SANTI (clicca qui per aprire la pagina relativa a questo giorno dal sito www.santiebeati.it):
Angela, Giovanna d'Arco, Petronilla

SANTI PATRONI: Visitazione di Maria Vergine (Menarola)

PROVERBI

Se feurèr no'l feurégia e mèrs no'l marségia, uril e mac' an tira la curégia
(se febbraio non fa il febbraio e marzo non fa il marzo, ad aprile ed a maggio tiriamo la cinghia - Grosio)
Chi cura la sua pèll, i cura n gran castèll (chi ha cara la sua pelle, ha caro un gran castello)
La va bén fina ai quaranta, dòpu la machina la s’encanta (va bene fino ai quaranta, dopo la macchina perde colpi)
Se ta fée cént mestée gnàa ün l’è facc bée (se fai cento mestieri nessuno sarà fatto bene - Tirano)
Se ta fée del bée desméntega, se ta fée del mal pénsach (se fai il bene dimenticalo, se fai il male pensaci - Tirano)
A vistì bé ‘n pàl el par ‘n cardinàl (a vestire bene un palo sembra un cardinale - Teglio)
Misériä štabbilä e richézzä mòbbilä (la miseria è stabile, la ricchezza mobile - Villa di Chiavenna)
La necessità la güza l'ingégn (la necessità aguzza l'ingegno - Poschiavo)
Bégna sa ingignà, sa sa vol mangià (bisogna ingegnarsi se si vuol mangiare - Poschiavo)
A far i mestejr ke no se us al vegn magra li man e guz al mus
(a fare i mestieri cui non si è abituati vengon magre le mani ed asciutto il viso - Bormio)

VITA DI UNA VOLTA

Paride Dioli, in "Caspoggio nel secondo millennio" (ed. Unione della Valmalenco", 2004), scrive:
"La sera dell'ultimo giorno di maggio i paesi, i maggenghi e gli alpeggi della Valmalenco si illuminavano per i molti falò accesi in onore della Madonna; alla fine del mese mariano e la sera del primo sabato di agosto si accendevano di nuovo in onore della Madonna delle Grazie di Primolo, la cui festa ricorre proprio la prima domenica di agosto.
E' un'usanza antichissima, in parte in vita ancor oggi. Preparato il mucchio di legna, quando si era fatto buio, veniva acceso il fuoco e attorno si radunava un cerchio di persone. Mentre il fuoco ardeva si cominciava a pregare, seguiva poi il canto delle litanie alla Madonna vari canti mariani.
Man mano che il falò aumentava di intensità il cerchio si faceva sempre più largo, i canti più animati, le facce arrossate ed i bambini sempre più agitati nelle loro scorribande intorno al falò. Verso le dieci di sera. man mano che i bambini e le mamme si ritiravano assonnati, con il fuoco si affievolivano anche i canti; il braciere rimaneva solo a spegnersi lentamente durante la notte. Al mattino rimaneva solo la cenere in mezzo a cui ardevano ancora, se smossi, gli ultimi tizzoni. Alle volte al termine dei canti religiosi si cantavano anche canti profani o di montagna
."

Nel bel volume “Castione, un paese di Valtellina“ (edito a cura della Biblioteca Comunale di Castione), leggiamo:
Tutti contribuivano così al mantenimento della famiglia, operando con modestia, in silenzio e senza grilli per il capo; solo la sera, quando tutto era stato fatto, sopravveniva un momento di riposo. Ed allora ci si ritrovava nelle stalle, alla fioca luce di un umile lume a petrolio, per scambiare quattro chiacchiere al calduccio, per raccontare di sè e degli altri, magari anche per cantare o per ricordare le persone scomparse, magari da poco. Era il momento del "filugn", era il momento della riunione del gruppo dei vicini di casa. Ma anche allora si lavorava; le donne a maglia o con la "ruca", gli uomini con la roncola per preparare manici per gli attrezzi o con i rami di salice per intrecciare cesti o per riparare gerli.”

Ricorre oggi la memoria della Visitazione della Beata Vergine Maria alla cugina Elisabetta. Ad essa è dedicata la chiesa di Campovico.


Campovico (camvìich) non figura fra i 78 comuni della Provincia di Sondrio, perché nel 1938 venne aggregato al comune di Morbegno. Nondimeno, la sua storia è illustre e le sue origini antiche, essendo menzionato già in un documento del 1041. Apparteneva, in età medievale, insieme a Buglio, Forcola, Talamona, Morbegno, Albaredo, Bema, Civo e Dazio, alla pieve di Ardenno e, dal secolo XIV, al terziere inferiore della Valtellina (squadra di Traona). Il legame con Ardenno è forse all’origine stessa del suo nome, che significa “campo”, cioè zona rurale, dipendente da un “vico”, cioè da un centro maggiore (anche se è possibile avanzare ipotesi alternative, come quella secondo cui nel nome resta il ricordo di un antico “vicus” romano raso al suolo, e quindi ridotto a “campus”, da una disastrosa piena del torrente Toate o dell’Adda).
Giustino Felice Orsini, nella sua “Storia di Morbegno” (Sondrio, 1959), scrive, sui suoi abitanti: "Alquanto diversa da quella di Morbegno è la popolazione di Campovico che appartiene alla stirpe dei Cech, d'origine franca. Di qua dell'Adda, essendo la zona meno fertile e poco solatia, l'elemento barbarico si diffuse assai meno e le antiche genti etrusche e romane poterono sussistere; quindi una popolazione più civile, più colta e più mite. Nella zona dei Cech ebbero invece il sopravvento i Longobardi e i Franchi; quindi una gente fisicamente più gagliarda e più sana, ma spiritualmente un po' primitiva, nonostante la secolare emigrazione a Roma; caratteri schietti, espansivi, generosi, chiassosi ed allegri; ma scarso amore per la coltura, poco attaccamento alla terra e tendenze impulsive".
Le origini del borgo sono probabilmente legate ad un antico porto sull'Adda, quando ancora questa era navigabile. Non sappiamo fino a che epoca, ma un dato ci può far supporre che lo fosse ancora nel secolo XV: verso la fine del secolo dalla forra del torrente Toate vennero cavati blocchi di serpentino color oltremare che furono utilizzati nell'edificazione della Certosa di Pavia e che furono convogliati, con tutta probabilità, al lago di Como su grosse imbarcazioni (comballi) che navigavano sul fiume Adda (difficile pensare, infatti, ad un trasporto via terra lungo l'antica via Valeriana). L'origine stessa del cognome Della Nave è legata all'esercizio della navigazione fluviale. Ma nel Quattrocento il porto di Campovico, in località al Barco, non c'era già più (in un documento del 1395 il Consiglio del Terziere Inferiore, per mandato del capitano di Valtellina, ordinava che nei porti di Ardenno, Morbegno e Dubino stesse un navicellaio, con precise tariffe, ed il porto di Morbegno è "in Serta", perché il borgo al piano di Campovico era già decaduto, ed i suoi abitanti si erano trasferiti dal piano a Cermeledo, soprattutto per le conseguenze delle rovinose piene del Toate e dell'Adda, come afferma il Guler von Weineck nel passo che viene più sotto citato.
La pace dei luoghi non era, però, solo minacciata dalla furia delle acque: sappiamo che nella decennale guerra (1118-1127) combattuta fra Comaschi e Milanesi si colloca uno scontro armato proprio nel piano di Campovico. Nel 1247 sono menzionate in Campovico le seguenti località: ad molum, ad torrigium, ad fossatum, in concilio, in Campomaiori, ad Baroceram, Proviolo, Porvexello, Lareonda, Barenzono, Pomario, isola ad portam, ad piscinam, ad Fopam de Barchio, ad Spezuram, ad Barcha (il porto, appunto), Campotorto. Il paese nel 1258 doveva essersi già costituito in comune, in quanto a quella data risale la notizia di un sindaco di Campovico. Nel secolo XIII sono attestate le prime famiglie di Campovico, Malacrida, Pusterla, Pasina, Della Porta di Traona e Ferrari di Morbegno.
Negli Statuti di Como del 1335 figura come “comune loci de Campovico”; nella pace stipulata fra i Guelfi ribelli ed i Visconti (1373) si menzionano “communis et homines, nobiles, cives et vicini” di Campovico, il che attesta una distinzione fra nobili e vicini. Il comune partecipò con un proprio rappresentante alle adunanze delle comunità del terziere inferiore nel 1363.

Ecco l'ampio quadro della storia medievale di Campovico tracciasto dallo storico Orsini, nell'opera sopra citata:
"La più antica menzione di Campovico risale al 1041: quando Giovanni di Campovico vendette tre pezze di selva sul monte detto Clave ad Eginardo di Intercorte; e l'atto fu rogato nel luogo stesso. Più antico ricorre invece il nome di Marselenico; nel 992 Lorenzone e Pedeverto de Masxalinico, appaiono come testi in un atto rogato a Mantello; in un altro del 1036 è detto Marzalinco; in un altro del 1176 è menzionata la sua chiesa di S. Maria, a cui il milite comasco Guercio de Sala, lasciava per testamento la decima sul suo patrimonio in Limonta. Nel territorio di Campovico ebbero larghi possessi, particolarmeni nella località «ad Spezuram» e a Cermeledo, le monache cluniacensi di monastero dei S.S. Faustino e Giovita in Balbianello di Campo sul Lario (20). Da quelle dipesero a lungo le chiese di S. Maria di Campovico e di S. Nazaro in Cermeledo (21). Altri possessi nel 1190 ebbe il monastero comense dei S.S. Faustino ed Eusebio a Sorliate (Soriate) e a Cisxino (Cercino); e le prestazioni in natura dovevano essere consegnate intus navem: segno dunque che l'Adda era allora navigabile. Anche i canonici di Isola vi ebbero beni.
Non mancavano in luogo feudatari laici: così nel 1196 Roba Cagaionosa, Alcherio Parravicini ed altri dell'Isola Comacina erano investiti della sesta parte della decima sulla montagna di Domofole e Dazio, diventando vassalli dei Rastelli di Locarno. Da ciò contrasti e contese.
Nel 1203 i consoli di Como dovettero definire una lite per terre a Campovico fra il monastero di S. Faustino e un Pelavexinus (Paravicini) di Ardenno che, coi figli Giordano e Pellegrino, coi fratelli Morando, Montanaro e Nigriano, si arrogava diritti feudali. Nel 1214 il monastero suddetto investiva di beni a Campovico i Pusterla di Traona, che dovevano consegnare i redditi in natura « ad ripam de Adolonio » (Olonio); forse l'Adda non era più navigabile?
Nel 1247 sono menzionate a Campovico le seguenti località: ad molum -ad torrigium - ad fossatum (indizio di fortificazioni) - in concilio - in Campomaiori - ad Baroceram - Proviolo - Porvexello - Lareonda - Barenzono - Pomario - Isola ad portam - ad piscinam - ad Fopam de Barchio -ad Spezuram - ad Barcha - Campotorto (27). Parimenti è ricordata la valle de Catenis (Categno) e il castellarium (Caslido) di Dazio.
Fiorivano allora a Campovico i figli del fu Giordano de Domina; cognome assunto forse perché coloni della badessa, domina pricipale del luogo. Per parentado questo cognome passò poi al ramo Paravicini‑Della Donna di Caspano. Continue ricorrono le investiture di beni a Campovico e a Soriate da parte della badessa, alla quale e alle reverende suore non dovettero dispiacere i nostri vini, che venivano trasportati sino al monastero e quivi ripartiti fra le stesse; non però egualmente, perché una quota massima era assegnata alla badessa e quote differenti l'una dall'altra alle monache… Accanto ai Malacrida e ai Pusterla ancora altri sono menziona per proprietà in luogo. Nel 1263 Gaspare Malcoventus de Vico di Como vendeva al monastero un sedime di tre case (mansiones), e una vigna ubi dicitur ad Cassatiam et altre terre fra cui una ad Barcum … un'altra - ad molum - ad pontem marcium, cum omnibus iuribus, pasculis et viganalibus -ossia coi diritti di pascolo sulle terre comunali.
Nel 1291 accanto alle famiglie già menzionate appaiono anche i Paxin (ggi Pasina), i Della Porta di Traona e i Ferrari di Morbegno. S'aggiunsero poi quale
proprietari di terre e di case i Perlasca di Torno e con loro nel 1439 piativa la badessa per alcune parti in contestazione. Feudatari del monastero furono anche i Magnocavallo di Brienno e già abbiamo detto dei Malacrida di Dongo (passati in parte a Caspano) che possedettero a Campovico terre e diritti feudali…. Anche la cappella di Fino, nella cattedrale di Con godette a Campovico di ampi possessi, poi trasferiti ai Delfino Morbegno. Nella nota pace del 1373 fra i Guelfi ribelli e Galeazzo Visconti ricordano « communis et homines, nobiles, cives et vicini de Campovico»  Sul Dosso del Visconte, a Cermeledo, sorse un fortissimo castello oggi del tutto scomparso; ivi risiedette il Visconte della Valtellina; fu poi dei Castelli S. Nazzaro, venuti lassù primieramente da Como. Il castello possedette una cappella, dedicata a S. Nazzaro, che ancora menzionata nel 1358... Di un'altra chiesa, diroccata e invasa dai rovi, si scorgono le rovine nel vicino villaggio di Cermeledo. Lassù visse per secoli la popolazione di Campovico, quando questa fu annientata dalla furia del torrente Tovate, dalle piene dell'Adda e dalla ferocia bellica. Sappiamo infatti che, nel piano di Campovico, una battaglia fra Comaschi e Milanesi fu combattuta durante la guerra decennale (1118-1127). Perciò il primo ricordo della chiesa di Campovico è piuttosto tardivo, ossia cade nel 1387. Essendosi la popolazione ormai tutta trasferita a Cermeledo, il comune ordinava che lassù si edificasse la casa del curato."

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Il 1470 fu l'anno del distacco della chiesa della Visitazione, posta su un bel poggio che domina il paese, dalla chiesa pievana di Ardenno (si tenga però presente che la chiesa fu eretta a parrocchia solo nel successivo 1602 e che l'attuale edificio venne consacrato nel 1706, dopo che era stato edificato sopra il precedente; in quel periodo, peraltro, la chiesa parrocchiale era quella di S. Nazzaro a Cermeledo ed ancora oggi la parrocchia comprende, oltre alla centrale chiesa a Campovico, la chiesa di S. Nazzaro, la chiesa di S. Benigno de Medici o San Bello e la chiesa di S. Giuseppe a Selvapiana).
Il territorio comunale comprendeva Cermeledo, Desco e Barco. Di particolare importanza storica è la frazione di Cermeledo: nel vicino dosso del Visconte ebbe sede il Visconte di Valtellina in età carolingia (IX-X secolo, fino alla Constitutio de Feudis del 1037).

Nel 1512 iniziarono i quasi tre secoli di dominio delle Tre Leghe Grigie sulla Valtellina. I nuovi signori sentirono il bisogno, per poter calcolare quante esazioni ne potevano trarre, di stimare la ricchezza complessiva di ciascun comune della valle. Furono così stesi gli Estimi generali del 1531, che offrono uno spaccato interessantissimo della situazione economica della valle (cfr. la pubblicazione di una copia secentesca del documento che Antonio Boscacci ha curato per il Bollettino della Società Storica Valtellinese). Nel "communis de Camphovico, seu de Caspano" (quindi con stima complessiva per Campovico e Caspano) vengono registrate case e dimore per un valore complessivo di 384 lire (per avere un'idea comparativa, Tartano fa registrare 47 lire, Forcola 172 lire, Talamona 1050 lire, Morbegno 3419 lire); i prati ed i pascoli hanno un'estensione complessiva di 1995 pertiche e sono valutati 376 lire; campi e selve hanno un'estensione di 1029 pertiche e sono valutati 699 lire; non sono menzionati alpeggi; vengono rilevate 1024 pertiche di vigneti, con una produzione di 1642 brente di vino (una brenta equivale a 90 boccali); il valore complessivo dei beni è valutato 3157 lire (sempre a titolo comparativo, per Tartano è 642, per Forcola 2618, per Talamona 8530 e per Morbegno 12163).
La comunità di Campovico con Cermeledo, nel 1589, anno della famosa visita pastorale del vescovo di Como di origine morbegnese Feliciano Ninguarda, contava più di 45 fuochi, cioè circa 250 abitanti, saliti a 350 nel 1624. Ma cediamo la parola al Ninguarda: "Nel piano vicino all'Adda e non lontano dal ponte di Ganda c'è Campovico con la chiesa dedicata a S. Maria, incorporata al monastero dell' Isola. Non lontano c'è Cermeledo altrettanto sottomesso al predetto monastero, e la chiesa di S. Nazzaro. I due paesi contano oltre quarantacinque famiglie tutte cattoliche eccetto una che abita a Cermeledo, il cui capostipite fu il contadino chiamato Giovanni Lutero. Quando morì gli successero nell'eredità e nell'eresia due nipoti che occuparono la chiesa di S. Nazzaro..." L'isola di cui parla il vescovo è l'isola Comacina.
Nel medesimo periodo Giovanni Guler von Weinceck, che fu governatore di Valtellina per le Tre Leghe Grigie dal 1587 al 1588, così scrive, nella sua opera "Rhaetia", pubblicata a Zurigo nel 1616: “Vicino ai Torchi c’è Campovico, in basso nella pianura vicino all’impetuoso torrente Tovate; è un villaggio assai antico che fu un giorno molto fiorente, sia per la sua numerosa popolazione, sia ancora per i mercati settimanali e per le fiere annuali che ivi si tenevano prima che fossero trasferiti a Morbegno. L’Adda ed il torrente Tovate, in mezzo ai quali sta Campovico, hanno poi rovinata e insabbiata non solo la pianura che era vasta e ridente, ma anche il paese stesso; e a tal segno che oggi si scorgono appena poche tracce della sua passata floridezza, perché gli abitanti si sono trasferiti in alto, a Cermeledo. Presso Campovico si combattè anticamente una sanguinosa battaglia contro i Milanesi, i quali durante la guerra con Como volevano occupare l’intera Valtellina; e avrebbero vinto i Milanesi, se in Valtellinesi non fossero stati di grande aiuto ai Comaschi e a loro favorevoli”. I commerci cui si riferisce il von Weineck si giustificano per la vicinanza del paese all’Adda ed alla via Valeriana e la loro origine è forse assai antica (periodo carolingio); il mercato, poi, per le ripetute alluvioni dell’Adda e del Toate, si spostò nella vicina Morbegno. Il Toate merita una breve parentesi: secondo una voce assai antica, in origine scendeva a valle sul versante della Val Masino, immettendosi direttamente nel torrente Masino; trovò poi la nuova via, scaricando periodicamente la sua furia nella piana di Campovico. Prevalse, quindi, nel borgo di Campovico l’anima contadina.
Di qualche decennio posteriore è il prezioso manoscritto di don Giovanni Tuana (1589-1636, grosottino, parroco di Sernio e di Mazzo), intitolato “De rebus Vallistellinae” (Delle cose di Valtellina), databile probabilmente alla prima metà degli anni trenta del Seicento (edito nel 1998, per la Società Storica Valtellinese, a cura di Tarcisio Salice, con traduzione delle parti in latino di don Avremo Levi). Queste le notizie che vi si possono leggere su Campovico ed i borghi vicini:
Nel piano alle radici del monte Pelasco, il quale stendendosi verso il letto d'Adda molto rende la valle più stretta che in qualsivoglia luoco, lontano un miglio dal ponte del Masino si trova alla strada, qual costeggia Adda di qua, alcune picciole contrate cioè Desco dov'è una picciola chiesa di S. Maria Maddalena, Torchio, Categno dove si fano vini preziosissimi, Campovico vecchio luoco, altre volte mercato del tertiero da basso, dove si veggono li vestigij di muraglie antiche et torri d'un luoco chiamato Barco, destinato a questo fine. Hor è tutto distrutto et per l’inondationi d'Adda et per le ruine del monte; vi sono però alcune case disperse et li vestigij d'un monasterio antico dove habitavano monache di S. Benedetto, quali puoi sono state trasferite a Isola, terra del lago di Como. Adesso l’habitatori sono retirati a Cermeledo, dov'è la chiesa di S. Nazaro, parochiale soggetta ad Ardenno, qual curato officia ancora una vecchissima chiesa di Campo Vico. A questa parochia sono soggette queste contrate: Fiesso con l’oratorio di S. Abondio, Porcido con l’oratorio di S. Rocco, contrate disperse nella montagna tra le vigne. Cermeledo è un miglio sopra la pianura; passa     per questo luoco un mediocre rivo quale si spicca da Roncaglia. Puoco lontano sono li vestigij d’un castello antico chiamato S. Nazario in Dosso Visconti, dove trassero l’origine li nobili di S. Nazaro di Como. Puoco lontano dalli vestigij di Campo Vico v'è un ponte chiamato il ponte di Ganda, per il quale, passandosi in aperta campagna, si va a Morbegno.”
Per la sua posizione il comune dovette molto soffrire delle travagliate vicende belliche connesse con la Guerra dei Trent’Anni e dell’epidemia di peste del 1629-31, che falcidiò la popolazione dell’intera valle. Questo giustifica la notizia secondo la quale buona parte dei suoi abitanti si fossero trasferiti dal piano al nucleo di Cermeledo, dove, nel Seicento e nel Settecento, risiedette anche il parroco. Il Settecento fu un secolo di ripresa economica e demografica, anche se nel 1797, anno nel quale si concluse la signoria delle tre Leghe Grigie sulla Valtellina, la popolazione, di circa 300 abitanti, non aveva ancora pareggiato quella del primo quarto del Seicento.
Ecco come il Quadrio, a metà del settecento, sintetizza la situazione del paese, descrivendo la squadra di Traona: "Ritorcendo or verso la pianura, incontrasi Campovico, che ha seco congiunti, a formar la Comunità, Cermeledo, Desco e Barco. A Cermeledo sovrasta il Dosso del Visconte dove era pure un nobil Castello, ch'era già Signoria della Famiglia De' Castelli di Sannazzaro, che in questo luogo fioriva. Altre famiglie pur illustri vi furono, tralle quali trovo mentovata i Caligari."

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In seguito alla bufera napoleonica, il comune di Campovico venne inserito nel IV distretto di Morbegno. Nell’assetto definitivo della repubblica cisalpina, determinato nel 1801, Campovico era uno dei settanta comuni che costituivano il III distretto di Sondrio, nel dipartimento del Lario, e contava 270 abitanti. Nel successivo Regno d’Italia il comune denominativo di Campovico, con 412 abitanti, figurava composto dalle frazioni di Cermeledo e Campovico (392 abitanti) e Sasso Paniga (20 abitanti).
Cadde anche Napoleone, lasciando ai posteri l’ardua sentenza sulla vera gloria della sua parabola politica, ed il dipartimento dell’Adda, nel 1815, venne assoggettato al dominio della casa d’Austria nel Regno Lombardo-veneto. Per la prima volta Campovico, che aveva 412 abitanti, perse la sua autonomia comunale, in quanto venne aggregato, insieme a Dazio e Valmasino, al comune principale di Civo, nel V cantone di Morbegno. La riacquistò, però, almeno parzialmente, quasi subito; nel 1853, con i suoi 447 abitanti e le frazioni di Desco e Cermeledo, figurava come comune con consiglio, ma senza ufficio proprio, nel III distretto di Morbegno. L’andamento demografico dopo l’unità d’Italia può darci un’idea dell’evoluzione della vita del paese: per oltre mezzo secolo si ha una costante crescita (492 abitanti nel 1861 e nel 1871, 515 nel 1881, 666 nel 1901, 856 nel 1911 e 950 nel 1921), con una flessione nel periodo successivo, legata al flusso emigratorio (819 abitanti nel 1931 e 784 nel 1936), prima dell’aggregazione al comune di Morbegno (1938).

Campovico pagò un significativo tributo alla prima guerra mondiale: caddero i soldati Zaffetti Pietro, Rigossi Alfredo, Sandrini Abbondio, Del Martino Carlo, Del Portico Egidio di Pio, Donini Pietro, Perlini Giuseppe, Casati Raimondo, Perlini Giuseppe, Paniga Onorato, Donghi Abbondio, Massi Raffaele, Marchettini Riccardo, Giacomelli Giacomo e Paniga Silvio, oltre al caporale Paniga Pietro ed al Caporal Maggiore Massi Pietro. Pesante anche il tributo alla seconda guerra mondiale, nella quale caddero i soldati Luchina Armando, Del Martino Carlo, e Del Martino Pietro, oltre al carabiniere Zaffetti Dante, ai caporali Della Nave Giuseppe e Marchettini Riccardo ed al Caporal Maggiore Luchina Giovanni. Caddero anche i partigiani Del Martino Aurelio, Santi Franco e Della Nave Igino.

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Vediamo, ora, come raggiungere Campovico. Se proveniamo da Sondrio ci conviene staccarci dalla ss. 38 dello Stelvio, sulla sinistra, appena prima di Talamona, allo svincolo per Paniga. Invece di prendere a sinistra, per Talamona, prendiamo, poi, subito a destra, passando sotto un viadotto e raggiungendo il ponte arcuato di Paniga, sul quale il traffico, a senso unico alternato, è regolato da un semaforo. Oltre il ponte, prendiamo a sinistra e, dopo un lungo rettilineo, raggiungiamo Campovico (m. 235; attenzione: all’ingresso del paese è posto un semaforo che si posiziona automaticamente sul rosso se gli autoveicoli che sopraggiungono superano il limite di velocità).
Se, invece, proveniamo da Milano ci conviene lasciare la ss. 38 al primo semaforo all’ingresso di Morbegno, seguendo le indicazioni per la Costiera dei Cech. Raggiunto il ponte sull’Adda, ci portiamo sul lato opposto del fiume e prendiamo a destra, imboccando la strada per Dazio. Al primo tornante sinistrorso, però, la lasciamo subito, staccandocene sulla destra, e scendendo al ponte di Ganda, per poi proseguire verso est, cioè in direzione di Sondrio, senza impegnare il ponte. Superiamo, quindi, una strettoia in corrispondenza dell’ex-centrale idroelettrica della Società Strade Ferrate Meridionali (la "centràa"), che ed ha un motivo di grande interesse storico, essendo la prima della provincia di Sondrio: risale, infatti, al 1900 e venne costruita per servire l’elettrificazione delle linee Sondrio-Lecco e Colico-Chiavenna, le prime, in Italia, a sfruttare l’alimentazione elettrica aerea. La centrale sfruttava le acque dell'Adda, incanalate nel "canàa". Poco oltre la strettoia, ci troviamo al limite occidentale di Campovico: anche qui troviamo un semaforo posto per indurre gli automobilisti a moderare la velocità.

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Campovico può essere punto di partenza per passeggiate godibilissime, soprattutto in autunno e primavera, ma anche in inverno. La più classica è la salita a Dazio, che può avvenire per diverse vie. La più agevole e classica parte alle spalle del sagrato della secentesca chiesa parrocchiale della Visitazione (la "sgésa de camvìic", la cui costruzione iniziò nel 1613 e la cui consacrazione è del 1706), arroccata, a 281 metri, su un bel poggio che domina il paese, a monte del cimitero (al cui parcheggio possiamo lasciare l’automobile). Si tratta di una stradina (la "strada de scèrmelée", un tempo la più praticata della zona), che parte dal piazzale della chiesa e sale verso destra; in questo primo tratto, che regala una bella veduta aerea di Campovico, e nel successivo verso sinistra il fondo è in asfalto. Ottimo è il colpo d’occhio, nel traverso a sinistra, anche su Morbegno. La strada si snoda fra piccoli prati e bei vigneti, in una zona chiamata “màrtul”, probabilmente perché in passato era molto presente la martora (animale che veniva usato anche come epiteto di dileggio: “te sée ‘n martùl” significa “sei uno sciocco”). La successiva sequenza di tornanti dx-sx propone, invece, in buona parte un fondo in risc, cioè in ciottoli arrotondati. Dopo il tornante dx, al successivo sx usciamo dall’ombra della selva e passiamo a sinistra si una fascia di rocce scoperte, in un tratto molto panoramico (sempre ottimo il colpo d’occhio su Morbegno e sulla Val Gerola): l’asfalto si alterna al risc. Segue un tornante dx e ritorna a dominare l’asfalto; al successivo sx troviamo una cappella restaurata nel 2003 dalla famiglia Zaffetti; si tratta del “cincèt nurvàal”, che equivale a “en òor a la val”, sull’orlo di una valle, perché si affaccia ad un valloncello che precipita nella paurosa gola terminale del torrente Toate.
Ci portiamo, quindi, al seguente tornante dx, dove vediamo, sopra la strada, una fascia di prati con due baite e qualche vigneto (il “runchèt”, cioè il piccolo ronco). Al nuovo tornante sx una pista secondaria si stacca sulla destra, scendendo; la ignoriamo e proseguiamo verso sinistra, su fondo in risc, oltrepassando un grande masso erratico sotto il quale è stato ricavato un baitello e raggiungendo, all’ultimo tornante dx, una fontana con dei simpatici sedili in pietra per riposare e godere della frescura della densa ombra dei castagni. L’ultimo tratto a destra ci porta Cermeledo ("scèrmelée", anch'essa frazione di Morbegno, e, prima del 1938, di Campovico), splendido nucleo rurale posto a 461 metri, immediatamente a valle della strada asfaltata che da Morbegno sale a Dazio.
Cediamo ancora la parola al von Weineck: “Mille passi al disopra di Campovico, sopra un ameno ripiano del monte sta Cermeledo: fertile paese, i cui campi, in parecchi punti vengono rinfrescati dai ruscelletti che scendono da Roncaglia. La popolazione è numerosa; ma buona parte di essa, essendo angusto il territorio, deve cercar lavoro in paesi forestieri”. In passato questo nucleo rivestiva grande importanza: poco a monte, sul dosso del Visconte (dòs del viscùunt), si trovava un castello, nei pressi della chiesa che ancora oggi si può vedere appena a monte della strada asfaltata Morbegno-Dazio. Data la natura dei luoghi, gli abitanti di Campovico furono addirittura indotti, in passato, a trasferirsi qui in massa, per sfuggire alle conseguenze rovinose di alluvioni e vicende belliche; infatti la parima casa che ci accoglie all'ingresso del paese è la “cà del prèvet”, cioè la casa del prete, residenza del parroco durante questo periodo. Un borgo pervaso di un sapore antico, che possiamo visitare per gustarne appieno il fascino. Attenzione, però, a non addentrarci troppo nella selva di castagni posta ad est delle case, perché questa precipita repentinamente nella paurosa forra del torrente Toate (si chiama, infatti, “dent ai öör”, cioè dentro sul ciglio, appunto, della forra).
Vale la pena, piuttosto, di allungare l'escursione in una diversa direzione, per visitare un'altra delle storiche frazioni dell'antico comune di Cermeledo.
Dalla fontana datata 1913 saliamo, verso sinistra, ad intercettare la strada asfaltata che da Morbegno porta a Dazio e percorriamone in discesa un breve tratto, fino ad incontrare, dopo una semicurva a destra, una stradina che se ne stacca sulla destra per salire a Cerido (indicazioni per Cerido, l’Antico Torchio e la Centralina). Dopo pochi metri, incontriamo subito un bivio: dalla stradina asfaltata si stacca, sulla sinistra, una stradina secondaria che, dopo un breve strappetto, porta alla chiesa di Cermeledo. Si tratta della secentesca chiesa di S. Nazzaro di Cermeledo, la cui importanza è testimoniata dal fatto che nei secoli XVII e XVIII fu chiesa parrocchiale di Campovico, quando, come già ricordato, buona parte della popolazione del comune era concentrata qui. Il primo nucleo della "sgésa de scèrmelée", dedicata ai santi Nazzaro e Celso, fu edificato, dalla famiglia Castelli Sannazzaro, nel 1369 e fu poi ampliato nel 1624.

Siamo in località Dosso del Visconte ("dossum sancti Nazarij, nel secolo XV, "dòs del viscùunt" o semplicemente "el dòs", con voce dialettale). La denominazione è legata al fatto che in epoca medievale probabilmente qui sorgeva un castello (di cui si sono perse le tracce), dimora del Visconte di Valtellina, investito della signoria sull'intera valle. Se così è, negli oscuri secoli IX e X il baricentro della Valtellina era qui. Oggi sul sagrato della chiesa regna quasi sempre una profondissima quiete, rotta veramente, forse, solo l'ultima domenica di luglio, quando si celebra la festa dei santi nazzaro e Celso. Nei pressi della chiesa, ad ovest, si trova il centro della Comunità di recupero di ex-tossicodipendenti denominata “La Centralina” (insediata nell'edificio dell'ex "colonia de scèrmelée", o "uspìzi", sede, fino al 1977, della Colonia estiva Martinelli dell'orfanotrofio femminile provinciale di Morbegno).
Ecco, di nuovo, cosa scrive il von Weineck di questi luoghi: “Dopo Cermeledo vi è un luogo chiamato Dosso del Visconte: ivi in antico sorgeva un vetusto castello, che in seguito passò alla famiglia dei Castelli San Nazaro, patrizi di Como. Essi poi, fra Cermeledo e il castello edificarono una chiesa in onore di S. Nazaro, omonima ad altra chiesa che sorgeva in Como, presso il loro castello, e donde la famiglia aveva assunto il suo titolo e nome di Castelli San Nazaro.”
Torniamo, ora, sui nostri passi, all’inizio della stradina per Cermeledo: se vogliamo evitare la monotona salita sull’asfalto, imbocchiamo il sentierino che parte alla sua destra e procede diritto, intercettandola proprio sul limite inferiore delle case di Cerido ("scerìi", m. 508), e proseguendo sul lato opposto, fino al centro del nucleo, dove è anche possibile visitare, ad orari stabiliti, un antico torchio risalente al secolo XVII. Si tratta di un nucleo rurale piuttosto antico (è attestato per la prima volta in un documento del 1357, nella forma "Zerido"), con un'atmosfera unica e davvero suggestiva. Un nucleo ricco di storia e di una curiosa e simpatica umanità. Basti pensare ad alcuni soprannomi delle famiglie che un tempo lo popolavano, e che si sono trasferiti ai luoghi.
Un gruppo di case e terreni è chiamato "cagazéchìn": vi abitava un tal Venina, cui non faceva difetto certamente il buonumore, e che era solito raccontare, con aria serissima e compresa, delle straordinarie qualità del suo asino, parente, alla lontana, della famosa gallina dalle uova d'oro, dato che quello (l'asino, s'intende), quando andava di corpo, non deponeva a terra vile sterco, ma preziosissimi zecchini d'oro. Un altro gruppo di case è denominato "orài", dal soprannome di un ramo della famiglia Alberti, un componente della quale, emigrato in America e tornato al paese natìo, intercalava ogni frase con un sonoro "all right", nel quale esprimeva tutta l'ammirazione per quel lontano e grande paese. Un terzo gruppo di case era quello dei "giascgià", dal soprannome di un ramo della famiglia Busnarda, derivato dalla curiosa abitudine di un suo componente: lo incontravi, e ti salutava con un "Ehilà, ehilà."; gli chiedevi come stesse, e ti sentivi rispondere un "Bene, bene"; ti lamentavi che le stagioni non sono più quelle di una volta, ed avevi come risposta un cenno di assenso ed un convinto "Già, già..." Per chiudere con un'ultima pennellata queste scarne note di colore, varrà la pena di ricordare che a Cerido venne, molti e molti anni or sono, avvistato un animale più unico che raro, il "ghetùn ghèt", "gattone gatto", una sorta di folletto, alto un’ottantina di centimetri, con le orecchie appuntite e pelose, le lunghe braccia, le dita dotate di unghie affilate e gli occhi giallastri e fosforescenti, che brillavano, sinistri e diabolici, sul far della sera e nel cuore della notte, terrore dei bambini disubbidienti. Una lince, forse.
Dal centro di Cerido parte una mulattiera, che in realtà è la prosecuzione di quella che da Campovico sale a Cermeledo. , che attraversa uno splendido bosco di castagni. Superato un enorme masso, nella cui cavità è stato ricavata una piccola cantina, giungiamo ad un bivio, presidiato da una cappelletta: un cartello segnala che prendendo a destra imbocchiamo il sentiero che conduce a Ca’ Donai, cioè il limite occidentale della parte bassa di Dazio.
Dal centro di Cerido parte una mulattiera, che in realtà è la prosecuzione di quella che da Campovico sale a Cermeledo, e che porta alla frazione di Vallate, sopra Dazio. Se abbiamo tempo e voglia, proseguiamo questa immersione nel cuore della più antica civiltà contadina.  Passiamo sotto una curiosa passerella in legno che da un roccione porta all’ingresso di un fienile posto in alto rispetto al piano della strada e volgiamo a destra, passando a sinistra del muro di un rustico. La mulattiera volge, poi, a sinistra e sale diritta, fino ad una fontana, piegando poi leggermente a sinistra e passando a destra delle baite più alte. In corrispondenza di un enorme masso sotto il quale è stato ricavato un baitello piega, poi, decisamente a destra, e sale, con fondo splendido, in risc. Propone, poi, una successione di tornanti sx e dx (il fondo diventa meno largo, ma sempre ben marcato). Il traverso a destra ci fa passare sotto un rudere di baita e ci porta ad una cappelletta, nella quale viene raffigurata una Madonna con Bambino con ai lati san Sebastiano e San Rocco, il protettore degli appestati, che mostra, come da iconografia classica, una piaga sulla coscia. Viene sponteneo un pensiero: nei secoli passati neppure le selve salvavano dal terribile morbo, il cui contagio giungeva talora, come nell’epidemia del 1629-31, a falcidiare intere popolazioni. A destra della cappelletta parte un sentierino, segnalato da un cartello, per Ca’ Donai, al limite occidentale di dazio; noi invece restiamo sulla mulattiera principale, che volge leggermente a sinistra e sale ancora per un tratto, a sinistra di una splendida selva di betulle.
Poi percorriamo un tratto pianeggiante, fino ad una nuova cappelletta, dove la mulattiera piega leggermente a sinistra e taglia il fianco alto della Val Toate (sentiamo, più in basso, il rumoreggiare del torrente). Un’ultima salitezza ci porta ad uscire dal bosco ai prati sotto Vallate, e qui notiamo, a sinistra, una curiosa formazione rocciosa tondeggiante in mezzo al prato più basso ed un ancor più curioso castagno con il tronco cavo nella parte bassa. La mulattiera, subito dopo aver attraversato su un ponticello in cemento il torrente Toate, si congiunge, infine, passando nei pressi di una terza cappelletta, con la strada asfaltata che da Dazio sale verso Serone, in corrispondenza della frazione di Vallate. Per chiudere questa splendida passeggiata possiamo scendere, per via più breve, a Dazio: appena dopo il ponticello non saliamo alla strada, ma, seguendo il cartello del Sentiero Anna, imbocchiamo una pista-mulattiera che scende verso destra, seguendo per un tratto il corso del torrente e poi allontanandosene verso sinistra. Dopo un tornante dx ed uno sx, la mulattiera si congiunge ad una strada asfaltata che porta al centro di Dazio. Seguendo, infine, la strada provinciale n. 10 dazio-Morbegno, scendendo per un buon tratto (verso destra), ci ritroviamo appena a monte di
Cermeledo e di qui possiamo ridiscendere a Campovico.
La salita da Campovico a Dazio per questo percorso più lungo richiede circa un’ora ed un quarto, e comporta un dislivello in salita approssimativo di 420 metri.

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Consideriamo, ora, la seconda possibilità di salita da Campovico a Dazio . Un tempo questa salita poteva avvenire sfruttando la mulattiera di Categno e passando per i Torchi Bianchi (tòorc'), ora paese fantasma, devastato da un incendio nel 1991 e quindi pericolante, per cui è vietato il transito fra le sue case. Si tratta di un borgo un tempo assai importante. Di esso scrive il von Weineck: “Dopo duecento passi da Desco si arriva alla frazione chiamata Torchi, perché è una distesa di pregiate vigne sino a Cattegno: altro paesello che si eleva a circa cinquecento passi sopra l’Adda e che produce molti buoni vini, come le altre plaghe circostanti”.
Se vogliamo visitare, tenendoci a debita distanza, questo paese dobbiamo staccarci, sulla sinistra, dalla strada che congiunge Campovico a Paniga poco oltre Campovico. Lasciamo la provinciale Valeriana per imboccare una stradina sterrata, sulla destra, che porta al piede del monte. Qui possiamo lasciare l’automobile e cominciare a salire seguendo una carrozzabile asfaltata o la vecchia mulattiera che la taglia (strada di tòorc'), fino ad incontrare il cartello che segna l’inizio della zona di transito vietato, nei presso della chiesa di S. Abbondio (sgésa di tòorc'), appartenente alla parrocchia di Campovico, che si erge su un imponente terrapieno. Non ci resta che alzare lo sguardo e guardare al triste scenario delle case in rovina. Per aggirare l’ostacolo del tratto vietato, dobbiamo sfruttare un sentiero che intercetta la mulattiera per Categno più in alto.
Torniamo, allora, a Campovico e portiamoci al centro del paese, sotto la chiesa parrocchiale. Dirigiamoci, poi, ad est, verso il limite del paese, nei pressi del torrente Toate, e percorriamo la pista che ne fiancheggia l’argine fino a trovare un ponticello in metallo, che ci porta sul lato opposto, dove parte un sentiero segnalato da bolli rossi. Si tratta di un sentiero davvero suggestivo, a tratti scavato nella roccia, che sale ripido, raggiungendo una casupola isolata, con un ottimo colpo d’occhio sull’aspra ed impressionante forra terminale della val Toate (l’unica valle di una certa importanza sulla Costiera dei Cech). Il sentiero prosegue fino ad intercettare la mulattiera per Categno, a monte dei Torchi Bianchi. Se percorriamo la mulattiera in discesa, cioè verso destra, potremo, quindi, raggiungerne il limite alto, occidentale: tenendoci a debita distanza, per evitare rischi, avremo, così, modo di osservare più da vicino gli scheletri delle abitazioni raggiunte dalle fiamme.
Torniamo, quindi, sui nostri passi e proseguiamo la salita (superando anche una cappelletta ed un punto panoramico dal quale si mostra la forra della val Toate in tutta la sua selvaggia bellezza) fino ad intercettare una carrozzabile con fondo in terra battuta, che, percorsa per un tratto verso destra, porta al bellissimo balcone panoramico di Categno ("catègn", m. 488), dove si trovano la chiesetta dedicata alla Beata Vergine delle Grazie ("sgésa de catègn", della parrocchia di Dazio) e l’agriturismo dell’antica osteria di Categn. L'Orsini, nella sua storia di Morbegno, ipotizza che il toponimo "Categno" derivi da "Cautha", divinità solare etrusca: non siamo certi che sia così (forse esso rimanda, più banalmente, ad una qualche Ca'), ma questo luogo sembra davvero essere caratterizzato da una particolarissima solarità. Percorriamo, ora, la pista in senso opposto, fino ad intercettare la strada asfaltata che dal ponte sull’Adda a nord di Morbegno sale a Dazio. Siamo al limite occidentale della piana, già in vista del paese, che raggiungiamo in breve, dopo circa un’ora di cammino, necessaria per superare un dislivello in salita approssimativo di 330 metri.
Un'ultima osservazione: la salita da Campovico a Dazio passando per Cermeledo è anche un ottimo percorso di mounain-bike, che si può combinare ad anello con altri.

 

STORIA
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AMBIENTE


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I PROVERBI SONO IN GRAN PARTE TRATTI DAI SEGUENTI TESTI:

Gaggi, Silvio, "Il volgar eloquio - dialetto malenco", Tipografia Bettini, Sondrio, 2011
Laura Valsecchi Pontiggia, “Proverbi di Valtellina e Valchiavenna”, Bissoni editore, Sondrio, 1969
Gabriele Antonioli, Remo Bracchi, "Dizionario etimologico grosino" (Sondrio, 1995, edito a cura della Biblioteca comunale di Grosio)
Dott. Omero Franceschi, prof.ssa Giuseppina Lombardini, "Costumi e proverbi valtellinesi", Ristampa per l'Archivio del Centro di Studi Alpini di Isolaccia Valdidentro, 2002
AA.VV. "A Cà Nossa ai le cünta inscì", a cura della Biblioteca Comunale di Montagna in Valtellina, Piccolo Vocabolario del dialetto di Montagna con detti, proverbi, filastrocche e preghiere di una volta (1993-1996)
Glicerio Longa, "Usi e Costumi del Bormiese”, ed. "Magnifica Terra", Sondrio, Soc. Tipo-litografica Valtellinese
"Parla 'me ta mànget - detti, proverbi e curiosità della tradizione comasca, lecchese e valtellinese", edito da La Provincia, 2003
Pier Antonio Castellani, “Cento proverbi, detti e citazioni di Livigno” I Libri del Cervo, Sondrio, 1996
Pier Antonio Castellani, “Cento nuovi proverbi, detti e citazioni di Livigno” I Libri del Cervo, Sondrio, 1999
Pier Antonio Castellani, “Cento altri, detti e citazioni di Livigno” I Libri del Cervo, Sondrio, 2000
Pier Antonio Castellani, "Detti e citazioni della Valdidentro", I Libri del Cervo, Sondrio, 2000
Luigi Godenzi e don Reto Crameri, "Proverbi, modi di dire, filastrocche raccolti a Poschiavo, in particolare nelle sue frazioni", con la collaborazione di alcune classi delle Scuole di Avviamento Pratico, Tip. Menghini, Poschiavo (CH), 1987
Lina Lombardini Rini, "Favole e racconti in dialetto di Valtellina", Edizioni Sandron, Palermo-Roma, 1926
Cici Bonazzi, “Detti, proverbi, filastrocche, modi di dire in dialetto tiranese”, ed. Museo Etnografico Tiranese, Tirano, 2000
Luisa Moraschinelli, "Dizionario del dialetto di Aprica", IDEVV (Istituto di Dialettologia e di Etnografia Valtellinese e Valchiavennasca"), Sondrio, 2010
Tarcisio Della Ferrera, Leonardo Della Ferrera (a cura di), "Vocabolario dialettale di Chiuro e Castionetto", Comune di Chiuro ed IDEVV (Istituto di Dialettologia e di Etnografia Valtellinese e Valchiavennasca"), Sondrio, 2008 (cfr. anche www.dialettochiuro.org)
Giovanni Giorgetta, Stefano Ghiggi (con profilo del dialetto di Remo Bracchi), "Vocabolario del Dialetto di Villa di Chiavenna", IDEVV (Istituto di Dialettologia e di Etnografia Valtellinese e Valchiavennasca"), Sondrio, 2010
Luigi Berti, Elisa Branchi (con contributo di Remo Bracchi), "Dizionario tellino", IDEVV (Istituto di Dialettologia e di Etnografia Valtellinese e Valchiavennasca"), Sondrio, 2003
Sergio Scuffi (a cura di), "Nü’n cuštümàva – Vocabolario dialettale di Samolaco", edito nel 2005 dall’Associazione Culturale Biblioteca di Samolaco e dall’Istituto di Dialettologia e di Etnografia Valtellinese e Valchiavennasca. Giacomo Maurizio, "La Val Bargaia", II parte, in "Clavenna" (Bollettino della Società Storica Valchiavennasca), 1970 Gabriele Antonioli e Remo Bracchi, "Dizionario etimologico grosino", Sondrio, 1995, edito a cura della Biblioteca Comunale di Grosio.
Silvana Foppoli Carnevali, Dario Cossi ed altri, “Lingua e cultura del comune di Sondalo” (edito a cura della Biblioteca Comunale di Sondalo)
Serafino Vaninetti, "Sacco - Storia e origini dei personaggi e loro vicissitudini degli usi e costumi nell'Evo", Edizioni Museo Vanseraf Mulino del Dosso, Valgerola, 2003
Sito www.fraciscio.it, dedicato a Fraciscio
Sito www.prolocodipedesina.it, dedicato a Pedesina
Massara, Giuseppe Filippo, "Prodromo della flora valtellinese", Sondrio, Della Cagnoletta, 1834 (ristampa anastatica Arnaldo Forni Editore)
Massara, Giuseppe Filippo, "Prodromo della flora valtellinese", Sondrio, Della Cagnoletta, 1834 (ristampa anastatica Arnaldo Forni Editore)


Utilissima anche la consultazione di Massimiliano Gianotti, "Proverbi dialettali di Valtellina e Valchiavenna", Sondrio, 2001

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PRINCIPALI TESTI CONSULTATI:

Laura Valsecchi Pontiggia, “Proverbi di Valtellina e Valchiavenna”, Bissoni editore, Sondrio, 1969
Gabriele Antonioli, Remo Bracchi, "Dizionario etimologico grosino" (Sondrio, 1995, edito a cura della Biblioteca comunale di Grosio)
Dott. Omero Franceschi, prof.ssa Giuseppina Lombardini, "Costumi e proverbi valtellinesi", Ristampa per l'Archivio del Centro di Studi Alpini di Isolaccia Valdidentro, 2002
Tullio Urangia Tazzoli, "La contea di Bormio – Vol. III – Le tradizioni popolari”, Anonima Bolis Bergamo, 1935;
AA.VV. "A Cà Nossa ai le cünta inscì", a cura della Biblioteca Comunale di Montagna in Valtellina, Piccolo Vocabolario del dialetto di Montagna con detti, proverbi, filastrocche e preghiere di una volta (1993-1996);
Giuseppina Lombardini, “Leggende e tradizioni valtellinesi”, Sondrio, ed. Mevio Washington, 1925;
Lina Rini Lombardini, “In Valtellina - Colori di leggende e tradizioni”, Sondrio, Ramponi, 1950;
Glicerio Longa, "Usi e Costumi del Bormiese”, ed. "Magnifica Terra", Sondrio, Soc. Tipo-litografica Valtellinese 1912, ristampa integrale nel 1967 a Bormio e II ristampa nel 1998 a Bormio a cura di Alpinia Editrice;
Glicerio Longa, "Vocabolario Bormino”, Perugia, Unione Tipografica Cooperativa, 1913;
Marcello Canclini “Raccolta di tradizioni popolari di Bormio, Valdisotto, Valfurva, Valdidentro e Livigno – Il ciclo della vita – La nascita e l'infanzia” (Centro Studi Storici Alta Valtellina, 2000);
Marcello Canclini “Raccolta di tradizioni popolari di Bormio, Valdisotto, Valfurva, Valdidentro e Livigno – Il ciclo della vita – Fidanzamento e matrimonio” (Centro Studi Storici Alta Valtellina, 2004);
Luigi De Bernardi, "Almanacco valtellinese e valchiavennasco", II, Sondrio, 1991;
Giuseppe Napoleone Besta, "Bozzetti Valtellinesi", Bonazzi, Tirano, 1878;
Ercole Bassi, “La Valtellina (Provincia di Sondrio) ”, Milano, Tipografia degli Operai, 1890;
"Ardenno- Strade e contrade", a cura della cooperativa "L'Involt" di Sondrio;
"Castione - Un paese di Valtellina", edito a cura della Biblioteca Comunale di Castione, in collaborazione con il Sistema Bibliotecario di Sondrio;
don Domenico Songini, “Storie di Traona – terra buona”, vol. II, Bettini Sondrio, 2004;
don Domenico Songini, “Storia e... storie di Traona – terra buona”, vol. I, Bettini Sondrio, 2001;
Scuola primaria di Sirta: calendari 1986 e 1991 (a cura dell'insegnante Liberale Libera);
Luisa Moraschinelli, “Uita d'Abriga cüntada an dal so dialet (agn '40)”;
Giovanni Bianchini e Remo Bracchi, "“Dizionario etimologico dei dialetti della Val di Tartano”, Fondazione Pro Valtellina, IDEVV, 2003;
Rosa Gusmeroli, "Le mie care Selve";
Cirillo Ruffoni, "Ai confini del cielo - la mia infanzia a Gerola", Tipografia Bettini, Sondrio, 2003;
Cirillo Ruffoni, "Chi va e chi resta - Romanzo storico ambientato in bassa Valtellina nel secolo XV", Tipografia Bettini, Sondrio, 2000;
Cirillo Ruffoni, "In nomine Domini - Vita e memorie di un comune della Valtellina nel Trecento", Tipografia Bettini, Sondrio, 1998;
Mario Songini (Diga), "La Val Masino e la sua gente - storia, cronaca e altro", Comune di Val Masino, 2006;
Tarcisio Della Ferrera, "Una volta", Edizione Pro-Loco Comune di Chiuro, 1982;
"Parla 'me ta mànget - detti, proverbi e curiosità della tradizione comasca, lecchese e valtellinese", edito da La Provincia, 2003;
Massimiliano Gianotti, "Proverbi dialettali di Valtellina e Valchiavenna", Sondrio, 2001;
Associazione Archivio della Memoria di Ponte in Valtellina, "La memoria della cura, la cura della memoria", Alpinia editrice, 2007;
Luisa Moraschinelli, "Come si viveva nei paesi di Valtellina negli anni '40 - l'Aprica", Alpinia editrice, 2000;
Aurelio Benetti, Dario Benetti, Angelo Dell'Oca, Diego Zoia, "Uomini delle Alpi - Contadini e pastori in Valtellina", Jaca Book, 1982;
Patrizio Del Nero, “Albaredo e la via di San Marco – Storia di una comunità alpina”, Editour, 2001;
Amleto Del Giorgio, "Samolaco ieri e oggi", Chiavenna, 1965;
Ines Busnarda Luzzi, "Case di sassi", II, L'officina del Libro, Sondrio, 1994;
aa.vv. “Mondo popolare in Lombardia – Sondrio e il suo territorio” (Silvana editoriale, 1995) Pierantonio Castellani, “Cento proverbi, detti e citazioni di Livigno” I Libri del Cervo, Sondrio, 1996 Pierantonio Castellani, “Cento nuovi proverbi, detti e citazioni di Livigno” I Libri del Cervo, Sondrio, 1999 Pierantonio Castellani, “Cento altri, detti e citazioni di Livigno” I Libri del Cervo, Sondrio, 2000
Cici Bonazzi, “Detti, proverbi, filastrocche, modi di dire in dialetto tiranese”, ed. Museo Etnografico Tiranese, Tirano, 2000
Luisa Moraschinelli, "Dizionario del dialetto di Aprica", IDEVV (Istituto di Dialettologia e di Etnografia Valtellinese e Valchiavennasca"), Sondrio, 2010
Tarcisio Della Ferrera, Leonardo Della Ferrera (a cura di), "Vocabolario dialettale di Chiuro e Castionetto", Comune di Chiuro ed IDEVV (Istituto di Dialettologia e di Etnografia Valtellinese e Valchiavennasca"), Sondrio, 2008 (cfr. anche www.dialettochiuro.org)
Giovanni Giorgetta, Stefano Ghiggi (con profilo del dialetto di Remo Bracchi), "Vocabolario del Dialetto di Villa di Chiavenna", IDEVV (Istituto di Dialettologia e di Etnografia Valtellinese e Valchiavennasca"), Sondrio, 2010
Luigi Berti, Elisa Branchi (con contributo di Remo Bracchi), "Dizionario tellino", IDEVV (Istituto di Dialettologia e di Etnografia Valtellinese e Valchiavennasca"), Sondrio, 2003
Pietro Ligari, “Ragionamenti d’agricoltura” (1752), Banca Popolare di Sondrio, Sondrio, 1988
Saveria Masa, “Libro dei miracoli della Madonna di Tirano”, edito a cura dell’Associazione Amici del Santuario della Beata Vergine di Tirano” (Società Storica Valtellinese, Sondrio, 2004)
Sergio Scuffi (a cura di), "Nü’n cuštümàva – Vocabolario dialettale di Samolaco", edito nel 2005 dall’Associazione Culturale Biblioteca di Samolaco e dall’Istituto di Dialettologia e di Etnografia Valtellinese e Valchiavennasca. Giacomo Maurizio, "La Val Bargaia", II parte, in "Clavenna" (Bollettino della Società Storica Valchiavennasca), 1970 Gabriele Antonioli e Remo Bracchi, "Dizionario etimologico grosino", Sondrio, 1995, edito a cura della Biblioteca Comunale di Grosio.
Silvana Foppoli Carnevali, Dario Cossi ed altri, “Lingua e cultura del comune di Sondalo” (edito a cura della Biblioteca Comunale di Sondalo)
Serafino Vaninetti, "Sacco - Storia e origini dei personaggi e loro vicissitudini degli usi e costumi nell'Evo", Edizioni Museo Vanseraf Mulino del Dosso, Valgerola, 2003
Sito www.fraciscio.it, dedicato a Fraciscio
Sito www.prolocodipedesina.it, dedicato a Pedesina
Massara, Giuseppe Filippo, "Prodromo della flora valtellinese", Sondrio, Della Cagnoletta, 1834 (ristampa anastatica Arnaldo Forni Editore)
Galli Valerio, Bruno, "Materiali per la fauna dei vertebrati valtellinesi", Sondrio, stab. tipografico "Quadrio", 1890

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