SANTI (clicca qui per aprire la pagina relativa a questo giorno dal sito www.santiebeati.it): S. Gaetano da Thiene, Mafalda

SANTI PATRONI: S. Carpoforo (Delebio)

PROVERBI

L'umbrìa d'estàa la fa mal d'inverun (l'ombra, cioè il brutto tempo, d'estate fa male in inverno – Sostila)
La prima rusàda d’aòst la rinfresca ‘l bòsk (la prima rugiada d’agosto rinfresca il bosco – Val Tartano)
El diàvul el ga cürt la cua! (il diavolo ha la coda corta)
Amòr de fradéi, amòr de curtéi (amore di fratelli, amore di coltelli - Sondalo)
Al perdunà l’è de bun cristiàn, al desmentegàs l’è de ‘n can
(perdonare è da buon cristiano, dimenticare è da cani - Tirano)
Se pò miga cantà e purtà la crùus (non si può cantare e portare la croce - Sacco, Valgerola)
Con el föch se pròva l'òr, con l'òr se pròva la dòna, con la dòna se pròva l'ùm
(con il fuoco si vaglia l'oro, con l'oro si vaglia la donna e con la donna si vaglia l'uomo - Sacco, Valgerola)
Chi ca gh'à miga uantadör i sa uanta da par lör (chi non ha nessuno che lo vanti si vanta da solo - Aprica)
Chi vùsa püsé la vàca l’è sua (la mucca è di chi grida più forte)
Indua c'al fundament è carità, e poc e poc är l'amur flurirà
(dove la carità fa da fondamento, poco a poco fiorità anche l'amore - Val Bregaglia)
Spess al vec’ al met a durmì 'l giùan (spesso il vecchio mette a dornire il giovane - Poschiavo)

VITA DI UNA VOLTA

Così Tarcisio Della Ferrera, nel bel volumetto "Una volta" (Edizione Pro-Loco Comune di Chiuro, 1982), descrive la caratteristica festa alpestre di Dalico, sopra Castionetto di Chiuro:
Sul monte Dalico, a metri 1550 s/m, sorge una chiesuola dedicata a S. Gaetano. Non si conosce l'epoca della costruzione, ma certamente la chiesetta è molto antica, perchè nessuno dei vecchi che ho interrogato sull'argomento ha saputo indicarmi una data, anche approssimativa.
San Gaetano è, con San Bartolomeo, il compatrono di Castionetto e la chiesetta votiva sul monte è un pegno di fede e di devozione di quella brava gente. Molti alpigiani, passando accanto, una volta, si levavano il cappello e recitavano una preghiera perché il Santo proteggesse il bestiame sui pascoli ripidi e un po' pericolosi del Dalico.

Il calendario liturgico porta la festa di San Gaetano il 7 agosto e in questo giorno in paese, fino a pochi anni fa, la ricorrenza era celebrata con grande solennità. I montanari però, che passavano i mesi estivi sul monte, celebravano la festa di San Gaetano la prima domenica di giugno, quando il parroco del paese portava in solenne processione la reliquia del Santo sulla chiesetta alpestre. Per quell'epoca tutte le baite erano aperte e il bestiame, allora numeroso, dopo una breve sosta nei maggenghi di mezza montagna, Balt, Pol e Crap, aveva raggiunto l'alpe più alta.
La festa di San Gaetano del mese di giugno era nota anche in molti paesi vicini e parecchi pontaschi e chiuraschi si univano nella celebrazione alla gente di Castionetto.
L'aspetto più caratteristico e interessante della festa era la processione che, partendo dalla chiesa parrocchiale del paese, si snodava per il pendio del monte seguendo mulattiere e sentieri e raggiungeva la chiesetta sulla montagna, dove veniva celebrata la santa messa. Alla processione partecipavano tutti, donne, uomini, giovani e bambini, alcuni per devozione e altri per consuetudine e tradizione. La durata della processione era di circa quattro ore, dalle 6 alle 10, con una buona sosta a metà percorso per una piccola merenda offerta dalla fabbriceria della chiesa. Alcuni giovani volonterosi, precedendo i fedeli, portavano al Pol, circa a metà montagna, due o tre gerle di pane fresco di segale e qualche barilotto di vino da offrire a tutti i partecipanti, i quali, ricevuta la propria razione di pane e di vino, si sedevano sul ciglio della strada e mangiavano in allegria il dono della provvidenza. Anche il prete chiudeva il libro dei salmi e si levava la stola; i chierichetti, i confratelli e le consorelle si toglievano per un momento camici e cappe è mangiavano in lieta compagnia.
Alcune soste di devozione e di preghiera venivano fatte in vari punti, davanti a semplici croci di legno, poste ai crocicchi dei sentieri e della mulattiera principale. Davanti a queste croci, che i montanari adornavano per l'occasione con rami di abete e fiori alpestri, il prete leggeva un "Vangelo" e recitava qualche antifona.
La processione proseguiva e raggiungeva le varie località dove sorgevano le baite del Dalico. Al mattino i montanari si erano fatti premura di preparare, davanti alle porte del baitel, una bella conca di latte fresco, con una ciotola di legno e un mestolo, perchè tutti potessero attingere e bere a volontà. Qualcuno riempiva anche qualche borraccia.
Una sosta di particolare interesse era quella che si faceva nella località detta Ca' Vegi. Qui venivano lette dal sacerdote le solite antifone e e i fedeli raggiungevano poi una sorgente poco lontana (baitel di Ca' Vegi), una delle poche del Dalico, la quale dava abbondanza di acqua fresca e limpida, ma qualche anno, magari dopo un inverno con scarse nevicate, rimaneva asciutta, con grave disagio delle baite vicine. Il prete benediva con particolare fervore questa fonte e, dice qualche vecchio, vi spargeva sopra cinque granelli di sale.
Intanto scendevano dal monte i rintocchi della campana della chiesetta. Il dolce suono si disperdeva nell'aria limpida e fresca tra il profumo dei larici e dei pini, delle genzianelle e dei ranuncoli che coprivano come manti azzurri e gialli i prati e i pascoli.
Quando tutti erano giunti alla chiesa, dopo un breve riposo, iniziava la messa. La chiesetta, che può contenere poche decine di persone, era stipata dalla gente del monte; gli altri fedeli, quelli venuti in processione dal paese, si assiepavano sulla piazzetta antistante e tutti seguivano con devozione il sacro rito.
Terminata la funzione, tutti sciamavano allegri verso le proprie baite, desiderosi di consumare il pranzo tradizionale di quel giorno: la polenta en fiù. È questa una variante della più nota e celebrata polenta taragna, ma di questa non meno buona e appetitosa. Consiste in polenta nera, non fatta cuocere in acqua e condita con burro e formaggio, ma cotta direttamente in pura e fresca panna di latte. Qualcuno dice che è migliore della taragna tradizionale.
A metà pomeriggio i fedeli riprendevano la processione di ritorno, che si concludeva in serata alla chiesa parrocchiale del paese.”

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Il monte Legnone

Ricorre oggi la festa patronale di Delebio. Per onorare questo illustre paese del versante orobico della bassa Valtellina, ecco una carrellata di leggende legate al monte che lo sovrasta, l'inconfondibile Legnone, che, con il suo profilo a corno, chiude solennemente la compagine occidentale della catena orobica.

Il Legnone. Chiamarlo semplicemente monte sarebbe un'offesa. E' un'icona, innanzitutto: con il suo inconfondibile profilo a forma di corno il poema sinfonico della catena orobica propone un ultimo poderoso acuto, prima di spegnersi nelle profonde acque del Lario. Un'icona che gode del primato della cima più vista o comunque riconosciuta da sentieri, alpeggi e cime del versante retico della media e bassa Valtellina. E', più ancora, un piccolo mondo, popolato, in passato, da orsi, lupi, greggi di capre e pecore, armenti, camosci, galli selvatici e pernici, un microcosmo in cui natura, storia ed immaginazione hanno realizzato nei secoli un equilibrio che oggi è sicuramente incrinato, ma forse non ancora irrimediabilmente compromesso. Un piccolo mondo che si affaccia ad ovest ai dolci profili lariani, ad est alle dense ombre dell'intatta Val lesina, a nord alle estreme propaggini della valle dell'Adda, a sud ai vertiginosi versanti della Val Varrone. La sua cima è, in assoluto, fra le più panoramiche della catena orobica: sotto tale profilo, teme il confronto solo con il vicino ed altrettanto noto pizzo dei Tre Signori.
La significatività del monte è testimoniata dai molti nomi che ha ricevuto nel corso dei secoli. Il più antico, in epoca pre-romana, fu "Lineo", dal termine celto-ligure "lin", che significa "acqua": la conformazione dei suoi versanti, infatti, lo rende un naturale serbatoio di accumulo di neve che, a primavera, viene incanalata sui versanti e rifluisce a valle. Per i Romani, poi, esso fu il "Tricuspide", perché da Mandello (cui giungevano le loro imbarcazioni nella navigazione del lago da Como a Samolaco) sembrava culminare in tre diverse cime. Poi, nell'alto medioevo, riaffiora l'antica radice "Lineo", ed in un documento dell'anno 879 risulta come monte "Lineone". Da qui a "Legnone" il passo è breve (nel 1256: "Mons Legnonum").

Fra gli elementi di interesse del monte figurava, anche, in passato, la presenza del più basso ghiacciaio d'Europa, nel vallone chiamato Valorga, dove cavalieri e nobildonne mandavano a prendere il ghiaccio per conservare fresche le vivande nella stagione estiva (ed ancora negli anni Cinquanta e Sessanta del secolo scorso dalla Valorga si prelevava ghiaccio a questo scopo, ed in particolare per preparare granite alla vaniglia consumate nella sagra agostana di San Rocco - 16 agosto -). Oggi del ghiacciaio non resta praticamente più nulla: solo neve di slavina che rimane per tutta l'estate, anche perché protetta da tronchi e detriti.
Dalla storia alla leggenda: sul Legnone e le sue falde ne sono fiorite tante, che parlano di streghe, di orsi e di lupi (spesso presentati come metamorfosi delle streghe). Si racconta perfino di un uomo selvatico, concorrente, per modo di dire, per più famoso "homo salvadego" della Val Gerola. Ercole Bassi spiega, però, che non si tratta di una semplice leggenda, e, in un articolo pubblicato su "Le vie del bene", scrive: "Io ho conosciuto anche l'uomo selvaggio. Era costui un contadino che viveva affatto solitario in una casupola isolata sui fianchi del monte Legnone a Canargo di sotto e viveva col latte di una vacca e di qualche capra e un po’ di farina, di patate e d'altro che i suoi parenti gli portavano. Non era pazzo e non sentii che avesse fatto male ad alcuno. Molti lo temevano, e non ho mai potuto sapere perché conducesse tale vita".

Il piccolo mondo del Legnone, dunque, era anche un eremo, eletto per scelta propria o per forza, come accadde a quel giovane di Colico di cui parla, nel medesimo articolo, il Bassi: "Era di Colico, imputato di fratricidio. Si diceva che aveva ucciso per legittima difesa e poi si era rifugiato sul Legnone, ove non faceva male a nessuno e d'estate si occupava come pastore su qualche alpeggio. Persone fidate e parenti gli portavano da mangiare nelle altre stagioni in punti intesi ma sempre diversi. Era stato processato alle Assise di Como, e condannato in contumacia a gravissima pena. Ebbi a trovarlo una volta all'alpe Scuggione sopra Colico, e mi fece l'impressione di buon uomo. Dopo oltre un ventennio di questa vita, quando ormai egli sperava di non essere più ricercato, i carabinieri poterono una volta sorprenderlo nel suo rifugio. Fu rifatto il processo ed egli fu assolto." Una storia così non poteva avere un esito diverso.
C'è, però, da dire che si diffuse ben presto una versione più romanzata della vicenda (meglio, della sua chiusura). E allora le cose forse andarono così. Il cosiddetto bandito del Legnone, dopo una condanna per omicidio, si era rifugiato all'alpe Scoggione e, dopo una tranquilla vita come pastore e boscaiolo, fu sorpreso da una pattuglia di gendarmi, quando ormai non si aspettava più che lo cercassero. Non si oppose alla cattura, ed anzi si congratulò con i militi per l'abilità che aveva consentito loro di trovarlo (non era facile, infatti, scovarlo, dato che non dimorava in un posto fisso e la gente del monte lo aiutava, convinta che non avesse ucciso per colpa, ma per legittima difesa). Li invitò addirittura, ad ccomodarsi alla sua tavola, prima di incatenarlo e portalo via: si erano proprio meritati una bella scodella di gustosa panna. Non sembrava pericoloso, ed i gendarmi, vinto il primo moto di diffidenza, accettarono. Si erano già accomodati al modesto tavolo di legno, quando videro il bandito afferrare, con una sola mano, una grande conca di rame, ricolma di latte e panna, porgendola loro con gesto lento e quasi studiato, senza alcuno sforzo apparente. Tutti pensarono la stessa cosa: solo un individuo dalla forza sovrumana può alzare con tanta facilità un peso così grande. Al pensiero di ciascuno fece seguito la decisione di tutti: ringraziarono per l'ospitalità e tolsero, con discrezione e circospezione, il disturbo. In fondo avrebbero sempre potuto dire che la pattuglia era andava a vuoto, come sempre. Perché rischiare di mettere alla prova la forza di quei muscoli poderosi? Alla fine tutti furono contenti: il brigante continuò la sua vita tranquilla, la gente, affezionata, continuò ad aiutarlo, i gendarmi pensarono che non tutti i gaglioffi in libertà son poi veramente gaglioffi.

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Non si può chiudere la carrellata degli eremiti del Legnone senza menzionare la figura più singolare, quella della cosiddetta "Castellana di Piazza Calda". E' sempre il Bassi a darcene notizia: "Ho conosciuto anche una giovane avvenente figlia di intelligenti artieri, che passava la maggior parte dell'anno sola, a 1100 metri, in una località della "Piazza Calda", ove teneva una casetta, stalla fienile, e vi coltivava un orto con patate, insalata, fagiuoli e piante di frutta. Vi allevava delle api rustiche, e nella primavera scese l'orso a mangiarle il miele... Era una giovine seria e laboriosa, e s'intratteneva volentieri con chi la frequentava".
Vero signore del Legnone era, però, nei secoli passati non l'uomo, ma l'orso. Ecco di nuovo il Bassi: "L'orso era pericoloso agli armenti che pascolavano all'aperto sugli alpeggi, li avvicinava cauto di notte, assaliva una capra, un vitello da tergo, e con la preda cercava allontanarsi e percorrere lunghe miglia, spesso passando da un versante all'altro di una valle, di un monte. Gli armenti, terrorizzati, fuggivano all'impazzata, accorrevano i pastori, inseguivano l'orso con la preda, e a bastonate l'obbligavano spesso ad abbandonarla. Era più terribile nella primavera, quando si svegliava nel suo sonno letargico, era affamato e non trovava di cibarsi di erbe, allora si abbassava sino ai prati maggenghi. Saliva sui tetti delle stalle ove sentiva si trovavano pecore e capre, rimuoveva con le zampe le lastre di pietra che li ricoprivano e saltava dentro a satollarsi. In generale non era ritenuto feroce, e ben di rado assaliva l'uomo, se lo scorgeva si allontanava per altre direzioni. Ci fu chi si dilettava a raccontare d'averlo incontrato sopra uno stretto e ripido sentiero, di essere stato afferrato, e posto dietro a sè dall'orso che continuò la sua via."

Ed ancora, sugli orsi del Legnone, ecco quanto scrive Bruno Galli Valerio, alpinista e naturalista che molto amò queste montagne: "Ma laggiù, là sul versante del Legnone, gli orsi erano feroci o mattacchioni. Tutti ne hanno sentito parlare! Per molto tempo, Legnone e orsi sono stati una sola cosa. Mi pare ancora di vedere l'enorme bestia dalla pelliccia quasi nera, che si era lanciata contro due cacciatori ferendo gravemente l'uno, prima di cadere sotto le palle di fucile dell'altro.
Un altro orso vagava un giorno tranquillo lungo un sentiero della Val della Lesina, quando incontrò un toro. Il sentiero era talmente stretto che i due animali si fermarono e si guardarono ben bene negli occhi. Poi l'orso si leccò i baffi: da molto tempo, non gli era capitato sotto gli artigli un così buon boccone! Si drizzò grugnendo sulle zampe posteriori e si gettò sul toro, ma quest'ultimo, più agile, abbassò la testa e con un abile colpo di corna, inchiodò l'avversario contro la roccia aprendogli il ventre. E il povero Martino lasciò cadere la sua grossa testa sul petto gli occhi chiusi, ma restò dritto, perché il toro, per la paura che fosse ancora vivo, lo teneva inchiodato con le corna. Qualcuno dice che il toro è rimasto nella stessa posizione fino a morir di fame, ma altri assicurano che i pastori lo liberarono tre o quattro giorni dopo guadagnandoci la pelle dell'orso.


Ma il Legnone ha avuto l'orso più famoso: l'orso chirurgo. Un gozzuto che passeggiava nella Val della Lesina, vide due orsacchiotti che giocherellavano nel bosco. L'occasione era eccellente per impossessarsene. Si avvicinò, tranquillo tranquillo, ma l'orsa, che era nascosta, si lanciò su di lui, lo gettò a terra e con un colpo di artigli, gli aprì la gola. Ne uscì un secchio d'acqua e il povero diavolo si sentì tutto risollevato, perché respirava meglio. Quando scese al piano, tutti furono strabiliati: - Dove hai lasciato il gozzo? -. E tutti seppero allora che nella Val della Lesina c'era un celebre chirurgo, specialista nell'operazione al gozzo. Non so se altri si sono decisi a farsi operare dall'orso. La leggenda dell'orso chirurgo divertì molto tutta la compagnia che mi chiedeva altre storie di orsi, ma esse erano terminate con gli orsi che le avevano generate.” (Bruno Galli Valerio, “Punte e passi”, a cura di Luisa Angelici ed Antonio Boscacci, Sondrio, 1998).

Poi la caccia sistematica ha privato il Legnone del suo antico signore. Ma anche così ferito, rimane un monte intrigante quant'altri mai. Un monte che non si lascia raggiungere facilmente, almeno dal versante valtellinese, perché richiede molte ore di salita ed un'attenzione ancora maggiore. Uno dei pochi segni della montagna indomita, forse. Ancora oggi.

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Nella pregevole raccolta "Costumi e proverbi valtellinesi" (Ristampa per l'Archivio del Centro di Studi Alpini di Isolaccia Valdidentro, 2002), di Omero Franceschi e Giuseppina Lombardini, troviamo, infine, questa descrizione del costume tradizionale di Delebio:
“Per vaghezza di colori il costume della donna di Delebio è uno dei migliori della Valtellina. In esso la sottana è generalmente di color verde vivo o celeste, di un tessuto serico speciale
detto strusa, terminata in basso con una fascia di panno rosso scarlatto alta circa 10 cm. (balzana). Il corpetto stretto ai fianchi con cintole a vari colori, è di velluto o panno nero o viola senza maniche coprente altro corpetto con maniche a risvolti di velluto ricamati ai polsi. Il corpetto è aperto sul davanti in modo da mostrare la camicia con merletto e ricamo all'orlatura ed una pezza di seta ricamata a colori e oro.
Una corona di grandi coralli cinge ripetutamente il collo; anelloni d'oro pendono dalle orecchie e nastri azzurri e verdi pendono dalla capigliatura acconciata come a cono tronco e incoronata sul davanti da riccioli leggeri e leggiadri.
Il costume da uomo ha di caratteristico: una giacca bleu o nera tagliata a coda di rondine (marséna, marsina, o anche pellanda), calzoni corti con grandi bottoni d'ottone e nastri o stringhe sotto il ginocchio nonché colla famosa patta (us’ciera). Sotto la giacca fa viva mostra di sè un panciotto rosso. Le scarpe sono basse, le calze sono lunghe fino al ginocchio, sono di lana bianca e grossa: il cappello ha il cocuzzolo a cono tronco ed è di feltro nero cori nastro di velluto."

STORIA
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AMBIENTE

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I PROVERBI SONO IN GRAN PARTE TRATTI DAI SEGUENTI TESTI:

Gaggi, Silvio, "Il volgar eloquio - dialetto malenco", Tipografia Bettini, Sondrio, 2011
Laura Valsecchi Pontiggia, “Proverbi di Valtellina e Valchiavenna”, Bissoni editore, Sondrio, 1969
Gabriele Antonioli, Remo Bracchi, "Dizionario etimologico grosino" (Sondrio, 1995, edito a cura della Biblioteca comunale di Grosio)
Dott. Omero Franceschi, prof.ssa Giuseppina Lombardini, "Costumi e proverbi valtellinesi", Ristampa per l'Archivio del Centro di Studi Alpini di Isolaccia Valdidentro, 2002
AA.VV. "A Cà Nossa ai le cünta inscì", a cura della Biblioteca Comunale di Montagna in Valtellina, Piccolo Vocabolario del dialetto di Montagna con detti, proverbi, filastrocche e preghiere di una volta (1993-1996)
Glicerio Longa, "Usi e Costumi del Bormiese”, ed. "Magnifica Terra", Sondrio, Soc. Tipo-litografica Valtellinese
"Parla 'me ta mànget - detti, proverbi e curiosità della tradizione comasca, lecchese e valtellinese", edito da La Provincia, 2003
Pier Antonio Castellani, “Cento proverbi, detti e citazioni di Livigno” I Libri del Cervo, Sondrio, 1996
Pier Antonio Castellani, “Cento nuovi proverbi, detti e citazioni di Livigno” I Libri del Cervo, Sondrio, 1999
Pier Antonio Castellani, “Cento altri, detti e citazioni di Livigno” I Libri del Cervo, Sondrio, 2000
Pier Antonio Castellani, "Detti e citazioni della Valdidentro", I Libri del Cervo, Sondrio, 2000
Luigi Godenzi e don Reto Crameri, "Proverbi, modi di dire, filastrocche raccolti a Poschiavo, in particolare nelle sue frazioni", con la collaborazione di alcune classi delle Scuole di Avviamento Pratico, Tip. Menghini, Poschiavo (CH), 1987
Lina Lombardini Rini, "Favole e racconti in dialetto di Valtellina", Edizioni Sandron, Palermo-Roma, 1926
Cici Bonazzi, “Detti, proverbi, filastrocche, modi di dire in dialetto tiranese”, ed. Museo Etnografico Tiranese, Tirano, 2000
Luisa Moraschinelli, "Dizionario del dialetto di Aprica", IDEVV (Istituto di Dialettologia e di Etnografia Valtellinese e Valchiavennasca"), Sondrio, 2010
Tarcisio Della Ferrera, Leonardo Della Ferrera (a cura di), "Vocabolario dialettale di Chiuro e Castionetto", Comune di Chiuro ed IDEVV (Istituto di Dialettologia e di Etnografia Valtellinese e Valchiavennasca"), Sondrio, 2008 (cfr. anche www.dialettochiuro.org)
Giovanni Giorgetta, Stefano Ghiggi (con profilo del dialetto di Remo Bracchi), "Vocabolario del Dialetto di Villa di Chiavenna", IDEVV (Istituto di Dialettologia e di Etnografia Valtellinese e Valchiavennasca"), Sondrio, 2010
Luigi Berti, Elisa Branchi (con contributo di Remo Bracchi), "Dizionario tellino", IDEVV (Istituto di Dialettologia e di Etnografia Valtellinese e Valchiavennasca"), Sondrio, 2003
Sergio Scuffi (a cura di), "Nü’n cuštümàva – Vocabolario dialettale di Samolaco", edito nel 2005 dall’Associazione Culturale Biblioteca di Samolaco e dall’Istituto di Dialettologia e di Etnografia Valtellinese e Valchiavennasca. Giacomo Maurizio, "La Val Bargaia", II parte, in "Clavenna" (Bollettino della Società Storica Valchiavennasca), 1970 Gabriele Antonioli e Remo Bracchi, "Dizionario etimologico grosino", Sondrio, 1995, edito a cura della Biblioteca Comunale di Grosio.
Silvana Foppoli Carnevali, Dario Cossi ed altri, “Lingua e cultura del comune di Sondalo” (edito a cura della Biblioteca Comunale di Sondalo)
Serafino Vaninetti, "Sacco - Storia e origini dei personaggi e loro vicissitudini degli usi e costumi nell'Evo", Edizioni Museo Vanseraf Mulino del Dosso, Valgerola, 2003
Sito www.fraciscio.it, dedicato a Fraciscio
Sito www.prolocodipedesina.it, dedicato a Pedesina
Massara, Giuseppe Filippo, "Prodromo della flora valtellinese", Sondrio, Della Cagnoletta, 1834 (ristampa anastatica Arnaldo Forni Editore)
Massara, Giuseppe Filippo, "Prodromo della flora valtellinese", Sondrio, Della Cagnoletta, 1834 (ristampa anastatica Arnaldo Forni Editore)


Utilissima anche la consultazione di Massimiliano Gianotti, "Proverbi dialettali di Valtellina e Valchiavenna", Sondrio, 2001

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PRINCIPALI TESTI CONSULTATI:

Laura Valsecchi Pontiggia, “Proverbi di Valtellina e Valchiavenna”, Bissoni editore, Sondrio, 1969
Gabriele Antonioli, Remo Bracchi, "Dizionario etimologico grosino" (Sondrio, 1995, edito a cura della Biblioteca comunale di Grosio)
Dott. Omero Franceschi, prof.ssa Giuseppina Lombardini, "Costumi e proverbi valtellinesi", Ristampa per l'Archivio del Centro di Studi Alpini di Isolaccia Valdidentro, 2002
Tullio Urangia Tazzoli, "La contea di Bormio – Vol. III – Le tradizioni popolari”, Anonima Bolis Bergamo, 1935;
AA.VV. "A Cà Nossa ai le cünta inscì", a cura della Biblioteca Comunale di Montagna in Valtellina, Piccolo Vocabolario del dialetto di Montagna con detti, proverbi, filastrocche e preghiere di una volta (1993-1996);
Giuseppina Lombardini, “Leggende e tradizioni valtellinesi”, Sondrio, ed. Mevio Washington, 1925;
Lina Rini Lombardini, “In Valtellina - Colori di leggende e tradizioni”, Sondrio, Ramponi, 1950;
Glicerio Longa, "Usi e Costumi del Bormiese”, ed. "Magnifica Terra", Sondrio, Soc. Tipo-litografica Valtellinese 1912, ristampa integrale nel 1967 a Bormio e II ristampa nel 1998 a Bormio a cura di Alpinia Editrice;
Glicerio Longa, "Vocabolario Bormino”, Perugia, Unione Tipografica Cooperativa, 1913;
Marcello Canclini “Raccolta di tradizioni popolari di Bormio, Valdisotto, Valfurva, Valdidentro e Livigno – Il ciclo della vita – La nascita e l'infanzia” (Centro Studi Storici Alta Valtellina, 2000);
Marcello Canclini “Raccolta di tradizioni popolari di Bormio, Valdisotto, Valfurva, Valdidentro e Livigno – Il ciclo della vita – Fidanzamento e matrimonio” (Centro Studi Storici Alta Valtellina, 2004);
Luigi De Bernardi, "Almanacco valtellinese e valchiavennasco", II, Sondrio, 1991;
Giuseppe Napoleone Besta, "Bozzetti Valtellinesi", Bonazzi, Tirano, 1878;
Ercole Bassi, “La Valtellina (Provincia di Sondrio) ”, Milano, Tipografia degli Operai, 1890;
"Ardenno- Strade e contrade", a cura della cooperativa "L'Involt" di Sondrio;
"Castione - Un paese di Valtellina", edito a cura della Biblioteca Comunale di Castione, in collaborazione con il Sistema Bibliotecario di Sondrio;
don Domenico Songini, “Storie di Traona – terra buona”, vol. II, Bettini Sondrio, 2004;
don Domenico Songini, “Storia e... storie di Traona – terra buona”, vol. I, Bettini Sondrio, 2001;
Scuola primaria di Sirta: calendari 1986 e 1991 (a cura dell'insegnante Liberale Libera);
Luisa Moraschinelli, “Uita d'Abriga cüntada an dal so dialet (agn '40)”;
Giovanni Bianchini e Remo Bracchi, "“Dizionario etimologico dei dialetti della Val di Tartano”, Fondazione Pro Valtellina, IDEVV, 2003;
Rosa Gusmeroli, "Le mie care Selve";
Cirillo Ruffoni, "Ai confini del cielo - la mia infanzia a Gerola", Tipografia Bettini, Sondrio, 2003;
Cirillo Ruffoni, "Chi va e chi resta - Romanzo storico ambientato in bassa Valtellina nel secolo XV", Tipografia Bettini, Sondrio, 2000;
Cirillo Ruffoni, "In nomine Domini - Vita e memorie di un comune della Valtellina nel Trecento", Tipografia Bettini, Sondrio, 1998;
Mario Songini (Diga), "La Val Masino e la sua gente - storia, cronaca e altro", Comune di Val Masino, 2006;
Tarcisio Della Ferrera, "Una volta", Edizione Pro-Loco Comune di Chiuro, 1982;
"Parla 'me ta mànget - detti, proverbi e curiosità della tradizione comasca, lecchese e valtellinese", edito da La Provincia, 2003;
Massimiliano Gianotti, "Proverbi dialettali di Valtellina e Valchiavenna", Sondrio, 2001;
Associazione Archivio della Memoria di Ponte in Valtellina, "La memoria della cura, la cura della memoria", Alpinia editrice, 2007;
Luisa Moraschinelli, "Come si viveva nei paesi di Valtellina negli anni '40 - l'Aprica", Alpinia editrice, 2000;
Aurelio Benetti, Dario Benetti, Angelo Dell'Oca, Diego Zoia, "Uomini delle Alpi - Contadini e pastori in Valtellina", Jaca Book, 1982;
Patrizio Del Nero, “Albaredo e la via di San Marco – Storia di una comunità alpina”, Editour, 2001;
Amleto Del Giorgio, "Samolaco ieri e oggi", Chiavenna, 1965;
Ines Busnarda Luzzi, "Case di sassi", II, L'officina del Libro, Sondrio, 1994;
aa.vv. “Mondo popolare in Lombardia – Sondrio e il suo territorio” (Silvana editoriale, 1995) Pierantonio Castellani, “Cento proverbi, detti e citazioni di Livigno” I Libri del Cervo, Sondrio, 1996 Pierantonio Castellani, “Cento nuovi proverbi, detti e citazioni di Livigno” I Libri del Cervo, Sondrio, 1999 Pierantonio Castellani, “Cento altri, detti e citazioni di Livigno” I Libri del Cervo, Sondrio, 2000
Cici Bonazzi, “Detti, proverbi, filastrocche, modi di dire in dialetto tiranese”, ed. Museo Etnografico Tiranese, Tirano, 2000
Luisa Moraschinelli, "Dizionario del dialetto di Aprica", IDEVV (Istituto di Dialettologia e di Etnografia Valtellinese e Valchiavennasca"), Sondrio, 2010
Tarcisio Della Ferrera, Leonardo Della Ferrera (a cura di), "Vocabolario dialettale di Chiuro e Castionetto", Comune di Chiuro ed IDEVV (Istituto di Dialettologia e di Etnografia Valtellinese e Valchiavennasca"), Sondrio, 2008 (cfr. anche www.dialettochiuro.org)
Giovanni Giorgetta, Stefano Ghiggi (con profilo del dialetto di Remo Bracchi), "Vocabolario del Dialetto di Villa di Chiavenna", IDEVV (Istituto di Dialettologia e di Etnografia Valtellinese e Valchiavennasca"), Sondrio, 2010
Luigi Berti, Elisa Branchi (con contributo di Remo Bracchi), "Dizionario tellino", IDEVV (Istituto di Dialettologia e di Etnografia Valtellinese e Valchiavennasca"), Sondrio, 2003
Pietro Ligari, “Ragionamenti d’agricoltura” (1752), Banca Popolare di Sondrio, Sondrio, 1988
Saveria Masa, “Libro dei miracoli della Madonna di Tirano”, edito a cura dell’Associazione Amici del Santuario della Beata Vergine di Tirano” (Società Storica Valtellinese, Sondrio, 2004)
Sergio Scuffi (a cura di), "Nü’n cuštümàva – Vocabolario dialettale di Samolaco", edito nel 2005 dall’Associazione Culturale Biblioteca di Samolaco e dall’Istituto di Dialettologia e di Etnografia Valtellinese e Valchiavennasca. Giacomo Maurizio, "La Val Bargaia", II parte, in "Clavenna" (Bollettino della Società Storica Valchiavennasca), 1970 Gabriele Antonioli e Remo Bracchi, "Dizionario etimologico grosino", Sondrio, 1995, edito a cura della Biblioteca Comunale di Grosio.
Silvana Foppoli Carnevali, Dario Cossi ed altri, “Lingua e cultura del comune di Sondalo” (edito a cura della Biblioteca Comunale di Sondalo)
Serafino Vaninetti, "Sacco - Storia e origini dei personaggi e loro vicissitudini degli usi e costumi nell'Evo", Edizioni Museo Vanseraf Mulino del Dosso, Valgerola, 2003
Sito www.fraciscio.it, dedicato a Fraciscio
Sito www.prolocodipedesina.it, dedicato a Pedesina
Massara, Giuseppe Filippo, "Prodromo della flora valtellinese", Sondrio, Della Cagnoletta, 1834 (ristampa anastatica Arnaldo Forni Editore)
Galli Valerio, Bruno, "Materiali per la fauna dei vertebrati valtellinesi", Sondrio, stab. tipografico "Quadrio", 1890

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(Massimo Dei Cas, www.paesidivaltellina.it)