Cavra bèsüla, caura bèsüla, caurabésül, cavra bèzol: sono tante le espressioni dialettali per designare il più misterioso fra gli animali che popolano l’immaginario notturno della paura popolare. Sì, perché le varie leggende legate a questo animale notturno lo dipingono talora come uccello dal canto lugubre e stridente, simile al verso di una capra, oppure come capra o caprone dal belato sinistro e dagli occhi fiammeggianti, o, ancora, come animale fantastico, dal corpo di cervo e dalla testa di caprone.
Gli elementi comuni alle diverse versioni sono questi: si tratta di un animale notturno, che raramente appare, mentre assai più spesso fa sentire il suo verso agghiacciante, animale dietro le cui fattezze si cela un essere malefico, una strega, un’anima dannata, o il diavolo in persona (le streghe erano spesso associate agli uccelli notturni, il diavolo, invece, ai caproni).
Le storie che lo vedono protagonista, raccontate nelle lunghe serate passate a “fa filò” nelle stalle, hanno, poi, spesso un evidente denominatore comune: quando si ode il verso dell’animale, ci si deve ritirare in casa. I bambini, in particolare, sembrano essere il suo bersaglio prediletto: se vengono sorpresi fuori di casa, vengono rapiti e vanno incontro ad un destino terribile. I bambini disobbedienti, infine, sono soggetti a rischio: quando si sente il verso dell’animale, debbono smettere di fare i capricci, mangiare le minestre più indigeste, andarsene a letto senza fare storie. Questi dettagli potrebbero far sospettare che si tratta di un’invenzione di comodo per tenerli buoni, ma obiezioni di questo genere sono avanzate dai soliti scettici, che non si arrendono neppure di fronte alle testimonianze più attendibili.
L’aspetto più curioso di questa credenza, che si trova in Valtellina e Valchiavenna, ma anche in Valcamonica, Val Brembana e Val Seriana, è che il verso sinistro che l’ha originata non è un’invenzione, ma appartiene ad un rapace notturno, detto “succiacapre”, dalle dimensioni massime di 28 centimetri. Tale denominazione deriva dal fatto che talora quest’uccello, per procurarsi gli insetti di cui è ghiotto, fruga nel pelo delle capre. Di qui è nata la credenza che succhi loro il latte, rendendole cieche.
Ecco il legame fra uccello e capra: alcune versioni della credenza parlano, infatti, di capre cieche che vagano di notte nei boschi, come indemoniate, in conseguenza del contatto con l’uccello malefico. In realtà quest’uccello di giorno, più spesso, riposa steso sui prati o nel sottobosco, sfruttando il suo colore assai simile a quello delle foglie secche per mimetizzarsi, mentre di notte si mette alla caccia di insetti.
E’ il suo verso raccapricciante (che spiega la denominazione dialettale: “bèsüi” significa versi disumani)che ne ha fatto un simbolo del male, non solo in Italia: in tedesco, infatti, viene chiamato Hexe, che significa anche strega. Del resto l’idea che esseri malefici femminili assumano le fattezze di rapaci notturni risale all’antichità: lo stesso termine “strega”, infatti, deriva dal latino “strix”, nome di un rapace notturno che può essere identificato con il succiacapre.

La connessione fra questo uccello notturno e la figura della strega è ben illustrata da Vittorio Spinetti (“Le streghe in Valtellina”, 1903): “E’ oramai noto a tutti come la strige fosse un uccello notturno, che nell'opinione del volgo volasse sopra le culle dei bambini e loro succhiasse il sangue, e come la fantasia popolare abbia trasformato gli animali da irragionevoli in ragionevoli, gli uccelli in donne, donde venne il nome di volaticae, da volare, perchè si credeva che assalissero i bambini volando. Furono anche dette sagae, dal loro acume, da sagire, da cui presagire. Queste favole si mantennero attraverso i tempi, e nell'ignoranza del medio evo furono credute vere. Anche Carlo Magno dovette con leggi porre un argine agli orrori che il volgo commetteva, contro le donne che erano reputate streghe.
Ho dovuto dare qualche notizia sulla derivazione del nome strega per mostrare come la favola della strige, che da uccello notturno si tramuta in una donna, viva tra gli alpigiani della Valtellina. La donna del giöc di Albosaggia, di Morbegno, e non dico di quanti altri paesi della valle, non è nella mente del volgo che una donna che in forma di uccello canta e grida di notte, ma non si lascia vedere, perché quando alcuno le si avvicina essa mette uno strido e vola via. La cabra besola altro non sarebbe che un'anima dannata costretta a cantare la notte in forma di uccello. Nell'alta Valtellina poi non sarebbe che una capra spiritata.”

Interessante quanto riferisce, nella sua monumentale opera sulla Contea di Bormio, Tullio Urangia Tazzoli: il canto lugubre e lamentoso del caprimulengo (cioè il caprimurgo), chiamato in Alta Valtellina "kabrabégiol", è considerato di pessimo auspicio, annuncio di sventure o di morte.
Il sinistro uccello è segnalato anche in Val di Togno, come scrive Ermanno Sagliani in "Tutto Valmalenco" (Edizioni Press, Milano): "Pastori o montanari non sono mai veramente soli poiché, quando si avventurano nei luoghi più solitari della valle, incontrano personaggi soprannaturali, fauni buoni e malvagi, anime di persone senza pace, i cosiddetti "confinàa", animali che sono uomini condannati da sortilegi. Come la capra che s'incontra talvolta in alta Val Torreggio (Val del Turéc') nei dintorni della cima di Corna Rossa e che schernisce i rari viandanti a meno che essi non siano soprannaturali come lei; oppure la "cavra besula", strega in sembianza dì upupa, che di notte svolazza per i boschi ed abitualmente si raduna ad altri uccelli al lago Painale in Val Togno."
Per chiudere proponiamo la lucida e profonda pagina che Ivan Fassin, nell'articolo "Credenze e leggende dell'area orobica valtellinese: un esperimento di interpretazione. L'eredità della dea rimordiale: sopravvivenze della religione arcaica", pubblicato nel Bollettino della Società Storica Valtellinese n. 61 del 2008 (Sondrio, 2009), dedica alla figura del sinistro animale, ponendolo in connessione con antichissime identificazioni mitologiche che lo legherebbero alla divinità annunciatrice di morte:
"CABRABESULA
Riprendo un passo di M. GIMBUTAS (LD, 209): "Nel folklore irlandese degli ultimi secoli la Messaggera di morte di solito compare come una piccola donna, vestita di bianco o di grigio, ma talvolta è alta, magra e brutta [...]. Compare fuori dalla casa del moribondo [...] ma più spesso agli ingressi della casa, e specialmente alle finestre [...]. La sua presenza non è tanto vista quanto sentita. Il suono è come il grido di un uccello desolato o afflitto, ed è paragonato anche all'ululare di cani o di volpi".
Chiaramente il ruolo attribuito alla 'cabrabegula nelle leggende locali è assai simile a quello qui descritto, e ne risulta confermata la pertinenza mitologica con l'orizzonte della Dea.
Difficile reperire un riferimento preciso all'animale denominato "succiacapre", per la frequente confusione con altri volatili notturni che emettono gridi o strida. Tuttavia la funzione simbolica sembra essere la stessa.
Nell'Enciclopedia dei simboli Garzanti (p. 244): "Sul piano delle credenze popolari il gufo e la civetta hanno un significato negativo, probabilmente per la loro vita notturna [...], la loro asocialità, la silenziosità del volo, e per il loro verso che ricorda il pianto'.

G. L. BECCARIA, I nomi del mondo, Torino 1995, p. 44: "C'è un uccello, il succiacapre, che comincia a cacciare soltanto verso il crepuscolo o durante la notte; caccia gli insetti a becco aperto, con l'enorme bocca che si apre fin sotto le orecchie e che gli consente di ingoiare farfalle notturne molto grandi. Lo si vede soltanto sul far della sera; di giorno se ne resta schiacciato contro il terreno, sdraiato sul petto come un rospo, oppure immobile e appiattito lungo i rami degli alberi [...]. Il nome greco da cui deriva, aigbitalos, che significa 'rondine di notte' fu reinterpretato come ai gotbélas, 'che succhia le capre'. Gli autori greci sono concordi nel pensare che si cibasse del latte delle capre. Anche in questo caso non è tanto la credenza ad aver motivato il nome, quanto il nome ad aver creato la leggenda (...). Grazie alla traduzione latina (caprimulgus 'che munge le capre') la credenza di succhiare vacche e capre si è trasmessa insieme con il nome alle lingue d'Europa".
C. LEVI-STRAUSS, La vasaia gelosa, Torino 1987 (1985) p. 32, parlando di miti sudamericani osserva: "In Europa [...] il succiacapre è oggetto di numerose credenze popolari attestate dai nomi che lo designano e dai significati che queste riflettono H. I nomi del tipo Succhiacapra perpetuano la credenza, diffusa in Europa fin dall'antichità, secondo cui l'uccello svolazza sopra le greggi di capre per succhiarne il latte ed esaurirlo [...]. Da queste denominazioni, come pure da altre - Uccello di morte, Guida di streghe, in tedesco - [...] si delinea tutta una mitologia che evoca le abitudini notturne, il carattere funereo e segreto dell'uccello, il fatto che non costruisca nidi, la sua natura aspra e ingorda [...]"
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