SANTI (clicca qui per aprire la pagina relativa a questo giorno dal sito www.santiebeati.it): S. Oreste, S. Ornella, Fausto

PROVERBI

La mort vàrda sül müs nigügn, ancöö a mì domàa a tì (la morte non guarda in faccia a nessuno, oggi a te, domani a me - Tirano)
Pàa e pàgn bun cumpàgn
(pane e panni buoni compagni – Talamona)
Co la ròba di altri prést se se vést prést se se desvést (con la roba d'altri presto ci si veste e presto ci si sveste - Sondalo)
Ròba robàda la fa poca duràda (ciò che si ruba dura poco - Sondalo)
Al vestìi al fa mìga la spùsa (il vestito non fa la sposa - Tirano)
Al veterinàri cüra ‘l bes’ciàm, al dutùr cùpa i cristiàn
(il veterinario cura il bestiame, il dottore accoppa i cristiani - Tirano)
L’àsen del Picàna ùra el grìgna ùra el càna (l'asino del Picana ora ride ora piange, detto di chi cambia repentinamente umore - Teglio)
Un cünt l'è dì, un oltar l'è fèè (una cosa è dire, un'altra fare - Fraciscio)
Sagond la forza as à da där är al tribüt (bisogna pagare il tributo secondo le proprie possibilità - Val Bregaglia)
Cur ca s'é vec’ sa ga tant büsögn da pas, rispèt e afezion (da vecchi si ha tanto bisogno di pace, rispetto ed affetto - Poschiavo)

VITA DI UNA VOLTA

STORIA

Il 9 novembre 1634 venne decapitata in Sondrio, come strega, una povera donna di Piateda, Maria Joanna de Plateda, accusata di aver manipolato unti e farmaci e di aver causato la morte di quasi tutti i membri delle famiglie presso le quali aveva prestato servizio; di più, la si accusava di non stare mai a casa di notte, ma di andarsene in giro, in luoghi sospetti come il Moncucco e le rovine del Castello Grumello, con un omaccio nero e peloso, dagli occhi ardenti come brace, al quale si era venduta (il demonio, probabilmente). Torturata (le fu fratturato un tallone, le furono bruciati i piedi e subì la tortura della corda) venne alla fine riconosciuta colpevole e decapitata in Sondrio; il suo cadavere fu subito bruciato al rogo. Ecco come le cronache narrano gli ultimi istanti della sua disgraziata vita: “Maria Giovanna, disse allora ad alta voce l'arciprete, perdonate voi proprio di cuore a tutti quelli che possono avervi fatto del male? E la donna: sì, io perdono e perdono di cuore. Maria Giovanna, ripigliava l'arciprete, siete voi dunque disposta a fare offerta a Gesù della vostra vita, com'egli la offerse per tutto noi? E la donna nuovamente di sì. Fiducia dunque o buona donna; l'anima vostra sarà presto al paradiso. Non erano quasi ancora proferite queste ultime parole, che ad un sol tratto vedevasi rotare la scimitarra del nerboruto carnefice, e sbalzar dal palco la testa della povera donna. E allora non vi fu più modo a contenere quell'onda di popolo. Si udì un grido: è morta, è morta la maledetta strega, e questo grido andò echeggiando per tutta quella dilatata folla. Postosi quindi il fuoco alle legne, e sorte alte le fiamme, un tale Stefano della Battistina prendeva pei capelli il mozzo e sanguinoso capo e quasi a gioco ve lo sbalzava tra mezzo. Altri poi rotolandone il tronco, ve lo spingevano pure come vittima al rogo. E quelle turbe cui non indole propria, ma cieca credulità rendeva inumane e crudeli, rimasero ferme colà come a gradito spettacolo fin tanto, che ormai spento il fuoco, non restarono e delle legne e della sacrificata donna che poche e mobili ceneri”. Tempi che non rimpiangiamo.
Scrive Massimo Bormetti, a conclusione della sua bella monografia “Al tempo delle streghe” (Bissoni, Sondrio, 1963 I): “La prima condanna a morte di una strega la si ebbe nel 1275 in Francia, l'ultima nel 1775 in Germania. Queste due date riguardano però due fatti estremi ed isolati. In realtà l'inizio della persecuzione contro la stregoneria, su vasta scala la si deve fissare verso il secolo XV e la fine verso il secolo XVIII. Durò quindi circa quattro secoli. Come abbia potuto persistere così a lungo, è inspiegabile.
Possibile che nessun governo, nessuna autorità, nessuno dei tanti esponenti della giustizia, nonostante le pur molte opposizioni da parte di scrittori, di scienziati ed anche di alcuni buoni giudici, non si siano mai accorti della totale infondatezza di quelle accuse e siano stati necessari proprio tre secoli di orrori per vederci chiaro? Non è facile dire come questo sia potuto accadere. Forse una spiegazione c'è: la stregoneria è sorta in un periodo di guerre durato. quasi senza interruzione, dal 1337 al 1648, durante il quale sono state combattute la guerra dei cento anni. quelle di Carlo V e di Filippo II, le guerre di religione e, infine, quella dei Trent'anni, che coinvolse pressoché tutta l'Europa. Probabile che dopo il primo mezzo secolo di ostilità, e cioè verso il 1400, quando appunto in dipendenza della guerra, l'impoverimento delle popolazioni era già inoltrato, l'istruzione fosse diventata piuttosto scadente anche negli alti ranghi della giustizia, per cui i giudici di valore andavano sempre più diradandosi per lasciare sempre più numerosi posti a giudici incapaci.
E l'incapacità non doveva essere limitata al solo campo della giustizia, ma estesa a tutti i livelli. Infatti, anche i medici che furono interpellati per sapere se le malattie, le morti capitate alle persone erano dovute a mali naturali o a malefici, non seppero affermare francamente e senza titubanze che si trattava di mali naturali, sempre verificatisi anche in passato, quando nessun sospetto vi poteva essere contro le streghe. Quegli stessi parroci che, certo a fine di bene, e a richiesta degli interessati, abbondarono in benedizioni ai maleficiati conl'asserito intento di liberarli da immaginari spiriti maligni e guarirli così dal maleficio, non seppero rendersi conto che, con cotale loro operato, mettevano in pessima vista gli accusati, sia di fronteai giudici che all'opinione pubblica, e davano inoltre un vigoroso contributo al perpetuarsi delle deleterie superstizioni del loro tempo.
Tutto questo non giustifica, ma spiega un poco, la persistenza della stregoneria. Questa poi cessò dopo mezzo secolo di pace, quando le popolazioni, riavutesi dalle batoste delle guerre, avevano ripreso un certo benessere ed un migliore grado di istruzione, tanto che non si trovava ormai più né un giudice, né un podestà, né un reggente d'istruzione tanto scadente da essere disposto ad imbastire nuove procedure contro le streghe. La prima nazione a togliere dai propri ordinamenti giudiziari l'obbrobrio dei processi alle streghe fu l'Olanda, seguita qualche lustro dopo dal Canton di Ginevra, dalla Svezia e dall'Inghilterra, e poi, a breve distanza, da tutte le altre nazioni.
Resta da chiarire come mai processi. per stregoneria siano tutti eguali, sia nelle domande dei giudici che nelle risposte degli accusati, sia nei delitti confessati, come nei mezzi per attuarli… in tutti i processi di stregoneria, ovunque tenuti, si ebbe una pressoché perfetta uniformità d'interrogatori, di ammissioni di malefici, di partecipazioni a balli diabolici, di rinnegamento di fede, di passaggi agli ordini del diavolo e di delitti mai commessi… Si tratta … di decine di milioni di delitti totalmente fantastici, assurdi, mai da nessuno accertati, confessati per veri, e che trasformarono due milioni di innocenti in altrettanti «rei confessi» come venivano designati quei disgraziati, e che furono oggetto di condanne al bando per alcuni e a morte per i più, e per tutti alla confisca dei beni. Tale fu la funesta vastità di quel dramma.”

Due milioni di innocenti, annota il Bormetti: una cifra che, per quanto congetturale, lascia allibiti, agghiacciati. Il Seicento fu, sotto questo profilo, in Valtellina e Valchiavenna, come nel resto d'Europa, il secolo più nero: infierirono sulle popolazioni valligiane crudeltà e devastazioni causate dagli eserciti contrapposti nella guerra dei Trent’anni, e poi, dal 1629, la peste, altro terribile portato di questa infausta guerra, ed infine le conseguenti carestie, che determinarono un vasto movimento emigratorio.
Paura e frustrazione favorirono una forte recrudescenza di quella caccia alle streghe che già era iniziata, in forme più blande, nei secoli precedenti. Quando il male attanaglia una popolazione, cresce l’esigenza di trovare dei colpevoli, di dare un volto a questo male, un volto invisibile ed uno visibile. Il volto invisibile è presto trovato: le potenze del male, i demòni, il diavolo. Quello visibile è meno ovvio, meno scontato, ed assunse i tratti di qualche sguardo un po’ sbieco, un po’ troppo spiritato, di qualche figura di donna scarmigliata, eccentrica, singolare, delirante (nel senso etimologico di “fuori dal solco”, “fuori dalle righe”). La strega, appunto, spesso povera mentecatta che confessava anche spontaneamente convegni con il diavolo, malefici, fatture, infanticidi, diffusione di malattie che colpivano raccolti, bestie ed anche uomini, insomma opere diaboliche frutto della sua patologica fantasia. Poi, nel Settecento, il fenomeno dei processi (e delle orribili torture connesse: a quei tempi si considerava credibile una confessione estorta fra gli spasimi del dolore) e delle condanne a morte si diradò.
Interessante è leggere anche qualche nota dal volume "Le streghe in Valtellina" di Vittorio Soinetti (Sondrio, 1903): "Nella sola Diocesi di Como a cui ab antico appartenne giuridicamente la Valtellina, e a cui ecclesiasticamente è ancora soggetta, il numero dei processati di stregheria, secondo Bartolomeo Spina, superava spesso il mille ogni anno e più di cento si abbruciavano. Ed è forse in questa Diocesi, forse anche nella Valtellina stessa che incominciarono prima che altrove i veri processi contro la malefica setta delle streghe, se vogliamo prestar fede a ciò che riferisce fra Bernardo Rategno nel suo manuale De Strigiis, — che fa seguito al suo trattato — Lucerna Inquisitorum, — il qual frate fu inquisitore a Como nel 1505, e passò… nefasto a stendere processi nella valle. Ecco che cosa scrive il nostro frate: «La predetta setta delle streghe cominciò a pullulare solamente da centocinquant'anni in qua, come risulta dagli antichi processi degli Inquisitori, che sono negli Archivi della nostra Inquisizione di Como». Quindi verso il 1350.

Sicché più di trecentocinquant'anni durò nella Valtellina la persecuzione contro la così detta pestifera setta delle streghe, perchè abbiamo nell'Archivio notarile di Sondrio il documento di un processo intentato contro un certo Valento ohm Romerio Romeggione di San Rocco, decapitato in Tirano come stregone confesso nel mese di marzo dell'anno 1703, e più di quattrocento se il processo contro Maddalena Lazzari avvenne, come mi fu riferito, a Bormio nel 1796."
Ma dove visse, dove e come morì l’ultima strega di Valtellina? Stando a quanto racconta una leggenda (riportata a Giambattista Marchesi nel volume "In Valtellina, costumi, leggende e tradizioni", Clausen, Palermo-Torino, 1898, pg. 421), la storia delle streghe di Valtellina non si concluse con i bagliori di un ultimo sinistro rogo, ma in maniera meno eclatante e più malinconica. L’ultima strega non fu bruciata, ma bandita, indotta a lasciare il consorzio degli uomini, a raggiungere gli esseri malefici simili a lei, che, si credeva, popolavano i boschi, assumendo le forme di lupi, capre demoniache (la “cavra bèsüla”), volpi, gatti selvatici, perfino orsi.
Tutto ciò accadde in quel di Ardenno, il primo paese, ad est, del Terziere della bassa Valtellina (oggi mandamento di Morbegno), il cui nome, forse, deriva dal verbo “ardere”. Curioso: un paese che conserva, nel nome, l’immagine di un fuoco che arde fu la cornice della sorte dell’ultima strega di Valtellina, che però non fu arsa, non fu uccisa dal calore che consuma, ma condannata a morire nei boschi, a soccombere ad terribile gelo invernale, che non risparmia chi non abbia un ricovero caldo.

Ecco come andarono le cose. Siamo a Piazzalunga, piccola frazione a monte di Ardenno, denominata così per il bel corridoio di prati sul quale è collocata, in una posizione climaticamente e panoramicamente assai felice (di qui si domina, con lo sguardo, la sezione occidentale della media Valtellina). Il periodo in cuiaccaddero i fatti è indeterminato, ma possiamo supporre che fosse il Settecento inoltrato.
A Piazzalunga viveva una donna singolare, che, fin da giovane, aveva mostrato tante stranezze, nel carattere e nel comportamento, da non aver trovato nessuno che la prendesse come moglie. Forse non aveva mai neppure cercato un marito, e sicuramente non aveva mai mostrato quella cura di sé che è tratto comune di tutte le donne, anche di più umile condizione. Non aveva famiglia, viveva sola. Appariva trasandata, scarmigliata, e, con il passare degli anni, il suo aspetto si era fatto più sinistro, il corpo più ossuto e curvo, il volto più smunto, lo sguardo più perso in chissà quali visioni. Viveva di espedienti: passava intere giornate a raccogliere erbe nei boschi, coltivava un piccolo orto, accoglieva i piccoli che, senza troppo dare nell’occhio, qualche mano generosa le offriva.

Scendeva, spesso, ad Ardenno, lungo la bella mulattiera che da Piazzalunga conduce al poggio di SanLucio, e qui raggranellava anche qualche soldo vendendo pozioni ed erbe che, a suo dire, avevano effetti prodigiosi, suscitavano amori, attizzavano passioni, rinvigorivano le membra stanche. Leggeva anche la mano, indovinava il futuro, prediceva eventi belli ed eventi brutti.

Suscitava, a Piazzalunga ed Ardenno, reazioni contrastanti: molti la temevano, alcuni credevano nelle sue capacità magiche e speravano di trarne vantaggio, molti, però, anche, si prendevano gioco di lei, approfittando della sua solitudine e di quella parvenza tutto sommato inoffensiva ed inerme: veniva, talvolta, dileggiata, insolentita, qualche ragazzo le scagliava contro un sasso, un piccolo bastone, un osso. Lei si limitata a farsi schermo con le mani ed a borbottare qualcosa, forse in una lingua sconosciuta, che sembrava un po’ lamento, un po’ maledizione.
Insomma, si meritò l’appellativo di “strìa”, strega, in un periodo nel quale di streghe si parlavano sempre meno, e con sempre minore paura: bambini e ragazzi, quando la vedevano scendere con quello sguardo un po’ sbieco e quel buffo canestro pieno di erbe, gridavano, ridendo e fingendo una paura tutta simulata: “Vìtela, la strìa, vìtela, la stria”, cioè “Guardala, la strega, guardala, la strega!”, o anche: “strìa, strìa, striùna, ciàpum, se te se buna”, cioè “Strega, strega, stregona, prendimi, se sei capace”. In realtà era solo una pallida ombra, un'immagine sbiadita di quelle che dovettero essere le ben più determinate e malvage megere del secolo precedente, il cui ricordo era consegnato alla tenace memoria degli avi: i vecchi ne parlavano, la sera, nelle stalle, quando si "faceva filò" e si narrava dei folleti dispettosi che slegavano le mucche.
Ma la povera strega fuori tempo massimo non faceva realmente paura a nessuno, anzi, era lei ad avere paura di quel marchio. Si isolò, quindi, sempre di più, non mise più piede in chiesa, in tempi nei quali un comportamento del genere significava porsi al di fuori della comunità. Il parroco, che non credeva veramente nelle sue capacità malefiche, ma voleva stroncare quel segreto ricorrere di alcuni suoi parrocchiani alle arti della superstizione, condannate dalla Chiesa (era un peccato assai grave, un peccato mortale), decise di approfittarne per farla finita con la strega di Piazzalunga, e la scomunicò solennemente. La scomunica rappresentava non solo l’allontanamento dalla comunità della Chiesa, ma anche quello dalla comunità civile. Fu così che la “strìa” lasciò Piazzalunga, ritirandosi nei bei boschi di castagni a monte del paese.
Non si fece più vedere, non se ne seppe più nulla. Di lei rimase solo la memoria nei moniti che mamme e nonne, per assicurarsi il pronto ritorno di figli e nipoti sul far della sera, rivolgevano loro: “Sta atenta che quant che ‘l suna l’Ave Maria, saltà fö la strìa”, cioè “Stai attento che quando suona l’Ave Maria – cioè dopo le sei di sera – viene fuori la strega”, e la strega per antonomasia era sempre lei, la strega di Piazzalunga. Venne, infine, trovata, qualche anno dopo, morta, probabilmente stroncata dai rigori di un inverno, nel cuore di un bosco. Di lei non si sa neppure dove fu sepolta. Rimase solo l'eco, nel lamento del vento d'inverno, fra le fronde spoglie. Era l’ultima strega di Valtellina: terminò con lei, senza bagliori, senza clamori, la storia delle streghe della valle.
Questa leggenda riflette un qualche fondo storico? Non ci sono documenti al riguardo. Anche il "crap de la stréga", un grande masso di forma piatta che si incontra sul sentiero (che oggi sopravvive a stento all'assalto del caso vegetale) che corre sul crinale che separa val Venduno (Vendùn) e Val Valéna, nella media montagna sopra Ardenno, è probabilmente l'eco dell'immaginario popolare più che si effettivi episodi di persecuzione di presunte streghe. Questo masso è chiamato anche "sasùn"; secondo alcuni il vero crap de la strìa si trova nel cuore della bassa Val Venduno, ed è uno spuntone di roccia sul suo versante orientale.

Si racconta che sul masso detto anche "sasùn" sia impresso il segno della zoccola calzata da una tremenda strega, che aveva eletto quei luoghi a sua dimora ed insidiava i viandanti solitari. Una variante della leggenda parla del tentativo, inutile, della strega di far rotolare il masso sulla sottostante frazione di Ca' Maroli, in località Pèsc. Un masso legato ad un'analoga leggenda, e chiamato "balùn", si trova sul crinale del dosso che separa la Val Valena dalla Val Venduno, ad ovest di gaggio e più o meno alla medesima altezza di questa frazione.

AMBIENTE

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I PROVERBI SONO IN GRAN PARTE TRATTI DAI SEGUENTI TESTI:

Gaggi, Silvio, "Il volgar eloquio - dialetto malenco", Tipografia Bettini, Sondrio, 2011
Laura Valsecchi Pontiggia, “Proverbi di Valtellina e Valchiavenna”, Bissoni editore, Sondrio, 1969
Gabriele Antonioli, Remo Bracchi, "Dizionario etimologico grosino" (Sondrio, 1995, edito a cura della Biblioteca comunale di Grosio)
Dott. Omero Franceschi, prof.ssa Giuseppina Lombardini, "Costumi e proverbi valtellinesi", Ristampa per l'Archivio del Centro di Studi Alpini di Isolaccia Valdidentro, 2002
AA.VV. "A Cà Nossa ai le cünta inscì", a cura della Biblioteca Comunale di Montagna in Valtellina, Piccolo Vocabolario del dialetto di Montagna con detti, proverbi, filastrocche e preghiere di una volta (1993-1996)
Glicerio Longa, "Usi e Costumi del Bormiese”, ed. "Magnifica Terra", Sondrio, Soc. Tipo-litografica Valtellinese
"Parla 'me ta mànget - detti, proverbi e curiosità della tradizione comasca, lecchese e valtellinese", edito da La Provincia, 2003
Pier Antonio Castellani, “Cento proverbi, detti e citazioni di Livigno” I Libri del Cervo, Sondrio, 1996
Pier Antonio Castellani, “Cento nuovi proverbi, detti e citazioni di Livigno” I Libri del Cervo, Sondrio, 1999
Pier Antonio Castellani, “Cento altri, detti e citazioni di Livigno” I Libri del Cervo, Sondrio, 2000
Pier Antonio Castellani, "Detti e citazioni della Valdidentro", I Libri del Cervo, Sondrio, 2000
Luigi Godenzi e don Reto Crameri, "Proverbi, modi di dire, filastrocche raccolti a Poschiavo, in particolare nelle sue frazioni", con la collaborazione di alcune classi delle Scuole di Avviamento Pratico, Tip. Menghini, Poschiavo (CH), 1987
Lina Lombardini Rini, "Favole e racconti in dialetto di Valtellina", Edizioni Sandron, Palermo-Roma, 1926
Cici Bonazzi, “Detti, proverbi, filastrocche, modi di dire in dialetto tiranese”, ed. Museo Etnografico Tiranese, Tirano, 2000
Luisa Moraschinelli, "Dizionario del dialetto di Aprica", IDEVV (Istituto di Dialettologia e di Etnografia Valtellinese e Valchiavennasca"), Sondrio, 2010
Tarcisio Della Ferrera, Leonardo Della Ferrera (a cura di), "Vocabolario dialettale di Chiuro e Castionetto", Comune di Chiuro ed IDEVV (Istituto di Dialettologia e di Etnografia Valtellinese e Valchiavennasca"), Sondrio, 2008 (cfr. anche www.dialettochiuro.org)
Giovanni Giorgetta, Stefano Ghiggi (con profilo del dialetto di Remo Bracchi), "Vocabolario del Dialetto di Villa di Chiavenna", IDEVV (Istituto di Dialettologia e di Etnografia Valtellinese e Valchiavennasca"), Sondrio, 2010
Luigi Berti, Elisa Branchi (con contributo di Remo Bracchi), "Dizionario tellino", IDEVV (Istituto di Dialettologia e di Etnografia Valtellinese e Valchiavennasca"), Sondrio, 2003
Sergio Scuffi (a cura di), "Nü’n cuštümàva – Vocabolario dialettale di Samolaco", edito nel 2005 dall’Associazione Culturale Biblioteca di Samolaco e dall’Istituto di Dialettologia e di Etnografia Valtellinese e Valchiavennasca. Giacomo Maurizio, "La Val Bargaia", II parte, in "Clavenna" (Bollettino della Società Storica Valchiavennasca), 1970 Gabriele Antonioli e Remo Bracchi, "Dizionario etimologico grosino", Sondrio, 1995, edito a cura della Biblioteca Comunale di Grosio.
Silvana Foppoli Carnevali, Dario Cossi ed altri, “Lingua e cultura del comune di Sondalo” (edito a cura della Biblioteca Comunale di Sondalo)
Serafino Vaninetti, "Sacco - Storia e origini dei personaggi e loro vicissitudini degli usi e costumi nell'Evo", Edizioni Museo Vanseraf Mulino del Dosso, Valgerola, 2003
Sito www.fraciscio.it, dedicato a Fraciscio
Sito www.prolocodipedesina.it, dedicato a Pedesina
Massara, Giuseppe Filippo, "Prodromo della flora valtellinese", Sondrio, Della Cagnoletta, 1834 (ristampa anastatica Arnaldo Forni Editore)
Massara, Giuseppe Filippo, "Prodromo della flora valtellinese", Sondrio, Della Cagnoletta, 1834 (ristampa anastatica Arnaldo Forni Editore)


Utilissima anche la consultazione di Massimiliano Gianotti, "Proverbi dialettali di Valtellina e Valchiavenna", Sondrio, 2001

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PRINCIPALI TESTI CONSULTATI:

Laura Valsecchi Pontiggia, “Proverbi di Valtellina e Valchiavenna”, Bissoni editore, Sondrio, 1969
Gabriele Antonioli, Remo Bracchi, "Dizionario etimologico grosino" (Sondrio, 1995, edito a cura della Biblioteca comunale di Grosio)
Dott. Omero Franceschi, prof.ssa Giuseppina Lombardini, "Costumi e proverbi valtellinesi", Ristampa per l'Archivio del Centro di Studi Alpini di Isolaccia Valdidentro, 2002
Tullio Urangia Tazzoli, "La contea di Bormio – Vol. III – Le tradizioni popolari”, Anonima Bolis Bergamo, 1935;
AA.VV. "A Cà Nossa ai le cünta inscì", a cura della Biblioteca Comunale di Montagna in Valtellina, Piccolo Vocabolario del dialetto di Montagna con detti, proverbi, filastrocche e preghiere di una volta (1993-1996);
Giuseppina Lombardini, “Leggende e tradizioni valtellinesi”, Sondrio, ed. Mevio Washington, 1925;
Lina Rini Lombardini, “In Valtellina - Colori di leggende e tradizioni”, Sondrio, Ramponi, 1950;
Glicerio Longa, "Usi e Costumi del Bormiese”, ed. "Magnifica Terra", Sondrio, Soc. Tipo-litografica Valtellinese 1912, ristampa integrale nel 1967 a Bormio e II ristampa nel 1998 a Bormio a cura di Alpinia Editrice;
Glicerio Longa, "Vocabolario Bormino”, Perugia, Unione Tipografica Cooperativa, 1913;
Marcello Canclini “Raccolta di tradizioni popolari di Bormio, Valdisotto, Valfurva, Valdidentro e Livigno – Il ciclo della vita – La nascita e l'infanzia” (Centro Studi Storici Alta Valtellina, 2000);
Marcello Canclini “Raccolta di tradizioni popolari di Bormio, Valdisotto, Valfurva, Valdidentro e Livigno – Il ciclo della vita – Fidanzamento e matrimonio” (Centro Studi Storici Alta Valtellina, 2004);
Luigi De Bernardi, "Almanacco valtellinese e valchiavennasco", II, Sondrio, 1991;
Giuseppe Napoleone Besta, "Bozzetti Valtellinesi", Bonazzi, Tirano, 1878;
Ercole Bassi, “La Valtellina (Provincia di Sondrio) ”, Milano, Tipografia degli Operai, 1890;
"Ardenno- Strade e contrade", a cura della cooperativa "L'Involt" di Sondrio;
"Castione - Un paese di Valtellina", edito a cura della Biblioteca Comunale di Castione, in collaborazione con il Sistema Bibliotecario di Sondrio;
don Domenico Songini, “Storie di Traona – terra buona”, vol. II, Bettini Sondrio, 2004;
don Domenico Songini, “Storia e... storie di Traona – terra buona”, vol. I, Bettini Sondrio, 2001;
Scuola primaria di Sirta: calendari 1986 e 1991 (a cura dell'insegnante Liberale Libera);
Luisa Moraschinelli, “Uita d'Abriga cüntada an dal so dialet (agn '40)”;
Giovanni Bianchini e Remo Bracchi, "“Dizionario etimologico dei dialetti della Val di Tartano”, Fondazione Pro Valtellina, IDEVV, 2003;
Rosa Gusmeroli, "Le mie care Selve";
Cirillo Ruffoni, "Ai confini del cielo - la mia infanzia a Gerola", Tipografia Bettini, Sondrio, 2003;
Cirillo Ruffoni, "Chi va e chi resta - Romanzo storico ambientato in bassa Valtellina nel secolo XV", Tipografia Bettini, Sondrio, 2000;
Cirillo Ruffoni, "In nomine Domini - Vita e memorie di un comune della Valtellina nel Trecento", Tipografia Bettini, Sondrio, 1998;
Mario Songini (Diga), "La Val Masino e la sua gente - storia, cronaca e altro", Comune di Val Masino, 2006;
Tarcisio Della Ferrera, "Una volta", Edizione Pro-Loco Comune di Chiuro, 1982;
"Parla 'me ta mànget - detti, proverbi e curiosità della tradizione comasca, lecchese e valtellinese", edito da La Provincia, 2003;
Massimiliano Gianotti, "Proverbi dialettali di Valtellina e Valchiavenna", Sondrio, 2001;
Associazione Archivio della Memoria di Ponte in Valtellina, "La memoria della cura, la cura della memoria", Alpinia editrice, 2007;
Luisa Moraschinelli, "Come si viveva nei paesi di Valtellina negli anni '40 - l'Aprica", Alpinia editrice, 2000;
Aurelio Benetti, Dario Benetti, Angelo Dell'Oca, Diego Zoia, "Uomini delle Alpi - Contadini e pastori in Valtellina", Jaca Book, 1982;
Patrizio Del Nero, “Albaredo e la via di San Marco – Storia di una comunità alpina”, Editour, 2001;
Amleto Del Giorgio, "Samolaco ieri e oggi", Chiavenna, 1965;
Ines Busnarda Luzzi, "Case di sassi", II, L'officina del Libro, Sondrio, 1994;
aa.vv. “Mondo popolare in Lombardia – Sondrio e il suo territorio” (Silvana editoriale, 1995) Pierantonio Castellani, “Cento proverbi, detti e citazioni di Livigno” I Libri del Cervo, Sondrio, 1996 Pierantonio Castellani, “Cento nuovi proverbi, detti e citazioni di Livigno” I Libri del Cervo, Sondrio, 1999 Pierantonio Castellani, “Cento altri, detti e citazioni di Livigno” I Libri del Cervo, Sondrio, 2000
Cici Bonazzi, “Detti, proverbi, filastrocche, modi di dire in dialetto tiranese”, ed. Museo Etnografico Tiranese, Tirano, 2000
Luisa Moraschinelli, "Dizionario del dialetto di Aprica", IDEVV (Istituto di Dialettologia e di Etnografia Valtellinese e Valchiavennasca"), Sondrio, 2010
Tarcisio Della Ferrera, Leonardo Della Ferrera (a cura di), "Vocabolario dialettale di Chiuro e Castionetto", Comune di Chiuro ed IDEVV (Istituto di Dialettologia e di Etnografia Valtellinese e Valchiavennasca"), Sondrio, 2008 (cfr. anche www.dialettochiuro.org)
Giovanni Giorgetta, Stefano Ghiggi (con profilo del dialetto di Remo Bracchi), "Vocabolario del Dialetto di Villa di Chiavenna", IDEVV (Istituto di Dialettologia e di Etnografia Valtellinese e Valchiavennasca"), Sondrio, 2010
Luigi Berti, Elisa Branchi (con contributo di Remo Bracchi), "Dizionario tellino", IDEVV (Istituto di Dialettologia e di Etnografia Valtellinese e Valchiavennasca"), Sondrio, 2003
Pietro Ligari, “Ragionamenti d’agricoltura” (1752), Banca Popolare di Sondrio, Sondrio, 1988
Saveria Masa, “Libro dei miracoli della Madonna di Tirano”, edito a cura dell’Associazione Amici del Santuario della Beata Vergine di Tirano” (Società Storica Valtellinese, Sondrio, 2004)
Sergio Scuffi (a cura di), "Nü’n cuštümàva – Vocabolario dialettale di Samolaco", edito nel 2005 dall’Associazione Culturale Biblioteca di Samolaco e dall’Istituto di Dialettologia e di Etnografia Valtellinese e Valchiavennasca. Giacomo Maurizio, "La Val Bargaia", II parte, in "Clavenna" (Bollettino della Società Storica Valchiavennasca), 1970 Gabriele Antonioli e Remo Bracchi, "Dizionario etimologico grosino", Sondrio, 1995, edito a cura della Biblioteca Comunale di Grosio.
Silvana Foppoli Carnevali, Dario Cossi ed altri, “Lingua e cultura del comune di Sondalo” (edito a cura della Biblioteca Comunale di Sondalo)
Serafino Vaninetti, "Sacco - Storia e origini dei personaggi e loro vicissitudini degli usi e costumi nell'Evo", Edizioni Museo Vanseraf Mulino del Dosso, Valgerola, 2003
Sito www.fraciscio.it, dedicato a Fraciscio
Sito www.prolocodipedesina.it, dedicato a Pedesina
Massara, Giuseppe Filippo, "Prodromo della flora valtellinese", Sondrio, Della Cagnoletta, 1834 (ristampa anastatica Arnaldo Forni Editore)
Galli Valerio, Bruno, "Materiali per la fauna dei vertebrati valtellinesi", Sondrio, stab. tipografico "Quadrio", 1890

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(Massimo Dei Cas, www.paesidivaltellina.it)