GOOGLE MAP; CARTA DE PERCORSO; CARTA DEL PERCORSO 2 ; GALLERIA DI IMMAGINI - APPROFONDIMENTO: IL PASSO DELLO SPLUGA
Apri qui una panoramica sulla Val Loga, incorniciata dai pizzi Ferrè (a sinistra) e Tambò (a destra)

Punti di partenza ed arrivo
Tempo necessario
Dislivello in altezza
in m.
Difficoltà (T=turistica, E=escursionistica, EE=per escursionisti esperti)
Monstepluga-
Bivacco Val Loga
3 h
860
E
SINTESI. Saliamo lungo a ss 36 dello Spluga in Valle Spluga, fino a Montespluga. lasciamo la ss 36 imboccando, sulla sinistra, il ponticello che scavalca il torrente Spluga. In breve, piegando a sinistra, siamo ad un ampio parcheggio, che guarda allago, nei pressi del ristorante La Capriata. Lasciata qui l’automobile, cominciamo a camminare su una strada sterrata che si dirige ad ovest, cioè in direzione dello sbocco della Val Loga. Superato un ponticello, siamo ad un bivio segnalato da cartelli, al quale pendiamo a destra (indicazioni per il bivacco Cecchini). Oltrepassata una porcilaia, proseguiamo verso ovest-sud-ovest, seguendo i segnavia e rimanendo poco alti rispetto al torrente centrale della valle, di cui attraversiamo cinque corsi d'acqua tributari. Superato un ulteriore corso d’acqua, scendiamo leggermente, portandoci nei pressi del torrente principale e superando altri tre corsi d’acqua, per poi superare un torrente di portata più importante (non ci sono ponti: attenzione a non scivolare sui sasso emergenti), prima di raggiungere un modesto dosso morenico di cui il sentiero guadagna e segue la sommità. Il sentiero, sempre largo, comincia ora a risalire con decisione, verso sinistra, in diagonale, una china di magri pascoli e detriti alluvionali. Ci portiamo, così, ad un dosso, di cui il sentiero segue il filo, portandoci ad un breve ripiano nel quale passa a destra di un nevaietto, prima di affrontare un secondo più largo dosso, questa volta tagliandone il fianco. In cima al dosso, altra breve pianetta, e nuova ripida china erbosa. Il bivacco appare e scompare. In cima alla china, troviamo alla nostra destra un grande masso con il segnavia sulla parete liscia, alla nostra sinistra un grande ometto. Siamo a destra di un marcato vallone, occupato da un nevaio. Brevissima discesa, e nuova rampa, al termine della quale vediamo una freccia rossa che ci invita a piegare a destra. Solo per pochi metri, però: il sentiero si alza un po’ rispetto al vallone, poi riprende la salita diretta. Attenzione a qualche roccetta da superare, insidiosa se bagnata. Poi superiamo un nevaietto e cominciamo a camminare su terreno morenico: la traccia in diversi tratti si fa meno evidente e descrive un arco in senso antiorario sulla destra, per aggirare il nevaio al centro del canalone. Raggiunto un roccione con la grande scritta "Cecchini", traversiamo in diagonale verso sinistra (all’inizio la traccia rimane sulla destra, poi piega a sinistra). Qui ritroviamo un sentiero più marcato, che continua a salire verso sinistra, zigzagando. Superiamo, quindi, alcune roccette marce, scalinate, e due nevaietti. Dopo un ultimo strappetto, proseguiamo con andamento però meno ripido. Siamo ad una pianetta e vediamo il bivacco: dobbiamo solo superare un ultimo nevaietto ed affondare l’ultima rampa, per poter finalmente riposare ai 2770 metri del bivacco Val Loga.


Lago di Montespluga

La Val Loga chiude a nord-ovest la compagine delle valli laterali della Valchiavenna (anzi, per la precisione, dovremmo dire della Valle San Giacomo, o Valle Spluga, o, ancora, Val di Giüst, come dicono con orgoglio i suoi abitanti, ricordando che mai nessun malfattore venne relegato qui).


Apri qui una fotomappa del percorso Montespluga-Bivacco Val Loga

Giovanni De Simoni nel suo bel volumetto “Toponimia dell’alta valle Spluga” (CCIAA, Sondrio, 1966), ci offre le seguenti interessanti informazioni su questa valle (chiamata localmente “vallöga”):
Contrariamente all'uso generale che considera Val Loga l'intera ampia valle che confluisce nella principale a Montespluga – uso in conseguenza del quale i primi alpinisti hanno contribuito ad una forse arbitraria estensione del toponimo al ghiacciaio e alle sovrastanti vette - il termine vallöga (secondo gli alpigiani delle cascine di Val Loga) indicherebbe soltanto una striscia di fondovalle a sinistra del torrente ed una parte della sovrastante falda solatia (sul fianco destro, ossia a bacio, stanno invece i fevraresch e i piudiröö). Quanto alla spiegazione del nome non ho trovato nè in loco nè... sui sacri testi chi me ne fornisse il bàndolo. Ipotesi molte: da lagh = podere, opinato dal Salvioni in senso generico e che il Sertoli accoglie nella fattispecie, a óga, öga = burrone, ed anche (ma preferibilmente vöga) = via glabra per avvallare il legname (dal celtico ocha = via), ecc. Preferisco essere guardingo, tanto più che da informatori molto anziani di Isola ho registrato le pronunce: Vallóghia e vallóia (i leggerm. mouillé) e da altri dell'Alpe Suretta vallögia e persino val de l’öi!
Una leggenda locale narra che un viandante, percorrendo la valle, vi trovasse il cadavere di un precedente viaggiatore fornito di molto denaro. Appropriatosi tosto del peculio si dice rinunciasse al suo viaggio e andasse ripetendo, al ritorno, aver scoperto una val löga ossia che l'aveva ben lógà (=allogato). Nel dialetto è ancora viva l'espressione «lógà una fiöla» che significa accasare, in matrimonio, una figlia.
Non voglio però trascurare di segnalare che in antico i «regolamenti d'alpe» eran detti «logamenti d'alpe » e che loga potrebbe anche avere il significato di «regola»."
Gli amanti delle ascensioni conoscono bene questa valle, perché sul suo angolo settentrionale e poco a sud di quello meridionale si trovano due cime che costituiscono un classico delle ascensioni della Valchiavenna, cioè il pizzo Tambò (m. 3274) ed il pizzo Ferrè (m. 3103). In mezzo, la cima di Val Loga (m. 3004). Questo giustifica la presenza di un bivacco, il Cecchini (viene ancora conosciuto con questa denominazione, anche se, dopo il rifacimento del 2009, è stato ribattezza con la denominazione di bivacco Val Loga), che spesso, per la sua collocazione panoramica ed elevata, costituisce meta di un’escursione dedicata. Escursione dallo sviluppo assai semplice, anche se di impegno non irrilevante.
Punto di partenza è l’abitato di Montespluga, che si trova alla fine dell’omonimo bacino artificiale, prima che la strada statale 36 affronti l’ultima salita che la porta al passo dello Spluga. Lo raggiungiamo salendo, appunto, lungo la ss 36 dello Spluga: superata Campodolcino, prendiamo subito la direttrice per Madesimo (lasciando alla nostra sinistra la strada per Isola). La strada affronta i celebri ed impressionanti tornanti scavati nella roccia, prima di raggiungere Pianazzo. Usciti dal paese, al primo tornante dx ignoriamo la deviazione a sinistra per Isola, poi al primo sx ignoriamo la galleria che se ne stacca, sulla destra, e porta a Madesimo. Proseguiamo, dunque, diritti e, dopo un lungo traverso giungiamo in vista del poderoso muraglione dello sbarramento, sul quale sta scritta a caratteri cubitali la data di costruzione, il 1931 (MCMXXXI). Percorso l’intero lato orientale del bacino, siamo a Montespluga.
Qui un pannello illustrativo racconta la storia del piccolo e simpatico nucleo: “La località fu nota fino agli inizi del XIX secolo come «Ca' de la montagna» per l'osteria-ospizio qui esistente fin dall'alto Medioevo, ma documentata solo a partire dal XIV secolo (oggi è l'albergo Vittoria). Uno scrittore degli inizi del Seicento annota «Uomini e giumenti troppo spesso perderebbero la loro vita su questo monte, se non vi fosse questo ricovero». Qui, quando infuriavano le bufere di neve si suonava una campana «per orientare i viaggiatori smarriti e chiamarli a pietoso rifugio durante la tempesta». L'ospizio fu poi ampliato nel XVIII secolo, e vi si ricavò una cappella, che fu posta sotto la giurisdizione della sede apostolica. Nel 1823, quando fu aperta la nuova carrozzabile dello Spluga da parte del regno lombardo-veneto sotto l'Austria, fu
ristrutturata la dogana e sul lato opposto della strada fu costruita nel 1825 la chiesetta di San Francesco con pala del santo patrono che riceve le stimmate, firmata nel 1841 da Giovanni Pock. Alla Ca' i vettori dei «Porti» di Val del Reno e quelli di Val San Giacomo si scambiavano le merci dirette rispettivamente a sud e a nord del valico. Qui sostava e faceva dogana la corriera di Lindau, che già nel 1823 in trentasei ore correva dal Lago di Costanza a Milano.
Possiamo riportare, per completezza, anche le notazioni di Giovanni Guler von Weineck, che, nell’opera “Rhaetia” (Zurigo, 1616), scrive: “Salendo dal villaggio di Spluga in cima al passo e scendendo poi un poca per il versante italiano, s'incontra un edificio in muratura detto Alla-casa, dove, durante le furiose tormente,si rifugiano le bestie da soma e di viandanti. Uomini e giumenti troppo spesso perderebbero la loro vita su questi monti, se non vi fosse questo ricovero. Il luogo circostante è cosi elevato, selvaggio e gelido, che non produce legna di sorta. Perciò la legna, necessaria per la cucina e per il riscaldamento, vi deve essere condotta a soma dal basso di ambedue i versanti. Davanti al ricoverosi stende una pianura discretamente larga, che per otto mesi all'anno è coperta da un bianco strato di neve, mentre negli altri quattro mesi vi cresce un poco di erba e di pascolo.”
Ecco, infine, come G. B. Crollalanza, nella sua monumentale “Storia del contado di Chiavenna” (Milano, 1867), descrive questi luoghi:
A Teggiate s'incontra la prima Casa Cantoniera stabilita e mantenuta dal governo per dar ricovero e soccorso ai viaggiatori assaliti dalla tempesta, e alla Stuetta una seconda Cantoniera, dopo la quale si apre una spaziosa ma deserta pianura, in fondo a cui sorge la Casa detta della Montagna a 1904 metri sul livello del mare, antica dogana italiana, oggi semplice posto di guardie doganali. Quivi presso sorgono altre fabbriche ben costruite, fra le quali la chiesa, la casa del R. Cappellano, l'abitazione per l'Ingegnere di riparto e per gli altri inservienti della strada, ed un
comodo albergo. In questo punto non è cosa rara che nell'inverno vi sia della neve che giunge fino alle finestre del primo piano, e duranti le tempeste si suona la campana della chiesa per guidare i viaggiatori.
Poco lungi dalla casa della Montagna s'incontra la terza Cantoniera, e quindi subito dopo la sommità dello Spluga, ove in quel luogo che à forma di piazza è marcato il confine fra l'Italia e la Svizzera. La elevatezza di questo punto sul livello del mare è di 2117 metri, e su quello del lago di Como è di 1919; ed una vecchia torre si trova alla sommità del passaggio, da dove volgendo le sguardo al ponente si scorge la bella aguglia di Tambohorn che servì di segnale trigonometrico con stupendi feldispati bianchi e turchini, e talco e clorite color d'uliva, in mezzo al gneis stratificato verticalmente, cui poi verso l'alpe di Loga congiungonsi la tormalina, la quarzite, l'orniblenda. Superata la vetta dello Spluga, la strada discende sino al paese grigione di questo nome, donde per la valle del Reno si va a Coira.”
Lo scenario, in passato, doveva, quindi, essere assai più severo: la convergenza e la circolazione delle correnti favorivano, nella zona del passo, abbondanti precipitazioni, per cui qui si poteva davvero sperimentare quanta fatica costasse all’uomo riuscire a convivere con le asperità del clima e della montagna. Oggi tutto appare più addomesticato ed ingentilito. Anche la Val Loga, nella cui parte bassa pascolano placide mandrie che sembrano un inno alla serenità, contribuisce a restituire questa sensazione.
Giunti a Montespluga (m. 1908), dunque, lasciamo la ss 36 imboccando, sulla sinistra, il ponticello che scavalca il torrente Spluga. In breve, piegando a sinistra, siamo ad un ampio parcheggio, che guarda al lago, nei pressi del ristorante La Capriata. Lasciata qui l’automobile, cominciamo a camminare su una strada sterrata che si dirige ad ovest, cioè in direzione dello sbocco della Val Loga. Superato un ponticello, siamo ad un bivio: due cartelli indicano che a sinistra ci si porta allo storico sentiero del Cardinello, che sale fin qui da Isola, mentre prendendo a destra saliamo al bivacco Cecchini, dato a 3 ore (mentre il pizzo Ferrè è dato a 4 ore). Poco più avanti un altro cartello dà il medesimo bivacco a 2 ore e mezza. Forse la verità, come si suol dire, sta nel mezzo. Proseguendo nella direzione indicata dal cartello, superiamo una porcilaia ed un corso d’acqua, oltre il quale vediamo i primi segnavia rosso-bianco-rossi.
Il sentiero procede salendo con molta gradualità, poco alto rispetto al torrente nel centro della valle. Superiamo, in rapida successione, altri cinque corsi d’acqua: l’impressione è che questa valle sia straordinariamente ricca di acque. Intanto, guardando in alto, un po’ a sinistra rispetto al centro della valle, vediamo già, in cima ad una china di sfasciumi rossastri, il bivacco. Chi fosse abituato all’immagine storica dello scatolone rosso potrà rimanere disorientato, perché esso appare di colore molto chiaro. Sveleremo, alla fine, l’arcano. Superato un settimo corso d’acqua, scendiamo leggermente, portandoci nei pressi del torrente principale e superando altri tre corsi d’acqua (e siamo a dieci), per poi superare un torrente di portata più importante (non ci sono ponti: attenzione a non scivolare sui sasso emergenti), prima di raggiungere un modesto dosso morenico di cui il sentiero guadagna e segue la sommità. Alla nostra destra si rivela il bello spettacolo delle cascate del ramo principale del torrente della valle, che scende dal bacino del pizzo Tambò. Più avanti torniamo a superare il torrente che scende dal versante di sinistra (per noi che saliamo), questa volta da destra a sinistra.
Ora si comincia a fare sul serio, perché dopo una lunga traversata in cui di quota ne abbiamo guadagnata poca, il sentiero, sempre largo, comincia a risalire con decisione, verso sinistra, in diagonale, una china di magri pascoli e detriti alluvionali. Ci portiamo, così, ad un dosso, di cui il sentiero segue il filo, portandoci ad un breve ripiano nel quale passa a destra di un nevaietto, prima di affrontare un secondo più largo dosso, questa volta tagliandone il fianco. La pendenza è sempre severa. In cima al dosso, altra breve pianetta, e nuova ripida china erbosa. Il bivacco appare e scompare. In cima alla china, troviamo alla nostra destra un grande masso con il segnavia sulla parete liscia, alla nostra sinistra un grande ometto. Siamo a destra di un marcato vallone, occupato da un nevaio. Brevissima discesa, e nuova rampa, al termine della quale vediamo una freccia rossa che ci invita a piegare a destra. Solo per pochi metri, però: il sentiero si alza un po’ rispetto al vallone, poi riprende la salita diretta. Attenzione a qualche roccetta da superare, insidiosa se bagnata. Poi superiamo un nevaietto e cominciamo a camminare su terreno morenico: la traccia in diversi tratti si fa meno evidente e descrive un arco in senso antiorario sulla destra, per aggirare il nevaio al centro del canalone.


La Val Loga, fra i pizzi Ferrè e Tambò

Guardando in alto, vediamo una formazione rocciosa in cima ad un versante di sfasciumi: nella parte alta richiama la testa di un cane che ulula alla luna; più in basso, vediamo, scritto a caratteri molto grandi, “Biv. Cecchini” con una freccia che indica a sinistra. Dobbiamo, quindi, portarci a questa roccia, traversante in diagonale verso sinistra (all’inizio la traccia rimane sulla destra, poi piega a sinistra). Qui ritroviamo un sentiero più marcato, che continua a salire verso sinistra, zigzagando. Superiamo, quindi, alcune roccette marce, scalinate, e due nevaietti. Dopo un ultimo strappetto, abbiamo l’impressione di raggiungere la cima di un’ampia gobba: invece è solo un cambio di pendenza. Saliamo ancora, con andamento però meno ripido. Siamo ad una pianetta e vediamo il bivacco: dobbiamo solo superare un ultimo nevaietto ed affondare l’ultima rampa, per poter finalmente riposare ai 2770 metri dell'ex bivacco Cecchini, ora bivacco Val Loga.
Lo storico scatolone rosso non c’è più: al suo posto il CAI della Valle di Spluga ha curato l’edificazione di un graziosissimo edificio interamente in legno, con pannello solare, 6 posti letto e cucina all’interno. Davvero accogliente e caldo. A chi volesse pernottare è richiesto un contributo di qualche Euro. A tutti è richiesta civiltà, rispetto e attenzione a chiudere bene prima di lasciare il bivacco, che è posto sul crinale che separa la Val Loga dalla Val Schisarola. Ottimo il colpo d’occhio sul vicinissimo ghiacciaietto del pizzo Ferrè, mentre a nord domina il pizzo Tambò. Lo sguardo domina l’intera Val Loga e raggiunge Montespluga ed una parte del suo lago.
La salita richiede, in effetti, 2 ore e mezza o poco più, per superare un dislivello approssimativo in salita di 860 metri. La discesa avviene per la medesima via di salita.

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CARTA DEL PERCORSO sulla base della Swisstopo, che ne detiene il Copyright. Ho aggiunto alla carta alcuni toponimi ed una traccia rossa continua (carrozzabili, piste) o puntinata (mulattiere, sentieri). Apri qui la carta on-line


Mappa del percorso - particolare della carta tavola elaborata da Regione Lombardia e CAI (copyright 2006) e disponibile per il download dal sito di CHARTA ITINERUM - Alpi senza frontiere

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APPROFONDIMENTO: MONTESPLUGA ED IL PASSO DELLO SPLUGA

Luigi Brasca, nella monografia “Le montagne di Val San Giacomo” (CAI Torino, 1907), scrive: “Oggi la strada dello Spluga è percorsa ogni estate da una fiumana di turisti: ma quanti di costoro pensano alle memorie del passato, pur così rudemente vive negli avanzi delle strade romane e medioevali, che il tempo rispetta, ancora e più di quello che non abbian voluto gli uomini? Qua, là, tra le verdi erbe dei pianori al fondo della valle, o per entro le gole oscure, o sotto i macigni di una frana, appaiono ancora vestigia di muraglioni, di selciati, di torri; lì passavano le antiche mulattiere storiche, che videro le orde barbariche forse, le legioni di Stilicone, il livore di Barbarossa dopo il ricordo di Legnano, e il coraggio di Macdonald, … precursore dell’alpinismo invernale.


Sentiero del Cardinello

Certo che nessuno di quei condottieri famosi pensò che i posteri mattoidi avrebbero avuto la temerità di misurarsi con quei gioghi paurosi che incutevano tanto sacro terrore, … e men che meno poi che ci avrebbero trovato tanto gusto. Né la descrizione d’un passaggio come quello della Divisione Macdonald, compiuta dal 27 novembre al 4 dicembre del 1800, sotto una tormenta furiosa, doveva servire d’incoraggiamento. “Salendo da Tusizio” l’avanguardia condotta dal generale Laboissière, giunta “con penosi passi ed infinito anelito” quasi alla sommità del passo, è colta dalla bufera; “la quale, furiosamente soffiando sul dorso delle nevi ammonticchiate sopra quegli sdrucciolevoli gioghi, levava una orribile smossa di neve che con indicibile velocità e fracasso nelle sottostanti valli piombando, portò con sé a precipizio quanto le si era parato davanti”… i superstiti scapparono giù di nuovo a Splügen.


Sentiero del Cardinello

Arrivato Macdonald, si ritenta la prova; passano tre squadre; ma, all’ultimo giorno, mentre deve passare la retroguardia, col Macdonald stesso, altra bufera come sopra; … “le guide, uomini del paese, atterrite, attestavano l’impossibilità di passare e l’opera loro ricusavano” … ma il Macdonald non cede, e si va avanti; … “le guide, piene di un alto terrore, tornavano indietro; spesso gli uomini sepolti, spesso dispersi…; si aggiungeva un freddo intensissimo, maggiore quanto più si saliva e che gli animi attristava e prostrava, e le membra con renderle, aggrezzava”. Finalmente, superato il passo, “rallegravansi dell’acquistata vita l’uno coll’altro, poiché si erano creduti morti…” … che il percorso seguito dall’antica mulattiera fosse pericoloso, e pericolosissimo poi d’inverno, è facile vedere, pensando che essa seguiva le due gole del Cardinello e del Liro, battute da frane e valanghe, ed ogni tanto devastate dalle piene del fiume.”


Apri qui una panoramica del lago di Montespluga

Mntespluga ed il passo dello Spluga sono fra i più interessanti luoghi dell'arco alpino centrale. La loro storia riserva numerosi elementi di interesse e suggestione.
A Montespluga un pannello illustrativo racconta la sua storia: “La località fu nota fino agli inizi del XIX secolo come «Ca' de la montagna» per l'osteria-ospizio qui esistente fin dall'alto Medioevo, ma documentata solo a partire dal XIV secolo (oggi è l'albergo Vittoria). Uno scrittore degli inizi del Seicento annota «Uomini e giumenti troppo spesso perderebbero la loro vita su questo monte, se non vi fosse questo ricovero». Qui, quando infuriavano le bufere di neve si suonava una campana «per orientare i viaggiatori smarriti e chiamarli a pietoso rifugio durante la tempesta». L'ospizio fu poi ampliato nel XVIII secolo, e vi si ricavò una cappella, che fu posta sotto la giurisdizione della sede apostolica. Nel 1823, quando fu aperta la nuova carrozzabile dello Spluga da parte del regno lombardo-veneto sotto l'Austria, fu ristrutturata la dogana e sul lato opposto della strada fu costruita nel 1825 la chiesetta di San Francesco con pala del santo patrono che riceve le stimmate, firmata nel 1841 da Giovanni Pock. Alla Ca' i vettori dei «Porti» di Val del Reno e quelli di Val San Giacomo si scambiavano le merci dirette rispettivamente a sud e a nord del valico. Qui sostava e faceva dogana la corriera di Lindau, che già nel 1823 in trentasei ore correva dal Lago di Costanza a Milano.”


Montespluga

Riportiamo anche le notazioni di Giovanni Guler von Weineck, che, nell’opera “Rhaetia” (Zurigo, 1616), scrive: “Salendo dal villaggio di Spluga in cima al passo e scendendo poi un poca per il versante italiano, s'incontra un edificio in muratura detto Alla-casa, dove, durante le furiose tormente,si rifugiano le bestie da soma e di viandanti. Uomini e giumenti troppo spesso perderebbero la loro vita su questi monti, se non vi fosse questo ricovero. Il luogo circostante è cosi elevato, selvaggio e gelido, che non produce legna di sorta. Perciò la legna. necessaria per la cucina e per il riscaldamento, vi deve essere condotta a soma dal basso dl ambedue i versanti. Davanti al ricoverosi stende una pianura discretamente larga, che per otto mesi all'anno è coperta da un bianco strato di neve, mentre negli altri quattro mesi vi cresce un poco di erba e di pascolo.”


Lago di Montespluga

G. B. Crollalanza, nella sua monumentale “Storia del contado di Chiavenna” (Milano, 1867), a sua volta così descrive questi luoghi:
A Teggiate s'incontra la prima Casa Cantoniera stabilita e mantenuta dal governo per dar ricovero e soccorso ai viaggiatori assaliti dalla tempesta, e alla Stuetta una seconda Cantoniera, dopo la quale si apre una spaziosa ma deserta pianura, in fondo a cui sorge la Casa detta della Montagna a 1904 metri sul livello del mare, antica dogana italiana, oggi semplice posto di guardie doganali. Quivi presso sorgono altre fabbriche ben costruite, fra le quali la chiesa, la casa del R. Cappellano, l'abitazione per l'Ingegnere di riparto e per gli altri inservienti della strada, ed un comodo albergo. In questo punto non è cosa rara che nell'inverno vi sia della neve che giunge fino alle finestre del primo piano, e duranti le tempeste si suona la campana della chiesa per guidare i viaggiatori.


Lago di Montespluga

Poco lungi dalla casa della Montagna s'incontra la terza Cantoniera, e quindi subito dopo la sommità dello Spluga, ove in quel luogo che à forma di piazza è marcato il confine fra l'Italia e la Svizzera. La elevatezza di questo punto sul livello del mare è di 2117 metri, e su quello del lago di Como è di 1919; ed una vecchia torre si trova alla sommità del passaggio, da dove volgendo le sguardo al ponente si scorge la bella aguglia di Tambohorn che servì di segnale trigonometrico con stupendi feldispati bianchi e turchini, e talco e clorite color d'uliva, in mezzo al gneis stratificato verticalmente, cui poi verso l'alpe di Loga congiungonsi la tormalina, la quarzite, l'orniblenda. Superata la vetta dello Spluga, la strada discende sino al paese grigione di questo nome, donde per la valle del Reno si va a Coira.”
Lo scenario, in passato, doveva, quindi, essere assai più severo: la convergenza e la circolazione delle correnti favorivano, nella zona del passo, abbondanti precipitazioni, per cui qui si poteva davvero sperimentare quanta fatica costasse all’uomo riuscire a convivere con le asperità del clima e della montagna. Oggi tutto appare più addomesticato ed ingentilito.


Apri qui una panoramica del passo dello Spluga

La Guida alla Valtellina edita dal CAI di Sondrio nel 1884 (II edizione), a cura di Fabio Besta, così presenta il passo dello Spluga: "Lo Spluga è fra i valichi delle Alpi conosciuti dai Romani, ma fino al 1818 non era sormontato che da una strada mulattiera. Federico Barbarossa nella sua quarta calata in Italia, prima della ricostruzione di Milano, passò questo valico e si fermò a Chiavenna. V'è un quadro nella Pinacoteca di Roma che ricorda questa presenza di Barbarossa in Chiavenna. Più tardi Macdonald dal 27 novembre al 4 dicembre 1800 fece valicare questo passo da una intera divisione destinata a coprire i fianchi dell'armata d'Italia... Intere valanghe furono da valanghe staccatesi dal monte trascinate in un burrone mentre tentavano attraversare la gola di Cardinello. La bella strada internazionale che attraversa lo Spluga venne costrutta per ordine del governo austriaco dal 1819 al 1821 sugli studi dell'ing. Carlo Donegani. Oltrepassato il giogo dello Spluga e la Terza Cantoniera (2067 m.) si giunge al piano della Casa, dove v'ha la dogana e una modesta osteria. La valle, qui sterile e tetra, è circondata da alte e scoscese montagne. Nell'invernola neve vi cade alta tanto da innalzarsi al di sopra del primo piano; cosicchè a volte per mettere in comunicazione la dogana colla vicina osteria è mestieri scavare entro la stessa neve una galleria."


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Queste note danno solo una prima ed approssimativa idea dell'importanza del passo dello Spluga, il quale, per la sua posizione centrale nell'arco alpini, costituì la più diretta via di comunicazione fra paesi di lingua germanica e bacino padano. Molto probabilmente fu valicato prima ancora degli albori della storia. I ritrovamenti nei siti del vicino Pian dei Cavalli attestano infatti la presenza di nuclei di cacciatori nomadi nel Mesolitico, cioè circa 10.000 anni fa. Questi cacciatori salivano al Pian dei Cavalli partendo da campi-base posti sul fondovalle (ma può darsi che venissero anche dal versante opposto della catena alpina), accendendo fuochi e collocando tende. Questo luogo consentiva loro di dominare la valle sottostante, avvistando le prede più ambite, i cervi. In epoca storica furono i Romani a sfruttare il valico nel contesto della campagna militare posta in atto tra il 16 ed il 7 a. C. per sottomettere le popolazioni retiche.


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Due documenti di età imperiale romana, infatti, riportano la via dello Spluga: si tratta dell'Itinerarium Antonini, redato al tempo di Diocleziano, e della Tavola Peutingeriana, copia medievale di una carta romana di età imperiale. Vi si menzionano Tarvedese, probabilmente Campodolcino, dove la strada vera e propria terminava, lasciando il posto alla mulattiera percorsa appunto da muli, che superava l'aspro versante della Valle del Cardinello e raggiungeva Cunu Areu, cioè Montespluga, pero pi salire al passo. Fino all'età medievale fu questa l'unica via per valicare il passo. Ad essa dal 1223 si affiancò quella che da Campodolcino saliva a Madesimo ed al passo di Emet. La prima rimase però la più utilizzata nella stagione invernale.


Isola

Al transito dei soldati seguì, per i passi dello Spluga, del San Bernardino e del Settimo, quello dei mercanti, che salivano per l'importante arteria che percorreva il lato occidentale del lago di Como, proseguiva fino a Chiavenna e di qui a Campodolcino, per lasciare poi il posto ad una larga mulattiera che forse veniva percorsa anche da piccoli carri. Raggiunto il passo dello Spluga, tenuto aperto anche d'inverno, il percorso scendeva fino alla valle del Reno Posteriore ed a Coira, seguendo la Viamala. Questo fu l'itinerario percorso per secoli dalle merci più diverse, fra cui cereali, riso, sale, latticini, vino, pelli, cuoio, tessuti, argenteria, armi, armature, spezie. La sua importanza economica indusse nel 1473 a porre in atto lavori per porre in sicurezza il transito attraverso la profonda forra della Viamala, mentre nel 1643 fu tracciata una via più sicura in un altro nodo critico di passaggio, la valle del Cardinello. I commerci venivano gestiti fin dal basso Medioevo da corporazioni di contadini-someggiatori, chiamate Porti, che ne detenevano il monopolio e curavano la manutenzione di strade e ponti. I trasporti venivano poi scanditi dalle soste, dove le merci venivano trasbordate a cura di operatori locali.
In quel periodo giungevano a Splügen, sul versante elvetico ai piedi del passo, da 300 a 400 animali da carico, che procedevano nelle "stanghe" composte da 6 o 7 bestie collegate da una speciale imbastatura e guidate da un somiere.


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Solo nel primo quarto dell'Ottocento la costruzione della carrozzabile del San Bernardino e di quella tracciata dall'ingegner Carlo Donegani allo Spluga fra il 1818 ed il 1823 modificò profondamente questo sistema. Sul versante italiano la strada dello Spluga abbandonava le pericolose gole del Cardinello sfruttando un percorso più sicuro con l'ardito tracciato che saliva a Pianazzo. Dopo l'alluvione del 1834 che ne danneggiò gravemente diversi tratti da Campodolcino ad Isola, venne costruito l'arditissimo tratto che coincide con il tracciato attuale, e che da Madesimo sale direttamente a Pianazzo, tagliando fuori Isola e risalendo il vertiginoso versante dello Scenc'. La nuova strada, aperta nel 1838, diede un grande impulso ai transiti commerciali e turistici, regalando per qualche decennio al passo dello Spluga il primato indicusso fra i valichi delle Alpi Centrali, tanto da giustificare i non indifferenti sdorzi per tenerlo aperto lungo l'intero arco dell'anno.


Il passo dello Spluga

Il tramonto della sua centralità strategica fu poi segnato dall'apertura delle gallerie del Brennero (1867), del Moncenisio (1872) e del San Gottardo (1882). Per ovviare a questo delino venne formulato il progetto del traforo dello Spluga, che però non si concretizzò mai. I transiti commerciali terminarono, lasciando però il posto ai più diradati ma anche suggestivi transiti di turisti e viaggiatori. Non pochi furono gli artisti, gli scienziati ed i pensatori famosi che passarono per lo Spluga, da Erasmo da Rotterdam nel 1509 a Johann Wolfgang Goethe nel 1788, da William Turner nel 1843 a Friedrich Nietzsche nel 1872, da Jacob Burckhardt nel 1878 a Henry James, da Giosuè Carducci, che visitò il passo più volte durante i suoi soggiorni estivi a Madesimo tra il 1888 ed il 1905, ad Albert Einstein nel 1901, per citare solo i più famosi. In particolare, il sommo poeta tedesco Goethe varcò lo Spluga, di ritorno dal suo viaggio in Italia, alla volta di Weimer. Andersen vi passò qualche decennio dopo e, sceso a Chiavenna, si vide rifiutare una tazza di caffè e latte perché si era di venerdì ed il latte era proibito dal precetto del magro. Nel 1922 il celebre poeta Giovanni Bertacchi , nel discorso scritto per le celebrazioni del centenario della nuova strada dello Spluga, con queste parola descrive il mesto tramonto della più antica via del Cardinello: "Ora il passo del Cardinello è abbandonato, la vecchia mulattiera si viene in più tratti sgretolando, mentre qualche solingo viandante rifà la yraccia antica, ammira la scena mirabimente selvaggia, ascolta le voci arcane della montagna, se mai vi riecheggia ancora il tumulto del passaggio di MacDonald, recante fra stenti di ogni sorta, nel dicembre dell'800, i soccorsi incovaci dal Bonaparte."


Apri qui una panoramica verso nord dal passo dello Spluga

Ecco, infine, la descrizione della strada dello Spluga da Campodolcino allo Spluga, così come si legge nella Guida alla Valtellina edita dal CAI di Sondrio nel 1884, a cura di Fabio Besta (II edizione): "Lasciato Campodolcino, la strada si va elevando verso Pianazzo per mezzo di arditi e stupendi andirivieni tagliati nel vivo masso, e che presentano all’atterrito viaggiatore uno spaventevole abisso. Lungo questo tratto di strada si scorge più volte la cascata maestosa di Pianazzo, e a sinistra del Liro quella più umile ma graziosissima che scende dai monti di Starleggia. Finalmente si penetra per entro una maestosa galleria tagliata sul vivo, trascorsa la quale si giunge alla predetta cascata di Pianazzo, che accogliendo le abbondanti acque del Medesimo si precipita da un soglio all'altezza di 200 metri nella sottoposta valle, dove va a confondersi col Liro colle sue fredde acque che scaturiscono dai vicini ghiacciai.


Lago di Montespluga

La nuova strada che da Pianazzo procede alla sommità dello Spluga evita la pericolosa gola del Liro fra Isola e Campodolcino, e ivi la vegetazione degli alberi incomincia a languire finchè sparisce del tutto. Però ad essa succedono estesi pascoli che nella stagione estiva danno alimento a molteplici armenti di ogni specie degli abitanti della pianura che vengon quivi a respirare l'aria salubre della montagna. Questa nuova strada sale a poco a poco a mezzo d'innumerevoli andirivieni lungo il declivio della montagna, ed è protetta contro le lavine da un paravalanghe aperto e da due lunghe gallerie murate e coperte di tettoje inclinate e appoggiate sopra piloni per facilitare lo sdrucciolamento della neve, e per entro le quali la luce penetra a mezzo di aperture fatte a guisa di cannoniere. Il paravalanghe, ossia la prima galleria, è detta delle Acque Russe, ossia delle acque minerali, le quali nel discendere lungo i dirupi del monte si coloriscono con un deposito rossiccio e formano graziose concrezioni calcari, ed è lunga circa 400 metri. Sotto questa galleria, e precisamente nel punto denominato il Passo della Morte, sì spalanca da un lato della strada un precipizio così profondo da oltrepassare í 360 metri sul suo livello inferiore. Passata questa galleria, l'antico sentiero posto sulla sinistra discendeva diretto e scabroso ad Isola in mezzo alla stretta gola del Cardinello; il qual passaggio era esposto alle lavine che nell'inverno minacciavano bene spesso la vita dei miseri viandanti. La seconda galleria è detta di Valbianca, ed è lunga metri 202, alla quale succede quella ancor più lunga di Buffalora, la quale si estende a metri 221: 80.


Isola

A Teggiate s'incontra la prima Casa Cantoniera stabilita e mantenuta dal governo per dar ricovero e soccorso ai viaggiatori assaliti dalla tempesta, e alla Stuetta una seconda Cantoniera, dopo la quale si apre una spaziosa ma deserta pianura, in fondo a cui sorge la Casa detta della Montagna a 1904 metri sul livello del mare, antica dogana italiana, oggi semplice posto di guardie doganali. Quivi presso sorgono altre fabbriche ben costruite, fra le quali la chiesa, la casa del R. Cappellano, l'abitazione per l'Ingegnere di riparto e per gli altri inservienti della strada, ed un comodo albergo. In questo punto non è cosa rara che nell'inverno vi sia della neve che giunge fino alle finestre del primo piano, e duranti le tempeste si suona la campana della chiesa per guidare i viaggiatori.


La cascata di Pianazzo congelata

Poco lungi dalla casa della Montagna s'incontra la terza Cantoniera, e quindi subito dopo la sommità dello Spluga, ove in quel luogo che à forma di piazza è marcato il confine fra l'Italia e la Svizzera. La elevatezza di questo punto sul livello del mare è di 2117 metri, e su quello del lago di Como è di 1919; ed una vecchia torre si trova alla sommità del passaggio, da dove volgendo le sguardo al ponente si scorge la bella aguglia di Tambohorn che servì di segnale trigonometrico con stupendi feldispati bianchi e turchini, e talco e clorite color d'uliva, in mezzo al gneis stratificato verticalmente, cui poi verso l' alpe di Loga congiungonsi la tormalina, la quarzite, l'orniblenda. Superata la vetta dello Spluga, la strada discende sino al paese grigione di questo nome, donde per la valle del Reno si va a Coira.
Da Pianazzo, deviando ora dalla strada postale, si può discendere al comune d'Isola, cui presentemente conviene con giusta ragione applicare questo nome, il perché tolta la via di comunicazione diretta con Campodolcino per le devastazioni del fiume nel 1834 restò quel paese isolato; e i suoi abitanti non ànno oggi altra risorsa fuori del prodotto del fieno e dei pascoli di cui abbonda il suo territorio. Dalla sommità più alta del monte che sorge sulla sinistra d'Isola in forma di argentea striscia si precipita il fiume Liro colle fredde sue acque che scaturiscono dai vicini ghiacciai
."


Montespluga

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