SANTI (clicca qui per aprire la pagina relativa a questo giorno dal sito www.santiebeati.it):
S. Giovanni B., S. Ignazio, Marcella, Lodovico, Geminiano, Nico

PROVERBI

Un bel ginéer el fa pciànsc in feuréer (un bel gennaio fa piangere in febbraio - Sirta)
Töcc' i grüp ai ven al pécen (tutti i nodi vengono al pettine - Traona)
Töcc' i can ai mena la cóa, töcc' i àsen ai vò dì la sóa
(tutti i cani menano la coda, tutti gli asini vogliono dire la loro - Traona)
Se ta vö fat amà fat desiderà (se vuoi farti amare fatti desiderare - Tirano)
Se ta vö mìga carestìa fa ecunumìa (se non vuoi la miseria fai economia - Tirano)
Al sciur anca a l'infern al troa la scagna bela e prunta
(il signore anche all'inferno trova la sedia bella e rponta - Poschiavo)
Da l'altra part sa töl drö gnent (dall'altra parte, dopo la morte, non si porta nulla - Poschiavo)
Nei fundi s'a da intrà gob, per vignì fò gob (nei fundi si deve entrare gobbi per uscirne gobbi - Bianzone)

VITA DI UNA VOLTA

Riportiamo alcuni passi dal volume “La contea di Bormio – Vol. III – Le tradizioni popolari”, di Tullio Urangia Tazzoli (Anonima Bolis Bergamo, 1935):
Al 31 di gennaio i ragazzi bormiesi se né vanno per le strade gridando allegri "è fóra Genarùm „! (gennaio se va!). Abitudini comuni anche nelle valli attigue specie nelle alte valli bergamasche e bresciane dove i ragazzi si divertono un mondo facendo i funerali al mese di gennaio al suono di raganelle, fischi, strascichi di catene infernali... et similia. I ragazzi bormiesi sono, forse, più discreti giacchè bussano alle porte dando il lieto annuncio...”

Nella “Guida escursionistica della Valchiavenna” (edizioni Rota, Chiavenna, 1986), leggiamo:
L’é fö ‘l ginée (ginerùn) È finito gennaio. La frase veniva detta a chi veniva tirato fuori casa per scherzo, con una scusa qualsiasi, il 31 gennaio. La burla sottolineava la fine del lungo e freddo mese che aveva costretto in casa.”

Ercole Bassi, ne “La Valtellina (Provincia di Sondrio) ”, (Milano, Tipografia degli Operai, 1890), a sua volta scrive:
“Alla fine di gennaio si fa lo scherzo: «Fö Genée» (fuori gennaio); cioè si fa tutto il possibile per indurre la persona cui si vuol fare lo scherzo ad uscire di casa, ed allora le si gridano le dette parole.
Uno scherzo simile si usa al 2 febbraio, procurando di far affacciare alla porta o alla finestra la persona cui si vuol fare lo scherzo, poi gli si grida: «È fuori l'orso dalla tana.» Si può di leggieri pensare le astuzie che si dovevano mettere in uso, stando ognuno sull'avvisato.”

Da Tarcisio Della Ferrera, Leonardo Della Ferrera (a cura di), "Vocabolario dialettale di Chiuro e Castionetto", Comune di Chiuro ed IDEVV (Istituto di Dialettologia e di Etnografia Valtellinese e Valchiavennasca"), Sondrio, 2008:
"Giné - sm. sing. gennaio.
Curiosa l’usanza, molto in voga negli anni passati, che consisteva nell’invitare con un pretesto qualsiasi una persona (meglio se era un vecchio un po’ scorbutico) a uscire di casa la sera del 31 gennaio per gridarle allegramente l’è fö el giné (in alternativa, il 2 febbraio: l'è fö l'urs de la tàna). Seguivano le risate, in genere anche di chi era stato vittima del giochetto. Simbolicamente significava che la brutta stagione era ormai passata."

Sulle tradizioni che caratterizzavano il periodo tardo-invernale nella media Valtellina leggiamo, nel bel volume “Castione, un paese di Valtellina“ (edito a cura della Biblioteca Comunale di Castione):
“L'inverno, lento, ovattato, freddo ma mai rigido e spesso ingrato anche a causa delle grandi nevicate che allora si ripetevano fre quenti, confinava ancora di più la gente nelle proprie case. Cresceva in tutti, con il monotono trascorrere dei giorni, il bisogno di uscire, di muoversi, di vedere qualcuno, di parlare con qualcuno.
La tradizione popolare aveva creato momenti di evasione, ricavandoli magari da usanze ed abitudini comuni a tutta la nostra valle a che qui, a Castione, trovavano terreno fertile per attecchire e per tramandarsi, tanto che ancora oggi, qualcuna di esse è ancora rispettata, almeno dai ragazzi della scuola.
Il 6 gennaio, i bambini andavano per le case a dire "gabinat": entravano all'improvviso e se erano svelti a pronunciare per primi la parola "gabinat" ricevevano in cambio una manciata di castagne cotte o qualche semplice dolcetto, fatto in casa, magari con farina di castagne.
Se i ragazzi erano svegli e pronti (ed in quel particolare momento non balbettavano di certo e non erano affatto timidi!) il rastrellamento di regali dava un raccolto consistente ed alla fine della mattinata, riuniti tutti in qualche angolo della contrata, si spartivano i dolci e tornavano a casa felici e contenti, pronti a terminare la scorpacciata che avevano appena iniziato.
Il 31 gennaio esisteva la tradizione de "l'è fo 'l ginée". Bambini e ragazzi, ma spesso anche adulti e donne, cercavano di far uscire da una casa le persone che vi abitavano. Spesso inventavano scuse e motivi inesistenti ma plausibili per costringere la gente di casa ad uscire all'aperto per vedere cosa era successo e quando era necessario escogitare un sistema più convincente del chiamare a voce alta per far cadere nel tranello la persona presa di mira, si prendeva un grosso "sciuch" o una vecchia pentola e li si faceva rotolare giù per le scale così da spaventare, insieme con le grida, i parenti e i vicini che si precipitavano fuori per vedere cosa era accaduto. Appena uscivano di casa venivano accolti da sonore risate e dalla tipica frase "l'è fo 'l ginee".
Molto simile a questa era la tradizione de "l'è fo l'urs de la tana" che ricorreva il 2 febbraio.
Erano queste ricorrenze annuali che tutti conoscevano e quindi non avrebbero dovuto rappresentare un tranello per alcuno. Ma i giorni erano sempre così uguali che il tempo trascorreva quasi nell'anonimato ed era così facile, per i più attenti, scherzare alle spalle dei vicini.”

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Giuseppe Napoleone Besta, nei suoi “Bozzetti Valtellinesi” (Bonazzi, Tirano, 1878), riporta un fatto singolare legato a questa usanza, narratogli da una sua zia. Non cita il paese in cui avvenne, ma, da un accenno ad una salita sul pizzo di Rodes e da altri dettagli, possiamo supporre si tratti di Piateda.
Qui, al tempo delle guerre napoleoniche (inizio Ottocento) viveva un’agiata famiglia di contadini, composta dai coniugi Lorenzo e Caterina Ronchetti e da tre figli, un maschio e due femmine. La storia ha come protagonista una delle due, la più grande, Maddalena, chiamata Lena, “una giovane alta”, dai “lineamenti un po’ grossolani, ma ben fatti”, dai modi spigliati, allegri ma decisi, tanto da essere spesso apostrofata, anche per i sonori ceffoni che non mancava di assestare ai corteggiatori troppo focosi, come “la bella maschiotta”, cosa di cui si compiaceva assai. Costei aveva raggiunto i diciotto anni, età nella quale appariva del tutto naturale, a quei tempi, che una giovane cominciasse a guardarsi seriamente intorno per trovare un giovane a modo, da prender per marito.
Lena, tuttavia, nonostante, per l’agiatezza della famiglia, il buon carattere e l’aspetto gradevole, fosse oggetto della corte di molti giovani del paese, non sembrava affatto darsi pensiero di questo: era amica di tutti, ma non si legava a nessuno, e sembrava aver a cuore solo di trascorrere quegli anni felici aiutando la famiglia, godendo delle gioie dell’amicizia e conservando quel “carattere…spensierato oltremodo”, che “se ne rideva di tutti gli spasimanti che le facevano la corte”.
Fra i giovani che desideravano conquistare il suo cuore vi era Antonio Pomelli, figlio venticinquenne di uno dei più ricchi contadini del paese, “bello e onesto giovanotto, di un carattere burlone e allegro proprio come quello di Lena”. Date le affinità elettive, i due giovani stavano assai bene insieme, ma intendevano quello stare insieme in modo del tutto diverso. Antonio, che frequentava assiduamente la casa dei Ronchetti, prestando volentieri la sua mano nelle diverse opere della campagna, faceva una corte serrata ma discreta alla ragazza; Lena, invece, era contenta di poter passare con lui momenti spensierati ed allegri, ma lo considerava un amico carissimo, ed anzi, più ancora, un fratello, per il quale nutrire il più acceso degli affetti, ma, appunto, un affetto fraterno.
Le cose andarono avanti così, per un bel pezzo: egli non perdeva occasione per cercare di mostrarle quanto le volesse bene: non mancava mai nelle lunghe serate invernali passate nella stalla a famiglia riunita, serate nelle quali tutti pendevano dalle labbra di nonna Margherita, che non mancava mai di raccontare qualche storia fantastica ed avvincente; non perdeva occasione per venire incontro ai desideri della ragazza, tanto che una volta, avendola sentita lamentarsi, nella calura estiva, per la mancanza di acqua fresca e ristoratrice, salì fino al piccolo ghiacciaio del pizzo di Rodes, riempiendosi la bisaccia di neve, per poi portarla all’amata, ed un’altra volta, avendola sentita esprimere il desiderio di possedere un uccello canterino da tenere in gabbia, rischiò la vita su arrampicandosi su un dirupo pur di catturare quattro piccoli passeri da regalarle.
Gesti di inequivocabile significato, che però non valsero a nulla: mentre la sorella minore Rosina si decideva alle nozze con un bravo giovane, lei, sempre affezionatissima al suo Antonio, a tutto sembrava pensare, fuorché a fare lo stesso. Il giovane non sapeva più a cosa appigliarsi: l’amore diventava sempre più struggente e l’atteggiamento di Lena lo feriva in misura sempre maggiore. L’autunno del 1811 lo trovò in questo penoso stato d’animo.
Una sera, però, parve giunta l’occasione per dichiararsi: Lena lo invitò ad una passeggiata presso le rive dell’Adda, durante la quale, vedendolo triste ed incupito, gli chiese cosa mai avesse. Egli allora sbottò: come aveva potuto non accorgersi di quello che lo affliggeva, dopo tanti gesti, dopo tanta frequentazione? Lei rimase sorpresa dal suo sfogo, gli rispose, candidamente, che non aveva la minima idea di cosa potesse tanto contristarlo, al che lui, al colmo della disperazione, gridò che si sarebbe buttato nell’Adda, e così voleva effettivamente fare. Corse, come fuori di sé, fino alla riva del fiume, e solo il grido dell’amata, che lo richiamava alla ragione, valse a fermarlo, proprio mentre stava per abbandonarsi alla corrente del fiume. Lena lo raggiunse trafelata, e lo scongiurò di manifestare quel che aveva nel cuore.
Fu così che Antonio, per la prima volta, trovò il coraggio di dire con le parole ciò che pensava di aver detto nei gesti, purtroppo invano, mille e mille volte: le disse che l’amava, e che non poteva pensare di continuare a vivere senza il suo amore. Al che l’amata, fortemente scossa dalle sue parole, per la prima volta aprì uno spiraglio di speranza nel suo cuore: “Fermatevi…” gli disse piangendo, “ve lo comando… Andiamo a casa, Antonio. Ci penserò, sperate. Forse la Madonna benedirà le mie preghiere”. “Grazie Lena,”, fu la sua risposta, “voi mi donate la vita, spererò”. Ma dovettero passare ancora alcuni mesi prima che l’amore potesse trionfare. Passò l’autunno, non senza un altro fatto memorabile: Antonio ebbe modo di salvare addirittura la vita di Lena, sventando l’attacco di un toro, infuriato per la giubba e la pezzuola rosse che lei indossava. Salvata dal suo intervento tempestivo (lanciandogli contro il forcone, Antonio era riuscito ad arrestare la corsa del possente animale), continuò assiduamente a pregare. Ma non aveva perso il carattere gioviale e burlone.

Giunse, così, il gennaio del 1812, uno dei più rigidi e terribili a memoria d’uomo, con la temperatura che scese di 20 gradi sotto lo zero. “I lupi che in quell’anno desolavano la Valtellina”, scrive il Besta,”scendeano a torme nei paesi in cerca di preda, e non temeano avvicinarsi a fiutare le porte delle stalle e a pascersi delle feci dei giumenti sulle vie. I contadini accendeano grandi fuochi poco lungi dalle case onde tener lontane quelle feroci belve che urlavano di freddo e di fame nel silenzio della notte”.
Venne anche il 31 gennaio: Lena non perse l’occasione per rinnovare gli scherzi tanto amati, si travestì con panni maschili, avvolgendo il volto in uno scialle di lana, per non farsi riconoscere, e si incamminò, la sera, verso la casa di Antonio.
Era decisa a vincere la scommessa, fatta con lui, che sarebbe riuscita, lei per prima, a farlo uscire dalla casa, secondo l’antichissima tradizione. Giunta sull’uscio, lo chiamò, cercando di imitare la voce del dottore del paese, il signor Carlo. Antonio udì la voce e cadde nell’inganno: dopo aver gettato un’occhiata da una finestra al primo piano, prese il lume e si accinse a scendere per aprire.
I fatti, nel giro di pochi istanti, però, precipitarono: Lena, vinta dal freddo atroce, si sentì venir meno e cadde a terra svenuta. Un branco di lupi, che l’aveva seguita, subito si avventò su di lei, trascinandola per la via e cercando di strapparle di dosso i panni nei quali era avvolta. Antonio, aperto l’uscio, vide la scena e, senza esitare, afferrò un’ascia, scagliandosi contro le belve e disperdendole con vigorosi colpi vibrati con decisione e precisione. Solo allora, scoprendo il capo di quel fagotto di forma umana, vide, con raccapriccio, che si trattava di Lena! Per la seconda volta, in pochi mesi, le aveva salvato la vita.
Fu la volta buona, perché Lena, dopo essersi riavuta, nel tepore della casa, vinta da tanto amore, non poté fare a meno di esclamare: “Antonio! Tu sei grande; tu sei il più nobile, il più magnanimo uomo della terra. Antonio, perdonami se fin ora non ho appagato l’amor tuo benedetto! Sento adesso che non meriti solo il mio, ma tutto l’amor dell’universo. Antonio! T’amo, t’amerò sempre e sarò tua per l’eternità.” Le sospirate nozze non tardarono ad essere celebrate, e la camera dei novelli sposi fu adornata da tre tappeti di pelle di lupo. Antonio benedisse sempre l’usanza di chiamar fuori il gennaio: senza di quella, infatti, forse non sarebbe mai giunto a coronare il suo sogno.

 

 

 

Dai "Bozzetti Valtellinesi" di Giuseppe Napoleone Besta, Bonazzi, Tirano, 1878
(ristampa anastatica a cura del Centro Tellino di Cultura, Sondrio, 2010):






 

 

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I PROVERBI SONO IN GRAN PARTE TRATTI DAI SEGUENTI TESTI:

Gaggi, Silvio, "Il volgar eloquio - dialetto malenco", Tipografia Bettini, Sondrio, 2011
Laura Valsecchi Pontiggia, “Proverbi di Valtellina e Valchiavenna”, Bissoni editore, Sondrio, 1969
Gabriele Antonioli, Remo Bracchi, "Dizionario etimologico grosino" (Sondrio, 1995, edito a cura della Biblioteca comunale di Grosio)
Dott. Omero Franceschi, prof.ssa Giuseppina Lombardini, "Costumi e proverbi valtellinesi", Ristampa per l'Archivio del Centro di Studi Alpini di Isolaccia Valdidentro, 2002
AA.VV. "A Cà Nossa ai le cünta inscì", a cura della Biblioteca Comunale di Montagna in Valtellina, Piccolo Vocabolario del dialetto di Montagna con detti, proverbi, filastrocche e preghiere di una volta (1993-1996)
Glicerio Longa, "Usi e Costumi del Bormiese”, ed. "Magnifica Terra", Sondrio, Soc. Tipo-litografica Valtellinese
"Parla 'me ta mànget - detti, proverbi e curiosità della tradizione comasca, lecchese e valtellinese", edito da La Provincia, 2003
Pier Antonio Castellani, “Cento proverbi, detti e citazioni di Livigno” I Libri del Cervo, Sondrio, 1996
Pier Antonio Castellani, “Cento nuovi proverbi, detti e citazioni di Livigno” I Libri del Cervo, Sondrio, 1999
Pier Antonio Castellani, “Cento altri, detti e citazioni di Livigno” I Libri del Cervo, Sondrio, 2000
Pier Antonio Castellani, "Detti e citazioni della Valdidentro", I Libri del Cervo, Sondrio, 2000
Luigi Godenzi e don Reto Crameri, "Proverbi, modi di dire, filastrocche raccolti a Poschiavo, in particolare nelle sue frazioni", con la collaborazione di alcune classi delle Scuole di Avviamento Pratico, Tip. Menghini, Poschiavo (CH), 1987
Lina Lombardini Rini, "Favole e racconti in dialetto di Valtellina", Edizioni Sandron, Palermo-Roma, 1926
Cici Bonazzi, “Detti, proverbi, filastrocche, modi di dire in dialetto tiranese”, ed. Museo Etnografico Tiranese, Tirano, 2000
Luisa Moraschinelli, "Dizionario del dialetto di Aprica", IDEVV (Istituto di Dialettologia e di Etnografia Valtellinese e Valchiavennasca"), Sondrio, 2010
Tarcisio Della Ferrera, Leonardo Della Ferrera (a cura di), "Vocabolario dialettale di Chiuro e Castionetto", Comune di Chiuro ed IDEVV (Istituto di Dialettologia e di Etnografia Valtellinese e Valchiavennasca"), Sondrio, 2008 (cfr. anche www.dialettochiuro.org)
Giovanni Giorgetta, Stefano Ghiggi (con profilo del dialetto di Remo Bracchi), "Vocabolario del Dialetto di Villa di Chiavenna", IDEVV (Istituto di Dialettologia e di Etnografia Valtellinese e Valchiavennasca"), Sondrio, 2010
Luigi Berti, Elisa Branchi (con contributo di Remo Bracchi), "Dizionario tellino", IDEVV (Istituto di Dialettologia e di Etnografia Valtellinese e Valchiavennasca"), Sondrio, 2003
Sergio Scuffi (a cura di), "Nü’n cuštümàva – Vocabolario dialettale di Samolaco", edito nel 2005 dall’Associazione Culturale Biblioteca di Samolaco e dall’Istituto di Dialettologia e di Etnografia Valtellinese e Valchiavennasca. Giacomo Maurizio, "La Val Bargaia", II parte, in "Clavenna" (Bollettino della Società Storica Valchiavennasca), 1970 Gabriele Antonioli e Remo Bracchi, "Dizionario etimologico grosino", Sondrio, 1995, edito a cura della Biblioteca Comunale di Grosio.
Silvana Foppoli Carnevali, Dario Cossi ed altri, “Lingua e cultura del comune di Sondalo” (edito a cura della Biblioteca Comunale di Sondalo)
Serafino Vaninetti, "Sacco - Storia e origini dei personaggi e loro vicissitudini degli usi e costumi nell'Evo", Edizioni Museo Vanseraf Mulino del Dosso, Valgerola, 2003
Sito www.fraciscio.it, dedicato a Fraciscio
Sito www.prolocodipedesina.it, dedicato a Pedesina
Massara, Giuseppe Filippo, "Prodromo della flora valtellinese", Sondrio, Della Cagnoletta, 1834 (ristampa anastatica Arnaldo Forni Editore)
Massara, Giuseppe Filippo, "Prodromo della flora valtellinese", Sondrio, Della Cagnoletta, 1834 (ristampa anastatica Arnaldo Forni Editore)


Utilissima anche la consultazione di Massimiliano Gianotti, "Proverbi dialettali di Valtellina e Valchiavenna", Sondrio, 2001

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PRINCIPALI TESTI CONSULTATI:

Laura Valsecchi Pontiggia, “Proverbi di Valtellina e Valchiavenna”, Bissoni editore, Sondrio, 1969
Gabriele Antonioli, Remo Bracchi, "Dizionario etimologico grosino" (Sondrio, 1995, edito a cura della Biblioteca comunale di Grosio)
Dott. Omero Franceschi, prof.ssa Giuseppina Lombardini, "Costumi e proverbi valtellinesi", Ristampa per l'Archivio del Centro di Studi Alpini di Isolaccia Valdidentro, 2002
Tullio Urangia Tazzoli, "La contea di Bormio – Vol. III – Le tradizioni popolari”, Anonima Bolis Bergamo, 1935;
AA.VV. "A Cà Nossa ai le cünta inscì", a cura della Biblioteca Comunale di Montagna in Valtellina, Piccolo Vocabolario del dialetto di Montagna con detti, proverbi, filastrocche e preghiere di una volta (1993-1996);
Giuseppina Lombardini, “Leggende e tradizioni valtellinesi”, Sondrio, ed. Mevio Washington, 1925;
Lina Rini Lombardini, “In Valtellina - Colori di leggende e tradizioni”, Sondrio, Ramponi, 1950;
Glicerio Longa, "Usi e Costumi del Bormiese”, ed. "Magnifica Terra", Sondrio, Soc. Tipo-litografica Valtellinese 1912, ristampa integrale nel 1967 a Bormio e II ristampa nel 1998 a Bormio a cura di Alpinia Editrice;
Glicerio Longa, "Vocabolario Bormino”, Perugia, Unione Tipografica Cooperativa, 1913;
Marcello Canclini “Raccolta di tradizioni popolari di Bormio, Valdisotto, Valfurva, Valdidentro e Livigno – Il ciclo della vita – La nascita e l'infanzia” (Centro Studi Storici Alta Valtellina, 2000);
Marcello Canclini “Raccolta di tradizioni popolari di Bormio, Valdisotto, Valfurva, Valdidentro e Livigno – Il ciclo della vita – Fidanzamento e matrimonio” (Centro Studi Storici Alta Valtellina, 2004);
Luigi De Bernardi, "Almanacco valtellinese e valchiavennasco", II, Sondrio, 1991;
Giuseppe Napoleone Besta, "Bozzetti Valtellinesi", Bonazzi, Tirano, 1878;
Ercole Bassi, “La Valtellina (Provincia di Sondrio) ”, Milano, Tipografia degli Operai, 1890;
"Ardenno- Strade e contrade", a cura della cooperativa "L'Involt" di Sondrio;
"Castione - Un paese di Valtellina", edito a cura della Biblioteca Comunale di Castione, in collaborazione con il Sistema Bibliotecario di Sondrio;
don Domenico Songini, “Storie di Traona – terra buona”, vol. II, Bettini Sondrio, 2004;
don Domenico Songini, “Storia e... storie di Traona – terra buona”, vol. I, Bettini Sondrio, 2001;
Scuola primaria di Sirta: calendari 1986 e 1991 (a cura dell'insegnante Liberale Libera);
Luisa Moraschinelli, “Uita d'Abriga cüntada an dal so dialet (agn '40)”;
Giovanni Bianchini e Remo Bracchi, "“Dizionario etimologico dei dialetti della Val di Tartano”, Fondazione Pro Valtellina, IDEVV, 2003;
Rosa Gusmeroli, "Le mie care Selve";
Cirillo Ruffoni, "Ai confini del cielo - la mia infanzia a Gerola", Tipografia Bettini, Sondrio, 2003;
Cirillo Ruffoni, "Chi va e chi resta - Romanzo storico ambientato in bassa Valtellina nel secolo XV", Tipografia Bettini, Sondrio, 2000;
Cirillo Ruffoni, "In nomine Domini - Vita e memorie di un comune della Valtellina nel Trecento", Tipografia Bettini, Sondrio, 1998;
Mario Songini (Diga), "La Val Masino e la sua gente - storia, cronaca e altro", Comune di Val Masino, 2006;
Tarcisio Della Ferrera, "Una volta", Edizione Pro-Loco Comune di Chiuro, 1982;
"Parla 'me ta mànget - detti, proverbi e curiosità della tradizione comasca, lecchese e valtellinese", edito da La Provincia, 2003;
Massimiliano Gianotti, "Proverbi dialettali di Valtellina e Valchiavenna", Sondrio, 2001;
Associazione Archivio della Memoria di Ponte in Valtellina, "La memoria della cura, la cura della memoria", Alpinia editrice, 2007;
Luisa Moraschinelli, "Come si viveva nei paesi di Valtellina negli anni '40 - l'Aprica", Alpinia editrice, 2000;
Aurelio Benetti, Dario Benetti, Angelo Dell'Oca, Diego Zoia, "Uomini delle Alpi - Contadini e pastori in Valtellina", Jaca Book, 1982;
Patrizio Del Nero, “Albaredo e la via di San Marco – Storia di una comunità alpina”, Editour, 2001;
Amleto Del Giorgio, "Samolaco ieri e oggi", Chiavenna, 1965;
Ines Busnarda Luzzi, "Case di sassi", II, L'officina del Libro, Sondrio, 1994;
aa.vv. “Mondo popolare in Lombardia – Sondrio e il suo territorio” (Silvana editoriale, 1995) Pierantonio Castellani, “Cento proverbi, detti e citazioni di Livigno” I Libri del Cervo, Sondrio, 1996 Pierantonio Castellani, “Cento nuovi proverbi, detti e citazioni di Livigno” I Libri del Cervo, Sondrio, 1999 Pierantonio Castellani, “Cento altri, detti e citazioni di Livigno” I Libri del Cervo, Sondrio, 2000
Cici Bonazzi, “Detti, proverbi, filastrocche, modi di dire in dialetto tiranese”, ed. Museo Etnografico Tiranese, Tirano, 2000
Luisa Moraschinelli, "Dizionario del dialetto di Aprica", IDEVV (Istituto di Dialettologia e di Etnografia Valtellinese e Valchiavennasca"), Sondrio, 2010
Tarcisio Della Ferrera, Leonardo Della Ferrera (a cura di), "Vocabolario dialettale di Chiuro e Castionetto", Comune di Chiuro ed IDEVV (Istituto di Dialettologia e di Etnografia Valtellinese e Valchiavennasca"), Sondrio, 2008 (cfr. anche www.dialettochiuro.org)
Giovanni Giorgetta, Stefano Ghiggi (con profilo del dialetto di Remo Bracchi), "Vocabolario del Dialetto di Villa di Chiavenna", IDEVV (Istituto di Dialettologia e di Etnografia Valtellinese e Valchiavennasca"), Sondrio, 2010
Luigi Berti, Elisa Branchi (con contributo di Remo Bracchi), "Dizionario tellino", IDEVV (Istituto di Dialettologia e di Etnografia Valtellinese e Valchiavennasca"), Sondrio, 2003
Pietro Ligari, “Ragionamenti d’agricoltura” (1752), Banca Popolare di Sondrio, Sondrio, 1988
Saveria Masa, “Libro dei miracoli della Madonna di Tirano”, edito a cura dell’Associazione Amici del Santuario della Beata Vergine di Tirano” (Società Storica Valtellinese, Sondrio, 2004)
Sergio Scuffi (a cura di), "Nü’n cuštümàva – Vocabolario dialettale di Samolaco", edito nel 2005 dall’Associazione Culturale Biblioteca di Samolaco e dall’Istituto di Dialettologia e di Etnografia Valtellinese e Valchiavennasca. Giacomo Maurizio, "La Val Bargaia", II parte, in "Clavenna" (Bollettino della Società Storica Valchiavennasca), 1970 Gabriele Antonioli e Remo Bracchi, "Dizionario etimologico grosino", Sondrio, 1995, edito a cura della Biblioteca Comunale di Grosio.
Silvana Foppoli Carnevali, Dario Cossi ed altri, “Lingua e cultura del comune di Sondalo” (edito a cura della Biblioteca Comunale di Sondalo)
Serafino Vaninetti, "Sacco - Storia e origini dei personaggi e loro vicissitudini degli usi e costumi nell'Evo", Edizioni Museo Vanseraf Mulino del Dosso, Valgerola, 2003
Sito www.fraciscio.it, dedicato a Fraciscio
Sito www.prolocodipedesina.it, dedicato a Pedesina
Massara, Giuseppe Filippo, "Prodromo della flora valtellinese", Sondrio, Della Cagnoletta, 1834 (ristampa anastatica Arnaldo Forni Editore)
Galli Valerio, Bruno, "Materiali per la fauna dei vertebrati valtellinesi", Sondrio, stab. tipografico "Quadrio", 1890

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