Alpe Prabello

Punti di partenza ed arrivo
Tempo necessario
Dislivello in altezza
in m.
Difficoltà (T=turistica, E=escursionistica, EE=per escursionisti esperti)
Campomoro-Caspoggio
4 h
450
E
SINTESI. Dal rifugio Cristina all'alpe Prabello procediamo verso sud, verso una croce di legno che precede un tratto che si snoda fra grandi rocce arrotondate. Il sentiero inizia a descrivere un ampio arco, superando alcune piccole porte fra le rocce e dirigendosi verso sud-est. In questo primo tratto possiamo anche vedere, in una bella conca fra radi larici, più in basso, il laghetto dei Montagnoni. Raggiungiamo poi la grande spianata dell'alpe Acquanera (m. 2116), che si distende sotto il monte omonimo (m. 2806). Raggiunto il limite dell'alpe, il sentiero prosegue verso sud-ovest, alternando tratti nel bosco ad altri in cui si snoda fra la bassa vegetazione. I triangoli gialli si alternano, lungo l'intera tappa, alle bandierine rosso-bianco-rosse. Dopo aver superato tre valloni principali, procedendo verso sud-ovest, raggiungiamo la seconda grande alpe, l'alpe Cavaglia (m. 2056), anch'essa sovrastata dal monte omonimo. Ignoriamo alcune deviazioni a destra che scendono alle frazioni sopra Caspoggio. Il sentiero (direzione ovest-sud-ovest) entra per un buon tratto in un bel bosco, e taglia il largo dosso che scende verso nord-ovest dal pizzo Palino (m. 2686), cominciando poi perdere quota, scendendo da 2000 metri circa a 1800: qui esce dal bosco e si immette nella parte terminale di una ripida strada sterrata che scende ai prati del Piazzo Cavalli (m. 1777). L'ulteriore discesa avviene facilmente seguendo la strada sterrata, che ci permette di raggiungere la chiesetta di S. Antonio (m. 1337), dove si trova una stazione intermedia degli impianti di risalita. Da S. Antonio, seguendo la strada che scende a S. Elisabetta oppure un sentiero che raggiunge il limite superiore del paese, possiamo infine scendere facilmente a Caspoggio.

Gli alpeggi costituivano un elemento di fondamentale importanza nell'economia contadina dei secoli passati. Sulla struttura degli alpeggi di Valmalenco scrive Dario Benetti, nell’articolo “I pascoli e gli insediamenti d’alta quota” in “Sondrio e il suo territorio” (IntesaBci, 2001): “Gli alpeggi della Valmalenco hanno una morfologia a nucleo. Ogni famiglia aveva la propria baita. Non si spostava tutta la famiglia. Di solito andava il capofamiglia con due o tre insieme e gli altri rimanevano a lavorare i campi. Gli altri che rimanevano a casa, una volta alla settimana, andavano a portargli la roba, tutto a spalla, naturalmente, e portavano indietro il burro per venderlo e comprare farina. In alcuni casi la lavorazione del latte era effettuata in gruppi di tre o quattro famiglie che si impegnavano a turno. La produzione principale, più che il formaggio, era il burro, venduto al mercato di Sondrio (alpeggi di Lanzada) o in valle di Poschiavo in Svizzera (alpeggi di Torre). Tra gli alpeggi a nucleo più interessanti sono da considerare i due nuclei dell’alpe Arcoglio in comune di Torre, l’alpe Gembré (in pietra), Campaccio, Prabello, Brusada e l’alpe Musella in comune di Lanzada; in questi ultimi sono ancora presenti alcuni esempi antichi di edifici in legno con struttura a blockbau. Parte dei maggenghi (chiamati anche Barchi) era di proprietà comunale. Alcuni alpeggi (Gembré, Fellaria, Val Poschavina) sono a elevata altitudine e venivano utilizzati, al massimo, per un mese. In alcune alpi si falciava qualche piccolo appezzamento di prato (Pradaccio e Giumellino a Chiesa, Acquabianca, Canale, Palù a Torre) da utilizzare nelle stagioni peggiori unitamente al fieno selvatico raccolto sui versanti più alti delle creste montane”.
Le comunità malenche, la cui volontà trovava espressione nel Consiglio di Valle (rinnovato annualmente e composto da sei consiglieri, espressione di ciascuna Quadra della Valle, e dall'anziano, scelto a turno fra i rappresentanti delle Quadre di Lanzada, Chiesa, Caspoggio, Campo, Bondoledo e Milirolo) sentirono, quindi, ben presto l'esigenza di una loro suddivisione e regolamentazione. “Anticamente "montes" (pascoli di mezza montagna) e "alpes" (pascoli di alta montagna) erano goduti promiscuamente dagli abitanti della comunità di Sondrio e di Montagna, tanto che nel 1447 ci fu una prima divisione degli alpi fra la Valmalenco e Sondrio, che salvaguardava però i diritti di Montagna. Quasi un secolo dopo, ci furono due arbitramenti divisionali degli alpeggi della Valmalenco: nel 1542 si stabilì la definitiva separazione degli alpeggi fra Sondrio (con la Valmalenco) e Montagna; nel 1544 si procedette ad una ulteriore divisione dei pascoli di alta quota fra le quadre della comunità di Sondrio.” (da “Inventario dei toponimi… di Lanzada”, a cura di Simon Pietro Picceni, Giusepe Bergomi e Annibale Masa, edito dalla Società Storica Valtellinese, Sondrio, 1994). Per garantire una ripartizione equa fra le comunità, alpeggi che rientravano nel territorio di una quadra potevano essere assegnati ad un'altra. Per questo a Caspoggio, in ragione del suo territorio limitato, vennero assegnati anche alpeggi nel territorio della Quadra di Lanzada (a quel tempo la più ricca), come la splendida alpe Prabello (prabèl), assai nota anche per la presenza del rifugio Cristina, ai piedi della parete occidentale del pizzo Scalino. Proprio da qui parte l'ottava e conclusiva tappa dell'Alta Via della Valmalenco, che termina a Caspoggio e permette di osservare, compiendo una lunga traversata sul fianco orientale della Valmalenco, molti dei luoghi percorsi durante le giornate precedenti. Una tappa che non presenta particolari difficoltà e che consente di visitare i più pregiati alpeggi di Caspoggio, in parte, oggi, consegnati ad un triste destino di abbandono.
Se abbiamo a disposizione due automobili, possiamo effettuare questa interessantissima traversata lasciando la prima sulla carozzabile Campo Franscia-Campomoro e la seconda a Caspoggio. La traversata qui descritta avviene nel senso del minor impegno; percorsa in senso opposto, non è, ovviamente, meno suggestiva, ma risulta più dispendiosa in termini di fatica.
Lasciata un'automobile a Caspoggio, saliamo con la seconda a Lanzada, a Campo Franscia e di qui verso Campomoro. Poco prima di raggiungere quest'ultima località, troveremo, sulla destra, una pista che si stacca dalla strada ed è chiusa al traffico dei veicoli non autorizzati. I cartelli segnalano l'alpe Campagneda, il rifugio ca' Runcasc ed il rifugio Cristina. Ci incamminiamo, dunque, salendo lungo la pista, per poi lasciarla ed imboccare un sentiero che se ne stacca sulla destra (segnalazione per il rifugio Cristina). Il sentiero porta, dopo circa tre quarti d'ora di cammino dal parcheggio, alla splendida conca dell'alpe Prabello, dove si trova il rifugio Cristina. Da qui parte la bella traversata che si conclude a Caspoggio.
Prendendo a destra e seguendo i segnavia, lasciamo dunque l'alpe Prabello, salutando anche la chiesetta della Madonna della Pace, posta sul suo limite meridionale ed edificata nel 1919 per salutare la conclusione della Prima Guerra Mondiale. L'alta via si dirige quindi a sud, verso una croce di legno che precede un tratto che si snoda fra grandi rocce arrotondate. Il sentiero inizia a descrivere un ampio arco, superando alcune piccole porte fra le rocce e dirigendosi verso sud-est. In questo primo tratto possiamo anche vedere, in una bella conca fra radi larici, più in basso, il laghetto dei Montagnoni.
Raggiungiamo poi la grande spianata dell'alpe Acquanera (acquanégra, m. 2116), che si distende sotto il monte omonimo (m. 2806), rallegrata nel periodo estivo dallo scampanio delle mucche. Se ci fermiamo qui per gettare uno sguardo alle nostre spalle, potremo ammirare, in una giornata limpida, l'intera testata della Valmalenco.
L'alpeggio, che appartiene storicamente alla Quadra di S. Giovanni Battista di Montagna in Valtellina. Il suo nome si deve al fatto che i piccoli corsi d'acqua che la attraversano assumono un colore scuro per dovuto al terreno di torbiera. Infatti nella prima parte del secolo scorso, fino al 1945, veniva estratta una grande quantità di torba che, essiccata, veniva usata nelle calchere, cioè nei forni dove veniva cotta la calce. Dal Settecento al secolo scorso in questa zona veniva estratto anche amianto.
Raggiunto il limite dell'alpe, il sentiero prosegue verso sud-ovest, alternando tratti nel bosco ad altri in cui si snoda fra la bassa vegetazione. I triangoli gialli si alternano, lungo l'intera tappa, alle bandierine rosso-bianco-rosse.
Davanti ai nostri occhi appare ben presto la seconda grande alpe, l'alpe Cavaglia ("cavàia", m. 2056), anch'essa sovrastata dal monte omonimo (m. 2728). Mentre però l'alpe Acquanera suscita un'impressione di vita gioiosa, qui prevale un senso di mestizia e di abbandono: l'alpeggio, infatti, in passato caricato da allevatori di Torre S. Maria, ora è abbandonato. Intanto, fra un tratto in piano, uno in discesa e qualche strappetto in salita, abbiamo modo di osservare bene anche gli scenari della seconda tappa, e soprattutto il vallone di Sassersa ed il passo di Ventina (pas de la venténa). Lasciata alle spalle anche l'alpe Cavaglia, proseguiamo la lunga traversata, ignorando diverse deviazioni a destra che scendono alle frazioni sopra Caspoggio.
Il sentiero entra per un buon tratto in un bel bosco, dove i giochi di luce ci ripagano, almeno parzialmente, della mancanza dei grandi scenari montuosi ai quali le tappe precedenti ci hanno abituato. Superato il largo dosso che scende verso nord-ovest dal pizzo Palino (m. 2686), cominciamo a perdere quota, scendendo da 2000 metri circa a 1800: il sentiero qui esce dal bosco e si immette nella parte terminale di una ripida strada sterrata che scende ai prati del Piazzo Cavalli (m. 1777). Superato il largo dosso che scende verso nord-ovest dal pizzo Palino (m. 2686), cominciamo a perdere quota, scendendo da 2000 metri circa a 1800: il sentiero qui esce dal bosco e si immette nella parte terminale di una ripida strada sterrata che scende ai prati del Piazzo Cavalli (m. 1777).
L'ulteriore discesa avviene facilmente seguendo la strada sterrata, che ci permette di raggiungere la chiesetta di S. Antonio (m. 1337), dove si trova una stazione intermedia degli impianti di risalita.
Da S. Antonio, seguendo la strada che scende a S. Elisabetta oppure un sentiero che raggiunge il limite superiore del paese, possiamo infine scendere facilmente a Caspoggio, dove l'avventura dell'alta via, con qualche rimpianto, termina. Siamo in cammino da 4 ore e mezzo circa, ed abbiamo superato un dislivello in salita di circa 450 metri.

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