SANTI (clicca qui per aprire la pagina relativa a questo giorno dal sito www.santiebeati.it): S. Carlo Borromeo, Rosalia

SANTI PATRONI: S. Carlo Borromeo (Faedo Valtellino)

PROVERBI

Se i mort vegnen ko i pé bagnà i kaminen ko i pe sciùt
(se i morti vengono con i piedi bagnati camminano con i piedi asciutti - Bormio)
De l’òtra part sa töl rée gnént, dùma li ròbi bùni fàci ala gént
(nell'aldilà non si porta nulla, se non il bene fatto alla gente - Tirano)
Dulúr de gumbet e de dòna mòrta, el dura da l’üs fin a la pòrta
(dolore di gomito e donna morta durano dall’uscio alla porta)
Aria rósa a la dumèn, tö su l'ombrel a mén (cielo rosso al mattino, prendi con te l'ombrello - Sondalo)
Al bun e ‘l gram al gh’è departüt (il buono ed il cattivo ci sono dappertutto - Tirano)
Se i štarnàdän i àsän al ven al bel téemp (se starnutano gli asini viene il bel tempo - Villa di Chiavenna)
Guäran da sang ben spess àn fin dalunga, la guära da la vita è lunga, lunga
(le guerre di sangue spesso si protraggono a lungo, la guerra della vita è lunga, lunga - Val Bregaglia)
Da budan gli en fiùr, da granc’ gli en preocupaziòn e dulùr
(da piccoli sono fiori, da grandi sono preoccupazioni e dolori - Poschiavo)

Culto dei morti

VITA DI UNA VOLTA

Lina Rini Lombardini, nel bel volumetto “In Valtellina - Colori di leggende e tradizioni” (Sondrio, Ramponi, 1950), scrive, sul culto dei morti in principio di novembre:
“... Tornando fra noi, portano doni spirituali; il pianto d'amore che sgorga dai nostri occhi è un pio lavacro. Portano doni, ne vogliono; hanno arsura di nostri doni. E in tutte le case, fluiscono i mesti rosari per i morti; e la gente, ragazzi compresi, s'alza, all'alba del 2 novembre per le solenni esequie; solenni anche perché chiamano sotto le grandi ali del perdono d'Iddio, la smisurata moltitudine di tutti i morti in Cristo.
L'onda della preghiera comune risale i secoli, cerca i nomi di tutti, fonde nel suffragio universale anche i suffragi perpetui par ticolari, chiesti in vari tempi, con testamenti e lasciti. Ad ascoltare la voce che viene dalle loro ingiallite pergamene, si respira una atmosfera di grande fede e di grande bontà; si sente vivo, come fosse d'oggi, il silenzioso dramma dei testatori, quel loro contrasto tra l'ombra che s'avanza e la luce che dilegua. Certi voci sembrano grida. « Lascio 5 fiorini del reno per la bella luminaria alla chiesa nel giorno della sagra ...; per una messa anniversario con 6 candele all'altare; per una messa annuale sulla mia tomba». «Lascio a suffragio dell'anima mia », si legge in testamenti bormiesi di secoli fa «la kaserada dei Mort» e poi quella raccomandazione ansiosa «in perpetuo, in perpetuo».

Per lo più l'offerta, è in frutti: segale, orzo, biade, grano; uguale la natura dell'elemosina, diverse secondo i tempi, le misure, ormai scomparse dall'uso; quarti e sestari, staia e moggie, «librette di burro, libbre di formaggio»; ma sempre viva in tutti i testamenti, la arsura d'avere un ricordo che duri, il bisogno avido di restringersi, con la parola, in modo toccante, ai semplici beni che stanno per lasciare. Balza su anche con una sola parola, l'amore alla terra, come a una parte viva di sè, indugiandovi con il pensiero in una precisazione accorata: « Lascio la rendita di quel prato con un noce grande ...; di quello che ha quattro castagni ...; della vigna (o della selva), che è sull'Adda (l'acqua, eterna viaggiatrice che sempre torna, e loro no, e loro mai più)». Appare l'amore anche per le bestie che lasciano «a frutto secondo la consuetudine del paese»; e qualche volta ne fanno il nome: «la mia vacca Stanza, la mia vacca Canziola».
Vigilante è la premura che l'elemosina «alli poverelli di Cristo» sia ottima: «pane ben cotto, pane benedetto, vino di prima qualità, formaggio fresco e salato ...». L'incarico di distribuirla è dato alla Chiesa o alle varie antiche confraternite e ancor oggi non del tutto estinte. L'epoca varia: molti chiedono che sia al tempo delle Rogazioni (oh primavera ...). Lembi d'anima, sospiri lunghi: «sulla porta di casa mia, nell'anniversario della mia morte ...». Che ansia d'un «ritorno» così; e forse la speranza d'assistere in ispirito, di risentire nell'aria nativa il proprio nome ...
Anticamente, e anche in un tempo abbastanza vicino, le offerte per i suffragi, si portavano addirittura alla chiesa, versandole su un pelorsc disteso sul sagrato. I canepari del Comune, o i vari Capitoli delle Elemosine, pensavano a conservare le offerte e a distribuirle. Due uomini erano incaricati per questo, dice lo Statuto di Bormio.
Ancora, in Bormio, si offre oggi la Kaserada dei mort; e fino a poco tempo fa, per elemosina, si davano le ferude. Mia madre ricorda bene la lunga fila di poveri che salivano la lunga scala di casa, e a capo della scala, vestita di nero, seria e pur cortese nel gesto, sua madre che a ognuno distribuiva gran mestoli di castagne apposta cotte.
In qualche luogo l'offerta di suffragio si fa nelle epoche più impensate. A mezza quaresima, ancor oggi i cavatori delle ardesie (giuelè) di Valmalenco, durante il loro allegro pranzo danno una elemosina a pro di quelli che sono morti nelle cave.”

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Oggi si celebra la festa patronale di Faedo Valtellino. La seguente carrellata di leggende vuol essere un omaggio a questo piccolo e simpatico paese del versante orobico mediovaltellinese.
Accendi le casse per ascoltare un mio brano per piano ispirato a queste leggende

Sarà perché c’era la fame, sarà perché c’era la necessità di tener buoni i bambini e dissuaderli dal frequentare luoghi pericolosi, sarà perché quando ci si ritrovava la sera, magari nel fienile, dopo il Rosario veniva il momento dei racconti che tenevano sospesi tutti, sarà perché non era ancora dilagato quell’universale disincantamento che fa del mondo la fiera del noto e del prosaico, sarà come sarà, ma un tempo le storie di paura fiorivano da una vena che pareva inesauribile. Di primo acchito si assomigliano un po’ tutte, ma poi, guardate con maggiore attenzione, in filigrana, mostrano ciascuna una coloritura propria. I volti della paura sono molti e, come in una famiglia, si assomigliano e richiamano, ma non si confondono.
In quel di Faedo, come in ogni paese di Valtellina, c’erano un tempo le streghe. Ma qui avevano un nome particolare: strega è la “dòna del giööc”, la “donna del gioco”. Niente a che vedere, ovviamente, con biscazziere o mattacchione: il “giööc” non è, infatti, il comune gioco, ma l’atto bizzarro, il dispetto, il gesto inaspettato ed apparentemente senza senso, ma in realtà con un profondo significato ed una potente valenza malefica. La strega, infatti, opera i suoi malefici anche attuando questi gesti di gioco: lanciare oggetti, tracciare segni, fare gesti indecifrabili, sono strumenti con i quali attira sulla testa dei malcapitati le più diverse sciagure. Un’interpretazione diverse dell’espressione la intende come “la moglie del gioco”, cioè la donna che si è sposata con giochi e balli, da sempre sospettati di essere porte aperte sul baratro del peccato.
Entrambe le espressioni sembrano accolte in questo testo del prefetto Angiolini (Sondrio, 1812): “l villici sono portati a personificare gli enti morali, o per meglio dire molti di questi. Quindi è che il giuoco, il ballo ecc. sono per essi qualche cosa di reale, a cui danno moglie. Queste mogli comprendono tutte le idee schifose e ributtanti; e quando si vuol nominare od indicare con disprezzo una vecchia squarquoia, si dice della stessa che assomiglia alle femmine del ballo o del gioco. Questa e le altre enunciate assurdità hanno suggerito a dei furbi la maniera di sbrigarsi de­gli armenti che pascolano in tenute di cui si vorrebbe ingiustamente profittare. Basta solo il gettare una pianella per entro ai pascoli medesimi: questa ritrovata dai pastori li getta nella maggiore costernazione, e gli obbliga ad abbandonare il pascolo a coloro che meno semplici non temono di valersene” (citato dal profilo del dialetto di Faedo tracciato da Remo Bracchi nel volume sui toponimi del paese).
In ogni caso, la donna del gioco è diventata una delle figure che, proprio per la sua indeterminatezza (ciascuno da sé dà corpo con la fantasia a questo enigmatico connubio fra megera e gioco), suscita una profonda tanto indefinita quanto profonda.
Più netti sono i contorni del classico diavolo: il diavolo è sempre lui, non si accompagna a giochi (anche se presiede i sabba, che però gioco non sono, ma atto di omaggio a lui), non si serve di simboli e gesti equivoci, ma va diritto allo scopo.
In una ricerca delle classi III, IV e V della scuola elementare di Faedo troviamo raccontate un paio di storie che hanno proprio per protagonista il diavolo, o un diavolo che frequentava la montagna di Faedo.
La prima ha come scenario la costruzione dell'antica e veneranda chiesetta di San Bernardo, così cara alle generazioni passate ed anche alle attuali di Faedo. Dovete sapere che non fu costruita da mano d'uomo, no, ma dalla mano stessa del Signore. Quando Dio si accinse a posare la prima pietra, il diavolo, che, come sempre, ci deve mettere lo zampino, se ne stava là, a guardarlo con occhio scettico.
"Che hai da guardare?", chiese il Signore, che, essendo Dio, lo sapeva già benissimo.
Il diavolo non volle dargli la soddisfazione di rispondere alla prima domanda, e se la fece ripetere, prima di degnarsi di profferrire verbo. "Scommettiamo... scommettiamo..."
"Scommettiamo che cosa?" domandò il Signore, con quel suo sguardo bonario e mite che solo il Signore sa non perdere mai.
"Scommettiamo che ci metto meno io, che sono solo un povero diavolo, a portar su fin qui dal torrente Venina la pietra più grossa sul fondovalle, con il solo dito mignolo, che tu a finire la tua chiesa? Se vinco, mi prendo la tua chiesa, se perdo, me ne vado da qui e non do più fastidi a quelli di Faedo."
Sorrise, il Signore, perché già sapeva come sarebbe andata a finire la cosa, ma non volle essere sprezzante, ed accettò la scommessa.
Il diavolo, allora, si pecipitò giù, in men che non si dica, sul fondo della valle, là dove un'ariaccia fredda tira sempre, anche d'estate, la luce stenta ad arrivare e di pietre grosse ce ne sono in buon numero. Volle essere leale e ne prese una ce, se proprio non era la più grossa, era fra le prima, e comincò a spingerla su per il crinale, arrancando e sbuffando, perché tirar su quel bolide era davvero una fatica del diavolo, tirarlo su con il solo mignolo... vi lascio immaginare! Ma era determinato più che mai a vincere la scommessa. Giunto a poca distanza dalla chiesetta, vide che il Signore era ancora piuttosto indietro nel lavoro. "E' fatta!", pensò, e si fermò a riposare. Fu un solo attimo di distrazione, ma gli fu fatale: allentò la presa del suo mignolaccio sul masso, e questo gli scivolò di lato e cominciò a rotolare giù, fino in fondo alla valle, fermandosi più o meno dov'era prima. Il diavolo ci restò tanto male che avrebbe voluto prendersi a cornate per la rabbia, ma non c'era tempo: la speranza è l'ultima a morire, ed allora si precipitò giù anche lui, riprese il masso e ricominciò l'imgrata salita verso la piana di S. Bernardo.
Venne su di nuovo con tutta l'energia di cui era capace, ma quando si riaffacciò al bordo dei prati vide che la chiesa era bell'e finita. Fu preso, allora, da un attacco di ira cieca, sferrò un pugno tanto vigoroso al masso, che l'impronta vi rimase impressa, e la si vede ancora oggi.
Lo hanno chiamato "crap de diàul". Poi se ne andò, imprecando, perché una scommessa è una scommessa, e lui doveva pagare pegno. Non sappiamo se si sia riservato di tornare, un giorno, per tornare ad insidiare quelli di Faedo. Ogni anno in molti accorrono da tutto il comune, nella festa del santo, la sagra del “pàa e vìi” (chiamata così perché viene donato a tutti pane e vino), anche per controllare. Non si sa mai.
In quella stessa ricerca si riporta una seconda leggenda, legata alla località "Ca' di Gai" (letteralmente "Casa dei Galli", semplicemente "Galli" sulla carta IGM), che si trova, a 626 metri, al termine della mulattiera che dai Gaggi (segnalazione) scende lungo il fianco scosceso della Val Venina. Oggi il maggendo è abbandonato, ma un tempo vi ferveva la vita dei contadini, ed il diavolo, che c'è sempre di mezzo, non mancava di frequentarlo.
Per procurarsi un nascondiglio, pensò di utilizzare un grande masso del torrente Venina e di portarlo in prossimità delle baite. Essendo, però, questo bagnato, mentre lo portava su gli scivolò dalle mani, schiacciandole. Cacciò, allora, un urlo potente, liberò la mano come potè e corse ad immergerla in una pozza d'acqua, per placare il dolore. rinunciò, quindi, all'idea del nascondiglio, e se ne andò da un'altra parte ad insidiare le anime dei Cristiani. restò, però, sul terreno l'impronta della sua manaccia pelosa, e restò anche il masso, a circa un chilometro dal maggengo, in direzione dell'interno della Val Venina. Gli anziani raccontano che a mezzanotte l'impronta si accende, come se ardesse, diventa rossa, fiammeggiante, emana sinistri bagliori. Ma anche di giorno c'è da aver paura: i pescatori che frequentano la zona se ne tengono ben alla larga!

STORIA
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AMBIENTE

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I PROVERBI SONO IN GRAN PARTE TRATTI DAI SEGUENTI TESTI:

Gaggi, Silvio, "Il volgar eloquio - dialetto malenco", Tipografia Bettini, Sondrio, 2011
Laura Valsecchi Pontiggia, “Proverbi di Valtellina e Valchiavenna”, Bissoni editore, Sondrio, 1969
Gabriele Antonioli, Remo Bracchi, "Dizionario etimologico grosino" (Sondrio, 1995, edito a cura della Biblioteca comunale di Grosio)
Dott. Omero Franceschi, prof.ssa Giuseppina Lombardini, "Costumi e proverbi valtellinesi", Ristampa per l'Archivio del Centro di Studi Alpini di Isolaccia Valdidentro, 2002
AA.VV. "A Cà Nossa ai le cünta inscì", a cura della Biblioteca Comunale di Montagna in Valtellina, Piccolo Vocabolario del dialetto di Montagna con detti, proverbi, filastrocche e preghiere di una volta (1993-1996)
Glicerio Longa, "Usi e Costumi del Bormiese”, ed. "Magnifica Terra", Sondrio, Soc. Tipo-litografica Valtellinese
"Parla 'me ta mànget - detti, proverbi e curiosità della tradizione comasca, lecchese e valtellinese", edito da La Provincia, 2003
Pier Antonio Castellani, “Cento proverbi, detti e citazioni di Livigno” I Libri del Cervo, Sondrio, 1996
Pier Antonio Castellani, “Cento nuovi proverbi, detti e citazioni di Livigno” I Libri del Cervo, Sondrio, 1999
Pier Antonio Castellani, “Cento altri, detti e citazioni di Livigno” I Libri del Cervo, Sondrio, 2000
Pier Antonio Castellani, "Detti e citazioni della Valdidentro", I Libri del Cervo, Sondrio, 2000
Luigi Godenzi e don Reto Crameri, "Proverbi, modi di dire, filastrocche raccolti a Poschiavo, in particolare nelle sue frazioni", con la collaborazione di alcune classi delle Scuole di Avviamento Pratico, Tip. Menghini, Poschiavo (CH), 1987
Lina Lombardini Rini, "Favole e racconti in dialetto di Valtellina", Edizioni Sandron, Palermo-Roma, 1926
Cici Bonazzi, “Detti, proverbi, filastrocche, modi di dire in dialetto tiranese”, ed. Museo Etnografico Tiranese, Tirano, 2000
Luisa Moraschinelli, "Dizionario del dialetto di Aprica", IDEVV (Istituto di Dialettologia e di Etnografia Valtellinese e Valchiavennasca"), Sondrio, 2010
Tarcisio Della Ferrera, Leonardo Della Ferrera (a cura di), "Vocabolario dialettale di Chiuro e Castionetto", Comune di Chiuro ed IDEVV (Istituto di Dialettologia e di Etnografia Valtellinese e Valchiavennasca"), Sondrio, 2008 (cfr. anche www.dialettochiuro.org)
Giovanni Giorgetta, Stefano Ghiggi (con profilo del dialetto di Remo Bracchi), "Vocabolario del Dialetto di Villa di Chiavenna", IDEVV (Istituto di Dialettologia e di Etnografia Valtellinese e Valchiavennasca"), Sondrio, 2010
Luigi Berti, Elisa Branchi (con contributo di Remo Bracchi), "Dizionario tellino", IDEVV (Istituto di Dialettologia e di Etnografia Valtellinese e Valchiavennasca"), Sondrio, 2003
Sergio Scuffi (a cura di), "Nü’n cuštümàva – Vocabolario dialettale di Samolaco", edito nel 2005 dall’Associazione Culturale Biblioteca di Samolaco e dall’Istituto di Dialettologia e di Etnografia Valtellinese e Valchiavennasca. Giacomo Maurizio, "La Val Bargaia", II parte, in "Clavenna" (Bollettino della Società Storica Valchiavennasca), 1970 Gabriele Antonioli e Remo Bracchi, "Dizionario etimologico grosino", Sondrio, 1995, edito a cura della Biblioteca Comunale di Grosio.
Silvana Foppoli Carnevali, Dario Cossi ed altri, “Lingua e cultura del comune di Sondalo” (edito a cura della Biblioteca Comunale di Sondalo)
Serafino Vaninetti, "Sacco - Storia e origini dei personaggi e loro vicissitudini degli usi e costumi nell'Evo", Edizioni Museo Vanseraf Mulino del Dosso, Valgerola, 2003
Sito www.fraciscio.it, dedicato a Fraciscio
Sito www.prolocodipedesina.it, dedicato a Pedesina
Massara, Giuseppe Filippo, "Prodromo della flora valtellinese", Sondrio, Della Cagnoletta, 1834 (ristampa anastatica Arnaldo Forni Editore)
Massara, Giuseppe Filippo, "Prodromo della flora valtellinese", Sondrio, Della Cagnoletta, 1834 (ristampa anastatica Arnaldo Forni Editore)


Utilissima anche la consultazione di Massimiliano Gianotti, "Proverbi dialettali di Valtellina e Valchiavenna", Sondrio, 2001

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PRINCIPALI TESTI CONSULTATI:

Laura Valsecchi Pontiggia, “Proverbi di Valtellina e Valchiavenna”, Bissoni editore, Sondrio, 1969
Gabriele Antonioli, Remo Bracchi, "Dizionario etimologico grosino" (Sondrio, 1995, edito a cura della Biblioteca comunale di Grosio)
Dott. Omero Franceschi, prof.ssa Giuseppina Lombardini, "Costumi e proverbi valtellinesi", Ristampa per l'Archivio del Centro di Studi Alpini di Isolaccia Valdidentro, 2002
Tullio Urangia Tazzoli, "La contea di Bormio – Vol. III – Le tradizioni popolari”, Anonima Bolis Bergamo, 1935;
AA.VV. "A Cà Nossa ai le cünta inscì", a cura della Biblioteca Comunale di Montagna in Valtellina, Piccolo Vocabolario del dialetto di Montagna con detti, proverbi, filastrocche e preghiere di una volta (1993-1996);
Giuseppina Lombardini, “Leggende e tradizioni valtellinesi”, Sondrio, ed. Mevio Washington, 1925;
Lina Rini Lombardini, “In Valtellina - Colori di leggende e tradizioni”, Sondrio, Ramponi, 1950;
Glicerio Longa, "Usi e Costumi del Bormiese”, ed. "Magnifica Terra", Sondrio, Soc. Tipo-litografica Valtellinese 1912, ristampa integrale nel 1967 a Bormio e II ristampa nel 1998 a Bormio a cura di Alpinia Editrice;
Glicerio Longa, "Vocabolario Bormino”, Perugia, Unione Tipografica Cooperativa, 1913;
Marcello Canclini “Raccolta di tradizioni popolari di Bormio, Valdisotto, Valfurva, Valdidentro e Livigno – Il ciclo della vita – La nascita e l'infanzia” (Centro Studi Storici Alta Valtellina, 2000);
Marcello Canclini “Raccolta di tradizioni popolari di Bormio, Valdisotto, Valfurva, Valdidentro e Livigno – Il ciclo della vita – Fidanzamento e matrimonio” (Centro Studi Storici Alta Valtellina, 2004);
Luigi De Bernardi, "Almanacco valtellinese e valchiavennasco", II, Sondrio, 1991;
Giuseppe Napoleone Besta, "Bozzetti Valtellinesi", Bonazzi, Tirano, 1878;
Ercole Bassi, “La Valtellina (Provincia di Sondrio) ”, Milano, Tipografia degli Operai, 1890;
"Ardenno- Strade e contrade", a cura della cooperativa "L'Involt" di Sondrio;
"Castione - Un paese di Valtellina", edito a cura della Biblioteca Comunale di Castione, in collaborazione con il Sistema Bibliotecario di Sondrio;
don Domenico Songini, “Storie di Traona – terra buona”, vol. II, Bettini Sondrio, 2004;
don Domenico Songini, “Storia e... storie di Traona – terra buona”, vol. I, Bettini Sondrio, 2001;
Scuola primaria di Sirta: calendari 1986 e 1991 (a cura dell'insegnante Liberale Libera);
Luisa Moraschinelli, “Uita d'Abriga cüntada an dal so dialet (agn '40)”;
Giovanni Bianchini e Remo Bracchi, "“Dizionario etimologico dei dialetti della Val di Tartano”, Fondazione Pro Valtellina, IDEVV, 2003;
Rosa Gusmeroli, "Le mie care Selve";
Cirillo Ruffoni, "Ai confini del cielo - la mia infanzia a Gerola", Tipografia Bettini, Sondrio, 2003;
Cirillo Ruffoni, "Chi va e chi resta - Romanzo storico ambientato in bassa Valtellina nel secolo XV", Tipografia Bettini, Sondrio, 2000;
Cirillo Ruffoni, "In nomine Domini - Vita e memorie di un comune della Valtellina nel Trecento", Tipografia Bettini, Sondrio, 1998;
Mario Songini (Diga), "La Val Masino e la sua gente - storia, cronaca e altro", Comune di Val Masino, 2006;
Tarcisio Della Ferrera, "Una volta", Edizione Pro-Loco Comune di Chiuro, 1982;
"Parla 'me ta mànget - detti, proverbi e curiosità della tradizione comasca, lecchese e valtellinese", edito da La Provincia, 2003;
Massimiliano Gianotti, "Proverbi dialettali di Valtellina e Valchiavenna", Sondrio, 2001;
Associazione Archivio della Memoria di Ponte in Valtellina, "La memoria della cura, la cura della memoria", Alpinia editrice, 2007;
Luisa Moraschinelli, "Come si viveva nei paesi di Valtellina negli anni '40 - l'Aprica", Alpinia editrice, 2000;
Aurelio Benetti, Dario Benetti, Angelo Dell'Oca, Diego Zoia, "Uomini delle Alpi - Contadini e pastori in Valtellina", Jaca Book, 1982;
Patrizio Del Nero, “Albaredo e la via di San Marco – Storia di una comunità alpina”, Editour, 2001;
Amleto Del Giorgio, "Samolaco ieri e oggi", Chiavenna, 1965;
Ines Busnarda Luzzi, "Case di sassi", II, L'officina del Libro, Sondrio, 1994;
aa.vv. “Mondo popolare in Lombardia – Sondrio e il suo territorio” (Silvana editoriale, 1995) Pierantonio Castellani, “Cento proverbi, detti e citazioni di Livigno” I Libri del Cervo, Sondrio, 1996 Pierantonio Castellani, “Cento nuovi proverbi, detti e citazioni di Livigno” I Libri del Cervo, Sondrio, 1999 Pierantonio Castellani, “Cento altri, detti e citazioni di Livigno” I Libri del Cervo, Sondrio, 2000
Cici Bonazzi, “Detti, proverbi, filastrocche, modi di dire in dialetto tiranese”, ed. Museo Etnografico Tiranese, Tirano, 2000
Luisa Moraschinelli, "Dizionario del dialetto di Aprica", IDEVV (Istituto di Dialettologia e di Etnografia Valtellinese e Valchiavennasca"), Sondrio, 2010
Tarcisio Della Ferrera, Leonardo Della Ferrera (a cura di), "Vocabolario dialettale di Chiuro e Castionetto", Comune di Chiuro ed IDEVV (Istituto di Dialettologia e di Etnografia Valtellinese e Valchiavennasca"), Sondrio, 2008 (cfr. anche www.dialettochiuro.org)
Giovanni Giorgetta, Stefano Ghiggi (con profilo del dialetto di Remo Bracchi), "Vocabolario del Dialetto di Villa di Chiavenna", IDEVV (Istituto di Dialettologia e di Etnografia Valtellinese e Valchiavennasca"), Sondrio, 2010
Luigi Berti, Elisa Branchi (con contributo di Remo Bracchi), "Dizionario tellino", IDEVV (Istituto di Dialettologia e di Etnografia Valtellinese e Valchiavennasca"), Sondrio, 2003
Pietro Ligari, “Ragionamenti d’agricoltura” (1752), Banca Popolare di Sondrio, Sondrio, 1988
Saveria Masa, “Libro dei miracoli della Madonna di Tirano”, edito a cura dell’Associazione Amici del Santuario della Beata Vergine di Tirano” (Società Storica Valtellinese, Sondrio, 2004)
Sergio Scuffi (a cura di), "Nü’n cuštümàva – Vocabolario dialettale di Samolaco", edito nel 2005 dall’Associazione Culturale Biblioteca di Samolaco e dall’Istituto di Dialettologia e di Etnografia Valtellinese e Valchiavennasca. Giacomo Maurizio, "La Val Bargaia", II parte, in "Clavenna" (Bollettino della Società Storica Valchiavennasca), 1970 Gabriele Antonioli e Remo Bracchi, "Dizionario etimologico grosino", Sondrio, 1995, edito a cura della Biblioteca Comunale di Grosio.
Silvana Foppoli Carnevali, Dario Cossi ed altri, “Lingua e cultura del comune di Sondalo” (edito a cura della Biblioteca Comunale di Sondalo)
Serafino Vaninetti, "Sacco - Storia e origini dei personaggi e loro vicissitudini degli usi e costumi nell'Evo", Edizioni Museo Vanseraf Mulino del Dosso, Valgerola, 2003
Sito www.fraciscio.it, dedicato a Fraciscio
Sito www.prolocodipedesina.it, dedicato a Pedesina
Massara, Giuseppe Filippo, "Prodromo della flora valtellinese", Sondrio, Della Cagnoletta, 1834 (ristampa anastatica Arnaldo Forni Editore)
Galli Valerio, Bruno, "Materiali per la fauna dei vertebrati valtellinesi", Sondrio, stab. tipografico "Quadrio", 1890

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