SANTI (clicca qui per aprire la pagina relativa a questo giorno dal sito www.santiebeati.it):
S. Brigida

PROVERBI

De vìn e de fée i ne fa sempre asée (di vino e di fieno ne fanno sempre a sufficienza – Campovico)
I sbaglia anca i prét a di la mésa (sbagliano anche i preti a dire la Messa)
Un fiö viziàa l’è mal levàa (un figlio viziato è stato mal educato – Valle di Albaredo)
I miràcui i a fa dùma i sancc e ànca quìi de rar
(i miracoli li fanno solo i santi, e anche loro di rado - Tirano)
I nìguli casciàdi del vént li màrca bèl (le nuvole portate dal vento segnano bel tempo - Tirano)
I paréncc dela mièe ta g’à i è sémpri par i pée (i parenti della moglie li hai sempre fra i piedi - Tirano)
L'è méi ün pom gherp che ün péer marü (è meglio una mela acerba, che una pera matura, perché si rite­neva che la pera fosse difficile da digerire - Villa di Chiavenna)
Pòver e vécc, nu gh'è de pécc (poveri e vecchi, non c'è di peggio)
La vita l’é 'na scigùla ca sa pela e sa planc’ (la vita è una cipolla che si pela e si piange - Poschiavo)
Cura ca 'l gat al maglia l'erba, senza essa strion, aqua e tempesta a filon (quando il gatto mangia l'erba, non occorre essere stregoni per prevedere acqua e tempesta in abbondanza - Poschiavo)

VITA DI UNA VOLTA

Nelle calde serate d'estate, a monte di Cerido, piccolo ed incantevole nucleo della Costiera dei Cech, l'occhio attento poteva scorgere, su alcuni, un animale misterioso e temuto, il “ghetùn ghèt”, cioè “gattone gatto”. Nel dialetto della costiera dei Cech “ghèt” significa, intatti, “gatto. Ce ne parla, nella sua bella raccolta intitolata “Gh’era na volta”, il morbegnese Renzo Passerini.
A monte di Cerido, dunque, si trova una grande parete rocciosa di granito, sulla quale sono state rinvenute anche incisioni rupestri. Vi si poteva e si può ancora osservare una stretta spaccatura che, narra la leggenda, era la tana di questo fantastico animale. La gente diceva che fosse un folletto, alto un’ottantina di centimetri, con le orecchie appuntite e pelose, le lunghe braccia, le dita dotate di unghie affilate e gli occhi giallastri e fosforescenti, che brillavano, sinistri e diabolici, sul far della sera e nel cuore della notte. Gli si attribuiva una natura malvagia, e si pensava a lui quando, di tanto in tanto, venivano trovati qualche capra o qualche capriolo uccisi, con il cranio squarciato e svuotato del cervello, di cui, evidentemente, andava ghiotto.
Non si registrarono mai altri misfatti attribuibili al ghetùn, non furono mai aggrediti animali più grandi o esseri umani, ma questi bastavano per suscitare nei contadini timore e raccapriccio. I bambini, in particolare, ne avevano un vero e proprio terrore, e le madri non mancavano di approfittarne quando le facevano disperare con la loro vivacità: “Guarda che ti do al ghetùn ghèt, quando viene!” era la minaccia sempre efficace. Di solito veniva segnalato di notte, soprattutto nelle notti estive, quando la breva che spira dal lago di Como offriva un po’ di refrigerio nella calura estiva: allora lo si poteva vedere, addossato al roccione, incidere con le sue unghie misteriose figure di animali, che, difatti, si possono ancora vedere, seminascoste dal muschio. Che significato celavano quelle figure? Quale intelligenza diabolica si celava dietro le spoglie di quell’animale? Perché di semplice bestia non si poteva trattare: le bestie non scrivono, non disegnano, non tracciano segni. Domande senza risposte, che aumentavano l’inquietudine.
Talora veniva avvistato anche di giorno, fra le vigne ed i castagneti, oppure fra i rami dei castagni, sui quali, evidentemente, si arrampicava con facilità, ma se ne scorgeva solo il muso, con quei grandi occhi che parevano diabolici e fissavano, immobili, il malcapitato di turno. Lo si vedeva e lo si udiva: emetteva un suono molto simile al miagolìo di un gatto, ed anche il caratteristico soffio dei gatti irritati (per questo lo avevano chiamato ghetùn ghèt). Quando lo si sentiva soffiare, non era buon segno, ed era prudente darsela a gambe levate. Non lo si sentiva, però, mai quando si spostava: il suo passo era silenziosissimo. Non se ne sapeva di più. Qualcuno sospettava che avesse un’indole più giocherellona e curiosa, che cattiva, ma a nessuno era mai venuto in mente di cercare di familiarizzare, o di appostarsi davanti alla sua tana nella roccia per scoprire qualcosa di più sui suoi costumi.
Il mistero non è mai stato risolto, perché del ghetùn, con gli anni, si sono perse le tracce. Chi ne parlava non riportava esperienze dirette, ma quel che aveva sentito dire dai nonni, i quali, a loro volta, avevano ascoltato queste storie dai loro nonni. Storie che probabilmente non sono prive di fondamento. La descrizione dell’animale richiama quella della lince, presente in numerosi esemplari nei boschi della Valtellina ancora agli inizi dell’Ottocento. Questo animale, infatti, amava rintanarsi nelle strette spelonche della roccia e si cibava anche del cervello delle sue vittime, fra le quali vi erano, appunto, capre e caprioli. La sua presenza è attestata sul versante retico ed orobico almeno fino ai primi decenni dell’Ottocento; poi, probabilmente, si estinse, poco prima del lupo.
Giuseppe Romegialli, ne "Storia della Valtellina e delle già contee di Bormio e Chiavenna" (Sondrio, 1834), scrive: "La lince o lupo cerviero, detto comunemente lupo-gatto, Felis Lynx, (der Luchs) abita le tane degli alti boschi, e ne è rara la specie. Quello esposto nel museo di Pavia fu dato dal cavaliere Giovanni Battista Paribelli di Sondrio, e preso nelle alpi d'Albosaggia".
Ma il tutto è avvolto nel mistero, perché era senza dubbio, per la taglia ridotta e per le abitudini schive ed appartate, il più difficile da avvistare fra i predatori. Anche per questo è pressoché assente dall’immaginario legato alle bestie feroci che turbavano il sonno dei bambini nei secoli scorsi. Quando se ne parlava, veniva spesso confuso con una sottospecie meno temibile del lupo, e chiamato “lupo cerviero” o “lupo gatto”. Colpivano, di lui, soprattutto gli occhi, ed ancora oggi è viva l’espressione “occhi di lince”, per designare una vista eccezionalmente acuta. Due soli esemplari di lince furono abbattuti in Valtellina nell’Ottocento: uno, già conservato nella collezione Sertoli, è andato perduto, il secondo, invece, come abbiamo visto nella citazione dal Romegialli, ucciso nei boschi sopra Albosaggia, è ancora osservabile nel Museo dell’Università di Pavia.
E' interessante notare che negli Statuti di Bormio la lince, chiamata "lupus cerverius", è menzionata fra le fiere dalle quali l'intera comunità è chiamata a difendersi per la loro pericolosità; allo stesso animale viene dato anche il nome "lonza", che, a Piatta, viene usato pure come soprannome apposto a talune donne. I cultori di Dante ricorderanno che la lonza, insieme al leone ed alla lupa, è una delle tre fiere che sbarrano la strada al poeta che tenta di uscire dalla selva oscura: era tradizionalmente considerato simbolo della lussuria, in quanto si riteneva che si accoppiasse in tutte le stagioni. Nel dialetto di Teglio, infine, l'animale veniva chiamato "lüf gat", cioè "lupo gatto".
È pressoché certo, dunque, che la spaccatura nel granito sopra Cerido non ospiti più alcun animale, o, quantomeno, linci. Almeno per ora. Chissà che in futuro alcuni tentativi di reintroduzione dell’animale nell’arco alpino lo riportino anche in Valtellina. Nel Parco Nazionale Svizzero dell’Engadina, per esempio, è stata recentemente liberata una coppia di linci, di cui però si sono interamente perse le tracce. Ad ogni buon conto, si può sempre salire a controllare a Cerido, se si nutre qualche dubbio al riguardo. Se vogliamo arrivarci con l'automobile, lasciamo la statale 38 al primo semaforo d'ingresso a Morbegno (murbègn), per chi viene da Colico, deviando a sinistra (indicazioni per Traona e per la Costiera dei Cech). Superiamo così un ponte sulla ferrovia ed un semaforo; oltrepassato un secondo ponte, sull'Adda, prendiamo a destra, percorrendo la strada che sale a Dazio (dasc). Dopo un tornante sinistrorso ed un secondo destrorso, ci attende un lungo tratto in salita verso nord-est. Dopo circa due chilometri e mezzo e prima che la strada cominci a piegare a sinistra per avvicinarsi al solco della val Toate, prestiamo attenzione sul lato sinistro: vedremo un cartello che segnala la partenza di una stradina che sale verso Cerido, dove termina. Vale però la pena spendere tre quarti d'ora per salire a piedi, partendo da Campovico (camvìich).
Per raggiungere il paese, imbocchiamo la strada che sale a Dazio ma, al primo tornante sinistrorso, invece di proseguire in salita, abbandoniamola sulla destra, scendendo al ponte di Ganda e proseguendo, lasciato il ponte alla nostra destra, fino a Campovico (m. 235). Saliamo verso la ben visibile chiesa e lasciamo l'automobile nel comodo parcheggio presso il cimitero sottostante. Raggiunto il sagrato della chiesa, vedremo una stradina, nel primo tratto asfaltata, che sale con diversi tornanti sul fianco montuoso, fino al bel borgo di Cermeledo (scèrmelée, termine che deriva anch’esso, forse, da cerro, m. 461). Da qui saliamo alla strada asfaltata che si dirige a Dazio e scendiamo per un tratto, verso sinistra, fino ad incontrare, sulla nostra destra, la deviazione già citata per Cerido.
Raggiunte le case di Cerido, vedremo facilmente un cartello che ci indirizza al Torchio di Cerido. Nei giorni di giovedì e domenica, dalle 14.30 alle 17.00, potremo visitare questo piccolo museo della civiltà contadina, un torchio vinario e di un frantoio oleario del secolo XVII (funzionanti fino agli anni '40 del secolo scorso), cui si sono aggiunti altri interessanti oggetti della vita contadina nei secoli passati (gerli, tini e tinozze, stadere, irroratori, mazze, stai, ceste, pentole, lampade, borracce, cappelli, e così via). La gentile signora Amelia Margnelli si renderà, poi, disponibile a fornire notizie interessanti su questi strumenti che rappresentavano, nell'economia contadina, risorse essenziali in una zona nella quale la viticoltura si è sempre avvalsa di un'ottima esposizione al sole. Nel caso in cui la visita sia in comitiva è bene telefonare allo 0342611342.
Visitato il torchio, ci rimettiamo in cammino sulle tracce del ghetùn, salendo ancora, lungo la mulattiera che sale alla parte alta del nucleo e, piegando a sinistra, raggiunge la baita più alta. Nei suoi pressi si trova un enorme roccione, attrezzato anche per l'arrampicata, sotto il quale sono stati ricavati dei baitelli. Sul lato orientale si vede una cavità, il cui bordo è riempito di terra. Forse in passato esso era aperto ed una fessura si insinuava nel corpo del roccione. Forse era questa la tana. Ma pare troppo vicina alle case per essere credibile: la lince è animale schivo, che non ama rintanarsi vicino alle dimore degli uomini.
Proviamo, allora, a cercarla nel bosco. In corrispondenza del roccione la mulattiera volge a destra e si immerge in uno splendido bosco di castagni. Dopo un paio di tornanti, ci porta ad una cappelletta, dove troviamo un bivio: sulla destra di trova la deviazione per Ca' Brunai, alle porte di Dazio; se, invece, proseguiamo sulla mulattiera principale, raggiungeremo, infine, una bella fascia di prati, salendo ad intercettare la strada asfaltata che congiunge Vallate, sopra Dazio, a Serone. ma di roccioni neppure l'ombra.
Riportiamoci, allora, al orcicone a monte di Cerido: qui parte, sullasinistra, un largo sentiero, un po' sporco, che sale nel bosco. Dopo il primo breve tratto, sulla sinistra, un po' più in basso, vedremo un roccione più piccolo. Andiamo ancora avanti, fino ad un casello dell'acqua. Qui lasciamo il sentiero principale e volgiamo a destra, su un sentierino, che passa qualche decina di metri sotto un terzo grande roccione. Per raggiungerlo, dobbiamo passare sotto la sua verticale, lasciare il sentierino su debole traccia che volge a sinistra ed aggirarlo a monte. Appena sopra il roccione si trova un bel masso erratico, più piccolo. Scendiamo, ora, alla base del roccione, con cautela: vedremo una fessura che si insinua fra il suo corpo e le rocce scoperte che gli fanno da base. Che sia questa la tana del ghetùn? Se d'inverno volgiamo lo sguardo al monte che sovrasta Cerido vedremo, però, leggermente spostato sulla destra ed appena sotto il limite del gradino che si affaccia sulla piana di Vallate, un grande masso che emerge dagli alberi spogli. E' il più grande nella zona, ma non è facilissimo raggiungerlo. Se vogliamo farlo, incamminiamoci sulla mulattiera che da Cerido sale alla piana di Vallate e che parte dalla baita più alta, piegando subito a destra. Dopo pochi tornanti, incontriamo una bella cappelletta, alla quale si stacca, sulla destra, un sentiero che scende a Ca' Brunai (Dazio). Noi restiamo sulla mulattiera, che qui piega a sinistra. Poco sopra, appena prima rispetto al punto in cui la mulattiera assume un andamento in falsopiano e si dirige ad una seconda cappelletta, vediamo, sulla sinistra, una radura. Portiamoci ad essa e, rimanendo presso il suo limite di destra, su traccia debolissima di sentiero, entriamo in una selva di castagni, procedendo sempre su traccia debole, ed un po' a vista, avendo cura di restare sempre alla medesima quota. In pochi minuti raggiungeremo l'enorme roccione. Che sia, dunque, questa la tana del ghetùn? Impossibile dirlo con sicurezza. Possibile, invece, se ci piace, crederlo.

 

 

STORIA
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AMBIENTE

 

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I PROVERBI SONO IN GRAN PARTE TRATTI DAI SEGUENTI TESTI:

Gaggi, Silvio, "Il volgar eloquio - dialetto malenco", Tipografia Bettini, Sondrio, 2011
Laura Valsecchi Pontiggia, “Proverbi di Valtellina e Valchiavenna”, Bissoni editore, Sondrio, 1969
Gabriele Antonioli, Remo Bracchi, "Dizionario etimologico grosino" (Sondrio, 1995, edito a cura della Biblioteca comunale di Grosio)
Dott. Omero Franceschi, prof.ssa Giuseppina Lombardini, "Costumi e proverbi valtellinesi", Ristampa per l'Archivio del Centro di Studi Alpini di Isolaccia Valdidentro, 2002
AA.VV. "A Cà Nossa ai le cünta inscì", a cura della Biblioteca Comunale di Montagna in Valtellina, Piccolo Vocabolario del dialetto di Montagna con detti, proverbi, filastrocche e preghiere di una volta (1993-1996)
Glicerio Longa, "Usi e Costumi del Bormiese”, ed. "Magnifica Terra", Sondrio, Soc. Tipo-litografica Valtellinese
"Parla 'me ta mànget - detti, proverbi e curiosità della tradizione comasca, lecchese e valtellinese", edito da La Provincia, 2003
Pier Antonio Castellani, “Cento proverbi, detti e citazioni di Livigno” I Libri del Cervo, Sondrio, 1996
Pier Antonio Castellani, “Cento nuovi proverbi, detti e citazioni di Livigno” I Libri del Cervo, Sondrio, 1999
Pier Antonio Castellani, “Cento altri, detti e citazioni di Livigno” I Libri del Cervo, Sondrio, 2000
Pier Antonio Castellani, "Detti e citazioni della Valdidentro", I Libri del Cervo, Sondrio, 2000
Luigi Godenzi e don Reto Crameri, "Proverbi, modi di dire, filastrocche raccolti a Poschiavo, in particolare nelle sue frazioni", con la collaborazione di alcune classi delle Scuole di Avviamento Pratico, Tip. Menghini, Poschiavo (CH), 1987
Lina Lombardini Rini, "Favole e racconti in dialetto di Valtellina", Edizioni Sandron, Palermo-Roma, 1926
Cici Bonazzi, “Detti, proverbi, filastrocche, modi di dire in dialetto tiranese”, ed. Museo Etnografico Tiranese, Tirano, 2000
Luisa Moraschinelli, "Dizionario del dialetto di Aprica", IDEVV (Istituto di Dialettologia e di Etnografia Valtellinese e Valchiavennasca"), Sondrio, 2010
Tarcisio Della Ferrera, Leonardo Della Ferrera (a cura di), "Vocabolario dialettale di Chiuro e Castionetto", Comune di Chiuro ed IDEVV (Istituto di Dialettologia e di Etnografia Valtellinese e Valchiavennasca"), Sondrio, 2008 (cfr. anche www.dialettochiuro.org)
Giovanni Giorgetta, Stefano Ghiggi (con profilo del dialetto di Remo Bracchi), "Vocabolario del Dialetto di Villa di Chiavenna", IDEVV (Istituto di Dialettologia e di Etnografia Valtellinese e Valchiavennasca"), Sondrio, 2010
Luigi Berti, Elisa Branchi (con contributo di Remo Bracchi), "Dizionario tellino", IDEVV (Istituto di Dialettologia e di Etnografia Valtellinese e Valchiavennasca"), Sondrio, 2003
Sergio Scuffi (a cura di), "Nü’n cuštümàva – Vocabolario dialettale di Samolaco", edito nel 2005 dall’Associazione Culturale Biblioteca di Samolaco e dall’Istituto di Dialettologia e di Etnografia Valtellinese e Valchiavennasca. Giacomo Maurizio, "La Val Bargaia", II parte, in "Clavenna" (Bollettino della Società Storica Valchiavennasca), 1970 Gabriele Antonioli e Remo Bracchi, "Dizionario etimologico grosino", Sondrio, 1995, edito a cura della Biblioteca Comunale di Grosio.
Silvana Foppoli Carnevali, Dario Cossi ed altri, “Lingua e cultura del comune di Sondalo” (edito a cura della Biblioteca Comunale di Sondalo)
Serafino Vaninetti, "Sacco - Storia e origini dei personaggi e loro vicissitudini degli usi e costumi nell'Evo", Edizioni Museo Vanseraf Mulino del Dosso, Valgerola, 2003
Sito www.fraciscio.it, dedicato a Fraciscio
Sito www.prolocodipedesina.it, dedicato a Pedesina
Massara, Giuseppe Filippo, "Prodromo della flora valtellinese", Sondrio, Della Cagnoletta, 1834 (ristampa anastatica Arnaldo Forni Editore)
Massara, Giuseppe Filippo, "Prodromo della flora valtellinese", Sondrio, Della Cagnoletta, 1834 (ristampa anastatica Arnaldo Forni Editore)


Utilissima anche la consultazione di Massimiliano Gianotti, "Proverbi dialettali di Valtellina e Valchiavenna", Sondrio, 2001

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PRINCIPALI TESTI CONSULTATI:

Laura Valsecchi Pontiggia, “Proverbi di Valtellina e Valchiavenna”, Bissoni editore, Sondrio, 1969
Gabriele Antonioli, Remo Bracchi, "Dizionario etimologico grosino" (Sondrio, 1995, edito a cura della Biblioteca comunale di Grosio)
Dott. Omero Franceschi, prof.ssa Giuseppina Lombardini, "Costumi e proverbi valtellinesi", Ristampa per l'Archivio del Centro di Studi Alpini di Isolaccia Valdidentro, 2002
Tullio Urangia Tazzoli, "La contea di Bormio – Vol. III – Le tradizioni popolari”, Anonima Bolis Bergamo, 1935;
AA.VV. "A Cà Nossa ai le cünta inscì", a cura della Biblioteca Comunale di Montagna in Valtellina, Piccolo Vocabolario del dialetto di Montagna con detti, proverbi, filastrocche e preghiere di una volta (1993-1996);
Giuseppina Lombardini, “Leggende e tradizioni valtellinesi”, Sondrio, ed. Mevio Washington, 1925;
Lina Rini Lombardini, “In Valtellina - Colori di leggende e tradizioni”, Sondrio, Ramponi, 1950;
Glicerio Longa, "Usi e Costumi del Bormiese”, ed. "Magnifica Terra", Sondrio, Soc. Tipo-litografica Valtellinese 1912, ristampa integrale nel 1967 a Bormio e II ristampa nel 1998 a Bormio a cura di Alpinia Editrice;
Glicerio Longa, "Vocabolario Bormino”, Perugia, Unione Tipografica Cooperativa, 1913;
Marcello Canclini “Raccolta di tradizioni popolari di Bormio, Valdisotto, Valfurva, Valdidentro e Livigno – Il ciclo della vita – La nascita e l'infanzia” (Centro Studi Storici Alta Valtellina, 2000);
Marcello Canclini “Raccolta di tradizioni popolari di Bormio, Valdisotto, Valfurva, Valdidentro e Livigno – Il ciclo della vita – Fidanzamento e matrimonio” (Centro Studi Storici Alta Valtellina, 2004);
Luigi De Bernardi, "Almanacco valtellinese e valchiavennasco", II, Sondrio, 1991;
Giuseppe Napoleone Besta, "Bozzetti Valtellinesi", Bonazzi, Tirano, 1878;
Ercole Bassi, “La Valtellina (Provincia di Sondrio) ”, Milano, Tipografia degli Operai, 1890;
"Ardenno- Strade e contrade", a cura della cooperativa "L'Involt" di Sondrio;
"Castione - Un paese di Valtellina", edito a cura della Biblioteca Comunale di Castione, in collaborazione con il Sistema Bibliotecario di Sondrio;
don Domenico Songini, “Storie di Traona – terra buona”, vol. II, Bettini Sondrio, 2004;
don Domenico Songini, “Storia e... storie di Traona – terra buona”, vol. I, Bettini Sondrio, 2001;
Scuola primaria di Sirta: calendari 1986 e 1991 (a cura dell'insegnante Liberale Libera);
Luisa Moraschinelli, “Uita d'Abriga cüntada an dal so dialet (agn '40)”;
Giovanni Bianchini e Remo Bracchi, "“Dizionario etimologico dei dialetti della Val di Tartano”, Fondazione Pro Valtellina, IDEVV, 2003;
Rosa Gusmeroli, "Le mie care Selve";
Cirillo Ruffoni, "Ai confini del cielo - la mia infanzia a Gerola", Tipografia Bettini, Sondrio, 2003;
Cirillo Ruffoni, "Chi va e chi resta - Romanzo storico ambientato in bassa Valtellina nel secolo XV", Tipografia Bettini, Sondrio, 2000;
Cirillo Ruffoni, "In nomine Domini - Vita e memorie di un comune della Valtellina nel Trecento", Tipografia Bettini, Sondrio, 1998;
Mario Songini (Diga), "La Val Masino e la sua gente - storia, cronaca e altro", Comune di Val Masino, 2006;
Tarcisio Della Ferrera, "Una volta", Edizione Pro-Loco Comune di Chiuro, 1982;
"Parla 'me ta mànget - detti, proverbi e curiosità della tradizione comasca, lecchese e valtellinese", edito da La Provincia, 2003;
Massimiliano Gianotti, "Proverbi dialettali di Valtellina e Valchiavenna", Sondrio, 2001;
Associazione Archivio della Memoria di Ponte in Valtellina, "La memoria della cura, la cura della memoria", Alpinia editrice, 2007;
Luisa Moraschinelli, "Come si viveva nei paesi di Valtellina negli anni '40 - l'Aprica", Alpinia editrice, 2000;
Aurelio Benetti, Dario Benetti, Angelo Dell'Oca, Diego Zoia, "Uomini delle Alpi - Contadini e pastori in Valtellina", Jaca Book, 1982;
Patrizio Del Nero, “Albaredo e la via di San Marco – Storia di una comunità alpina”, Editour, 2001;
Amleto Del Giorgio, "Samolaco ieri e oggi", Chiavenna, 1965;
Ines Busnarda Luzzi, "Case di sassi", II, L'officina del Libro, Sondrio, 1994;
aa.vv. “Mondo popolare in Lombardia – Sondrio e il suo territorio” (Silvana editoriale, 1995) Pierantonio Castellani, “Cento proverbi, detti e citazioni di Livigno” I Libri del Cervo, Sondrio, 1996 Pierantonio Castellani, “Cento nuovi proverbi, detti e citazioni di Livigno” I Libri del Cervo, Sondrio, 1999 Pierantonio Castellani, “Cento altri, detti e citazioni di Livigno” I Libri del Cervo, Sondrio, 2000
Cici Bonazzi, “Detti, proverbi, filastrocche, modi di dire in dialetto tiranese”, ed. Museo Etnografico Tiranese, Tirano, 2000
Luisa Moraschinelli, "Dizionario del dialetto di Aprica", IDEVV (Istituto di Dialettologia e di Etnografia Valtellinese e Valchiavennasca"), Sondrio, 2010
Tarcisio Della Ferrera, Leonardo Della Ferrera (a cura di), "Vocabolario dialettale di Chiuro e Castionetto", Comune di Chiuro ed IDEVV (Istituto di Dialettologia e di Etnografia Valtellinese e Valchiavennasca"), Sondrio, 2008 (cfr. anche www.dialettochiuro.org)
Giovanni Giorgetta, Stefano Ghiggi (con profilo del dialetto di Remo Bracchi), "Vocabolario del Dialetto di Villa di Chiavenna", IDEVV (Istituto di Dialettologia e di Etnografia Valtellinese e Valchiavennasca"), Sondrio, 2010
Luigi Berti, Elisa Branchi (con contributo di Remo Bracchi), "Dizionario tellino", IDEVV (Istituto di Dialettologia e di Etnografia Valtellinese e Valchiavennasca"), Sondrio, 2003
Pietro Ligari, “Ragionamenti d’agricoltura” (1752), Banca Popolare di Sondrio, Sondrio, 1988
Saveria Masa, “Libro dei miracoli della Madonna di Tirano”, edito a cura dell’Associazione Amici del Santuario della Beata Vergine di Tirano” (Società Storica Valtellinese, Sondrio, 2004)
Sergio Scuffi (a cura di), "Nü’n cuštümàva – Vocabolario dialettale di Samolaco", edito nel 2005 dall’Associazione Culturale Biblioteca di Samolaco e dall’Istituto di Dialettologia e di Etnografia Valtellinese e Valchiavennasca. Giacomo Maurizio, "La Val Bargaia", II parte, in "Clavenna" (Bollettino della Società Storica Valchiavennasca), 1970 Gabriele Antonioli e Remo Bracchi, "Dizionario etimologico grosino", Sondrio, 1995, edito a cura della Biblioteca Comunale di Grosio.
Silvana Foppoli Carnevali, Dario Cossi ed altri, “Lingua e cultura del comune di Sondalo” (edito a cura della Biblioteca Comunale di Sondalo)
Serafino Vaninetti, "Sacco - Storia e origini dei personaggi e loro vicissitudini degli usi e costumi nell'Evo", Edizioni Museo Vanseraf Mulino del Dosso, Valgerola, 2003
Sito www.fraciscio.it, dedicato a Fraciscio
Sito www.prolocodipedesina.it, dedicato a Pedesina
Massara, Giuseppe Filippo, "Prodromo della flora valtellinese", Sondrio, Della Cagnoletta, 1834 (ristampa anastatica Arnaldo Forni Editore)
Galli Valerio, Bruno, "Materiali per la fauna dei vertebrati valtellinesi", Sondrio, stab. tipografico "Quadrio", 1890

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