Giorni notevoli: 2, 4, 7, 8, 13, 24, 25, 26, 31

2 DICEMBRE

Santa Bibiana.

S’el piöff de Santa Bibiàna el piöff per na setimàna
(se piove a Santa Biviana piove per una settimana - Ardenno)

S'el fa suu a Santa Bibiana farà bel témp un dé e na setimana

(se c'è il sole a santa Bibiana farà bel tempo un giorno e una settimana - Morbegno)

Sànta Bibiàna quaranta dì e una sc'temàna

(il tempo che fa a santa Bibiana dura quaranta giorni e una settimana – Livigno)

Se al fa bèl a santa Bibiàna al farà bèl un més e 'na stemàna
(se è bel tempo a santa Bibiana sarà bel tempo per un mese e una settimana - Grosio)

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4 DICEMBRE

Santa Barbara.

Santa Barbara e San Simùn, Diu te salvi di saètt e di trun (A santa Barbara - 4 dicembre - e a San Simone, Dio ti salvi dalle saette e dai tuoni - Ponte in Valtellina)

Sànta Bàrbara e san Simùun
protegìm da la saéttà e dal trùun, santa Bàrbara benedéttà liberìm da la saéttei
(s. Barbara e s. Simone proteggetemi dalla saetta e dal tuono, s. Barbara benedetta liberatemi dalla saetta - Villa di Chiavenna)

7 DICEMBRE

Sant'Ambrogio, rappresentato con un libro aperto in mano, patrono dei tagliapietre e di Cosio Valtellino.

S. Ambrös el frèc el cös (a Sant'Ambrogio il freddo è acuto - Tirano)

8 DICEMBRE

Festa dell'Immacolata concezione e festa patronale di Andalo Valtellino.

13 DICEMBRE

Si festeggia Santa Lucia.

Nel “Dizionario etimologico grosino”, di Gabriele Antonioli e Remo Bracchi (Sondrio, 1995, edito a cura della Biblioteca comunale di Grosio), leggiamo:
"Lucia. Ha una discreta diffusione con 38 presenze nel 1981. Ciò è certamente dovuto anche alla devozione verso la santa siracusana, festeggiata il 13 dicembre nella chiesetta di Sontiolo e venerata come protrettrice della vista. Benché manchi ancora una settimana al solstizio invernale, la gente continua a considerare questo come il giorno più corto dell'anno."

Luisa Moraschinelli, nel bel volume "Come si viveva nei paesi di Valtellina negli anni '40 - l'Aprica" (Alpinia editrice, 2000), scrive:
La Santa Lucia, che cade il 13 dicembre, nella nostra tradizione era quella che dava avvio alle feste natalizie. Come abbia fatto, questa Santa, ad intrufolarsi in un periodo tanto importante dell'anno non si sa. A differenza del Gesù Bambino e della Befana, non si sapeva nemmeno da dove provenisse, con che mezzo arrivasse e come fosse vestita. Nei nostri ricordi di quando eravamo bambini, era attesissima.
Anche per lei, come per il Gesù Bambino, si metteva il piatto sulla finestra. Senza il fieno, visto che lei non aveva al seguito alcun animale.
L'attesa nella notte era eccitante e al mattino presto si correva alla finestra per vedere cosa aveva portato. Evidentemente, a quei tempi, il magazzino del cielo era alquanto povero. Gli articoli disponibili erano sempre gli stessi: mandarini, fichi, spagnolette, e qualche caramella e quello che attirava maggiormente l'attenzione, forse per i disegni pubblicitari: il torrone. Oggi Santa Lucia non avrebbe più ragione di scomodarsi. Non troverebbe nemmeno più lo spazio per arrivare ai bambini, così sopraffatti dalle immagini che offre abbondantemente la televisione e poi chissà se il cielo ha rinnovato i suoi magazzini, tanto da concorrere con quello che comunque i bambini hanno già. Sembra invece che nella vicina area bresciana, questa festa abbia ancora una grande importanza e che il dono che i bimbi ricevono superi quello del Natale. Tutto era concentrato su quei doni che portava, in sordina e nella notte. Non c'erano altre manifestazioni, in suo onore.”

‘l dé de Santa Lüzìa l’è ‘l dé püsè cürt che ghe sia
(il giorno di santa Lucia è il giorno più corto che ci sia – Valmalenco)

El dí de Santa Lucia l'è 'l plu cort ke ghe sia  
(il dì di Santa Lucia è il più corto che ci sia - Bormio)

Santa Lüzìa l'é el dì püsée kürt che ghe sia
(Santa Lucia è il giorno più corto che ci sia - Chiavenna)

Nel livignasco è viva la leggenda del "giorno del solastro", il più breve e scuro, nel quale la volpe maschio, dal pelo irto e coperto di aculei, veniva giù dalla Valle dell'Orsa, in cerca di cristiani da divorare.
Solastro, o solengo, è l'aspetto chiaroscurale ed inquietante della natura. Che si mostra come luminoso scenario, ma anche come abissale solitudine e desolazione.
Il solengo è anche un sentimento: un sentimento difficilmente traducibile in parole. Nel 1811 il prefetto del Dipartimento dell’Adda Angiolini, incaricato di condurre per l’autorità napoleonica ricerche sulle consuetudini del territorio di sua competenza, scriveva: “Diversi sono i pregiudizi, e varie sono le superstizioni (che) tormentano ed avviliscono lo spirito di queste popolazioni. Dipendono in gran parte dalla natura del paese che abitano. Lo spettacolo della natura fra i monti, particolarmente di notte, ha sempre qualche cosa di grande e terribile, capace a scuotere non solamente le menti de’ deboli e degli ignoranti, ma pur anche talora quelle degli uomini colti ed illuminati. Le nevi eterne che ricoprono le cime, i ciglioni sporgenti, le profonde valli per cui scorrono fragorosi torrenti che travolgono massi enormi, l’urlar del vento fra le gole delle montagne, le bizzarre forme che prendono le nubi nell’atmosfera, sono tante circostanze che dispongono la mente a ricevere mille impressioni malinconiche, che ben presto l’immaginazione riveste d’un’arbitraria realtà. Ed è forse perciò che questi contadini hanno nel loro dialetto la parola colostro o solengo per esprimere quel brivido, quell’orrore che viene all’uomo dal riflettere ch’egli fa sulla sua situazione isolata: situazione che crea e ingigantisce i pericoli, che scema ed annulla la confidenza che dobbiamo avere in noi stessi; per cui noi siamo dominati dagli oggetti esterni, la nostra ragione si rivolge a nostro danno.”
Gli fa eco Francesco Visconti Venosta, il quale, ne “La Valtellina nel 1844 – Notizie statistiche intorno alla Valtellina” (ed. Monografie dei Quaderni valtellinesi, Sondrio, 1986):
La vecchia superstizione è molto scemata ma non tolta del tutto fra le persone del volgo. Va ancora chi crede alle streghe, ai folletti, agli spiriti che abitano certe case deserte, alle maledizioni che infermano il bestiame, o che chiamano le locuste sul capo. Un brillante scrittore fa dipendere codeste credenze dalla natura del paese. Lo spettacolo della natura fra i monti ha sempre qualche cosa di grande e di terribile capace a scuotere non solo le menti dei deboli e degli ignoranti, ma anche quelle degli uomini colti ed illuminati. Le nevi eterne che coprono le cime, i ciglioni sporgenti, le profonde valli per cui scorrono fragorosi torrenti, che travolgono massi enormi, il fischiare del vento fra le gole delle montagne, la proiezione delle ombre, sono tutte cose che dispongono la mente a ricevere mille impressioni melan­coniche e fantastiche che ben presto l'immaginazione riveste d'un'arbitraria realtà. I contadini hanno nel loro dialetto la parola solastro o solengo per esprimere quella tristezza o quasi spavento che si ingenera nell'uomo a trovarsi solo al cospetto dell'immensa natura. Non è quindi strano anzi è prova di mente pronta e vivace, se in codesta disposizione di animo si dà corpo alle fantasie e si crede le ombre de' morti errare la notte, e con idea dantesca, e che forse rimonta a quei tempi, confinato dalla invidia o dalla malignità, qualche ricco che muoia in opinione d'essere stato poco caritatevole, o poco religioso, a picchiare infino al dì del giudizio con grosse mazze ferrate gli ultimi scogli dei monti, e vi sia chi giura d'avere la notte sentito i colpi.”

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24 DICEMBRE

Vigilia di Natale.

La vigilia di Natale era diffusa l'usanza di digiunare almeno fino a mezzogiorno «come digiunano per amor del Bambino Gesù anche gli uccelli dell’aria».

Lina Rini Lombardini, nel bel volume “In Valtellina - Colori di leggende e tradizioni”, (Sondrio, Ramponi, 1950), scrive:
La gran veglia comincia quasi ovunque, nei nostri paesi, dopo cena. Nelle «stue» intorno alle grandi stufe che hanno le panchette infisse nel muro, ovvero sotto le cappe di monumentali camini, si veglia, protesi verso la gran fiamma che riverbera luci e ombre, e varia i colori secondo la legna che l'alimenta, ma tutta dà bel caldo e insieme gradevole odor di bosco e di neve.
In molti luoghi le famiglie contadine si riuniscono nella stalla più vasta del paese, e la veglia e ancor più suggestiva, arcanamente evocativa di quella lontanissima tra l'umile asinello e il docile bue. Nelle veglie natalizie, una volta, il più vecchio narrava le antiche profezie a giovani e bimbi, immobili verità. Oggi ancora si cantano dolci filastrocche, e si recita il Rosario, si invocano benedizioni per i familiari, per il bestiame, per la terra, e si trae qualche auspicio: «Se la nott de Nadal l'è scura — dicono in Bormio — semena 'l lin che la te'l sigura»; ed è pur bello già pensare al campo di maggio fiorito di celeste, pensare che sarà gonfia la conocchia anche per i filò dell'inverno da venire.
Nell'attesa della Messa di mezzanotte, gli uomini di Tirano rassettavano una volta accuratamente i cortili; ancor oggi le massaie di Bianzone preparano il burro fresco che ha il potere di farmaco per ogni male. In qualche paese delle vallate di Bormio, la veglia nella stalla era rallegrata da merende a cui gli uomini portavano vino generoso e le donne una focaccia; dopo il Rosario, venivano cantate le Litanie. A Valfurva nella notte di Vigilia ogni mamma doveva preparare qualche indumento per i bambini poveri del paese o della valle, nati nel mese di dicembre. Anche i veglianti nelle stalle, avevano cura che fosse acceso il fuoco nelle loro case. Le ave bormiesi, tenaci custodi delle tradizioni, raccomandavano alle nipoti di tenere acceso il lume tutta  la notte verso Oriente, perché è di là che vengono i Remagi. Già si pensa ai Remagi, alla loro gran stella; il cielo, anche se fiocca, oltre quel bianco, è tutto una stella
S'ode il primo richiamo alla Messa. Deposto il carell e la roka, le ave andavano sollecite alla chiesa. Ancora, in fila indiana, vanno quei di Masino, tenendo acceso un ramo resinoso di tea; tremolio giallo di lampade, rosso di torce primitive, punti d'oro lontani... Si va in silenzio tra il fresco odor della neve. All'inquieto riflesso delle mobili luci, i ghiaccioli degli alberi e delle siepi hanno i bagliori della Stella polare, preparano al fulgore celeste degli altari.
In Bormio, durante la Messa, al momento dell'Elevazione, si usava soffiare dentro curiosi fischietti colmi d'acqua. Simboleggiavano gli zufoli degli antichissimi pastori? Appena fuori della Messa, i devoti godevano nelle loro case il primo convito natalizio. Il pagrand versava a tutti i membri della sua famiglia, in ordine di età, un goccio frizzante di vera acquavite; non più d'un goccio, stava in quei piccoli e tozzi e pesanti bicchierini che avevano l'incavo come un ditale. A bere un sorso di grappa, proprio di vinaccia, s'invitano, dopo la messa, in Masino, gli amici. All'alba in Bormio, una volta, si gustava vino bianco e «pan bon»; il pan bon di cui i più vecchi ancora si ricordano, fatto con lievito segala, saporosa farina di frumento nostrano, butèr cotto e uvetta; niente zucchero. Ancora, nei dintorni di Morbegno, vanno, dopo messa, i giovani, in gruppi di sette otto, qua e là, nelle varie case dove già s’effonde la fragranza della bisciola, cotta nel forno casalingo, buona mistura di farina di segale, di frumento, di granoturco con aggiunta di castagne bianche cotte, di fichi, noci, nocciole, uva sultana, mele.
Caratteristico era in Chiuro il pane natalizio addolcito con gherigli di noci; ottenuto a stento, se pur ottenuto, dopo lunghe dispute dal padre severo che destinava l'olio di noci a servire più utilmente per le lum degli operosi filò. Particolare cibo delle mense natalizie bormiesi, erano i canèdei cotti nel brodo di carne secca bovina, che poi si mangiava lessa.”

Ed ancora la Rini Lombardini,nel medesimo volume, scrive:

Le stelle che gremiscono più fittamente nell'umidità invernale il nostro cielo d'alpe, entrano in casa con il Presepe; entrano anche nel cuore allorchè il Presepe viene composto quasi ritualmente alla usanza degli avi; ed è il capofamiglia che incorona la Capanna e dice: « Cosi faceva mio padre ...».
La fedeltà alle tradizioni, vanto delle nostre case all'antica, lega con fili invisibili il presente a quel tempo dei vece, così semplice e così bello nella sua atmosfera d'affetti e di poetiche usanze, con quel suo senso sacro della famiglia. Allora, in qualche nostro paese, spettava alle coppie dei prossimi sposi il privilegio e il vanto d'iniziare la costruzione del Presepe, buon auspicio e bel simbolo per cui pareva s'irradiasse dalla Famiglia Divina, già quasi un barlume della nuova famiglia umana; e sacro diventava il dovere di « far famiglia », di tramandare la vita. Per quel domestico Presepe, il giovane di Cepina regalava alla «morosa» una bescia intagliata con le proprie mani nel legno del proprio bosco; e arrivava cantando a voce spiegata la nenia natalizia: «O notte splendida, lucente al par del giorno ...».
Alla «chiara stella» intonavano un inno in coro, su lentissimo ritmo, anche i giovani di Tirano, andando di contrada in contrada, prima di raccogliersi in pia veglia nella stalla dove in un braciere ardevano fronde resinose e incenso. La veglia nella stalla più s'intona alla splendida umiltà del Presepe, anche là dove il raduno è, come in Grosio, più allegro che devoto. Ma Grosio in quel giorno di veglia, s'abbandona a un'euforia tutta speciale per il ritorno del bestiame dall'alpeggio; l'aria risuona di « bronze » e di muggiti: l'ondata della gran ricchezza grosina, dalla montagna è ritornataalla stalla. E, nella stalla, i «matèi» offrono alle morose il vin dolce delle botegie e i brasciadei; e le noci e i bescocc delle floride selve; al suono dell'organetto «a bocca» sfavilla poi la rustica e onesta letizia dei «quatro salti ne la stala». Devotamente invece, altrove, nella veglia natalizia, si recitano rosari; in qualche paese dopo il rosario, si intonano in coro le litanie. A Valfurva, ancor oggi, v'è l'usanza gentilissima tutta natalizia, di cucire in quella gran sera, un indumento per qualche bimbo povero nato in dicembre. Devotissima è anche la veglia di Chiuro con la recita dei quindici misteri del Rosario; alla ghirlanda delle centocinquanta Ave Maria, seguono ancora quindici Pater Ave Maria e Gloria, con la strofetta invocativa perchè Gesù venga a nascere nel cuore di ognuno. Una volta inunar la stalla era solo rischiarata a petrolio o con olio delle proprie noci ,dentro bellissime lum di cui se ne conserva ancora in forma di quadrifoglio: a ogni foglia s'inizia il beccuccio di bambaglia che areruceinulo nell'ombra, creava con i suoi riverberi, intorno, un'atmosfera dolcemente suggestiva.
La veglia era preceduta da una cena di magro caratteristica di quel giorno; ogni paese forse una volta, aveva il suo speciale cibo di vigilia. Qualcuno lo conserva; come a Pedenosso lo spek o densa panucia di riso, bollito nel latte e ben spruzzato di burro e di formaggio; … mangiano, quelli di Val Masino, la polenta taragna dalla quale ognuno prende con le mani un pezzo da ridurre a pallottola, e poi gustare lietamente in onore del piccolo Gesù. E chi sa in quanti luoghi v'è l'usanza degli appetitosi nostri pizzocher e del chisciöl Ai farina? a Grosio la, pizzocherera è a gnocchi, con verze, patate e condimento di strutto grasso e formaggio; a gustarla siedono intorno alla gran tavola fino a venti trenta membri d'una stessa famiglia. Far Natale in famiglia; ecco per i lontani da casa, il sogno d'amore di tutto un anno.
Arrivano anche da lontanissimo. Una volta tornando dall'Engadina, facevano da Coira il viaggio a piedi. Valicare il Gottardo d'inverno, non impauriva quel padre di Sondalo, che portava trionfante per il «bambin» dei figlioletti, pochi «mentini» colorati e qualche monetina da due o cinque centesimi. Tempi non ricchi di moneta, ma stracarichi d'amore. A Natale era tutto un fiorir d'amorosi doni. Da piach dei piccoli, mamme e nonne di Talamona preparavano da cuocere in forno per Natale un impasto di segale, granoturco e frumento con la panna e il burro, con uova, noci, castagne bianche cotte a metà, nocciole, anice e anche grappa, e ne foggiavano dei «bambini» con baffi; sempre, di notte andavano a preparare, per tutti di casa, la bisciola; benedette siano queste dolcezze che vengono dalle vigne e dalle selve nostrane! Si godono al pranzo solenne, ma qualche piccolo assaggio è consentito anche al ritorno dalla messa di mezzanotte o all'alba ... E in quale pompa magna andavano alla Messa di mezzanotte gli avi; con marsina nera o colorata. Le donne di Sondalo attillate nei casach dai bellissimi bottoni intarsiati, calzavano nuovi sciupei da sciora. Ancor oggi le Grosine sfoggiano i loro incantevoli fazzoletti di lino bianco e i variopinti scusai di seta. Si andava alla chiesa in fila dietro il Capofamiglia che reggeva una lampada; portano quelli di Valmasino, vividissime torce, fatte con fronde di tea.
Presepi anche in chiesa, grandi ovunque. Una volta il Gesù Bambino di Sondalo era vivo e veniva avanti al « Gloria in Eccelsis »; per l'Epifania si presentava un bambino più grande rivestito di lunga tunica bianca ... Ardeva una volta, nella chiesa di Talamona un fastoso lampadario di cinquecento candele; cantano ancor oggi i bimbi di Cepina con la loro voce d'angelo: «Su su, pastori, con gran coraggio, a far viaggio verso Betlem». Riverberi, guizzi di luce anche sui ghiacciati sentieri, sulle siepi vestite d'ermellino; stelle minime e stelle grandi, stelle in cielo e stelle in terra; nessuna festa come il Natale ne ha tante raggiere."

Chi nö digiuna la vigilia de Natàl, no cugnós né bén né mal
(chi non digiuna la vigilia di Natale non conosce né bene né male)

A mìga digiünà sùta Natàl
ta sée pégiu de ‘n animàl
(chi non digiuna sotto Natale è peggio di un animale - Tirano)

Al dì dela vigìglia ugnün cun la sùa famìglia

(il giorno della vigilia ciascuno con la sua famiglia - Tirano)

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25 DICEMBRE

Santo Natale.

Si credeva che la notte di Natale avesse qualcosa di magico: al primo dei tocchi della mezzanotte, appoggiando l'orecchio alle zolle dei campi si poteva sentire il movimento delle spighe nel cuore della terra. Gli animali nella stalla, poi, parlavano e la punta delle corna dei buoi si illuminava. I biancospini, infine, germogliavano per brevissimo tempo, e per pochi istanti si schiudevano, per poi richiudersi, strani fiori. Il tutto in un'atmosfera di sospensione irreale. Felice anche la sorte di chi nasceva in questa notte: si credeva che le sue ossa, dopo la morte, non si sarebbero mai corrotte, ma si sarebbero conservate intatte fino al giorno del giudizio universale, il giorno della resurrezione dei morti. All'inizio del secolo scorso nell'ossario di S. Nicolò Valfurva si conservavano ancora tre di questi scheletri, intatti, di persone nate appunto nella notte di Natale.

Lina Rini Lombardini, nel bel volumetto “In Valtellina - Colori di leggende e tradizioni” (Sondrio, Ramponi, 1950), scrive:
Bell'alba di Natale, che ci vede tornare alle case talvolta bianchi di neve e con un bianco sogno d'innocenza anche nell'anima. E che bel modo cordiale è quello di chiamare i nostri cibi natalizi pan bon, polenta bona: polenta bona e salametti casalinghi in Sondalo; ben conditi pizzocher in Chiuro...; cibi natalizi di farina una volta, in molti nostri luoghi: era come fondere terra, famiglia Fede; legare il presente al passato, legare al passato quelli che avrebbero poi, nel futuro, continuata la famiglia ...
Una volta la «Stella» dei Re Magi iniziava il suo viaggio nella Notte Santa. A tre o cinque punte, alta su alto bastone, portata da uno dei villerecci Re Magi, fiancheggiata dagli altri due, si muove ancor oggi lentissima al ritmo di ninna-nanna, proprio come un rutilante Ostensorio. Era una volta in Piatta di vetri rossi, gialli e verdi, portata da Re Magi vecchi; pure di vetro era quella di Cepina accompagnata da Re Magi avvolti in ampio mantello di panno casalingo; il priore con la chitarra ne accompagnava il canto: «Tre Re dell'Oriente, per lungo cammino, al nato Bambino, la stella guidò». Avevano in dono del lino in matassa che serviva per la biancheria dell'altare. Una pupa de con nastro azzurro era il dono che una giovane poteva offrire a quello dei Re Magi che le fosse in simpatia; era anzi un sottinteso d'amore (gentilezza tutta di Cepina questa d'affidare ad una pupa un simbolo d'amore). Ai Re Magi si offrono di solito doni casalinghi; a Piatta una volta le manzole e buon vino; entrando in una casa, intonavano una strofetta legata, là dov'era possibile, al nome della più sorridente ragazza che li accoglieva. Si chiamava Maria? I tre iniziavano il canto: «Maria è la prima ad adorare il Bambino». In Premadio, un tempo, (chi sa se ancor oggi), tenevano chiuse le porte, volevano prima sentir cantare. Ma poi, avanti avanti, con quella nostra cordialità montanara che è insieme sorridente e brusca, avanti a «merendare».”

Riportiamo anche alcuni passi da “La contea di Bormio – Vol. III – Le tradizioni popolari”, di Tullio Urangia Tazzoli (Anonima Bolis Bergamo, 1935):
A Natale il giorno si allunga un poco. Di qui il detto: a Sant Nadàl - al pas de un gàt. Se fa bel tempo e poca neve a Natale (cosa non sempre facile nel Bormiese) vuol dire che avremo una Pasqua freddolosa e nevosa, da qui il proverbio: Nadàl in plàza, Paskua su li bràska (Natale in piazza, Pasqua presso la legna che bruciano sul fuoco). Anche la notte di Natale ha le sue tradizioni superstiziose ed i suoi pronostici agricoli.
Dice la tradizione popolare che chi nasce la notte di Natale non si scompone dopo morto: le ossa del suo scheletro restano unite (resten intrék), restano intere sino al giorno del giudizio universale! Nell'ossario di S. Nicolò, la chiesa parrocchiale di Valfurva, sono esposti tuttora tre scheletri che dicesi fossero di persone nate la notte di Natale...: di quale anno?... Se la notte di Natale è oscura si pronostica buona semina e buon raccolto pel lino: Se la nöcc de Nadàl l'è skura semina 'l lin ke la te 'l sigùra (se la notte di Natale è scura semina pure il lino che la notte te lo assicura). In questa ricorrenza festiva si vendevano, come abbiamo ricordato nei secoli passati, al macello comunale le carni del porco del comune: a Natale appositamente scannato e venduto i denari erano destinati a S. Antonio di Scianno.”

El vinticìnch de dicémbra, el'dì'Nnatàl, chi ch'è san, ai prega el Signùr che per el nöf an, a-ié tegni luntàn da tücc i mal (il 25 dicembre, giorno di Natale, chi è sano prega il Signore che per il nuovo anno lo tenga lontano da tutti i mali)

Natàl in piàza, Pasqua su la brasca
(Natale in piazza, Pasqua sulla stufa - se a Natale il clima e mite, sarà rigido a Pasqua - Traona)

Natàl a la brasca e Pasqua a la piazza
(Natale presso la brace e Pasqua in piazza - Castione)

Natal al giöch, Pasqua al föch (Natale all'aperto, pasqua al focolare - Poschiavo)

Natal in plàza, Pasqua a la buràsca

(Natale in piazza, Pasqua con la burrasca - Poschiavo)

Al dì Nadèe ‘l crés un didèe
(il giorno di Natale il giorno cresce di un ditale – Samolaco)

A Natàl ğbadàc’ de'n gal
(a Natale il giorno si allunga dello sbadiglio di un gallo - Villa di Chiavenna)

Al dí Dinadèe al cress pién un didée, al prüm di l’an un schbadácc d’un gall
(a Natale il giorno cresce di un ditale, a Capodanno dello sbadiglio di un gallo – Samolaco)

A Natàl ugnùn al so casàl (a Natale ciascuno a casa sua)

Al dí Dinadée ognintűűn in dal sò frigulée
(il giorno di Natale ciascuno a casa sua - Samolaco)

Natal coi tö, Pasqua con chi te vö (Natale con i tuoi, Pasqua con chi vuoi - Traona)

Al dì Nadèe ognüun al so figulèe
(il giorno di Natale ciascuno al suo focolare – Samolaco)

Nàtal cui fradèi, San Stèfen cui kurtèi
(Natale con i fratelli, Santo Stefano con i coltelli - Ardenno)

Aügüri sénsa dun i g’à pòca cunsideraziùn

(auguri senza doni sono poco apprezzati - Tirano)

Sènsa regài gh’è mìga piasè
(senza regali non c'è piacere - Tirano)

Al nòs Signóor l’é nasüü d’invèrnu, ki gh’á fiöö ghe dàghia guèrnu

(il nostro Signore è nato in inverno, chi ha figli se ne prenda cura - Samolaco)

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26 DICEMBRE

Santo Stefano e festa patronale di Mazzo in Valtellina.

I ragazzi di Ardenno un tempo nel giorno di S. Stefano davano vita ad una sassaiola fra bande contrapposte, per ricordare la lapidazione alla quale era stato sottoposto il primo martire dell'era cristiana, S. Stefano.
Riportiamo, poi, alcuni passi da “La contea di Bormio – Vol. III – Le tradizioni popolari”, di Tullio Urangia Tazzoli (Anonima Bolis Bergamo, 1935):
Nella notte di S. Stefano, sebbene vada scomparendo, si mantiene tuttora nelle vallate di Valfurva, Valdidentro (Premadio), Valdisotto (Cepina) l'usanza di portare in giro su di un bastone una stella rischiarata da un cero: simbolo della stella celeste che indicò la via di Betlemme ai Re Magi.
I giovani di Premadio, ad esempio, preparano per questa sera una grande stella di carta colorata e, con essa, vanno a fare la questua per la dote a Gesù Bambino... Chi dà uova; chi dà segale, chi farina, chi lino, panni e così via. Cantansi nenie liturgiche intorno al leggendario viaggio dei Re Magi.
Scesa la notte i giovani vanno alla ricerca delle giovani (generalmente, e si capisce, secondo le simpatie reciproche più o meno pronunziate ed ufficialmente note) e salgono ai vicini Bagni Nuovi il cui territorio trovasi appunto nel comune di Valdidentro. Nel salone, privo in questa stagione come l'albergo di ospiti, si improvvisa una cenetta e si balla sino alle ore piccole. Non manca di presenziarvi qualche volta il parroco di Premadio. Vi è, immancabile, il Direttore dei Bagni che fa gli onori di casa e che in quella occasione, ma solo in quella occasione, anche lassù, nel suo regno, dimentica la sua veste ed il suo carattere burocratico officioso di rigido dirigente ed amministratore... Naturalmente la festa, che ha inizi e forme esteriori religiosi, finisce spesso all'alba con giocondi canti alla giovinezza ed all'amore... E fra tre giorni quando non da tutti ma in parecchie famiglie si attenderà l'anno nuovo, quando a mezzanotte squilleranno le campane annunzianti il gennaio che ricomincia il ritmo della vita bormiese riprenderà lento e tranquillo nell'antico borgo e nelle vallate. E nelle Onorate Valli e nella Magna Terra ricomincerà il ciclo delle poche caratteristiche feste che cercammo assai sommariamente di ricordare feste che segnano, quasi, una nota gaia e riposante nella rude, monotona ed alquanto melanconica vita della popolazione in maggioranza agricola e pastorale.”

29 DICEMBRE

San Tommaso.

A san Tumààs ‘l dé ‘l se slunga da la buca al nààs
(a san Tommaso il giorno si allunga di poco – Valmalenco)

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31 DICEMBRE

San Silvestro.

Lina Rini Lombardini, nel bel volumetto “In Valtellina - Colori di leggende e tradizioni” (Sondrio, Ramponi, 1950), scrive:
San Silvestro porta la mattana delle «traverserie» detta addirittura «notte dei malanni» in Grosio; penso che sia un'antica nostra usanza, nata forse dallo sgomento per il correr via del tempo e dall'ansia d'arrestarlo con barricate e filo di ferro. Ma poi i Grosini (che una volta osarono portar sul sagrato distesa nel suo letto una ragazza dal sonno troppo profondo), si riaccostano al Signore padrone del tempo e della roba, recitando cento Pater per ringraziamento del bestiame salvatosi d'ogni male.
La “stela” intanto continua a girare nelle vallate bormiesi, fino all'Epifania rigando la notte di luci fantastiche e di canti. Sfavillano fino all'Epifania le stelle dai velari turchini dei Presepi cui seggono presso più estatici i vecchi e i bambini; guardando gli uni e gli altri, s'accendono proprio le stelle anche nel cuore”.

Luisa Moraschinelli, nel bel volume "Come si viveva nei paesi di Valtellina negli anni '40 - l'Aprica" (Alpinia editrice, 2000), scrive:
Dell'ultimo giorno dell'anno, nella nostra tradizione contadina, c'è poco da dire. Si è tentati di buttarci ancora sull'atmosfera ambientale, di candido manto nevato, di luccichio del sole sulla neve, di esteso silenzio. Da questo è facile passare ancora al lato religioso con la funzione culminante nel «Te deum» serale di ringraziamento. Un «Te deum» che, anche se in latino, era cantato con un tale entusiasmo che era facile leggervi il sentimento comune di rigraziamento a Dio per l'anno concesso. Inutile dire che doveva essere preceduto dall'impegno individuale a confessarsi per mettersi in regola con il Signore prima d'incominciare il nuovo anno. Non c'erano manifestazioni particolari. Niente brindisi, niente baci, niente cenoni. Una bella polenta con salsicce fresche del proprio maiale era più che soddisfacente. Poteva esserci una «püscena», che poteva essere ancora una polenta e salsicce fatta, a tarda serata, fra amici, nella casa di uno di questi (andare al ristorante non era ancora in uso, e inoltre non c'erano i soldi).”

Nel bel volume “Lingua e cultura del comune di Sondalo” di Silvana Foppoli Carnevali, Dario Cossi ed altri (edito a cura della Biblioteca Comunale di Sondalo) leggiamo: "Per finire vogliamo parlare di una simpatica usanza non più praticata e di cui pochi ormai si ricordano: l'usanza di intraversèr l’èn. Era praticata la notte del 31 dicembre.
I giovanotti che si ritrovavano in allegra compagnia per attendere l’arrivo dell'anno nuovo usavano sbarrare le strade del paese con oggetti e attrezzi voluminosi per impedire all’anno vecchio di andarsene. Era un modo ingenuo e popolare per esprimere l'eterno desiderio umano: fermare la fuga del tempo, conservare la gioia e a della gioventù. Questa tradizione forniva ai giovani il pretesto per combinare burle ad amici, parentie conoscenti. Per intraversèr l'èn trafugavano dalle case attrezzi agricoli, scale, slitte, carri e li portavano lontano. Cosi il mattino di Capodanno si trovava la scala di un abitante di Bolladore (ad esempio) nella parte più alta del paese o il carro di uno del Pónt de San Ròch portato a Terapicena o addirittura a Samacologna e posto di traverso sulla strada per intraversèr l'èn. E i rispettivi proprietari, la mattina di Capodanno, dovevano andare a riprendersi gli attrezzi, brontolando, ma sottovoce, perché le tradizioni andavano rispettate ed era considerato di cattivo gusto offendersi per uno scherzo innocente. Tutt'al più potevano fare un pensierino: ci ritroveremo l'anno prossimo; a bón render!”

Analoga consuetudine a Tirano; qui, infatti, come leggiamo nel volume di aa.vv. "Guida alla Lombardia misteriosa" (Sugar editore, Milano), "la notte di San Silvestro i giovanotti del paese vanno giro per le strade e si mettono a raccogliere nei cortili delle case e nelle aie delle fattorie cancellate, porte, imposte, carri, panche di legno, quel che trovano di trasportabile. Ammucchiano il tutto sulla piazza principale, a mo' di barricata, per impedire all'anno vecchio di andarsene troppo velocemente. L'indomani i costernati proprietari devono andare a ritirare dal mucchio la loro roba. Una notte venne trasportata in piazza anche la più bella ragazza del paese, mentre dormiva pacificamente grazie a un sonnifero che le era stato somministrato la sera, a cena."

Infine, anche a Teglio era viva la tradizione di entraversà l'àn, cioè di porre sulle strade, l'ultimo dell'anno, tronchi, fascine o altri ostacoli per impedire all'anno vecchio di fuggir via.

Gras u magri an s'è rüàt a Sant Silvestru
(grassi o magri, siamo arrivati a San Silvestro - Montagna)

«Fin chilò an s'è rüàt» ai diséva i nos por vècc

("fin qui siamo arrivati" dicevano i nostri poveri vecchi il 31 dicembre - Montagna)

'N otr'àn chi garà lana farà pagn
(il prossimo anno chi avrà lana farà panni - Sirta)

Ci nu se lava né pecéna dürànt l'ann el dì de S. Silvèstru 'l farànn
(chi non si lava né si pettina durante l'anno, il giorno di San Silvestro lo farà - Regoledo)

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PROVERBI

Il mese della neve...

Néf desembrìna la dura a dina a dina (la neve di dicembre dura a lungo – Bormio)

La nev desembrìna per trii mess la kunfìna
(la neve di dicembre resta per tre mesi - Sondrio)

La nèev dezembrìna per ti mées sa la trapìgna
(la mese di dicembre la si calpesta per tre mesi – Samolaco)

La néef  dicembrína, par tríi mées sa la zapína
(la neve di dicembre la si calpesta per tre mesi - Samolaco)

La nef desembrìna cul marz la cunfìna
(la neve di dicembre rimane fino a marzo - Poschiavo)

La néf dicembrìna cun chèla de mars la cunfìna
(la neve di dicembvre dura fino a marzo - Tirano)

La néf decembrìna per tri més l'è visina
(la neve di dicembre resta per tre mesi - Traona)

La néf de dicémbru la tàca cùma ràsa de gémbru
(la neve di dicembre attacca come la resina di gembro - Tirano)

La néf al l'è mai magliéda al lóf
(la neve non l’ha mai mangiata il lupo – Livigno)

An da pìgna àn da néf (anno di pigne, anno di neve – Livigno)

La néf e i vècc i va de parlùr (la neve ed i vecchi se ne vanno da soli)

Quànt la lüna la ghà inturen la curuna, la nìif la se immuntùna
(quando la luna ha intorno la corona, la neve si accumula - Selve)

Se la nìif la resta suli pianti al uöl di che al ne uee de l'ötra
(se la neve resta sugli alberi vuol dire che ne arriva dell'altra - Selve di Colorina)

Quando i se sbàsa i càuri i disegna la néf
(quando le capre si abbassano, verrà la neve – Grosio)

...benedetta dai contadini

Sutt l’acqua fam, sul la néf pan
(l’acqua rovina i raccolti, la neve li propizia – Montagna)

Se al desembar al sarà trop bèl, ala sarà brì l'ègn nuèl
(se dicembre sarà troppo bello, non lo sarà l'anno nuovo - Fraciscio)

Sctelejìna dejembrìna tegné cùnt dali brosckìna (acqua abbondante a dicembre, tenete conto delle pagliuzze di fieno, perché l’inverno sarà lungo – Livigno)

Il mese del freddo...

Gnè ‘l colt gnè ‘l frècc’ a-i i’a mai mangiàt i lüff
(i lupi non hanno mai mangiato né il caldo né il freddo – Montagna in Valtellina)

El Signùr el manda el frecc segund i pagn
(il Signore manda il freddo secondo i panni - Morbegno)

...ma di un freddo che pian piano si attenua.

Se prima de Natàl frècc’ no fa, dopo ‘l de Natàl ed frècc’ al va
(se prima di Natale non fa freddo, dopo natale il freddo va - Traona)

L’invèrn fin a Natàl ‘l vegn, dopu Natàl ‘l va a pas dèn gal (l’inverno prima di Natale viene, dopo Natale se ne va con il passo di un gallo – Valmalenco)

Il mese, infine, della poesia, del Natale e del divertimento...

Pasèe ‘l d’ Nadèe, ogni végia po’ balèe
(dopo il Natale, ogni vecchia può ballare, cioè è carnevale – Samolaco)

Dopu Natàl tücc i dée iè carnavàl
(dopo Natale tutti i giorni sono carnevale - Campo Val Tartano)

Dopo Natal töcc' i dì l'è carnevàl (dopo Natale tutti i giorni è carnevale - Traona)

Da Natale a l'Epifanìa se fa minga economìa
(da Natale all'Epifania non si fa economia - Traona)

...per chi se lo può permettere.

Prima de Natal se mangia töcc' egual dopo de Natal i mangia cöi che ghe n'ha
(prima di Natale mangiano tutti egualmente, dopo Natale mangia chi ne ha - Traona)

A San Giuàn chi ga lana fa pagn
(A San Giovanni Evangelista - 27 dicembre - chi ha lana fa panni - Regoledo)

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Da "Lombardia" (nella collezione almanacchi regionali diretta da R. Almagià), Paravia, Milano, Torino, Firenze, Roma, 1925:


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(Massimo Dei Cas, www.paesidivaltellina.it)