche ulteriore tornante il sentiero piega a sinistra e si fa meno marcato. Inizia così in traverso in direzione sud-ovest, che taglia il ripido e selvaggio versante orientale del pizzo di Presio, battuto da slavine. Il sentiero propone qualche tratto esposto e scende leggermente, affacciandosi all’ampio anfiteatro dell’alta Valle di Bernasca, che ospita l’omonimo alpeggio, coronato dalla triade di cime (da sinistra) del monte Seleron, del pizzo del Gerlo e del pizzo di Presio.
Uscendo dal una fascia di macereti attraversiamo il torrente Bernasca ed iniziamo la lunga salita dell’alpeggio, prestando attenzione a segnavia ed a tracce di sentiero (anche se non c’è un unico itinerario obbligato). Attraversato il torrente Bernasca, ci troviamo di fronte alla baita più bassa dell’alpe, a quota 1820. Prima di raggiungere la baita, però, piega a destra e riattraversa il torrente, per poi piegare a sinistra ed attraversarlo una terza volta, raggiungendo il Baitone di Bernasca (m. 1890). Allo stesso baitone possiamo salire per via più diretta risalendo i prati alle spalle della baita più bassa, dalla quale si vede chiaramente.


Lago di Bernasca

Appena prima del baitone il sentiero sale diritto lungo i prati, fino ad un dossetto di macereti, superato il quale usciamo ad un corridoio di pascolo. Piegando a destra saliamo su un largo dosso e proseguiamo lungo la larga fascia di pascolo, salendo diritti. Raggiunte alcune roccette, le aggiriamo sulla destra e raggiungiamo la conca della Casera di Bernasca (m. 1965), affiancata da una baita più piccola. Alla casera il sentiero piega a sinistra ed attraversa un secondo ramo del torrente di Bernasca. In alto, diritti sopra la nostra testa, vediamo la meta, il rifugio Bernasca.
Il sentiero qui tende a perdersi. Descriviamo un ampio arco verso destra e sfruttiamo un ampio e poco marcato avvallamento erboso. Saliamo diritti per buon tratto, poi pieghiamo a destra riportandoci in prossimità del primo ramo del torrente Bernasca, senza però attraversarlo. Saliamo così per qualche decina di metri, poi pieghiamo a sinistra, traversando diritti in direzione del rifugio, lungo una fascia di lembi di pascolo e roccette (attenzione a non scivolare in qualche passaggio). Alla fine siamo al rifugio Bernasca (m. 2093).


Apri qui una fotomappa della salita dell'alpe Bernasca

Se abbiamo a disposizione due automobili e ne abbiamo lasciata una a Campo Tartano, possiamo ridiscendere per la Val Vicima, percorrendo in senso inverso l’itinerario sopra descritto. In sintesi, procediamo così. Dal rifugio saliamo per facili balze verso ovest ed in pochi minuti siamo alla conca del laghetto di Bernasca (m. 2134).
Di qui, seguendo un sentiero che passa a destra del laghetto, proseguiamo superando un gradino roccioso e guadagnando la croce in legno del passo di Vicima (m. 2234). Scendiamo in Val Vicima sempre seguendo il sentiero, che dopo qualche svolta finisce per perdersi, Senza problemi proseguiamo contornando il lato sinistro dell’alta valle e puntando alla baita quotata 2050 m.
Proseguendo diritti e ci portiamo alla baita di quota 1931. Dobbiamo ora superare un modesto gradino glaciale passando alla sua sinistra, poi pieghiamo a destra e raggiungiamo le baite chiamate Casera di Vicima sulla carta IGM (m. 1763), a ridosso del versante destro della valle (quello settentrionale).


Apri qui una fotomappa della Val Vicima

Il sentiero rimane sul medesimo versante e prosegue nella discesa passando per le baite di quota 1600 e per le baite di quota 1505. Ignorata la deviazione a sinistra per il Barghet, proseguiamo superando una fascia di ontani ed attraversando un torrentello. Il sentiero, che ora è diventato larga mulattiera, prosegue in leggera discesa tagliando il fianco settentrionale della bassa Val Vicima.
Oltrepassata una cappelletta, siamo ad un poggio sulla soglia della valle. Qui la mulattiera si affaccia alla Val Tartano, piega a destra e scende verso nord-ovest, passando a monte della frazione Ronco e terminando alla strada provinciale della Val di Tartano. Una breve discesa verso destra ci porta a Campo Tartano (m. 1049).

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LE TECCIE -CASERA DI COGOLA-RIFUGIO E LAGO DI BERNASCA

Punti di partenza ed arrivo
Tempo necessario
Dislivello in altezza
in m.
Difficoltà (T=turistica, E=escursionistica, EE=per escursionisti esperti)
Valmadre-Teccie-Casera di Cogola.Bocchetta del Pizzolo-Rifugio e lago di Bernasca
4 h
920
EE
SINTESI. Da Fusine parte una carozzabile (chiusa al traffico dei veicoli non autorizzati: va acquistato il pass in centro al paese) che sale alla Madonnina (m. 552), a Ca' Manari (m. 800) ed a Valmadre (m. 1195). Qui, o poco più avanti, possiamo parcheggiare. La strada prosegue come pista sterrata che si addentra in Valmadre, passando per le Teccie (m. 1250). Alle spalle delle baite delle Teggie, sulla sinistra della pista (per chi sale) si trova un ponte sul torrente Madrasco. Lo sfruttiamo per portarci sul lato occidentale della valle. Troviamo subito una edicola del Parco delle Orobie Valtellinesi e la partenza di un marcato sentiero (numerato 222, come segnala un cartello; segnavia bianco-rossi) che sale in una fresca pecceta, in direzione nord-ovest (destra), cioè tornando verso il fondo della valle. All’inizio il sentiero non è molto evidente, ma si fa poi via via più marcato. Superiamo subito il solco della Val Pala e proseguiamo diritti, in leggera salita, fino a raggiungere il filo del dosso che costituisce il limite meridionale della bassa Val Cògola. Qui troviamo la baita quotata 1272 metri ed il sentiero scarta bruscamente a sinistra, proseguendo la salita seguendo il solco della valle, verso sud-ovest, con una serrata serie di tornantini, fino ad una seconda baita, quotata 1485 metri. Qui il sentiero piega a destra (ovest) e, superato un avvallamento, esce all’aperto in corrispondenza della baita quotata 1592 metri. Ora saliamo diritti, verso sud, seguendo la striscia di pascolo, toccando la baita quotata 1696 metri e puntando alla Casera di Cogola (m. 1795), ben visibile di fronte a noi. Qui seguiamo il cartello del sentiero 222 prendendo a destra (fronte alla casera) e scendendo leggermente a superare il solco della Val Cògola a quota 1750 metri. Sul lato opposto la traccia si fa più incerta: proseguiamo diritti in leggera salita, poi, raggiunto un ampio dosso, pieghiamo a sinistra ed iniziamo a risalire zigzagando, verso ovest, una china di macereti. La traccia si fa più marcata quando prende a destra (nord-ovest). Proseguiamo diritti per un tratto, poi troviamo qualche tornante ed usciamo dalla fascia di macereti ad un poggio che ospita la baita di quota 1938, detta “baita al Selerone”. Alle sue spalle si trova uno sperone di roccette. Lo aggiriamo sulla sinistra, seguendo per un tratto un corridoio di rado pascolo e poi piegando a destra seguendo una vaga traccia che ne risale il fianco (se non la troviamo possiamo sfruttare un canalino di sfasciumi). Raggiunta la cima dello sperone, siamo alla pianetta di quota 2000 metri circa, e sul suo limite ritroviamo il sentiero che ora diventa marcato, iniziando un traverso in graduale salita in direzione della bocchetta del Pizzolo, o di Bernasca. Tagliamo un ripido versante di roccette, ontani e macereti, con tratti esposti protetti da corrimano. Superiamo anche alcuni valloncelli battuti da slavine, prima della breve rampa finale che ci porta alla selletta della bocchetta del Pizzolo o di Bernasca (m. 2120). Appena sotto, alla nostra destra, vediamo il rifugio di Bernasca (m. 2093). Torniamo indietro e proseguiamo sul sentiero che si dirige a monte (ovest), raggiungendo subito il ripiano che ospita lo splendido laghetto di Bernasca (m. 2134). Passiamo alla sua destra e seguendo il sentiero saliamo lungo il fianco sinistro di un gradino roccioso, per poi superare la striscia di pascolo che ci separa dal passo di Vicima (m. 2234), presidiato da un grande ometto sormontato da una croce in legno (om di Vicima).


Il nucleo di Valmadre ed il monte Disgrazia

La più breve delle vie di salita al rifugio parte però dal nucleo di Teccie, nella media Valmadre. Putroppo il sentiero, che passa per l'alpe Cogola (un tempo sentiero seguito dagli armenti per passare dall'uno all'altro alpeggio, caricati da un unico caricatore d'alpe), non è sempre evidente e bisogna prestare molta attenzione a non perderlo.
Raggiungiamo Fusine staccandoci dalla statale 38 al primo svincolo a sinistra all'altezza di San Pietro-Berbenno (per chi proviene da Milano). Percorso un tratto in direzione opposta, ad una rotonda impegniamo la terza uscita immettendoci in un cavalcavia che passa sopra la strada statale. Oltre il cavalcavia la strada provinciale curva a destra e si dirige verso Fusine. Superata la piazza centrale del paese, proseguiamo andando a sinistra e verso monte. Dal limite orientale del paese parte una strada asfaltata (accesso consentito solo previo acquisto del permesso nel bar al centro del paese) che risale, per diversi chilometri, il fianco montuoso che sovrasta il paese. Oltrepassiamo così la bella chiesetta della Madonnina (m. 552) e le baite di Ca' Manari (m. 800), per poi effettuare un lungo traverso verso ovest, che ci introduce nella valle, sul fianco orientale.


La baita del fuoco all'alpe Cogola

La Cascina del pescìi

Dopo un ultimo tratto in terra battuta, la strada ci porta al centro di Valmadre (m. 1195), dove, lasciata l'automobile nel parcheggio vicino al piccolo cimitero, troviamo, oltre ad alcune belle baite, una graziosa chiesetta ed una meridiana che ci ricorda come il tempo, scorrendo implacabile, ci toglie, a poco a poco, la vita. Ciascuno reagirà a questo messaggio secondo il proprio carattere e la propria sensibilità (con qualche scongiuro o qualche meditazione): in ogni caso questo ammonimento non ci impedirà di inoltrarci nella valle, seguendo la comoda carrozzabile che passa per il nucleo delle Teggie (m. 1250). Qui, se non l'abbiano fatto prima, parcheggiamo.
Alle spalle delle baite delle Teggie, sulla sinistra della pista (per chi sale) si trova un ponte sul torrente Madrasco. Lo sfruttiamo per portarci sul lato occidentale della valle. Troviamo subito una edicola del Parco delle Orobie Valtellinesi e la partenza di un marcato sentiero (numerato 222, come segnala un cartello; segnavia bianco-rossi) che sale in una fresca pecceta, in direzione nord-ovest (destra), cioè tornando verso il fondo della valle.


La Casera di Cogola

La Casera di Cogola vista dal sentiero per la bocchetta del Pizzolo

All’inizio il sentiero non è molto evidente, ma si fa poi via via più marcato. Superiamo subito il solco della Val Pala e proseguiamo diritti, in leggera salita. Fino a raggiungere il filo del dosso che costituisce il limite meridionale della bassa Val Cògola. Qui troviamo la baita quotata 1272 metri ed il sentiero scarta bruscamente a sinistra, proseguendo la salita seguendo il solco della valle, verso sud-ovest, con una serrata serie di tornantini, fino ad una seconda baita, quotata 1485 metri.
Qui il sentiero piega a destra (ovest) e, superato un avvallamento, esce all’aperto in corrispondenza della baita quotata 1592 metri, chiamata anche “baita del fuoco”. Siamo sul limite inferiore (o alla prima “muda”, come si doceva un tempo, cioè al primo dei diversi piani di stazionamento del bestiame durante la stagione di alpeggio) di una lunga striscia di pascoli che prelude al cuore dell’alpe Cogola. Ora saliamo diritti, verso sud, seguendo la striscia di pascolo e toccando la baita quotata 1696 metri, o “cascina del pescìi”, al cui interno si trova un fornello con “masna” per coagulare il latte.


Apri qui una fotomappa del percorso dalla Casera di Cogola alla bocchetta del Pizzolo

Andiamo avanti diritti, superando un muretto a secco e puntando alla Casera di Cogola (m. 1795), ben visibile di fronte a noi. La casera è costituita da una baita alla cui destra è posto un lungo stallone, che poteva ospitare cinque muli e sei maiali. La casera è il cuore di un alpeggio in passato assai importante, con una capacità di carico di 80 bovini ed altrettante capre. Un unico caricatore caricava quest’alpe e quella gemella di Bernasca. Vale la pena di prolungare l’escursione di poco più di un’ora per visitare quest’alpe gemella, dove si trovano anche il rifugio ed il laghetto di Bernasca. Per farlo procediamo così.
A
lla casera di Cògola troviamo un cartello che indica la direzione del rifugio Bernasca, dato ad un’ora, oltre che della casera di Bernasca, data ad un’ora ed un quarto e di Sovalzo, dato a 3 ore e 40 minuti. Lo seguiamo prendendo a destra (fronte alla casera) e scendendo leggermente a superare il solco della Val Cògola. A quota 1750 metri. Sul lato opposto la traccia si fa più incerta: proseguiamo diritti in leggera salita, poi, raggiunto un ampio dosso, pieghiamo a sinistra ed iniziamo a risalire zigzagando, verso ovest, una china di macereti. La traccia si fa più marcata quando prende a destra (nord-ovest).


La bocchetta del Pizzolo ed il rifugio Bernasca

Proseguiamo diritti per un tratto, poi troviamo qualche tornante ed usciamo dalla fascia di macereti ad un poggio che ospita la baita di quota 1938, detta “baita al Selerone”. Alle sue spalle si trova uno sperone di roccette. Lo aggiriamo sulla sinistra, seguendo per un tratto un corridoio di rado pascolo e poi piegando a destra seguendo una vaga traccia che ne risale il fianco (se non la troviamo possiamo sfruttare un canalino di sfasciumi). Raggiunta la cima dello sperone, siamo alla pianetta di quota 2000 metri circa, e sul suo limite ritroviamo il sentiero che ora diventa marcato, iniziando un traverso in graduale salita in direzione della bocchetta del Pizzolo, o di Bernasca.
Tagliamo un ripido versante di roccette, ontani e macereti, con tratti esposti protetti da corrimano: si tratta del largo versante orientale del monte Seleron, che con i suoi 2518 metri è la più alta cima del comprensorio. Superiamo anche alcuni valloncelli battuti da slavine, prima della breve rampa finale che ci porta alla selletta della bocchetta del Pizzolo o di Bernasca (m. 2120). i nomi derivano rispettivamente dalla modesta e puntura elevazione che sorveglia sul lato destro la selletta e dal bacino al quale ci affacciamo. Siamo infatti alla parte alta della Valle e dell’alpe di Bernasca. Appena sotto, alla nostra destra, vediamo il rifugio di Bernasca (m. 2093).


Laghetto di Bernasca

Per proseguire l’escursione torniamo indietro e proseguiamo sul sentiero che si dirige a monte (ovest), raggiungendo subito il ripiano che ospita lo splendido laghetto di Bernasca (m. 2134). Passiamo alla sua destra e seguendo il sentiero saliamo lungo il fianco sinistro di un gradino roccioso, per poi superare la striscia di pascolo che ci separa dal passo di Vicima (m. 2234), presidiato da un grande ometto sormontato da una croce in legno (om di Vicima). Il passo di affaccia sull’ampia Val Vicima, laterale orientale della Val Masino.
Purtroppo non possiamo ridiscendere da qui al fondo della Valmadre, per cui dobbiamo tornare alle Teccie per la medesima via di salita.

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RIFUGIO BERNASCA-RIFUGI BENIAMINO E IL PIRATA IN LOCALITA' ARALE (VAL TARTANO)

Punti di partenza ed arrivo
Tempo necessario
Dislivello in altezza
in m.
Difficoltà (T=turistica, E=escursionistica, EE=per escursionisti esperti)
Rifugio Bernasca-Bocchetta di Bernasca-Casera di Gerlo-Val Lunga-Località Arale
3 h e 30 min.
290
EE

Questo itinerario è per escursionisti esperti. Torniamo, dal rifugio Bernasca, al passo di Vicima. Appena prima del passo, sulla sinistra, individuiamo una traccia di sentiero e permette di tornare in Val di Tartano, scendendo all’alpe del Gerlo La traccia di sentiero sale, in direzione sud, verso il circo terminale dell’alta Val Bernasca, compreso fra il monte Seleron (m. 2519), a sud-est ed il pizzo Gerlo (m. 2470) a nord-ovest, passando, nel primo tratto, a monte del laghetto di Bernasca. La traccia del sentiero è intermittente, e non ci sono segnavia che ci possano aiutare, ma riconosciamo facilmente, davanti a noi, la meta da raggiungere: si tratta, infatti, del più profondo intaglio sulla costiera che separa l’alta Valle di Bernesca dalla Val Lunga, una bocchettina raggiunta da un lembo di pascolo. La raggiungiamo senza particolari difficoltà, ad una quota approssimativa di 2380 metri. Ben più difficoltosa ci appare subito, invece, la discesa dalla bocchetta del Gerlo o di Bernasca all’alta alpe del Gerlo. Ecco come la guida Mario Vannuccini, nella “Guida al Parco Regionale delle Orobie Valtellinesi”, la descrive: “Il versante opposto, raggiunto da un canalino di scivolosa festuca varia (l’erba vìsega dei valtellinesi, chiamata cèra in Val Tartano) all’inizio spaventa un po’. Ma con la dovuta cautela la discesa si dimostra meno difficile del previsto. Si abbandona la seconda metà del canale per proseguire sulla sua sponda destra fino al termine delle difficoltà, presso l’Alpe Matarone (2215 m)”.


Apri qui una fotomappa della discesa dal passo di Vicima

E’ proprio il passaggio dal centro del canalino al suo erboso lato destro a rappresentare il punto più esposto, e quindi quello che richiede la maggiore attenzione. La tentazione sarebbe quella di proseguire infilandosi nell’ultima parte del canalino, ma anche qui si incontrerebbero difficoltà: un passaggio un po’ ostico ed il rischio costante, se si è in più di uno, di far rotolare sassi su coloro che stanno più in basso. Raggiunti i pascoli alti, proseguiamo in direzione della baita Matarone (m. 2215), a valle della quale, lungo un basso muro di cinta, si impongono alla vista tre misteriosi grandi ometti.


Apri qui una fotomappa della discesa dalla bocchetta del Gerlo alla Casera del Gerlo

Sulla nostra sinistra alcuni sentieri salgono sul crinale del dosso che separa l’alta alpe del Gerlo (dove ci troviamo) dall’alpe che si trova a sud-est, sempre sul versante orientale della Val Lunga, l’alpe Canale. Salendo al crinale, possiamo poi scendere sul lato opposto, all’alta alpe Canale e proseguire verso sinistra, su traccia di sentiero che si perde, risalendo un ampio canalone che ci porta ad una sella erbosa quotata 2410, immediatamente a sud del monte Seleron: si tratta di una bocchetta, senza nome, che dà accesso, sul versante opposto, all’alta Val Cògola, laterale occidentale della Val Madre. Da qui possiamo tornare, seguendo un sentiero segnalato, al rifugio Bernasca, salendo alla sella del Pizzolo e chiudendo un bellissimo anello.


La Val Lunga dal sentiero che scende dall'alpe del Gerlo

Ma torniamo alla baita Matarone: inizia da qui, su traccia di sentiero piuttosto labile, la discesa dell’alte, davvero molto ampia. La discesa mantiene una direzione che approssimativamente rimane sulla verticale della baita Matarone, senza piegare verso destra, dove è ben visibile la grande baita della Moia (m. 2009). Scendendo, incontriamo alcune baite minori, ma vediamo subito la meta, che resta nascosta dietro un ampio dosso erboso. Si tratta della curiosa doppia fila di tre baite che sulla carta è designata come Casera di Gerlo, e quotata 1897 metri. Le baite sono poste sul limite inferiore dell’alpe: da esse iniziamo la discesa finale al fondo della Val Lunga, imboccando un sentiero che prosegue sulla sinistra, passa a destra di un ripido prato ed inizia una discesa lungo il fianco di sud-est della valle del Gerlo, per poi passare sul lato opposto prima di raggiungere la strada di fondovalle della Val Lunga presso una galleria paramassi. Seguendola verso sinistra, raggiungiamo, infine, la località Arale (termine connesso con il bergamasco “aral”, cioè “spianata con cataste di legna da ardere”, oppure con il canavesano “eral”, cioè “spianata nel casale”), dove si trovano i rifugi Beniamino e il Pirata .

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RIFUGIO BERNASCA-PIZZO DI PRESIO

Punti di partenza ed arrivo
Tempo necessario
Dislivello in altezza
in m.
Difficoltà (T=turistica, E=escursionistica, EE=per escursionisti esperti)
Rifugio Bernasca-Val Vicima-Baita Pertuso-Pizzo di Presio
3h
570
EE

Possiamo sfruttare due vie. La prima segue il crinale est-nord-est. Per raggiungerlo, scendiamo dal rifugio alla casera di Bernasca (m. 1982), imboccando poi un sentierino che, in direzione nord, porta al crinale, ad una quota approssimativa si 2220 metri. Seguendo il crinale, con molta cautela (passaggi esposti!), raggiungiamo infine i 2391 metri della cima.


Clicca se vuoi aprire una panoramica a 360 gradi dalla cima del pizzo di Presio

La seconda via è più lunga, ma è più sicura ed ha anche il fascino di una splendida escursione negli orizzonti della solitudine. Torniamo al passo di Vicima e scendiamo al pianoro dell'alta valle, dove, sulla destra, riconosciamo facilmente le due baite di quota 1931 (una è costruita a ridosso di un enorme masso). Dalle baite iniziamo a salire verso nord-est (destra), seguendo l'ampio vallone che scende da un gradone terminale. C'è anche una traccia di sentiero, ma nella parte bassa è poco visibile. Alla fine raggiungiamo la soglia di una splendida conca solitaria, vegliata dalla baita Pertuso (m. 2113). Si chiude l'orizzonte alle nostre spalle, siamo nel regno della solitudine estrema.


Val Madre

Guardiamo, ora, il fondo del vallone-conca: sul lato sinistro indoviniamo, senza però vederla, la marcata spaccatura del crinale costituita dalla bocchetta già menzionata, che guarda all’alpe del Presio, sopra Colorina; procedendo verso destra, vediamo un corno roccioso orientato a destra ed un’elevazione tondeggiante, poco pronunciata. È proprio quest’ultimo il pizzo di Presio. Alla sua destra, il crinale comincia a scendere, fino ad una sella, per poi risalire all’elevazione quotata 2387 metri, dal profilo più affilato e sormontata da un grande ometto. Chi non conoscesse i luoghi, scambierebbe facilmente quest’ultima per il pizzo. Ora osserviamo il versante sotto il crinale, per individuare il percorso di salita.
Intuiamo subito quello per salire alla sella a sinistra della quota 2387, mentre quello per il pizzo sembra più difficile, per la presenza di uno sperone alla sua destra, che termina in un salto roccioso. I due percorsi, per gran parte coincidono, prima di biforcarsi. Si tratta di attraversale il vallone, tenendosi a sinistra, un po’ a monte del suo fondo, su traccia di sentiero, tagliando una fascia di massi scaricati dal versante montuoso. Ben presto raggiungiamo la lingua d’erba che sale alla bocchetta già menzionata: chi sale al pizzo dall’alpe del Presio, sopra Colorina, la raggiunge e scende di qui, per congiungerci al nostro percorso.
Non risaliamo, dunque, il canalino che porta alla bocchetta, ma proseguiamo, portandoci fino al fondo dell’ampia conca, per poi risalire un facile pendio erboso, sempre su traccia di sentiero, piegando leggermente a destra. Alzando la testa, scorgiamo, sulla nostra verticale, l’ometto della quota 2387. Guardando verso sinistra, invece, possiamo ora vedere bene la croce che sormonta il Pizzo (m. 2298).
Superata una fascia di massi, i percorsi si dividono. Mentre per raggiungere la sella a sinistra della quota 2387 basta seguire la striscia del pascolo, per il pizzo di Presio si volge a sinistra, tagliando in diagonale un ripido versante erboso, per poi affrontare una fascia di roccette, che si supera con un po’ di attenzione. C’è anche una debolissima traccia di sentiero che ci può guidare. Approdiamo, così, ad un ampio dosso erboso, che tagliamo, di nuovo, in diagonale verso sinistra; dopo un ultimo zig-zag fra qualche roccetta, piegando leggermente a destra raggiungiamo la sella erbosa posta immediatamente a destra (sud) del pizzo di Presio. Pochi passi ancora, ed abbiamo raggiunto i 2391 metri della cima erbosa. Attenzione: per l'esposizione sul salto di rocce sottostante, questa salita è da evitare con terreno bagnato o innevato!


Fotomappa del percorso di salita al pizzo di Presio


Sulla vetta, non troviamo nulla ad attenderci, se non un panorama di primissimo ordine. Essa, infatti, per la sua posizione particolare, è estremamente panoramica. Ad ovest, lo sguardo raggiunge, a destra del caratteristico corno del monte Legnone, la bassa Valtellina, l’alto Lario, le Alpi Lepontine e, sul fondo, il gruppo del monte Rosa. Più a destra, la Costiera dei Cech e le vette del gruppo del Masino, i pizzi Porcellizzo, Badile, Cengalo e del Ferro, le cime di Zocca e di Castello, la punta Rasica, i pizzi Torrone, il minte Sissone, il monte Disgrazia ed i Corni Bruciati. A nord, l’imponente parata della testata della Valmalenco, con i pizzi Roseg (da “rösa” o “rosa”, massa di ghiaccio), Scerscen, Bernina, Argient, Zupò (che significa “nascosto”, da “zuper”, nascondere) e Palù. Più a destra ancora, il gruppo Painale-Scalino, il pizzo Còmbolo, le montagne della Valle di Poschiavo e della Val Grosina, il gruppo dell’Adamello. Verso est possiamo ammirare, in un interessantissimo spaccato, le più alte cime della catena orobica centrale. A sud, infine, in primo piano il pizzo Gerlo ed il monte Seleron, sul crinale che separa la Val Tartano dalla Valmadre.

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RIFUGIO BERNASCA-MONTE SELERON

Punti di partenza ed arrivo
Tempo necessario
Dislivello in altezza
in m.
Difficoltà (T=turistica, E=escursionistica, EE=per escursionisti esperti)
Rifugio Bernasca-Bocchetta del gerlo-Monte Seleron
1 h e 40 min.
440
EE

Percorriamo l'itinerario sopra descritto per la traversata al rifugio Beniamino, ma ora, giunti in vista della bocchetta del Gerlo (o della Bernasca), la lasciamo alla nostra destra, per guadagnare, con un percorso un po' tormentato, il crinale nord-occidentale del monte. Seguendolo, con cautela (attenzione ad alcuni passaggi esposti), raggiungiamo alla fine la cima, a quota 2519 metri.


Clicca qui per aprire una panoramica dalla cime del monte Seleron

Dalla cima del monte Seleron, o Pìz Linèra il panorama è molto ampio e bello. A nord, da sinistra, si propongono le cime della Costiera dei Cech, seguite dal gruppo del Masino, che si propone nella sua integrale bellezza, con i pizzi Porcellizzo (m. 3075), Badile (m. 3308), Cengalo (m. 3367) e del Ferro (occ. m. 3267, centr. 3289 ed or. m. 3234), le cime di Zocca (m. 3174) e di Castello (m. 3386), la punta Rasica (m. 3305), i pizzi Torrone (occ. m. 3349, cent m. 3290, or. m. 3333), il monte Sissone (m. 3330) ed il monte Disgrazia (m. 3678). Segue la testata della Valmalenco, che propone, da sinistra, il pizzo Gluschaint (m. 3594), le gobbe gemelle della Sella (m. 3584 e 3564) e la punta di Sella (m. 3511), il pizzo Roseg (m. 3936), il pizzo Scerscen (m. 3971) il pizzo Bernina (m. 4049), i pizzi Argient (m. 3945) e pizzo Zupò (m. 3995), la triplice innevata cima del pizzo Palù (m. 3823, 3906 e 3882), ed il più modesto pizzo Varuna (m. 3453). Proseguendo verso destra, si scorge il gruppo dello Scalino, con il pizzo Scalino (m. 3323), la punta Painale (m. 3248) e la vetta di Ron (m. 3136). Più a destra, il pizzo Combolo (m. 2900) e, sul fondo, ad est, il gruppo dell’Adamello. Sempre a nord molto bella è la visuale dell'ampia conca di Bernasca, con il laghetto omonimo, che si stende ai piedi del versante settentrionale del monte Seleron.
A sud-est, sud e sud-ovest è tutto un susseguirsi di scenari, fuga di quinte, cime dei settori orobici centro-orientale, centrale ed occidentale. In primo piano, ovviamente, la parte alta di Valmadre e Val Lunga, separate dal crinale sul quale spicca la gemella cima Vallocci, che, forse, mal sopporta quei 9 metri in meno per i quali deve cedere al monte Seleron la palma di cima più alta della valle.  
Conti alla mano, per salire fin qui dalla Pila o da S. Antonio sono necessarie circa 4 di cammino, necessarie per superare un dislivello approssimativo 1220 metri, nel primo caso, di 1070 metri, nel secondo. Per la discesa è vivamente consigliabile il sentiero che porta alla Pila: guadagnato il crinale che porta alla parte alta degli alpeggi del Gerlo, si scende facilmente fino alle sei caratteristiche baite del Gerlo; qui si imbocca il sentiero che prosegue nella discesa in diagonale sulla sinistra (non è evidentissimo nel primo tratto), e si prosegue, senza problemi, fino al fondovalle.

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