Val Dagua

Punti di partenza ed arrivo
Tempo necessario
Dislivello in altezza
in m.
Difficoltà (T=turistica, E=escursionistica, EE=per escursionisti esperti)
Cristini-Dagua-Gianni-Piazzo Cavalli- Gianni-Cristini
4 h e 30 min.
900
E
SINTESI. Saliamo da Sondrio in Valmalenco; dopo aver attraversato il ponte sul torrente Valdone, saliamo fino ad un tornante sx (la strada qui sale verso Torre di S. Maria), al ci stacchiamo sulla destra procedendo diritti e superando un secondo ponte, oltre il quale lasciamo la strada principale per impegnare uno svincolo segnalato, sulla destra, per Cristini. Imboccata la strada, dopo pochi tornanti siamo a Cristini, dove, ad uno slargo dove termina la strada, possiamo lasciare l’automobile. Ci mettiamo, dunque, in cammino, seguendo le indicaziuoni per Dagua ed i segnavia bianco-rossi; oltrepassate le case e le baite di Cristini, troviamo subito un bivio: il più largo e segnalato sentiero di sinistra sale diritto verso il nucleo di Dagua. Lo seguiamo e, salendo verso nord-est, giungiamo al nucleo di Scaia, dove si trova un secondo bivio: anche qui il sentiero di destra si porta al centro della Val Dagua, mentre noi prendiamo a sinistra. A quota 1070 troviamo alcuni ruderi di baita, ed un terzo bivio: per la terza volta proseguiamo sulla sinistra. Il sentiero traversa verso destra, poi sale diritto, rimanendo sulla destra delle baite di Dagua; segue qualche tornantino, che ci porta alla baita più alta, sulla destra, di Dagua (m. 1330), per poi dirigersi verso sinistra. Procedendo verso nord-ovest, raggiunge e supera il nucleo più alto di sinistra del paese, rientrando nel bosco. Procediamo, ora,  superando un valloncello ed incontrando, presenza davvero inattesa, una chiesetta sul lato sinistro del sentiero Si tratta della chiesetta dedicata alla Madonna di Fatima (m. 1380). In breve, siamo alle baite di Gianni (m. 1400). Ora dobbiamo proseguire salendo a zig-zag fra le case e seguendo il sentiero più alto, non quello basso per la Motta di Caspoggio, che procede tagliando i prati ed è segnalato dal cartello con numerazione 357. Noi, invece, saliamo, su un sentiero che piega a sinistra e passa alto sopra una fascia di prati, allargandosi poi a pista inerbita. Raggiungiamo, così, un bel poggio panoramico. Poco oltre intercettiamo una pista sterrata, e la seguiamo saleno fin quasi al punto terminale; qui ce ne stacchiamo sulla destra, salendo su un sentierino, sempre guidati dai segnavia bianco-rossi. Poco sopra, intercettiamo una seconda pista. Seguendola, siamo ad un bivio, al quale prendiamo a destra, fino al punto in cui la pista termina, non lontano dalle baite di Pra’ Mosìn. Guardando a monte, vediamo un tratturo appena accennato che risale un prato ed entra nel bosco. Il tratturo termina quasi subito e porta ad un gruppo di baite a monte di Pra Mosìn, a quota 1600. Sopra queste baite vediamo un sasso con doppio segnavia rosso-bianco-rosso, che indica la partenza di un sentiero che sale verso destra ed entra in una splendida pecceta. Dopo un buon tratto di salita, a quota 1750 ci raggiunge, da sinistra, un largo sentiero che proviene dalle piste di sci di Caspoggio. Prendiamo a sinistra, effettuando un traverso nella pecceta con andamento sostanzialmente pianeggiante. Usciamo, infine, dalla pecceta alla località di Piazzo Cavalli, passando a sinistra di una nicchia dedicata al ricordo religioso degli alpini di Caspoggio caduti in guerra. Da qui comincia la discesa. Seguendo la pista di sinistra, ci portiamo fino al piccolo edificio del ristoro denominato “Tana della Volpe”. Seguendo la pista scendiamo a Santa Elisabetta e di qui a Caspoggio.


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La Val Dagua è fra le meno note della Valmalenco. Essa scende ripida dalla bocchetta di Dagua, sul crinale che separa Valmalenco e Val di Togno, poco a sud del pizzo Palino (m. 2686, munt palìn, chiamato "sufrìna olta" a Caspoggio; il suo nome deriva probabilmente da "pala", "rupe", e significherebbe, dunque, "piccola rupe"), il punto di massima elevazione del territorio comunale di Caspoggio, dove convergono i confini dei comuni di Caspoggio, Lanzada e Montagna in Valtellina. La si vede bene da Torre S. Maria ed ha un aspetto impervio e desolato. Il suo ripido solco è percorso dal torrente Frisigaro. Mentre oggi appare un angolo di territorio montano dimenticato dagli uomini per la sua natura selvaggia ed ingrata, in passato fu oggetto di accesa contesa fra le Quadre (e successivamente i comuni) di Torre S. Maria e di Caspoggio. Fu, ad essere precisi, il versante settentrionale ad essere al centro dei contrasti per l’uso dei maggenghi, in tempi nei quali ogni fazzoletto strappato al versante montano per i pascoli e le colture rappresentava un tassello di importanza essenziale nei delicati equilibri di un’economia di sussistenza. Nel 1544 si giunse, quindi, alla definitiva assegnazione degli alpeggi alle Quadre della Valmalenco.


Bassa Valmalenco

Per garantire una ripartizione equa fra le comunità, alpeggi che rientravano nel territorio di una quadra potevano essere assegnati ad un'altra. Per questo a Caspoggio, in ragione del suo territorio limitato (la sua estensione è, infatti, di soli 6,82 kmq), vennero assegnati anche alpeggi nel territorio della Quadra di Chiesa (alpeggio di Lagazzuolo) ed in quella di Lanzada (a quel tempo la più ricca), come gli alpeggi di Campagneda e la splendida alpe Prabello (prabèl), ai piedi della parete occidentale del pizzo Scalino (che viene, per questo sentito dai Caspoggini un po’ come la loro montagna). Le regolamentazioni del cinquecento non posero, però, termine alle controversie, che proseguirono ed, anzi, si acuirono fino al secolo XIX. In particolare assai duro fu, appunto, lo scontro fra le comunità di Caspoggio e di Torre per lo sfruttamento dei prati della Val Dagua.

Scrivono, a tal proposito, Eliana e Nemo Canetta, nel bell’opuscolo di presentazione del territorio di Caspoggio (“Le tracce dei secoli – Conosciamo meglio il nostro territorio”, Caspoggio, 2006): “Chi conosce la storia delle Alpi sa che gli urti confinari furono tutt’altro che rari e che sovente si giunse alle espteme conseguenze. Spesso infatti i montanari sequestravano il bestiame dei concorrenti, cosa che ovviamente appariva ai danneggiati come un vero e proprio abigeato! Lo stesso successe anche in Val Dagua. Anzi, oggi pare impossibile, i due Comuni si scontrarono a mano armata nella prima metà dell’ottocento, tanto che ci scappò perfino un morto. Finalmente nel 1901 il Tribunale di Milano riconobbe in parte i diritti di Torre…” Ed ancora Nemo Canetta scrive, in “Alta Via della Valmalenco”, sempre in riferimento alla Val Dagua (Vivalda editrice, Torino, 2004): “La valle che oggi ci appare ripida e poco adatta all’attività umana, era per il tempo ricca di messi, di foraggi e di boschi. Naturale che quelli di Torre masticassero amaro e non si rassegnassero a perdere un territorio per loro così vicino ed importante. Spesso vi furono attriti ed in qualche caso anche “incontri di pugilato”. Incredibilmente la contesa arrivò sino agli inizi dell’Ottocento quando leggiamo sul Corriere della Valtellina che “gli abitanti dei due Comuni, indossati gli indumenti della defunta Guardia Nazionale, mossero armati di moschetto a far guerra a quelli dell’altro e l’epica giornata ebbe il suo morto in un bellicoso fornaio”. Solo nel 1901 il tribunale di Milano riconoscerà i diritti di Torre..”
Oggi la pace regna sovrana sull’intera valle. Non che sia scomparsa ogni presenza umana: nei suoi bei nuclei che rappresentano una sorta di museo etnologico all’aperto si incontrano ancora persone di Torre legate a questa terra, appartata, discreta, rasserenante, dove le ferite del tempo si risanano in un quieto oblio. Ma percorrere i sentieri che si dipanano fra gli antichi abituri è certo un’esperienza inusuale, assai diversa da quella rappresentata dal cammino sui più classici sentieri dell’escursionismo in Valmalenco. Ciò non significa che la superba montagna malenca si defili: i panorami che si godono dalla Val Dagua, per quanto non amplissimi, sono di tutto rispetto.
Ecco una proposta di escursione ad anello, che da Cristini porta a Piazzo Cavalli, passando da Gianni e Pra’ Mosìn, con ritorno dalla Motta di Caspoggio. Per raggiungere Cristini in automobile procediamo così. Lasciamo la ss. 38 dello Stelvio, se proveniamo da Milano, allo svincolo sulla destra in corrispondenza della rampa con la quale inizia la tangenziale di Sondrio. Percorso il rettilineo che immette in Sondrio, ci portiamo alla rotonda all’ingresso dell’abitato e qui svoltiamo a sinistra (indicazioni per la Valmalenco). Dopo i primi tornanti, la strada passa per la conca di Mossini (a 3,5 km da Sondrio), poi, lasciata sulla sinistra la deviazione per Triangia, prosegue addentrandosi sul fianco occidentale della valle. Passiamo, così, nei pressi delle località di Cagnoletti (6,8 km da Sondrio) e Prato (8,3 km). Ignorata la deviazione a destra per Spriana, raggiungiamo, a 10 km da Sondrio, il punto in cui dalla strada provinciale che sale a Torre, ad un suo tornante sx, si stacca, verso destra, la strada che scavalca il Mallero su un ponte e prosegue sul versante opposto della valle (orientale, di destra per chi sale), verso Chiesa, Caspoggio e Lanzada. Ora, poco sopra questo secondo ponte prestiamo attenzione allo svincolo segnalato, sulla destra, per Cristini. Imboccata la strada, dopo pochi tornanti siamo a Cristini, dove, ad uno slargo dove termina la strada, possiamo lasciare l’automobile.
Qui troviamo un pannello con una cartina della Valmalenco, ed un cartello, che reca scritto “Cristini 850 m.” ed indica la partenza del sentiero 357, segnalando Dagua ad un’ora e 10 minuti, Gianni ad un’ora e 40 minuti e Motta di Caspoggio a 2 ore e 10 minuti. Il nucleo dal quale partiamo merita qualche attimo di attenzione. “E’ stata avvalorata l’ipotesi che i due borghi si siano sviluppati attorno a un insediamento preistorico, forse di carattere sacrale. Dalla piazza si evidenzia la disposizione a quadrato delle case e le fortificazioni e feritoie ancora ben visibili, nonostante il rimaneggio delle passate ristrutturazioni, lasciano pensare che il paese fosse chiuso e difeso in ogni lato.” (dal sito www.comune.torredisantamaria.so.it).
Ci mettiamo, dunque, in cammino, seguendo i segnavia bianco-rossi; oltrepassate le case e le baite di Cristini, troviamo subito un bivio: a destra ci si porta al centro della Val Dagua, mentre noi dobbiamo prendere a sinistra, seguendo i segnavia. Proseguendo nella salita, in direzione nord-est, giungiamo al nucleo di Scaia, dove si trova un secondo bivio: anche qui il sentiero di destra si porta al centro della Val Dagua, mentre noi prendiamo a sinistra. A quota 1070 troviamo alcuni ruderi di baita, ed un terzo bivio: per la terza volta proseguiamo sulla sinistra. Alle nostre spalle, ottima è la visuale sul vallone di Sassersa che si apre a monte dell’alpe Pradaccio di Chiesa. A quota 1140 ecco il quarto bivio: questa volta prendiamo a destra e cominciamo a salire seguendo una sequenza di tornanti.
Il sentiero è qui largo e ben scalinato e ci porta in vista del nucleo principale di questo versante, quello di Dagua (citata già in un documento del 1413; localmente, però, il nucleo è meglio conosciuto con la denominazione Fuiàn, Fojani o Fojanini, da un tale Menico di Dagua, detto il Foiano, capostipite della famiglia Foianini, che qui acquistò nel 1456 un vigneto), un grumo di baite disposto su una ripida fascia di prati. In alcuni testi si legge anche "Dagna", forse dalla voce "agna" che significa "torrente".
Questo borgo così ben nascosto fra le umide selve della bassa Valmalenco rappresentava in passato un tipico esempio di microcosmo contadino. L'unico edificio intonacato fungeva da scuola elementare, nella quale, fino agli anni ottanta del secolo scorso, insegnava una maestra che tutti i giorni saliva da Torre S. Maria.
Il sentiero traversa verso destra, poi sale diritto, rimanendo sulla destra delle baite, di origine secentesce e settecentesca; segue qualche tornantino, che ci porta alla baita più alta, sulla destra, di Dagua, per poi dirigersi verso sinistra. Qui il tempo sembra essersi fermato a circa un secolo e mezzo fa, quando la gente viveva dei prodotti dell’allevamento e della coltivazione di segale e patate. Probabilmente sentiremo, fra i ballatoi in legno delle baite, qualche voce, sorprenderemo gesti di vita quotidiana riconsegnati a ritmi antichi e ad antiche liturgie, spieremo segni di un lavoro sempre uguale, qualche carota pulita su uno scranno in pietra, qualche pannocchia legata in fasci. Nel secondo dopoguerra, quando vi abitavano permanentemente diverse decine di persone, era attiva una scuola elementare (nel solo edificio intonacato del paese) con diciassette alunni, nella quale insegnò anche una maestra venuta da Frascati, “mentre nel 1983 la scuola era frequentata da due sole alunne, rispettivamente di seconda e di quarta elementare…” (Mario Vannuccini, “Valmalenco, ai piedi del Bernina”, Vivalda Editori, Torino, 2006). La Scöla de Dagua al Mot dal Dòs venne aperta nel 1885 e funzionò fino al 1984. Fino a tempi non troppo lontani i bambini, che vi salivano o recavano anche con lunghi tragitti, dovevano a turno portare la legna con la quale alimentare la stufa. La maestra stessa saliva tutti i giorni a piedi da Cristini.
Curiosando con un po’ di attenzione, soprenderemo anche qualche edificio che mostra la tecnica di costruzione dei tronchi incastrati ad angolo, detta “block-bau”, piuttosto rara in Valmalenco.
Il sentiero, procedendo verso nord-ovest, raggiunge e supera il nucleo più alto di sinistra del paese (m. 1330), rientrando nel bosco. Procediamo, ora,  superando un valloncello ed incontrando, presenza davvero inattesa, una chiesetta sul lato sinistro del sentiero Si tratta della chiesetta dedicata alla Madonna di Fatima (Gésa di Trèma); un cartello la quota 1380 metri, mentre una scritta sotto la campanella porta la data del 1955, perché la chiesa venne consacrata il 13 maggio 1955 in occasione del passaggio della Madonna Pellegrina. Sul lato opposto del sentiero qualche rudere sembra ormai soccombere alla spietata invadenza del bosco, ma si può ancora vedere un dipinto nel quale la Madonna del Rosario consegna il strumento di preghiera ad un santo (forse San Domenico). Riprendiamo il cammino, gustando, quando il bosco si dirada, dell’ottimo colpo d’occhio ad ovest (si apre l’intera parte bassa della Val Torreggio (Val del Turéc'), mentre sul fondo occhieggiano i Corni Bruciati).
In breve, siamo a Gianni, nucleo (quotato da un cartello 1400 metri) di origine più recente, che mostra edifici di concezione più “moderna”, ma anch’essi interamente calati nell’immota atmosfera antica che regna ancora sovrana su questo versante montano, così “diverso” rispetto ai luoghi più noti della Valmalenco. Su una di questi rustici si vede ancora bene il dipinto che ritrae l’immagine della Vergine di cui parla l’Apocalisse, cioè la Donna vestita di sole con un diadema di dodici stelle. Ora dobbiamo proseguire salendo a zig-zag fra le case e seguendo il sentiero più alto, non quello basso che procede tagliando i prati ed è segnalato dal cartello con numerazione 357 (questo secondo sentiero basso porta in 30 minuti alla Motta di Caspoggio ed in un’ora e 10 minuti a S. Elisabetta).
Noi, invece, saliamo, su un sentiero che piega a sinistra e passa alto sopra una fascia di prati, allargandosi poi a pista inerbita. Raggiungiamo, così, un bel poggio panoramico, dal quale si apre uno scorcio delle superbe cime della Valmalenco, con il gruppo Tremoggia-Malenco-Entova. In basso vediamo anche una pista che procede in direzione della Motta di Caspoggio (ed alla quale porta il sentiero basso che abbiamo ignorato). Poco oltre intercettiamo una pista sterrata, e la seguiamo fin quasi al punto terminale; qui ce ne stacchiamo sulla destra, salendo su un sentierino, sempre guidati dai segnavia bianco-rossi. Poco sopra, intercettiamo una seconda pista. Qui un cartello della Comunità Montana Valtellina di Sondrio, che indica la direzione per la Motta di Caspoggio. Seguendo la pista, siamo ad un bivio: prendendo a sinistra andiamo verso la Motta, mentre prendendo a destra saliamo verso Pra Mosìn. Proseguiamo a destra, fino al punto in cui termina, non lontano dalle baite di Pra’ Mosìn (il primo nucleo nel territorio del comune di Caspoggio, stando alla carta IGM; in realtà Nemo Canetta, nell'opuscolo che presenta il territorio di Caspoggio, segnala che si tratta del nucleo di Campèi, ancora in territorio del comune di Torre S. Maria). Dopo aver visitato questo nucleo d’alpeggio, in posizione amena e molto panoramica (suggestivo è anche il colpo d’occhio verso sud, sulla catena orobica), torniamo al punto terminale della pista, a quota 1580: guardando a monte, vediamo un tratturo appena accennato che risale un prato ed entra nel bosco. Il tratturo, però, termina quasi subito e porta ad un gruppo di baite a monte di Pra Mosìn, a quota 1600 (così sulla carta IGM; in realtà Nemo Canetta, nell'opuscolo che presenta il territorio di Caspoggio, segnala che si tratta del nucleo di Pra' Mosìn, il primo in territorio di Caspoggio).
Sopra queste baite vediamo un sasso con doppio segnavia rosso-bianco-rosso, che indica la partenza di un sentiero che sale verso destra ed entra in una splendida pecceta. Dopo un buon tratto di salita, a quota 1750 ci raggiunge, da sinistra, un largo sentiero che proviene dalle piste di sci di Caspoggio; proseguendo diritti, invece, come indica un cartello, ci portiamo alla parte alta della Valle Dagua ed alla bocchetta omonima, dalla quale, poi, si sale, con percorso non semplice, alla cima del monte Foppa. È, questo, il punto più alto dell’escursione proposta (il dislivello in salita è di circa 900 metri); prendiamo, dunque, a sinistra, effettuando un traverso nella pecceta con andamento sostanzialmente pianeggiante. Usciamo, infine, dalla pecceta alla località di Piazzo Cavalli, passando a sinistra di una nicchia dedicata al ricordo religioso degli alpini di Caspoggio caduti in guerra.
Da qui comincia la discesa. Seguendo la pista di sinistra, ci portiamo fino al piccolo edificio del ristoro denominato “Tana della Volpe”; qui giunge (lo vediamo alla nostra sinistra) il tratturo che, seguito in discesa, ci riporta al bivio sopra citato poco sotto i prati di Pra’ Mosin. Il ritorno da qui avviene per la medesima via di salita (che dobbiamo, però, memorizzare con un po’ di attenzione), passando, dunque, per Gianni e Dagua. È possibile, però proseguire la discesa fino alla Motta di Caspoggio (passando per S. Antonio) e di qui imboccare, sulla sinistra, il tratturo che termina non lontano da Gianni. È, infine, possibile scendere fino a Caspoggio, se però disponiamo di una seconda automobile che abbiamo preventivamente parcheggiato qui (o un po’ più in alto, in località S. Elisabetta). L’anello, nella sua forma più breve (dalla Tana della Volpe ritorno diretto a Gianni) richiede circa 4 ore e mezza di cammino, per un dislivello in altezza di 900 metri. Una bella fatica, ma un ricordo incomparabilmente più bello.  


Pra Mosìn

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