ESCURSIONI A CASTIONE ANDEVENNA
I
volti della paura, in quel di Castione, prendono forma e corpo fra le
ombre ed i chiaroscuri della valle del Boco (o Bocco: il termine deriva da “sbocco” o, più probabilmente, da “bocc”, ariete), densa di boschi e di atmosfere
magiche. Niente streghe, né diavoli, però, ma qualcosa
di più originale.
Lo sciatt-basilisk, innanzitutto, animale curioso che pare abbia eletto
i boschi sopra Castione come proprio territorio. Un animale che è
parente stretto del misterioso e temibile basalesk, mostro dalle radici
assai antiche. Nel bestiario immaginario con cui la fantasia popolare
ha animato boschi, selve e foreste il basilisco, infatti, ha sicuramente
un posto di rilievo, fin dal Medio Evo. Il termine deriva dal greco
“basileus”, che significa re, e non si riferisce al rettile
dei sauri diffuso nell’America tropicale (e chiamato con lo stesso
nome per via della cresta che, a mo’ di corona, porta sul capo
e sul dorso): si tratta, invece, di un animale fantastico, strettamente
imparentato, come la salamandra, ai draghi, di cui ripropone alcune
caratteristiche tipiche.
Nell’antichità lo scrittore latino Plinio il Vecchio presenta
il basilisco come serpente con una macchia a forma di corona sulla testa,
ma nel Medio Evo l’animale fantastico assume una forma più
complessa: l’inglese Chaucer attribuisce al nome il significato
di gallo-re (basilicock), e da allora venne rappresentato come tipo
particolare di drago, con elementi del corpo di un gallo, o come gallo
quadrupede con una lunga coda da serpente.
Se ne immaginarono due diverse versioni, quella alata e volante e quella
solamente terrestre. In ogni caso il basilisco aveva caratteristiche
malefiche peculiari, legate al veleno della sua lingua (con il quale
poteva uccidere, ma più spesso avvelenava le fonti cui si abbeverava
o faceva marcire frutti e pascoli), ai poteri terrificanti del suo sguardo
(capace di stordire o impietrire le persone, ma anche di frantumare
pietre) ed quelli altrettanto temibili del suo fischio (capace di stordire
o uccidere). Questo famigerato mostro venne ben presto accolto nell’arco
alpino (fino al secolo XVIII si sconsigliava di valicare alcuni passi
alpini perché particolarmente infestati da draghi; famoso, fra
questi, il drago della val Bregaglia, che infestava il passo del Maloja).
Giunse, quindi, anche in terra di Valtellina e Valchiavenna, dove diverse
sono le sue denominazioni dialettali (“basalèsk”,
“baselèsk”, “basalìsk”), oltre
che le rappresentazioni: spesso, infatti, viene presentato come animale
di dimensioni più ridotte rispetto a quelle canoniche dei draghi
(qualcosa di simile ad un geko, o anche ad un grosso rospo), ma non
per questo meno temibile, anzi, più insidioso perché capace
di mimetizzarsi e nascondersi negli anfratti ombrosi dei boschi. La
sua azione malefica si esercita solo raramente sugli uomini: più
spesso, infatti, inquina fonti d'acqua o avvelena frutti e raccolti.
La sua presenza viene segnalata in diversi luoghi.
Fra questi, la valle del Boco, sopra Castione. Qui sembra, però,
che quest’animale si sia incrociato con un rospo, animale anch’esso
dalla fama pessima. Ecco, dunque, lo “sciatt basalisk”:
il suo corpo è simile a quello di un grande rospo, con una lunga
coda, o, secondo altri, è il corpo di un serpente con una testa
di rospo. Un tempo molte persone raccontavano di aver udito il suo verso
raccapricciante, poche, invece, potevano
dire di averlo visto; in ogni caso, si assicurava ai bambini che, avventurandosi
da soli nel bosco, sarebbero stati facile preda del mostro, che li avrebbe
paralizzati con il suo fischio tremendo, oppure uccisi con il suo veleno
implacabile.
Che se, poi, fossero riusciti a sfuggirgli, c’era un altro mostro
pronto a ghermirli, il terribile “uomo verde”. L’espressione,
di per sé, non appare granché inquietante, ma la realtà
di questo essere mostruoso, a quanto raccontano, era veramente tale
da incutere terrore. Chi l’aveva visto ed era sfuggito alla sua
ferocia (davvero pochi, in verità), stentava a descriverlo, tanto
era brutto, orribile. Sembrava una metamorfosi fra l’uomo e l’animale,
metamorfosi però, a differenza di quella celeberrima di cui racconta
Kafka, interrotta a metà. Era enorme, e di color verde, come
se avesse una pelle di rospo. Ma conservava le fattezze umane, un volto
cattivo, un ghigno crudele, uno sguardo di fuoco. Fin qui i testimoni
concordavano: poi ciascuno ci aggiungeva qualcosa di suo, e non li si
poteva biasimare, visto lo spavento corso. Per qualcuno era il diavolo
in persona, per altri, invece, uno stregone che era rimasto vittima
dei suoi stessi incantesimi ed ora vagava nei boschi intrappolato in
quelle sembianze da mostro. Una cosa era certa: se qualcuno, uomo o
donna, vecchio o bambino che fosse, si addentrava nei boschi per cercar
legna e non faceva più ritorno, era finito nelle sue fauci. L’uomo
verde, infatti, mangiava ogni essere umano che incontrava sul suo cammino.
Particolare pietà e commozione suscitò, una volta, la
disgraziata fine di un vecchierello che, con grande fatica, vista l’età
avanzata e le forze sempre più deboli, si era recato nel bosco
per portarsi a casa, su una carriola, un po’ di legna da ardere.
Non si addentrò molto nel bosco, ma quel
tanto bastò per decretare la sua fine. Mentre era chino per raccogliere
della legna fine, vide un’ombra che si sovrapponeva alla sua.
Lasciò legna e carriola per fuggire in direzione opposta, ma
l’ombra lo seguì, facendosi sempre più grande. Percorse
poche decine di metri, inciampò, e l’ombra gli fu addosso.
Non osò voltarsi. Fu ghermito dalle manacce orrende e verdi del
mostro del bosco, che lo divorò intero. Di lui rimasero solo
il cappello, la carriola rovesciata e la poca legna sparsa sul sentiero.
Una fine ben misera.
E forse una fine ugualmente misera fecero quelle anime in pena che,
si dice sempre a Castione, infestano diverse case. In contrada Gatti,
in particolare, c’è un gruppo di case addossate, quasi,
l’una all’altra, che hanno conservato l’aspetto rustico,
antico. Le vediamo, a sinistra della strada, salendo verso Triangia.
Ebbene, sembra che abbiano ospitato fantasmi: diverse persone raccontavano,
un tempo, di averli sentiti, con quei gemiti lugubri che non puoi non
riconoscere; alcuni, addirittura, dicono di averne visto il pallido
profilo contro il cielo nero come la pece.
Queste, ed altre storia di paura si raccontano in quel di Castione.
Ma quando splende quel bel sole che sembra baciare quest’isola
felice di Valtellina, anche le ombre delle paure più antiche
si dileguano e gli anziani sorridono, sornioni, con quell’aria
di chi sciatt-basilisk, uomini verdi e fantasmi se li mangia a colazione.
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