La
traversata alta da San Giuseppe a Chiareggio è uno dei più classici
itinerari escursionistici offerti dall'alta Valmalenco e, pur non
rientrando nelle otto tappe dell'Alta Via della Valmalenco, offre
scenari e suggestioni di sicuro impatto emotivo, mostrando il volto
più affascinante e spettacolare della valle.
Per effettuarla dobbiamo raggiungere innanzitutto Chiesa in
Valmalenco (m. 960), a 15,5 km da Sondrio, proseguendo, poi, sulla
strada che porta a Chiareggio. Dopo aver superato su un ponte il
Màllero ed aver affrontato una lunga serie di tornanti, raggiungiamo
l'ampia conca di prati che ospita San Giuseppe (m. 1433), a 6 km. da
Chiesa, punto di partenza ben noto a coloro che amano salire, per
effettuare passeggiate o discese sugli sci, all'alpe Palù.
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Qui la
strada assume, per un buon tratto, un andamento quasi pianeggiante
e, sulla sinistra, è ben visibile una graziosa chiesetta, costruita
nel 1926 per sostituire la precedente, distrutta da una frana.
Proseguendo per un tratto con l'automobile, troviamo, sempre sulla
sinistra, un cartello che segnala il punto di inizio della
traversata che conduce dalla val Orsera alla val Ventina,
sviluppandosi attraversando la dorsale montuosa compresa fra il
monte Sevenedo (m. 2561), la punta Rosalba (m. 2803), la cima del
Duca (m. 2953) ed il monte Braccia (m. 2909), passando per due laghi
(il lago Lagazzuolo, m. 1974, ed il lago Pirola, m. 2283) e due
rifugi (il Ventina, m. 1965, ed il Gerli-Porro, m. 1960), valicando
una bocchetta alta, il Bocchel del Cane (m. 2551) e consentendo,
infine, la discesa a Chiareggio dalla val Ventina.
Parcheggiamo, dunque, l'automobile presso il cartello che segnala la
partenza del sentiero (indicazioni per Lagazzuolo e Chiareggio), ma
se ne abbiamo a disposizione due, lasciamone una a Chiareggio:
qualora, infatti, non intendessimo fermarci a pernottare presso
alcun rifugio, ci eviterà di dover percorrere 6 chilometri buoni per
ridiscendere da Chiareggio a San Giuseppe.
Il sentiero, segnalato da bandierine rosso-bianco rosse (che ci
accompagneranno per l'intero arco della traversata) scende al
torrente Mallero, |
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lo attraversa su un ponte e comincia a salire, ripido, sul fianco
nord-orientale del monte Braccia, effettuando prima un traverso in
direzione nord-ovest, inanellando poi una serrata serie di
tornantini in direzione ovest-sud-ovest. La salita, che avviene sul
severo fianco montuoso posto immediatamente a sud-est delle cascate
della val Orsera, ben visibili da San Giuseppe, non concede respiro,
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ma
avviene in un fresco bosco di conifere, il che è indubbiamente un
vantaggio, se la effettuiamo durante il periodo più caldo
dell'estate. |
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Intorno a quota 1900 la vegetazione si fa sempre più rada, finchè il
sentiero sbuca sui pascoli dell'alpe Lagazzuolo, incontrando le
poche baite, ormai abbandonate, su un bel poggio panoramico, dal
quale si domina, a nord, la poderosa dorsale nord-occidentale della
testata della Valmalenco, che comprende, da ovest, cioè da sinistra,
il pizzo Fora (m. 3363), il pizzo Tremoggia (m. 3441), il pizzo
Malenco (m. 3438) ed il Sasso d'Entova (m. 3329).
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Davanti a noi, invece, spicca la cima della punta Rosalba (m. 2809,
retaggio del tempo pioneristico dell'alpinismo, quando i
conquistatori di una vetta cedevano alla tentazione romantica - o
ridicola - di chiamarla con il nome della propria innamorata), a
destra della quale si trova la depressione sul crinale dove è
collocata la bocchetta che dovremo superare. |
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Poi,
improvvisamente, ecco comparire il bel laghetto di Lagazzuolo,
nascosto dai bordi della conca glaciale che lo ospita. |
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Si tratta
di una piccola perla naturalistica, che offre, agli escursionisti
che spesso vengono fin quassù per riposare lungo le sue rive
circondate da radi larici, lo spettacolo riposante delle sue acque,
di un bel colore azzurro intenso.
Una sosta, dopo la prima ora o poco più di cammino, non ci sta certo
male.
La traversata prosegue, dettata ora non più da un evidente sentiero,
ma dal susseguirsi dei segnavia rosso-bianco-rossi, che ci portano
ad aggirare il laghetto sulla (nostra) destra. |
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Non
possiamo affidarci all'impressione visiva: il Bocchel del Cane,
infatti, non è infatti, come invece saremmo indotti a credere,
l'ampia sella ben visibile davanti ai nostri occhi, sul crinale che
separa la val Orsera dalla val Ventina, fra la punta Rosalba, a
destra, e la cima del Duca, a sinistra. Questa sella è la più alta
bocchetta di Lagazzuolo, che guarda sempre alla val Ventina, ma è
posta più in alto, a quota 2782 metri. Per fortuna non ci tocca
salire fin lassù.
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Seguiamo, dunque, i segnavia, che segnalano una traccia di sentiero
che, lasciata alle spalle la riva di nord-ovest del laghetto (quella
di destra, per chi sale), si sviluppa fra la vegetazione, sempre più
rada, ed i massi di tutte le dimensioni, sempre più fitti. |
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Nel primo
tratto passiamo vicino, rimanendo alla sua sinistra, al corso
d'acqua che scende fino al laghetto sottostante.
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Poi ce ne
allontaniamo, spostandoci a sinistra e raggiungendo, dopo un breve
traverso, |
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l'imbocco
del canalone che adduce alla bocchetta, la quale, finalmente, appare
ai nostri occhi. Deviando leggermente a destra, iniziamo l'ultima
faticosa salita, seguendo il tracciato suggerito dai segnavia.
Mentre ci ossigeniamo adeguatamente per essere all'altezza degli
sforzi che ci attendono, non manchiamo di gustare gli scenari che si
sono aperti alle nostre spalle. Sul fondo del vallone principale,
innanzitutto, ecco, a sorpresa, un secondo e più piccolo laghetto, a
quota 2256, anch'esso dalle acque di un azzurro intenso: |
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lo
vediamo, volgendo le spalle al Bocchel del Cane, alla nostra destra.Il
laghetto è dominato dai contrafforti del monte Braccia (m. 2909), il
cui spigolo di nord-est degrada in una serie di cime minori, fra le
quali si apre, a quota 2293, la bocchetta di Girosso, che pone in
comunicazione l'alpe di Girosso superiore (m. 2183) con la val
Orsera. Volgendo lo sguardo a sinistra, ecco la lunga dorsale che
divide la Valmalenco dalla Val di Togno: vi spicca l'inconfondibile
profilo del pizzo Scalino (m. 3323). Più a sinistra ancora, alle
spalle della dorsale compresa fra il Sasso d'Entova (m. 3329) ed il
Sasso Nero (m. 2919), occhieggiano, per un breve tratto, le più
famose ed alte cime della Valmalenco, i pizzi Roseg (m. 3937),
Scerscen (m. 3971) e Bernina (m. 4049). C'è di che ritemprare lo
spirito, se non anche le membra.
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Di
nuovo in cammino: la pendenza, sempre severa, e la natura del
terreno, disseminato di massi fra i quali spesso ci si deve
districare, non agevolano gli ultimi sforzi, che tuttavia, alla
fine, ottengono il meritato premio. |
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Dopo
Circa tre ore di cammino, necessarie per superare circa 1150 metri
di dislivello, la sella, a 2551 metri, è raggiunta. Si tratta del
punto più alto della nostra escursione, dal quale si apre ai nostri
occhi uno scenario che, in una giornata limpida, è davvero superbo. |
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Si
mostra, infatti, la splendida compagine delle cime che scandiscono
il fianco occidentale dell'alta Valmalenco, vale a dire, partendo da
nord (alla nostra destra) il monte del Forno (m. 3214), la cima di
Val Boba (m. 3033), le cime di Vazzeda (m. 3301) e di Rosso (m.
3366), il monte Sissone (m. 3330), la punta Baroni (m. 32003) e le
cime di Chiareggio. Scendendo, avremo, poi, modo di vedere sempre
meglio, a sinistra, la severa mole del monte Disgrazia (m. 3678),
che mostra il ghiacciaio della parete nord e, sul fianco orientale,
l'impressionante canalone della Vergine. |
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Ancora
più a sinistra appariranno il pizzo Cassandra (m. 3226), il
ghiacciaio ed il passo della Ventina, che unisce la valle omonima,
nella quale scendiamo, alla val Sassersa (sono i luoghi più
memorabili della seconda tappa dell'Alta Via della Valmalenco). |
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Uno
scenario alpino fra i più classici, eleganti e memorabili, che ci
accompagna in una discesa la quale, per la verità, non è di tutto
riposo. Le discese non lo sono mai, non lo debbono essere mai, dal
momento che un calo di concentrazione può essere pagato, anche a
caro prezzo, con cadute e distorsioni. In questo caso la natura
molto accidentata del terreno impedisce tassativamente di abbassare
il livello della concentrazione. Per un buon tratto, infatti, i
segnavia ci indicano il tracciato più razionale che si districa fra
nevaietti |
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e
massi di dimensioni rilevanti. Non contiamo troppo sulla "fornicatio
lapidum", per usare un'espressione dello scrittore romano Seneca,
cioè sull'abbraccio che rinserra ciascuna pietra alle altre: non è
detto che tutte le pietre su cui posiamo il piede siano stabili. |
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L'atmosfera di questi luoghi è, comunque, unica: le rocce, dal
colore rossastro, regalano un contrappunto cromatico affascinante
con il blu del cielo. |
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Alle
nostre spalle, la punta Rosalba, che mostra il suo corrugato ed
aspro fianco di nord-ovest, sembra degnare appena di uno sguardo
scettico |
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la
presunzione degli escursionistici che osano violare luoghi riservati
non ad uomini, ma ad aquile e marmotte.
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I massi,
dopo il primo tratto, si fanno, poi, via via, più abbordabili,
compaiono le prime lingue di timido e magro pascolo, la discesa si
fa meno faticosa. Ben visibile, fin dal passo, è, alla nostra
destra, il lago Pirola (m. 2283), creato da uno sbarramento. Dopo un
tratto quasi in piano, scorgiamo, alla nostra destra, una serie di
segnavia che disegna un arco in direzione del lago, in leggera
discesa. Si tratta di una delle due possibili direttrici di discesa:
scegliendola, ci portiamo, dopo aver attraversato, non senza la
rinnovata fatica dei massi caotici fra i quali districarsi, ad est
del lago Pirola; piegando a sinistra, su un sentiero un po' esposto
che guadagna il filo del bastione roccioso che lo delimita a nord,
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passiamo
a monte della sua riva settentrionale, proseguendo in parallelo fino
alla deviazione, a destra, che ci consente di scendere all'alpe
Piròla e di qui al bosco, dove un sentiero, prima con direzione
nord, poi con direzione sud, infine con direzione ovest, scende ad
intercettare la pista che congiunge Chiareggio con il rifugio
Gerli-Porro. Questa prima soluzione ha il vantaggio di consentirci
un incontro ravvicinato con il bel lago di Pirola (m. 2283), ma
taglia fuori il rifugio Gerli-Porro e richiede una buona dose di
fatica per attraversare il vallone che scende dalla bocchetta di
Sceresone ed affrontare la salita supplementare necessaria per
guadagnare i 2336 metri dello sperone roccioso che delimita, a nord,
il lago.
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La seconda soluzione prevede, invece, che si prosegua la discesa
seguendo la direttrice ovest, per assumere, poi, quella sud-ovest.
In questo caso ignoriamo i segnavia che scendono verso il vallone,
seguendo invece un evidente ometto ed i segnavia che, al termine di
un breve pianoro dove i massi ci lasciando un po' di tregua, ci
fanno scendere in una conca dove li ritroviamo. |
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La
discesa prosegue in uno scenario suggestivo, fra radi larici, a
sinistra dei bastioni del Torrione Porro (m. 2435). Alla nostra
sinistra, stupendo è il colpo d'occhio sulla val Ventina, sul
ghiacciaio omonimo e sul versante orientale del monte Disgrazia. |
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Alla fine, superata un'ultima impegnativa |
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fascia di
grandi massi, il sentiero si tuffa in una macchia, per l'ultima,
ripida, discesa, che ci porta |
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al
bucolico pianoro della val Ventina, circa a metà strada fra i vicini
rifugi Ventina, alla nostra sinistra, e |
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Gerli-Porro, alla nostra destra. |
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Il più è
fatto: non ci resta che imboccare la comoda pista che scende a
Chiareggio, affollata, nel cuore della stagione estiva o nei
finesettimana, dei numerosi vacanzieri che non perdono l'occasione
di respirare l'aria di alta montagna con un'oretta di cammino.
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Si chiude
a Chiareggio una traversata destinata a rimanere indelebilmente
nella memoria, |
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fra le
più classiche esperienze di incontro con l'alta montagna che
incanta. |
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GALLERIA DI IMMAGINI
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