Mulattiera Civo-S. Biagio

DAZIO-VALLATE-SERONE-RONCAGLIA DI SOPRA E DI SOTTO-CIVO-S. BIAGIO-SELVAPIANA-CERIDO-DAZIO

Punti di partenza ed arrivo
Tempo necessario
Dislivello in altezza
in m.
Difficoltà (T=turistica, E=escursionistica, EE=per escursionisti esperti)
Dazio-Vallate-Serone-Roncagli di Sopra e di Sotto-Civo-San Biagio-Selvapiana-Cerido-Dazio
2 h e 45 min.
450
T
SINTESI. Alla prima rotonda in ingresso a Morbegno (per chi proviene da Milano) lasciamo la ss 38 dello Stelvio prendendo a sinistra. Dopo un cavalcavia ed una rotonda proseguiamo diritti fino al ponte sul fiume Adda, al quale prendiamo a destra, salendo fino al vicino bivio, al quale lasciamo a destra la strada provinciale Pedemontana e pieghiamo a sinistra, proseguendo nella salita sulla strada provinciale 10 che porta a Dazio (m. 562). Percorriamo il tratto rettilineo che passa a destra della chiesa di San Provino e parcheggiamo al primo parcheggio sulla sinistra, ad est della chiesa. Imbocchiamo la vicina via Vittorio Veneto che passa per il sagrato della chiesa e procediamo diritti verso ovest, fino ad intercettare Via della Pergola. Prendiamo a destra e ci immettiamo in via Castello, che seguiamo verso sinistra, fino ad uscire dal paese. Proseguiamo verso ovest, entrando nella selva e superando su un ponte il torrente Toate. Seguiamo ora una pista che sale verso est, si approssima al torrente Rigorso e lo segue restandone a destra e salendo verso ovest. La pista confluisce nella strada provinciale che da Dazio sale a Serone, all'altezza del nucleo di Vallate. Saliamo superando su un ponte il torrente Rigorso e seguendo la strada provinciale fino al vicino nucleo di Serone, centro amministrativo del comune di Civo (m. 718). Passiamo a sinistra della chiesa e proseguiamo verso ovest. Presso la chiesa le due strade principali si dividono: quella di destra sale in direzione nord-est, verso Naguarido, Chempo e Caspano, mentre quella di sinistra traversa verso sud-ovest, scendendo a Mello. Noi dobbiamo incamminarci sulla stradina che sta nel mezzo. Saliamo subito decisi verso est, ignorando alla nostra destra, presso un cartello di divieto di transito per i veicoli non autorizzati, una pista che sale a Roncaglia di Sotto (segnalata a 30 minuti). Seguiamo il cartello che dà San Bernardo a 15 minuti, Civo a 20 e Roncaglia di sotto a 35 minuti. La pista, con fondo in cemento e poi sterrato, porta all’ampio ripiano di prati ad est di Civo e confluisce in una pista più larga. Due cartelli ci informano che andando a sinistra si raggiunge in 8 minuti il centro di Civo, mentre prendendo a destra si raggiungono Roncaglia di Sotto in 20 minuti e Roncaglia di Sopra in 30. Andiamo a destra (est). La pista in breve ci porta ad un quadrivio, presidiato da una nuova cappelletta. I cartelli segnalano che prendendo a destra si scende a Serone, procedendo diritti si traversa a Roncaglia di Sopra mentre prendendo a sinistra di sale a Roncaglia di Sotto. Andiamo diritti, rientrando in una selva e superando su un ponte il torrente Rigorso. Poco più avanti siamo ad un bivio, al quale prendiamo la pista di sinistra, in leggera salita. Superata una nuova cappelletta, la pista intercetta la carrozzabile che sale a Poira. Sul lato opposto della strada parte una stradina che sale al vicino cimitero. La seguiamo e procediamo oltre, fino a raggiungere il parcheggio che sta davanti all’ampio e splendido sagrato della suggestiva chiesa di San Giacomo a Roncaglia di Sopra (m. 887). Scendiamo ora seguendo la strada fino alla vicina strada per Poira e la seguiamo per poche decine di metri. Subito dopo il ponte sul torrente Rigorso, siamo alle case di Roncaglia di Sotto (m. 897). Appena oltre il ponte vediamo un parcheggio alla nostra destra, mentre sul lato opposto della strada vediamo la partenza di una stradina che passa a valle delle case della frazione. La imbocchiamo e raggiungiamo il cartello posto all’inizio di una pista agro-silvo-pastorale, chiusa al traffico dei veicoli non utorizzati. Non andiamo diritti, ma prendiamo a sinistra e cominciamo a scendere su una pista sterrata, verso sud-est. Dopo una semicurva a sinistra la pista ci riporta al quadrivio con la cappelletta. Ora andiamo a destra, seguendo le indicazioni per Civo. Passiamo presso l'oratorio di San Bernardo e raggiungiamo Civo (m. 754) passando a destra della chiesa di S. Andrea. Portiamoci poi al centro del paese e prendiamo a sinistra, imboccando una via che passa per le case meridionali del paese e confluisce in una pista fra i prati. La pista scende leggermente e piega a sinistra, diventando una larga mulattiera che passa per una cappelletta ed entra nella selva, cominciando una lunga discesa diritta verso est, in un bel bosco di castagni. Passiamo a destra di una seconda cappelletta ed in corrispondenza di una terza intercettiamo la strada asfaltata che da Santa Croce sale a Civo, in corrispondenza di un tornante dx (per chi sale). Percorso un breve tratto sulla strada, in discesa, troviamo a destra la ripartenza della mulattiera, che passa a destra di una baita con un ampio prato. Intercettata di nuovo la strada S. Croce-Civo, la lasciamo ancora riprendendo la mulattiera, tornando sulla strada in corrispondenza di una cappelletta con due cartelli, che indicano il sentiero Ca della Ceva-Civo (che stiamo percorrendo) e quello per Serone. Sul lato opposto della strada la mulattiera riprende, sul suo lato sinistro, e scende piegando a sinistra. Passiamo a sinistra di Prato Gudo ed accanto ad una nuova cappelletta, in un tratto delimitato da muretti a secco. Piegando a sinistra scendiamo ancora verso est ed intercettiamo di nuovo la carrozzabile S. Croce-Civo. Un nuovo tratto sulla mulattiera ci riporta alla carrozzabile nei pressi di tre cartelli, con indicazione del Sentiero del Sole (che stiamo percorrendo), del Sentiero Pra da Guda-Serone e del Sentiero Acquamarcia-Selvapiana. Ci troviamo appena a monte del ripiano della chiesetta di San Biagio alle Vigne. Lasciamo subito la strada e scendiamo alla chiesetta. A lato della chiesetta, ad est (sinistra per chi guarda al fondovalle) parte una mulattiera che scende verso sinistra, delimitata da muretti a secco. La discesa termina alle baite dell’Acquamarcia. Qui seguiamo una stradina che scende alla strada Marsellenico-Cerido. Andiamo a sinistra e passiamo fra le case di Selva Piana, proseguendo fino al punto in cui la strada scende verso destra. Qui la lasciamo imboccando un sentierino alla sua sinistra, che porta a Cerido (m. 508). Scendiamo lungo la strada che confluisce nella carrozzabile per Dazio. Appena prima imbocchiamo la stradella che sale alla chiesetta di S. Nazzaro. Ridiscendiamo alla strada e risaliamo verso Cerido, passando per il parcheggio. Qui lasciamo la strada e ci portiamo al lato opposto del parcheggio, dove parte una pista che traversa a mezzacosta verso est-nord-est, fino a confluire nella strada provinciale Ganda-Dazio. La seguiamo salendo per breve tratto e ci riaffacciamo alla piana di Dazio, tornando al parcheggio dove abbiamo lasciato l'automobile.


Dazio

Alla prima rotonda in ingresso a Morbegno (per chi proviene da Milano) lasciamo la ss 38 dello Stelvio prendendo a sinistra. Dopo un cavalcavia ed una rotonda proseguiamo diritti fino al ponte sul fiume Adda, al quale prendiamo a destra, salendo fino al vicino bivio, al quale lasciamo a destra la strada provinciale Pedemontana e pieghiamo a sinistra, proseguendo nella salita sulla strada che porta a Dazio (m. 562).
Percorriamo il tratto rettilineo che passa a destra della chiesa di San Provino e parcheggiamo al primo parcheggio sulla sinistra, ad est della chiesa.
Nascosta dietro la caratteristica formazione montuosa del Culmine di Dazio, che fa da spartiacque fra bassa e media Valtellina,
Dazio riposa su una piana a 568 metri sul livello del male. Qui possiamo trovare piante da frutta, oleandri, allori e palme, grazie al clima particolarmente mite che si gode anche nella stagione invernale.


Dazio

La bellezza del luogo era apprezzata anche nei secoli passati. Ecco come il Güler von Weineck, governatore della Valtellina per le Tre Leghe dal 1587 al 1588, nell’opera “Rhaetia”, del 1616, lo presenta: “Venne così chiamato dalla parola dazio, perché un tempo il bestiame che si recava ad alpeggiare nella Valmasino doveva, passando di qui, pagare una tassa al feudatario. Questo villaggio sorge in amena posizione in una fertile pianura montana, elevata circa mille passi sull’Adda. All’estremo di questa pianura, verso mezzodì, sorge un piccolo monte detto la Colma di Dazio… A ponente di Dazio scorre il torrente montano chiamato Tovate e si stende la foresta di Roncaglia, la quale ripara il paese dai venti impetuosi del lago. I venti settentrionali vengono invece trattenuti dal monte di Caspano; e tutte queste condizioni favorevoli rendono il luogo salubre e fertile.”
Similmente l'Orsini, nella Storia di Morbegno (Sondrio, 1959), scrive, con riferimento al secolo XIII: "Dazio, così chiamato perché quivi gli armenti di passaggio da e per la Valmasino pagavano la centena ai Vicedomini, ossia un capo di bestiame ogni cento, comprese anche Regolido e Cerido, che poi passarono al comune di Civo".

Ci mettiamo ora in cammino ed imbocchiamo la vicina via Vittorio Veneto che passa per il sagrato della chiesa e procediamo diritti verso ovest, fino ad intercettare Via della Pergola. Prendiamo a destra e ci immettiamo in via Castello, che seguiamo verso sinistra, fino ad uscire dal paese. Proseguiamo verso ovest, entrando nella selva e superando su un ponte il torrente Toate.
Seguiamo ora una pista che sale verso est, si approssima al torrente Rigorso e lo segue restandone a destra e salendo verso ovest. La pista confluisce nella strada provinciale che da Dazio sale a Serone, all'altezza del nucleo di Vallate. Saliamo superando su un ponte il rmo occidentale del torrente Toate e seguendo la strada provinciale fino al vicino nucleo di Serone, centro amministrativo del comune di Civo (m. 718). Passiamo a sinistra della chiesa e proseguiamo verso ovest.


Serone

Presso la chiesa le due strade principali si dividono: quella di destra sale in direzione nord-est, verso Naguarido, Chempo e Caspano, mentre quella di sinistra traversa verso sud-ovest, scendendo a Mello. Noi dobbiamo incamminarci sulla stradina che sta nel mezzo. Saliamo subito decisi verso est, ignorando alla nostra destra, presso un cartello di divieto di transito per i veicoli non autorizzati, una pista che sale a Roncaglia di Sotto (segnalata a 30 minuti; useremo questa pista al ritorno). Seguiamo il cartello che dà San Bernardo a 15 minuti, Civo a 20 e Roncaglia di sotto a 35 minuti. La pista, con fondo in cemento e poi sterrato, guadagna quota, mentre alle nostre spalle il Culmine di Dazio si mostra in primo piano. Alla sua destra distinguiamo l’imbocco della Val Tartano. Superata una breve selva, usciamo all’ampio ripiano di prati ad est di Civo. Alto alla nostra destra spicca un rustico solitario. Alla sua destra la larga piramide del Corno di Colino domina l’orizzonte.


Il monte Disgrazia ed i Corni Bruciati

La pista confluisce in una pista più larga. Due cartelli ci informano che andando a sinistra si raggiunge in 8 minuti il centro di Civo, mentre prendendo a destra si raggiungono Roncaglia di Sotto in 20 minuti e Roncaglia di Sopra in 30. Proseguiamo sulla pista verso est (destra). Ripassiamo così, ora alti ed a sinistra, presso il rustico solitario. Alla nostra sinistra il Corno di Colino chiude il versante dell’alta Val Toate, con il modesto ma pronunciato picco a sinistra, la torre di Bering. Ai prati si sostituisce una selva e sulla sinistra della pista vediamo una cappelletta con il dipinto di Gesù Crocifisso. Usciamo di nuovi ad una fascia di prati, ed a destra del Corno di Colino occhieggia, lontano, il monte Disgrazia. In mezzo un campanile sormonta la linea dei castagni, quello della chiesa di San Giacomo a Roncaglia di Sopra.
La pista in breve ci porta ad un quadrivio, presidiato da una nuova cappelletta, con il dipinto di una Madonna con Bambino con San Giuseppe, riconoscibile per il giglio nella mano sinistra, simbolo di purezza. Purtroppo qui, come in diversi altri casi, la parte centrale del dipinto è interamente persa. Un quadrivio, dunque: i cartelli segnalano che prendendo a destra si scende a Serone, procedendo diritti si traversa a Roncaglia di Sopra mentre prendendo a sinistra di sale a Roncaglia di Sotto. Andiamo diritti, rientrando in una selva e superando su un ponte il torrente Toate, di solito modesto nella sua portata. Guardando in alto si scorge, sul fondo della linea degli alberi, la torre di Bering.


Pista Civo-Roncaglia di Sopra

Poco più avanti siamo ad un bivio, al quale prendiamo la pista di sinistra, in leggera salita. Sul suo lato sinistro ecco una nuova cappelletta, con Gesù Crocifisso ed ai sui lati Maria e Maria Maddalena. La singolare contrapposizione fra la compostezza della Madonna ed i capelli scarmigliati di Maria Maddalena non impedisce di cogliere l’espressione di un comune dolore.
Poco più avanti la pista intercetta la carrozzabile che sale a Poira. Sul lato opposto della strada parte una stradina che sale al vicino cimitero. La seguiamo e procediamo oltre, fino a raggiungere il parcheggio che sta davanti all’ampio e splendido sagrato della suggestiva chiesa di San Giacomo a Roncaglia di Sopra (m. 887). Dietro la sua facciata, sulla sinistra, ecco di nuovo il monte Disgrazia.


La chiesa di San Giacomo a Roncaglia di Sopra

La chiesa prepositurale di S. Giacomo di Roncaglia di Sopra fu edificata nel 1654 e consacrata vent’anni più tardi. Una chiesa splendida, con un sagrato molto ampio, circondato da 14 cappellette nelle quali sono raffigurate scene della Via Crucis.
Giovanni Guler von Weineck, nella sua opera "Rhaetia" pubblicata a Zurigo sul finire del Cinquecento, scrive: “Al disopra del Dosso Visconte, a circa millecinquecento passi da Caspano, sorge il popoloso villaggio di Roncaglia, in un terreno pianeggiantecui sovrasta una foresta; al disotto poi di Roncaglia, fra il torrente Tovate e Cermeledo, s’incontrano sei frazioni: Tovate, Chempo, Naguarido, Sirone, Vallate, Cerido. In questo territorio si alleva molto bestiame e si produce un genere speciale di piccoli caci squisiti, i quali sonoassai rinomati e si esportano qua e là anche in paesi lontani. Fra Caspano e Roncaglia corre impetuoso iltorrente Tovate per una forra del monte; e quivi si scava un marmo eccellente che viene condotto a Morbegno, a
Traona e ad altri paesi circonvicini per adornare porte e finestre; è bello e piacevole alla vista, ma assai duro da scalpellare. Gli abitanti di Roncaglia, come i terrieri di Mello, discendono dagli abitatori di Civo, dai quali si sono separati, venendo a dissodare queste terre e dalla loro opera assunsero il nome attuale. Roncaglia, infatti, può provenire dal dialettale roncà (dissodare, liberare il terreno dal pietrame)”.


Sagrato della chiesa di San Giacomo a Roncaglia di Sopra

Il vescovo di Como Feliciano Ninguarda, in visita pastorale in queste zone nel 1589, a sua volta scrive: "A un miglio da Caspano verso occidente c'è il paese di Roncaglia superiore, con la chiesa parrocchiale dedicata a S. Giacomo apostolo. Sotto di esso a un tiro di bombarda c'è Roncaglia inferiore, spettante alla stessa comunità, con 100 famiglie, tutte cattoliche. E' parroco il sacerdote Giovanni di Beca, oriundo di lì, che ha circa novanta anni. In altri tempi questa comunità con la chiesa era stata sottomessa alla parrocchiale di Caspano ma in seguito fu separata; ogni famiglia però è obbligata una volta all'anno, nella festa di S. Martino, a dare al parroco di Caspano due piccole misure di mistura."
Dalla "Cronistoria di Caspano e dei paesi limitrofi" del sacerdote Giovanni Libera (Como, 1926), apprendiamo interessanti notizie sull'edificazione della chiesa di S. Giacomo e su un curioso episodio che risale al tempo dell'occupazione francese della Valtellina ad inizio Ottocento, nel contesto del periodo napoleonico:


Chiesa di San Giacomo a Roncaglia di Sopra

Addì 6 agosto 1654 dal sac. Giovan Battista Paravicino, fu Giovan Antonio, da Buglio , prevosto di Talamona e Vicario Foraneo di tutto il Terziere Inferiore della Valtellina, venne benedetta la prima pietra della chiesa attuale di S. Giacomo. Intervenne alla funzione il parroco di Caspano ed il di lui nipote sac. Lorenzo Grazioli, notaio ap. e Dottor in S. Teologia.  La qual pietra fu posta nella parete angolare del coro da mattina e da monte, come da strumento rogato dal suddetto notaio ap. E Dottor in S. Teologia, sac. Lorenzo Grazioli, anno, mese e dì, come sopra. Detta chiesa ha molti affreschi di C. Ligari, e possiede coro, pulpito, confessionali e organo a pregevoli intagli, bellissimi stucchi, un altare monumentale di legno intagliato e dorato, molta e ricca argenteria. Nel piazzale della chiesa si trovano le 14 splendide cappelle della Via Crucis, dipinte dal Ligari e ristaurate dal Gavazzeni.


La chiesa di San Giacomo a Roncaglia di Sopra

Un commissario della Cisalpina, residente a Morbegno, aveva mandato, come in altre chiese, così anche nella chiesa di S. Giacomo a Roncaglia un ufficiale coll’ordine di far disporre nella suddetta chiesa tutta l’argenteria di quella parrocchia e di fare un elenco degli oggetti di valore, che più tardi sarebbero stati requisiti. Vi era parroco un Paganetti, nativo di Roncaglia, il quale, appena ultimata l’elencazione, escogitò d’accordo con un proprio nipote e col segrista un rimedio per salvaguardare il vistoso patrimonio. Scavata una buca profonda in una stalla a pian terreno della Casa Parrocchiale vi fece una notte seppellire tutti gli oggetti d’argento, ricoprendo poi la terra smossa con un mucchio di letame; nella notte stessa fece abbattere una porta laterale della chiesa, mentre egli in tutta fretta si portava sull’Alpe Ligoncio (sovrastante ai Bagni di Masino).
Ma due gendarmi si recarono poco appresso sul suddetto Alpe ad arrestarlo ed a tradurlo nella chiesa S. Antonio a Morbegno, dove si svolse unprocesso. Quasi tutta la popolazione di Roncaglia, trepidante per la sorte del proprio pastore, assisteva al dibattimento e attestava la innocenza del sacerdote e ne reclamava la liberazione. Due pastori del Ligoncio, un Fiora ed un Morelli, ambedue di Roncaglia, giuravano, che la notte del furto il sac. Paganetti trovavasi con loro sull’Alpe. Egli poi si discolpava col dire che aveva ricevuto l’ordine del commissario di far disporre nella chiesa gli oggetti sacri, ordine da lui perfettamente eseguito; ma non aveva ricevuto l’altro ordine, cioè quello di far la custodia ai suddetti oggetti. Il tribunale dopo 2 ore di discussione sentenziò non farsi luogo a procedere contro il cittadino Prevosto Paganetti per mancanza di prove. Caduta la Cisalpina, gli oggetti sacri tornarono alla luce.


Roncaglia di Sotto

Scendiamo ora seguendo la strada fino alla vicina strada per Poira e la seguiamo per poche decine di metri. Subito dopo il ponte sul torrente Rigorso, siamo alle case di Roncaglia di Sotto (m. 897), che, nonostante il nome, è pressoché alla stessa altezza, più ad ovest, di Roncaglia di Sopra. Appena oltre il ponte vediamo un parcheggio alla nostra destra, mentre sul lato opposto della strada vediamo la partenza di una stradina che passa a valle delle case della frazione. La imbocchiamo e raggiungiamo il cartello posto all’inizio di una pista agro-silvo-pstorale, chiusa al traffico dei veicoli non utorizzati. Non andiamo diritti, ma prendiamo a sinistra e cominciamo a scendere su una pista sterrata, verso sud-est. Dopo una semicurva a sinistra la pista ci riporta al quadrivio con la cappelletta.


Il quadrivio e la cappelletta

Andiamo a destra (est) ed in breve siamo al solitario oratorio di San Bernardo (m. 789), che domina la piana. Nei suoi pressi sono poste una fontanella ed una panca in legno per godersi il primo piano del versante orobico sopra Talamona e della Val Gerola.
Proseguiamo in leggera discesa e ci immettiamo in una strada asfaltata che passa a destra della chiesa di S. Andrea e raggiunge il centro di Civo (m. 754).

Un quadro sintetico di Civo (l'antica Clivio) e delle sue vicinanze nella prima metà del Seicento è offerto dal prezioso manoscritto di don Giovanni Tuana (1589-1636, grosottino, parroco di Sernio e di Mazzo), intitolato “De rebus Vallistellinae” (Delle cose di Valtellina), databile probabilmente alla prima metà degli anni trenta del Seicento (edito nel 1998, per la Società Storica Valtellinese, a cura di Tarcisio Salice, con traduzione delle parti in latino di don Avremo Levi).


L'oratorio di San Bernardo

Vi leggiamo: “Da Datio v'è la strada, quale per mezzo la montagna in una bassa alquanto spatiosa, qual conduce a Chivo, così detto sia che il luoco è posto in territorio alquanto pendente, sia che sia stata habitatione antica di Caio Lucio gentil huomo di Teodosio imperatore come ad alcuni parve. Il territorio è delitioso, come tutta la sponda di Traona, ricco di vini, frutti et grano, bagnato d'un rivo qual li serve per l'usi d'ordinarij, per irrigationi et per molini. Ha la chiesa parochiale di S. Andrea apostolo, et se bene ha solo 40 fameglie ha però nome di grandissima communità perché comprende du' altre vicinanze, cioè Caspano. Badolia, Ca del Pic, Chievo, Ca del Sasso, Roncaglia di sotto et di sopra, Serono, Villetta, Nogaredo, Chempo et Toate.

Apri qui una panoramica di Civo

Portiamoci poi al centro del paese e prendiamo a sinistra, imboccando una via che passa per le case meridionali del paese e confluisce in una pista fra i prati. La pista scender leggermente e piega a sinistra, diventando una larga mulattiera che passa per una cappelletta ed entra nella selva, cominciando una lunga discesa diritta verso est, in un bel bosco di castagni. Passiamo a destra di una seconda cappelletta ed in corrispondenza di una terza intercettiamo la strada asfaltata che da Santa Croce sale a Civo, in corrispondenza di un tornante dx (per chi sale).
Percorso un breve tratto sulla strada, in discesa, troviamo a destra la ripartenza della mulattiera, che passa a destra di una baita con un ampio prato. Intercettata di nuovo la strada S. Croce Civo, la lasciamo ancora riprendendo la mulattiera, tornando sulla strada in corrispondenza di una cappelletta con due cartelli, che indicano il sentiero Ca della Ceva-Civo (che stiamo percorrendo) e quello per Serone.


San Biagio alle Vigne

Sul lato opposto della strada la mulattiera riprende, sul suo lato sinistro, e scende piegando a sinistra. Passiamo a sinistra di Prato Gudo ed accanto ad una nuova cappelletta, in un tratto delimitato da muretti a secco. Piegando a sinistra scendiamo ancora verso est ed intercettiamo di nuovo la carrozzabile S. Croce-Civo. Un nuovo tratto sulla mulattiera ci riporta alla carrozzabile nei pressi di tre cartelli, con indicazione del Sentiero del Sole (che stiamo percorrendo), del Sentiero Pra da Guda-Serone e del Sentiero Acquamarcia-Selvapiana.
Ci troviamo appena a monte del ripiano della chiesetta di San Biagio alle Vigne. La sgésa de san biàas ai végn, detta anche sgésa de sèlva piàna, è di origine secentesca (il portale, invece, reca incisa la data 1769), è dedicata anche a S. Giuseppe ed è stata restaurata nel 1953 dai “benefattori d’America”. Lasciamo subito la strada e scendiamo alla chiesetta, ammirando lo splendido colpo d'occhio sulla bassa Valtellina che da qui si apre.


Da San Biagio alle Vigne all'Acquamarcia

Proseguiamo poi sulla mulattiera a sinistra (per chi guarda a valle) della chiesetta. Nella ripida discesa la mulattiera piega leggermente a sinistra e passa a destra di un grande masso erratico, oltre il quale vediamo alla nostra sinistra il baitello dell’antica Latteria di San Biagio. Scendiamo ancora, mentre davanti a noi, ad est, l’orizzonte è chiuso dal poderoso fianco occidentale del Culmine di Dazio (la Colmen o il Culmen). In breve siamo alle baite dell’Acquamarcia. La mulattiera termina ad una fontana con doppia vasca, datata 1872. Il ristagno dell’acqua in qualche vicina pozza o la poca consistenza dell’acqua della fontana sono all’origine del nome del piccolo nucleo.


Panorama sulla bassa Valtellina

Qui una pista ci fa scendere subito ad una stradina asfaltata. Prendiamo a sinistra (ovest), lasciando alla nostra destra una baita con un dipinto della Beata Vergine Maria sulla facciata. La strada asfaltata supera una valletta ed una fontana datata 1906 e passa fra le belle case di Selvapiana, uno dei meno noti ma più straordinari e panoramici fra i nuclei della Costiera dei Cech orientale. Oltrepassate le case ed una stradina che scende alla nostra destra, proseguiamo verso est passando a destra di un grande masso erratico posto in posizione rialzata a lato della strada. Alla nostra destra uno splendido declivio di prati a gradoni, mentre sullo sfondo si staglia il versante orobico a monte di Talamona e l’imbocco della Val Tartano. Proseguiamo in leggera salita, superando una nuova cappelletta alla nostra sinistra con la raffigurazione di un crocifisso. Dopo un nuovo tratto in piano, giungiamo in vista delle prime baite che anticipano il nucleo di Cerido.


Selvapiana

Quando la strada comincia a scendere piegando a destra, la lasciamo imboccando un sentierino che se ne stacca sulla sinistra. Il sentiero attraversa una selva, passando poco a monte ed a sinistra della splendida conca prativa dell’agriturismo La Pecora Nera, e termina alle case del nucleo di Cerido ("scerìi, m. 508), attestato per la prima volta in un documento del 1357, nella forma "Zerido", che regala un'atmosfera unica e davvero suggestiva.
Un nucleo ricco di storia e di una curiosa e simpatica umanità. Basti pensare ad alcuni soprannomi delle famiglie che un tempo lo popolavano, e che si sono trasferiti ai luoghi. Un gruppo di case e terreni è chiamato "cagazéchìn": vi abitava un tal Venina, cui non faceva difetto certamente il buonumore, e che era solito raccontare, con aria serissima e compresa, delle straordinarie qualità del suo asino, parente, alla lontana, della famosa gallina dalle uova d'oro, dato che quello (l'asino, s'intende), quando andava di corpo, non deponeva a terra vile sterco, ma preziosissimi zecchini d'oro. Un altro gruppo di case è denominato "orài", dal soprannome di un ramo della famiglia Alberti, un componente della quale, emigrato in America e tornato al paese natìo, intercalava ogni frase con un sonoro "all right", nel quale esprimeva tutta l'ammirazione per quel lontano e grande paese. Un terzo gruppo di case era quello dei "giascgià", dal soprannome di un ramo della famiglia Busnarda, derivato dalla curiosa abitudine di un suo componente: lo incontravi, e ti salutava con un "Ehilà, ehilà."; gli chiedevi come stesse, e ti sentivi rispondere un "Bene, bene"; ti lamentavi che le stagioni non sono più quelle di una volta, ed avevi come risposta un cenno di assenso ed un convinto "Già, già..." Per chiudere con un'ultima pennellata queste scarne note di colore, varrà la pena di ricordare che a Cerido venne, molti e molti anni or sono, avvistato un animale più unico che raro, il "ghetùn ghèt", "gattone gatto", una sorta di folletto, alto un’ottantina di centimetri, con le orecchie appuntite e pelose, le lunghe braccia, le dita dotate di unghie affilate e gli occhi giallastri e fosforescenti, che brillavano, sinistri e diabolici, sul far della sera e nel cuore della notte, terrore dei bambini disubbidienti. Una lince, forse.
Rapide pennellate sulla Cerido degli anni trenta del secolo scorso si trovano nello splendido affresco della Naguarido di quei tempi tracciato da Ines Busnarda Luzzi in "Case di sassi " (Edizioni Lo Faro, 1980): "Cerido è il nome di una frazioncina di poche case, diviso in due fra il comune di Civo e quello di Morbegno, ma che è sotto la giurisdizione della parrocchia di Roncaglia. Da gennaio a marzo vi abita parte della gente di Vallate e parte di quella di Naguarido, che vi possiede terreni e case. D'inverno il luogo è caldo. Ma non è per questo che vi si trasmigra, ma per far mangiare alle bestie il fieno che si è raccolto, per concimare i prati e lavorare le vigne, perché noi il vino si faceva lì e le nostre cantine erano a Cerido. Ora anche Cerido è quasi abbandonato e poche vigne sono ancora coltivate. E' a Cerido "basso" che pochi mesi fa (siamo nel 1980) è stato riscoperto il famoso torchio che faceva il nostro vino, che risulta il più antico torchio conosciuto in Italia. Il tempo e vandali l'hanno devastato e di esso non rimangono che i pezzi mastodontici che non si sono potuti asportare: nel locale il tetto è crollato e le pareti stanno per farlo. Anche noi vi avevamo una casa, ben soleggiata, ma meno comoda di quella di Naguarido. Io ci stavo mal volentieri perché in quel periodo mi trovavo isolata e senza amiche; non avevamo la luce elettrica e la sera per non consumare petrolio, si cenava, a volte, alla luce del fuoco e si andava a dormire alle otto, o anche prima."
Raggiunte le case di Cerido, vedremo facilmente anche un cartello che ci indirizza al Torchio di Cerido, quello menzionato dalla Busnarda. Si tratta di un piccolo museo della civiltà contadina, un torchio vinario e di un frantoio oleario del secolo XVII (funzionanti fino agli anni '40 del secolo scorso), cui si sono aggiunti altri interessanti oggetti della vita contadina nei secoli passati (gerli, tini e tinozze, stadere, irroratori, mazze, stai, ceste, pentole, lampade, borracce, cappelli, e così via). Per visitare il torchio bisogna contattare il Comune di Morbegno al numero 0342/606207, dal lunedì al venerdì in orario 9-12, oppure via email all'associazione info@evaltellina.com.
Scendiamo ora lungo la strada asfaltata che dopo un paio di tornanti confluisce nella strada provinciale che dal Ponte di Ganda sale a Dazio. Prima di raggiungerla, però, imbocchiamo una stradella che sale verso destra, raggiungendo il ripiano in cima al Dosso del Visconte, dove si trova la splendida chiesetta di San Nazzaro. Siamo in località Dosso del Visconte ("dossum sancti Nazarij, nel secolo XV, "dòs del viscùunt" o semplicemente "el dòs", con voce dialettale). La denominazione è legata al fatto che in epoca medievale probabilmente qui sorgeva un castello (di cui si sono perse le tracce), dimora del Visconte di Valtellina, investito della signoria sull'intera valle. Se così è, negli oscuri secoli IX e X il baricentro della Valtellina era qui. Oggi sul sagrato della chiesa regna quasi sempre una profondissima quiete, rotta veramente, forse, solo l'ultima domenica di luglio, quando si celebra la festa dei santi Nazzaro e Celso. Di fronte alla facciata della chiesa c’è una cappella, con un dipinto presso il quale vale la pena sostare e meditare, perché apre uno squarcio storico di cui ci parla Giustino Renato Orsini nella sua Storia di Morbegno (Sondrio, 1959): “Le condizioni economiche della Valtellina, assai depresse dopo il suo passaggio ai Grigioni (1512) e per il distacco della Lombardia, cominciavano lentamente a risollevarsi per effetto dell'emigrazione. I nostri massicci montanari, pieni di buon volere, lasciavano in piccole frotte 11 loro paesello per recarsi nei luoghi più lontani: i Chiavennaschi a Palermo, a Napoli, a Roma, a Venezia e persino in Francia, a Vienna, nella Germania e nella Polonia: a Napoli i Delebiesi e quelli di Cosio Valtellino; a Napoli, Genova e Livorno quelli di Sacco; pure a Livorno ed Ancona i terrieri di Bema e di Valle; a Venezia quelli di Pedesina; a Verona quelli di Gerola; a Roma, Napoli e Livorno quelli d'Ardenno. Numerosi muratori e costruttori di tetti emigravano in Germania; e i montanari della Valmalenco si spargevano come barulli nei più diversi paesi. Un quadro assai mediocre nella cappella antistante alla chiesa di S. Nazzaro in Cermeledo ci ritrae questi emigranti che, scalzi e in misere vesti, curvi sotto il loro fardello, arrivano ad un porto e ringraziano la B. Vergine del viaggio compiuto. Ma la meta preferita, specialmente dai terrieri della zona dei Cech, da Dubino sino a Vervio, fu Roma, dove il Pontefice, anche per sostenere la fede cattolica combattuta dai Grigioni, accordò loro protezione e privilegi. Nella dogana di terra in piazza S. Pietro furono loro riservati ventiquattro posti di facchini, e alcuni posti anche nell'ospedale dell'Isola Tiberina; formavano pure la compagnia dell'annona, come facchini, misuratori e macinatori di granaglie; e furono detti Grigi, provenendo da luoghi dominati dai Grigioni. Perciò il cardinale Pallavicino chiamò ingiuriosamente la nostra valle patria dei facchini. Effettivamente fu quello il loro prima impiego, nel quale salirono anche al grado di capo-squadra, come vediamo dal nome assunto dai Caporali di Cino e dai Caporali di Dazio…”
Nei pressi della chiesa, ad ovest, si trova il centro della Comunità di recupero di ex-tossicodipendenti denominata “La Centralina” (insediata nell'edificio dell'ex "colonia de scèrmelée", o "uspìzi", sede, fino al 1977, della Colonia estiva Martinelli dell'orfanotrofio femminile provinciale di Morbegno). Ecco cosa scrive di questi luoghi Giovanni Guler von Weineck, governatore per le Tre Leghe Grigie della Valtellina nel 1587-88, nell'opera "Rhaetia", pubblicata a Zurigo nel 1616: “Dopo Cermeledo vi è un luogo chiamato Dosso del Visconte: ivi in antico sorgeva un vetusto castello, che in seguito passò alla famiglia dei Castelli San Nazaro, patrizi di Como. Essi poi, fra Cermeledo e il castello edificarono una chiesa in onore di S. Nazaro, omonima ad altra chiesa che sorgeva in Como, presso il loro castello, e donde la famiglia aveva assunto il suo titolo e nome di Castelli San Nazaro.”
Ridiscendiamo alla strada e risaliamo verso Cerido, passando per il parcheggio. Qui lasciamo la strada e ci portiamo al lato opposto del parcheggio, dove parte una pista che traversa a mezzacosta verso est-nord-est, fino a confluire nella strada provinciale Ganda-Dazio. La seguiamo salendo per breve tratto e ci riaffacciamo alla piana di Dazio, tornando al parcheggio dove abbiamo lasciato l'automobile.

CARTA DEL PERCORSO sulla base della Swisstopo, che ne detiene il Copyright. Ho aggiunto alla carta alcuni toponimi ed una traccia rossa continua (carrozzabili, piste) o puntinata (mulattiere, sentieri). Apri qui la carta on-line

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