Pian della Valle in Val Caronella

Punti di partenza ed arrivo
Tempo necessario
Dislivello in altezza
in m.
Difficoltà (T=turistica, E=escursionistica, EE=per escursionisti esperti)
Edicola Parco delle Orobie a Bondone-Incrocio con la GVO-Capanno Barecchetti-Malga Caronella-Carona-Bondone
7 h
760
E
SINTESI. Stacchiamoci dalla ss. 38 dello Stelvio a S. Giacomo di Teglio, verso destra (per chi proviene da Milano). Attraversato il ponte sull’Adda, proseguiamo seguendo le indicazioni per Carona ed andando a sinistra ad un bivio. All'ultimo tornante sx prima di Carona lasciamo la strada per imboccare una carozzabile che va a destra e raggiunge Bondone (m. 1217). Proseguiamo sulla pista fino all'edicola del Parco delle Orobie Valtellinesi e qui parcheggiamo (m. 1250). Proseguiamo sulla pista, passando da sinistra (per noi) a destra della valle, e tornando poi sulla sinistra, fino ai prati dell’alpeggio Baita di Monte Basso (m. 1562). La pista si conclude alle tre baite dell’alpe. Non ci portiamo a queste baite ma, prestando attenzione ai segnavia, la lasciamo prima, sulla destra, tagliando i prati e raggiungendo una fascia di ontani e macereti, dove imbocchiamo un sentiero, con diversi tornanti, che mantiene una pendenza significativa, procedendo in direzione sud lungo il fianco montuoso (segnavia con numerazione 3 e 316), e che ci porta ad un primo terrazzo di pascoli e massi, dove intercettiamo la Gran Via delle Orobie. Seguendo le indicazioni della GVO e dei laghi di Cantarena, saliamo verso destra, dapprima in direzione ovest, poi di nuovo sud, in uno scenario più gentile, contrappuntato da rocce scistose e radi larici fino al bivio segnalato (m. 1840), al quale seguiamo le indicazioni della GVO, lasciamo il sentiero 316 che prosegue verso la baita Cantarena e pieghiamo a sinistra, imboccando il sentiero che traversa verso est e poi nord-est al Capanno di Caccia Barecchetti, tagliando il versante orientale della valle e procedendo fra larici e macereti. Procediamo poi nel bosco, prima in leggera salita, poi in discesa, verso nord, fino ad uscire alla radura che ospita il capanno di caccia Barecchetti (m. 1813) alla radura del Braghet (Braghéc'), appena ad ovest del crinale che separa la Val Bondone dalla Val Caronella. Qui dobbiamo ignorare il sentiero 316 che scende verso nord-nord-ovest e prendendo invece il sentiero che prosegue diritto nord-est (indicazioni della GVO per la Malga Caronella, data a 40 minuti, la Malga Dosso, data ad un’ora e 40 minuti e la Malga Torena, data, data a 3 ore e 10 minuti). Stando sulla parte alta della radura la attraversiamo e rientriamo nel bosco, dove il sentiero taglia il crinale ed inverte completamente la direzione, da nord a sud. Procediamo nel bosco in leggera salita, poi con pendenza più marcata, seguendo il crinale fino a quota 2000 metri circa, per poi volgere a sinistra e proseguire nella salita verso sud-sud-est, sul lato della Val Caronella, fino ad una quota approssimativa di 2090 metri. Qui il sentiero piega a sinistra e scende per un tratto verso est, per poi piegare a destra, uscire su terreno aperto e proseguire la discesa verso sud, in un ampio avvallamento. Dopo qualche tornante, a quota 1950 piega a sinistra e prosegue nella discesa diretta verso sud-est che porta al centro della Val Caronella, all’alpe o malga Caronella (m. 1858). Qui incrociamo il sentiero che risale la media-alta valle dal suo imbocco, a monte di Carona, fino al passo di Caronella. Lasciamo quindi la Gran Via delle Orobie e cominciamo a scendere lungo la Val Caronella, restando sul suo lato sinistro (occidentale). Il sentiero scende ripido superando la soglia glaciale, dalla quale scende, alla nostra destra, la caratteristica cascata di Val Caronella. Raggiunta la media valle, prosegue verso nord fino alla radura alla quale giunge una pista sterrata, seguendo la quale passiamo per le baite di Pra' della Valle (m. 1363) e Pra' Gianni (m. 1343). Seguendola, scendiamo a Carona (m. 1135), uno dei più suggestivi ed importanti insediamenti del versante orobico. Imbocchiamo infatti la carozzabile che scende da Carona al fondovalle, lasciandola al primo tornante, per imboccare, sulla sinistra, la strada che traversa a Bondone. Procedendo in piano ed in leggera salita torniamo così a Bondone, dove recuperiamo l'automobile.

La val Bondone (termine che deriva dall’accrescitivo di “bonda”, termine lombardo che significa “conca”) appartiene al territorio tellino del versante orobico ed è fra le meno conosciute e frequentate del versante orobico valtellinese. Stretta com’è fra la val Caronella, ad est, e la val Malgina, ad ovest, dà l’impressione, a chi la guardi dal fondovalle, di essere una valle chiusa, angusta. In realtà così non è. Se, infatti, non è paragonabile, per ampiezza, alle valli vicine, offre, tuttavia, scenari di alta montagna che non deludono. I laghetti di Cantarena, in particolare, si propongono come meta di un’interessante escursione, alla portata di tutti, che tocca luoghi tranquilli, solitari ma non mesti. All’imbocco della valle si trova il paese che ha lo stesso nome, Bondone.
Per raggiungerlo, stacchiamoci dalla ss. 38 dello Stelvio a S. Giacomo di Teglio, in direzione del versante orobico. Attraversato il ponte sull’Adda, proseguiamo seguendo le indicazioni per Carona. Una strada che, in diversi punti, ha una carreggiata piuttosto stretta, risale il versante orobico, toccando diverse piccole frazioni del comune di Teglio. Dopo aver ignorato, sulla sinistra, la deviazione per la Val Belviso, raggiungiamo l’ultimo tornante che precede Carona. Prima del tornante, prestiamo attenzione alla deviazione segnalata, a destra, per Bondone. Lasciata la strada principale, ci immettiamo, quindi, su una strada sterrata, che porta alle case del grazioso paese (a 13 km da S. Giacomo di Teglio).
Qui troviamo, presso il torrente Bondone, la chiesa di S. Lorenzo (m. 1217), legata ad una leggenda davvero singolare, secondo la quale la Madonna, giunta qui con in spalla la culla di Gesù Bambino, fu tanto contenta dalla devozione semplice e fervente della gente, che aveva eretto in suo nome la chiesa stessa, da lasciare un regalo di incommensurabile valore: fu lei stessa a dipingere, nella chiesa, la sua immagine. Ecco perché il vero volto di Maria è quello che si ammira nella tela posta sopra l’altare della chiesa. Questa leggenda ci introduce al clima particolarissimo, raccolto, modesto ed insieme unico di questa valle.
Guardando a sud, possiamo già vederne un ampio scorcio. L’impressione è quella di una valle breve, quasi schiacciata contro la testata terminale, ed in effetti il torrente Bondone, che ha un corso complessivo di 7 km, ha la pendenza media più elevata rispetto a tutti gli altri torrenti orobici (il 28%). Quel che non sospettiamo è l’ampio terrazzo glaciale che ospita, al di sopra dei 2000 metri di quota, un interessante sistema di laghetti, la meta della nostra escursione.
Con l’automobile possiamo procedere poco oltre le case, prima di trovare il divieto di accesso, presso l’edicola del Parco delle Orobie Valtellinesi (m. 1250 circa). Proseguiamo, quindi, a piedi sulla pista sterrata, che si tiene, per un buon tratto, sulla sinistra (per chi sale) della valle, proponendo alcuni tornanti, per poi passare sul lato destro. Incontriamo, quindi, un cartello che indica la partenza di un sentiero che sale alla baita Streppaseghel (che si affaccia, a 2097 metri, sul versante orientale della val Malgina, ed è data ad un’ora e mezza di cammino, sulla Gran Via delle Orobie), alla baita Muracci (m. 1821, in val Malgina, data a 2 ore e 30 minuti) ed alla baita Cantarena (data ad un’ora e 50 minuti: dovremo raggiungerla anche noi, ma per altra via).
Ignorato questo sentiero, ci riportiamo sul lato sinistro della valle. Possiamo, in questo passaggio, osservare, a monte, lo sbarramento, a quota 1500 metri, che serve a raccogliere le acque del Bondone, sfruttate per la produzione di energia idroelettrica.


Val Bondone

Pochi tornanti ancora, ed eccoci ai prati dell’alpeggio Baita di Monte Basso (m. 1562). Guardando verso nord, possiamo osservare, a sinistra, un breve scorcio della Val Fontana ed al centro il versante montuoso sopra Teglio, che culmina nel pizzo Combolo. In basso, invece, è ben visibile Bondone, con il campanile della chiesa spostato sulla sinistra rispetto alle case.
La pista si conclude alle tre baite dell’alpe. Non ci portiamo a queste baite ma, prestando attenzione ai segnavia, la lasciamo prima, sulla destra, tagliando i prati e raggiungendo una fascia di ontani e macereti. Inizia, ora, una fase piuttosto faticosa ed anche un po’ noiosa nella salita, perché il sentiero, con diversi tornanti, mantiene una pendenza significativa, procedendo in direzione sud lungo il fianco montuoso. Dobbiamo vincere, infatti, il gradino glaciale che ci separa dal circo dell’alta valle. I segnavia, di diverso colore (bianco-rossi, rosso-bianco-rossi e bianco-rosso-bianchi, talora accompagnati dal numero 3 o anche 316) sorvegliano la nostra salita, che ci porta ad un primo terrazzo di pascoli e massi, dove intercettiamo la Gran Via delle Orobie, vale a dire il sentiero che effettua la traversata alta dell’intero versante orobico valtellinese.

Un cartello segnala che il sentiero che giunge da sinistra porta, in 20 minuti, al capanno di caccia Barecchetti ed in un’ora alla malga Caronella, nella valle omonima. Il medesimo sentiero, nella direzione opposta, conduce, in 40 minuti, alla baita Cantarena, in un’ora e 40 minuti alla già citata baita Streppaseghel, in 3 ore e 30 minuti alla baita Paltani (in val Malgina), oppure, con diverso itinerario dalla baita Cantarena, in un’ora e 20 minuti al lago Selù ed infine in 3 ore e 20 minuti al passo del Bondone. Il lago Selù, il più grande dei laghetti di Cantarena (denominato anche lago di Cantarena) è, appunto, la meta della nostra escursione.


Capanno di Caccia Barecchetti

Proseguiamo, quindi, nella salita, dapprima in direzione ovest, poi di nuovo sud, in uno scenario più gentile, contrappuntato da rocce scistose e radi larici, fino al bivio segnalato a quota 1840 m. circa, al quale lasciamo il sentiero 316 che prosegue verso la bassa valle e pieghiamo a sinistra , sul sentiero che traversa verso est e poi nord-est al Capanno di Caccia Barecchetti, tagliando il versante orientale della valle e procedendo fra larici e macereti. Procediamo poi nel bosco, prima in leggera salita, poi in discesa, verso nord, fino ad uscire alla radura che ospita il capanno di caccia Barecchetti (m. 1813) alla radura del Braghet (Braghéc'), appena ad ovest del crinale che separa la Val Bondone (Val Bundù) dalla Val Caronella (Val Carunèla).
Qui dobbiamo ignorare il sentiero 316 che scende verso nord-nord-ovest alla Baita Monte Basso (data a 50 minuti) ed a Bondone (dato ad un’ora e 50 minuti), prendendo invece il sentiero che prosegue diritto nord-est (indicazioni della GVO per la Malga Caronella, data a 40 minuti, la Malga Dosso, data ad un’ora e 40 minuti e la Malga Torena, data, data a 3 ore e 10 minuti).
Stando sulla parte alta della radura la attraversiamo e rientriamo nel bosco, dove il sentiero taglia il crinale ed inverte completamente la direzione, da nord a sud. Procediamo nel bosco in leggera salita, poi con pendenza più marcata, seguendo il crinale fino a quota 2000 metri circa, per poi volgere a sinistra e proseguire nella salita verso sud-sud-est, sul lato della Val Caronella. Fino ad una quota approssimativa di 2090 metri. Qui il sentiero piega a sinistra e scende per un tratto verso est, per poi piegare a destra, uscire su terreno aperto e proseguire la discesa verso sud, in un ampio avvallamento.


Malga Caronella

Dopo qualche tornante, a quota 1950 piega a sinistra e prosegue nella discesa diretta verso sud-est che porta al centro della Val Caronella, all’alpe o Malga Caronella (Malga Carunèla, m. 1858), vasto pianoro di isolotti rocciosi che costellano il pascolo. Vi passò il 18 agosto 1907 il naturalista ed alpinista Bruno Galli Valerio, che così la descrisse: "Poi, attraverso gande e scivolare lungo i nevai, tocco i primi pascoli di Caronella. Da più di sei ore non ho incontrato anima viva ed è un vero piacere imbattermi in due vitelli che mi guardano coi loro grandi occhioni curiosi. Poi incontro alcune capre e in fine dei pastori dalle randi barbe, vicino a due belle baite. E' un pascolo oltre ogni dire artistico: sfondo di rocce brune, aride, finemente frastagliate sul cielo azzurro, pascolo di un bel verde disseminato di coni rocciosi sui quali si erigono larici, sgraziatamente in parte disseccati." (da Punte e passi, a cura di L. Angelici ed A. Boscacci, edito, per il C.A.I. di Sondrio, dalla Tipografia Bettini di Sondrio nel 1998, pgg. 99-100)
Qui incrociamo il sentiero che risale la media-alta valle dal suo imbocco, a monte di Carona, fino al passo di Caronella. Lasciamo quindi la Gran Via delle Orobie e cominciamo a scendere lungo la Val Caronella, restando sul suo lato sinistro (occidentale). Il sentiero scende ripido superando la soglia glaciale, dalla quale scende, alla nostra destra, la caratteristica cascata di Val Caronella. Raggiunta la media valle, prosegue verso nord fino alla radura alla quale giunge una pista sterrata, seguendo la quale passiamo per le baite di Pra' della Valle (m. 1363) e Pra' Gianni (m. 1343). Seguendola, scendiamo a Carona (m. 1135), uno dei più suggestivi ed importanti insediamenti del versante orobico.
I suoi abitanti venivano, un tempo, soprannominati "I Pezù de Carona", perché, vuoi per indigenza, vuoi per parsimonia, pare usassero portare spesso e volentieri abiti rattoppati.
Ma la storia del paese non sembra suggerire scenari di povertà: esso, infatti, rivestì in passato un'importanza ed un rilievo anche economico ben maggiore rispetto a quanto la sua condizione attuale farebbe supporre, tanto che già nel 1310 avanzò richiesta di costituirsi in parrocchia autonoma, cosa che avvenne nel secolo successivo (1425). Singolarissima è la dedicazione della chiesa di Carona a Sant'Omobono, patrono di Cremona: non vi è alcun'altra chiese dedicata a tale santo nell'intera Diocesi di Como. E' probabile che essa sia legata all'immigrazione, in età medievale, di famiglie di origine cremonese, durante il periodo più tormantato della lotta fra i comuni lombardi e Federico Barbarossa.
Il vescovo di Como, Feliciano Ninguarda, così scrive nella relazione della sua visita pastorale del 1589: "Sulla stessa costa della montagna, a due miglia dell'Aprica, in direzione della bassa Valtellina, vi è un altro paese chiamato Carona: vi è la chiesa parrocchiale dedicata a Sant'Omobono dove è parroco il sac. Giampietro Crotti del luogo, abbastanza zelante nella cura delle anime, ma si va dicendo che è assai dedito agli affari profani: conta circa duecento famiglie, comprese le altre frazioni dipendenti sotto elencate, e gli abitanti sono tutti cattolici. A un miglio e mezzo da Carona vi è il villaggio detto Caprinale dove vi è la chiesa di S. Giovanni Battista in cui si seppelliscono i morti del luogo. A due miglia della parrocchia vi è un altro villaggio, detto Bondone, dove sorge la chiesa di Santa Maria in cui vengono sepolti i morti del villaggio stesso.” Le duecento famiglia contate dal vescovo corrispondono a 1000-1200 abitanti! Le due terribili epidemie di peste del 1630 e 1635 colpirono duramente, ma nel secolo successivo il vescovo Torriani, nella sua visita del 1668, rilevò ancora 120 famiglie, quindi 600-700 abitanti, cifra del tutto ragguardevole. L'importanza e la prosperità del paese ha radici già medievali ed era basata sullo sfruttamento delle miniere di ferro, piombo ed argento della vicina Val Belviso: basti ricordare che la mensa vescovile milanese vi possedeva forni, fucine e l'alpe Caronella, che poi passarono, dal 1534, alla famiglia tellina dei Besta. La sua posizione strategica l'antica presenza di fortificazioni, di cui, fino alla metà del XX secolo si poteva vedere ancora una torre, poi crollata. Per la sua importanza Carona fu anche, per breve periodo, comune autonono, dal 1816 al 1823; fino agli inizi del Novecento vi risiedevano stabilmente più di mille abitanti, ridotti oggi a poche unità.
A Carona è ambientata anche una leggenda raccontata da Alfredo Martinelli nella sua raccolta "L'erba della memoria" (Bissoni, Sondrio, 1964). Si tratta della leggenda delle "trombe d'argento della Caronella". Carona viene così descritta. "Il villaggio si stende su un invitante terrazzo sostenuto dall'ampio e resinoso bosco della Margata e s'affaccia aereo agli aperti orizzonti di molta parte della valle dell'Adda... Il paesello, fasciato dal manto perenne delle pinete, conserva ancora i ruderi di un'avita torre: abitazione rustica militaresca d'antichi signori feudali scampati ai tribuli delle grandi contrade... Antichissime devono essere le orogini di quel groviglio di abituri, ché una leggenda di tempi assai remoti ricorda come apparvero su quella rupe, su quei dossi e spalti, foltissime schiere di spiriti dei primi dissodatori della Valle al suono di buccine ricurve e snelle, squillanti trombe di rame e d'argento per soccorrere un popolo fuggente nelle sue ore funeste." Correva il V secolo d.C. ed orde di barbari, racconta la leggenda, invadevano il cadente Impero Romano d'Occidente, dilagando anche in Valtellina e mettendone in fuga gli abitanti, in preda a tettore e panico. Ciascuno portava con sé quel poco che poteva, ed una pietosa colonna di profughi risaliva il fondovalle da oriente ad occidente, in cerca di luoghi sicuri.
Giunti all'altezza di Teglio, gli sventurati si accorse che il cammino era sbarrato da un "anello di miasmi e di acquitrini, dove i torrenti e il fiume confluivano". Si videro già persi, già sentivano il clamore selvaggio dei barbari che li incalzava, quando udirono "un fortissimo clangore di strumenti" che proveniva dal versante orobico, dall'imbocco della Val Caronella, come di un'orchestra di potenti trombe ed altri strumenti mai uditi. Il rimbombo era fragoroso, e tutti si fermarono, sbigottiti: qual mai poderosa orchestra poteva produrre un concerto di tale potenza? Anche i barbari udirono il potente risuonare di strumenti che parevano trombe, si arrestarono, furono presi da sbigottimento e panico: "C'è stata una magia, c'è stato un incantesimo dei cristiani! No, è Camillo, è Mario, è Cesare che rivengono con i loro terribili militi!" Convinti che un sortilegio avessere rievocato dal regno dei morti i più grandi condottieri romani, si arrestarono e volsero le spalle ai fuggiaschi, tornando precipitosamente verso le porte di Valtellina. Era la salvezza. Alcuni fra i fuggiaschi vollero, però, salire per verificare cosa avesse prodotto quel fragoroso concerto che li aveva salvati. Videro, allora, che Carona era stata cinta "da fitta e alta siepe fatta di canne da granoturco, legate a fasci, misti a rovi... Mosse dall'aria si urtavano con fragore simile a un rovinio di ghiaia."


Carona

E le trombe? Niente trombe, in realtà, ma canne cave, ben disposte, le quali, in favore di vento, producevano un suono che, per il loro consistente numero, somigliava allo squillo poderoso di trombe. Chi non salì a vedere l'ingegnoso dispositivo allestito dagli abitanti di Carona, invece, credette ad un intervento divino, dell'Arcangelo Gabriele, della Madonna.
Una bella storia, che ci accompagna nell'ultimo e più monotono tratto dell'anello. Imbocchiamo infatti la carozzabile che scende da Carona al fondovalle, lasciandola al primo tornante, per imboccare, sulla sinistra, la strada che traversa a Bondone. Procedendo in piano ed in leggera salita torniamo così a Bondone, dove recuperiamo l'automobile.


Carona

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