Sul versante alto della bassa Valmadre si trovano due alpeggi gemelli che si stendono come verdi lenzuoli ai piedi di tre importanti cime che separano la Valmadre dalla Val Tartano, il pizzo di Presio, il pizzo del Gerlo ed il monte Seleron. Il più noto è l’alpeggio di Bernasca, piuttosto frequentato per la presenza del rifugio e del laghetto omonimi, ed anche per la facilità di accesso anche dalla Val Vicima (Val Tartano). Assai meno nota e frequentata è l’alpe Cògola, nonostante la bellezza selvaggia degli scenari che offre ed il profondo silenzio che di rado viene interrotto dalla presenza umana. La salita a quest’alpe non è difficile, anche se richiede attenzione perché i sentieri non sono sempre chiari, e può essere prolungata con una puntata, attraverso la bocchetta del Pizzolo, al rifugio ed al lago di Bernasca. L’escursione parte dalla località delle Teggie, sul fondo della media Valmadre. Vediamo come procedere.


L'alta Val Cogola

LE TEGGIE-ALPE COGOLA-RIFUGIO E LAGO DI BERNASCA

Punti di partenza ed arrivo
Tempo necessario
Dislivello in altezza
in m.
Difficoltà (T=turistica, E=escursionistica, EE=per escursionisti esperti)
Valmadre-Teccie-Casera di Cogola
2 h
600
EE
Valmadre-Teccie-Casera di Cogola.Bocchetta del Pizzolo-Rifugio e lago di Bernasca
4 h
920
EE
SINTESI. Da Fusine parte una carozzabile (chiusa al traffico dei veicoli non autorizzati: va acquistato il pass in centro al paese) che sale alla Madonnina (m. 552), a Ca' Manari (m. 800) ed a Valmadre (m. 1195). Qui, o poco più avanti, possiamo parcheggiare. La strada prosegue come pista sterrata che si addentra in Valmadre, passando per le Teccie (m. 1250). Alle spalle delle baite delle Teggie, sulla sinistra della pista (per chi sale) si trova un ponte sul torrente Madrasco. Lo sfruttiamo per portarci sul lato occidentale della valle. Troviamo subito una edicola del Parco delle Orobie Valtellinesi e la partenza di un marcato sentiero (numerato 222, come segnala un cartello; segnavia bianco-rossi) che sale in una fresca pecceta, in direzione nord-ovest (destra), cioè tornando verso il fondo della valle. All’inizio il sentiero non è molto evidente, ma si fa poi via via più marcato. Superiamo subito il solco della Val Pala e proseguiamo diritti, in leggera salita, fino a raggiungere il filo del dosso che costituisce il limite meridionale della bassa Val Cògola. Qui troviamo la baita quotata 1272 metri ed il sentiero scarta bruscamente a sinistra, proseguendo la salita seguendo il solco della valle, verso sud-ovest, con una serrata serie di tornantini, fino ad una seconda baita, quotata 1485 metri. Qui il sentiero piega a destra (ovest) e, superato un avvallamento, esce all’aperto in corrispondenza della baita quotata 1592 metri. Ora saliamo diritti, verso sud, seguendo la striscia di pascolo, toccando la baita quotata 1696 metri e puntando alla Casera di Cogola (m. 1795), ben visibile di fronte a noi. Qui seguiamo il cartello del sentiero 222 prendendo a destra (fronte alla casera) e scendendo leggermente a superare il solco della Val Cògola a quota 1750 metri. Sul lato opposto la traccia si fa più incerta: proseguiamo diritti in leggera salita, poi, raggiunto un ampio dosso, pieghiamo a sinistra ed iniziamo a risalire zigzagando, verso ovest, una china di macereti. La traccia si fa più marcata quando prende a destra (nord-ovest). Proseguiamo diritti per un tratto, poi troviamo qualche tornante ed usciamo dalla fascia di macereti ad un poggio che ospita la baita di quota 1938, detta “baita al Selerone”. Alle sue spalle si trova uno sperone di roccette. Lo aggiriamo sulla sinistra, seguendo per un tratto un corridoio di rado pascolo e poi piegando a destra seguendo una vaga traccia che ne risale il fianco (se non la troviamo possiamo sfruttare un canalino di sfasciumi). Raggiunta la cima dello sperone, siamo alla pianetta di quota 2000 metri circa, e sul suo limite ritroviamo il sentiero che ora diventa marcato, iniziando un traverso in graduale salita in direzione della bocchetta del Pizzolo, o di Bernasca. Tagliamo un ripido versante di roccette, ontani e macereti, con tratti esposti protetti da corrimano. Superiamo anche alcuni valloncelli battuti da slavine, prima della breve rampa finale che ci porta alla selletta della bocchetta del Pizzolo o di Bernasca (m. 2120). Appena sotto, alla nostra destra, vediamo il rifugio di Bernasca (m. 2093). Torniamo indietro e proseguiamo sul sentiero che si dirige a monte (ovest), raggiungendo subito il ripiano che ospita lo splendido laghetto di Bernasca (m. 2134). Passiamo alla sua destra e seguendo il sentiero saliamo lungo il fianco sinistro di un gradino roccioso, per poi superare la striscia di pascolo che ci separa dal passo di Vicima (m. 2234), presidiato da un grande ometto sormontato da una croce in legno (om di Vicima).


Il nucleo di Valmadre ed il monte Disgrazia

Raggiungiamo Fusine staccandoci dalla statale 38 al primo svincolo a sinistra all'altezza di San Pietro-Berbenno (per chi proviene da Milano). Percorso un tratto in direzione opposta, ad una rotonda impegniamo la terza uscita immettendoci in un cavalcavia che passa sopra la strada statale. Oltre il cavalcavia la strada provinciale curva a destra e si dirige verso Fusine. Superata la piazza centrale del paese, proseguiamo andando a sinistra e verso monte. Dal limite orientale del paese parte una strada asfaltata (accesso consentito solo previo acquisto del permesso nel bar al centro del paese) che risale, per diversi chilometri, il fianco montuoso che sovrasta il paese. Oltrepassiamo così la bella chiesetta della Madonnina (m. 552) e le baite di Ca' Manari (m. 800), per poi effettuare un lungo traverso verso ovest, che ci introduce nella valle, sul fianco orientale.


La baita del fuoco all'alpe Cogola

La Cascina del pescìi

Dopo un ultimo tratto in terra battuta, la strada ci porta al centro di Valmadre (m. 1195), dove, lasciata l'automobile nel parcheggio vicino al piccolo cimitero, troviamo, oltre ad alcune belle baite, una graziosa chiesetta ed una meridiana che ci ricorda come il tempo, scorrendo implacabile, ci toglie, a poco a poco, la vita. Ciascuno reagirà a questo messaggio secondo il proprio carattere e la propria sensibilità (con qualche scongiuro o qualche meditazione): in ogni caso questo ammonimento non ci impedirà di inoltrarci nella valle, seguendo la comoda carrozzabile che passa per il nucleo delle Teggie (m. 1250). Qui, se non l'abbiano fatto prima, parcheggiamo.
Alle spalle delle baite delle Teggie, sulla sinistra della pista (per chi sale) si trova un ponte sul torrente Madrasco. Lo sfruttiamo per portarci sul lato occidentale della valle. Troviamo subito una edicola del Parco delle Orobie Valtellinesi e la partenza di un marcato sentiero (numerato 222, come segnala un cartello; segnavia bianco-rossi) che sale in una fresca pecceta, in direzione nord-ovest (destra), cioè tornando verso il fondo della valle.


La Casera di Cogola

La Casera di Cogola vista dal sentiero per la bocchetta del Pizzolo

All’inizio il sentiero non è molto evidente, ma si fa poi via via più marcato. Superiamo subito il solco della Val Pala e proseguiamo diritti, in leggera salita. Fino a raggiungere il filo del dosso che costituisce il limite meridionale della bassa Val Cògola. Qui troviamo la baita quotata 1272 metri ed il sentiero scarta bruscamente a sinistra, proseguendo la salita seguendo il solco della valle, verso sud-ovest, con una serrata serie di tornantini, fino ad una seconda baita, quotata 1485 metri.
Qui il sentiero piega a destra (ovest) e, superato un avvallamento, esce all’aperto in corrispondenza della baita quotata 1592 metri, chiamata anche “baita del fuoco”. Siamo sul limite inferiore (o alla prima “muda”, come si doceva un tempo, cioè al primo dei diversi piani di stazionamento del bestiame durante la stagione di alpeggio) di una lunga striscia di pascoli che prelude al cuore dell’alpe Cogola. Ora saliamo diritti, verso sud, seguendo la striscia di pascolo e toccando la baita quotata 1696 metri, o “cascina del pescìi”, al cui interno si trova un fornello con “masna” per coagulare il latte.


Apri qui una fotomappa del percorso dalla Casera di Cogola alla bocchetta del Pizzolo

Andiamo avanti diritti, superando un muretto a secco e puntando alla Casera di Cogola (m. 1795), ben visibile di fronte a noi. La casera è costituita da una baita alla cui destra è posto un lungo stallone, che poteva ospitare cinque muli e sei maiali. La casera è il cuore di un alpeggio in passato assai importante, con una capacità di carico di 80 bovini ed altrettante capre. Un unico caricatore caricava quest’alpe e quella gemella di Bernasca. Vale la pena di prolungare l’escursione di poco più di un’ora per visitare quest’alpe gemella, dove si trovano anche il rifugio ed il laghetto di Bernasca. Per farlo procediamo così, seguendo il sentiero un tempo utilizzato dagli armenti per passare dall'uno all'altro alpeggio, caricati da un unico caricatore d'alpe..
A
lla casera di Cògola troviamo un cartello che indica la direzione del rifugio Bernasca, dato ad un’ora, oltre che della casera di Bernasca, data ad un’ora ed un quarto e di Sovalzo, dato a 3 ore e 40 minuti. Lo seguiamo prendendo a destra (fronte alla casera) e scendendo leggermente a superare il solco della Val Cògola. A quota 1750 metri. Sul lato opposto la traccia si fa più incerta: proseguiamo diritti in leggera salita, poi, raggiunto un ampio dosso, pieghiamo a sinistra ed iniziamo a risalire zigzagando, verso ovest, una china di macereti. La traccia si fa più marcata quando prende a destra (nord-ovest).


La bocchetta del Pizzolo ed il rifugio Bernasca

Proseguiamo diritti per un tratto, poi troviamo qualche tornante ed usciamo dalla fascia di macereti ad un poggio che ospita la baita di quota 1938, detta “baita al Selerone”. Alle sue spalle si trova uno sperone di roccette. Lo aggiriamo sulla sinistra, seguendo per un tratto un corridoio di rado pascolo e poi piegando a destra seguendo una vaga traccia che ne risale il fianco (se non la troviamo possiamo sfruttare un canalino di sfasciumi). Raggiunta la cima dello sperone, siamo alla pianetta di quota 2000 metri circa, e sul suo limite ritroviamo il sentiero che ora diventa marcato, iniziando un traverso in graduale salita in direzione della bocchetta del Pizzolo, o di Bernasca.
Tagliamo un ripido versante di roccette, ontani e macereti, con tratti esposti protetti da corrimano: si tratta del largo versante orientale del monte Seleron, che con i suoi 2518 metri è la più alta cima del comprensorio. Superiamo anche alcuni valloncelli battuti da slavine, prima della breve rampa finale che ci porta alla selletta della bocchetta del Pizzolo o di Bernasca (m. 2120). i nomi derivano rispettivamente dalla modesta e puntura elevazione che sorveglia sul lato destro la selletta e dal bacino al quale ci affacciamo. Siamo infatti alla parte alta della Valle e dell’alpe di Bernasca. Appena sotto, alla nostra destra, vediamo il rifugio di Bernasca (m. 2093).


Il rifugio Bernasca e, sullo sfondo, monte Disgrazia e testata della Valmalenco

Il rifugio è stato inaugurato nel 2002. La posizione davvero bella, la vicina presenza di un vero e proprio gioiellino, il laghetto di Bernasca, il colpo d’occhio superbo sulla parte orientale del gruppo del Masino, sulla testata della Valmalenco, sul gruppo Scalino-Painale e sulle Orobie centrali, fanno del rifugio una meta di interesse primario, che non può mancare nel carnet degli amanti dell’escursione. Questi ultimi, oltretutto, possono stare assolutamente tranquilli: il rifugio è posto ad almeno tre ore di cammino dal più vicino luogo raggiungibile in automobile: la quiete è dunque assicurata.
Dispone di una ventina di letti completi di cuscini e coperte, di una cucina, di tavoli con panche, di una stufa e di un camino con legna da ardere. E' provvisto anche di illuminazione da pannello solare e di due bagni con acqua calda.
Il rifugio era inizialmente sempre aperto, ma il deplorevole comportamento di alcuni utilizzatori (consumo di legna senza reintegro, piccoli furti, abbandono di rifiuti) potranno indurre i gestori a rivedere questa scelta. Spiace. Spiace perché sarebbe bello poter pensare che chi ama la montagna possegga anche un minimo senso di correttezza e di sensibilità per il rispetto degli altri. ma non sempre è così. E' bene, dunque, qualora lo si voglia utilizzare per il pernottamento, informarsi presso gli uffici dell'aministrazione comunale di Colorina (anche per verificare il calendario dell'apertura estiva). Ed è altrettanto bene lasciare un'offerta preziosa per le spese di gestione della struttura.


Il laghetto di Bernasca, poco a monte del rifugio

L'edificio del rifugio è stato ricavato dalla baita della quinta e più alta "muda" (stazione di posizionamento dei capi durante il periodo di alpeggio) dell'alpe Bernasca, nei pressi della bocchetta del Pizzolo o di Bernasca, detta anche "Forcello" (la riconosciamo facilmente a destra (per chi scende verso il rifugio) del rifugio. Bocchetta che costituiva l'importante porta di comunicazione fra l'alpe Bernasca e la gemella alpe Cogola, posta più a nord (il caricatore dei due alpeggi era unico). L'alpe Bernasca purtroppo oggi risente delle condizioni di abbandono, ma in passato era un alpeggio di rilevante consistenza, con capacità di carico di 70 vacche ed altrettante capre.
I vecchi di Colorina ricordano ancora che mentre l'alpe di Cògola era detta favorevole ai caricatori, perché la sua erba più fresca faceva produrre alle mucche più latte, quella di Bernasca era detta favorevole ai proprietari, perché l'erba, a causa del maggior soleggiamento, era più matura e tendeva a far ingrassare i capi.


Laghetto di Bernasca

Per proseguire l’escursione torniamo indietro e proseguiamo sul sentiero che si dirige a monte (ovest), raggiungendo subito il ripiano che ospita lo splendido laghetto di Bernasca (m. 2134). Passiamo alla sua destra e seguendo il sentiero saliamo lungo il fianco sinistro di un gradino roccioso, per poi superare la striscia di pascolo che ci separa dal passo di Vicima (m. 2234), presidiato da un grande ometto sormontato da una croce in legno (om di Vicima). Il passo di affaccia sull’ampia Val Vicima, laterale orientale della Val Masino.
Purtroppo non possiamo ridiscendere da qui al fondo della Valmadre, per cui dobbiamo tornare alle Teccie per la medesima via di salita.

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ANELLO DEL MONTE SELERON

Punti di partenza ed arrivo
Tempo necessario
Dislivello in altezza
in m.
Difficoltà (T=turistica, E=escursionistica, EE=per escursionisti esperti)
Le Teccie-Casera di Cogola.Bocchetta del Pizzolo-Rifugio e lago di Bernasca-Bocchetta del Gerlo-Bocchetta di Cogola-Casera di Cogola-Le Teccie
8 h
1520
EE
SINTESI. Dal rifugio Bernasca saliamo al passo di Vicima. Da qui non scendiamo in Val Vicima, ma, appena prima del passo, seguiamo una traccia di sentiero che sale a sinistra (per chi guarda alla Val Vicima), cioè verso sud, portandosi ad un ampio versante di sfasciumi e radi pascoli fra i versanti orientali del pizzo del Gerlo e del monte Seleron. Procediamo diritti verso il centro dell’anfiteatro. Guardando al crinale individuiamo il più marcato intaglio, e procediamo in quella direzione. La traccia del sentiero è intermittente, e non ci sono segnavia che ci possano aiutare, ma riconosciamo facilmente, davanti a noi, la meta da raggiungere: si tratta, infatti, del più profondo intaglio sulla costiera che separa l’alta Valle di Bernesca dalla Val Lunga, la bocchetta del Gerlo o di Bernasca, raggiunta da un lembo di pascolo. La raggiungiamo senza particolari difficoltà, ad una quota approssimativa di 2380 metri. Scendiamo sul lato opposto seguendo il suo erboso lato destro (esposto). Raggiunti i pascoli alti, proseguiamo in direzione della baita Matarone (m. 2215), a valle della quale, lungo un basso muro di cinta, si impongono alla vista tre misteriosi grandi ometti. Da qui proseguiamo scendendo verso sinistra, alla baita di quota 2119 e di qui imbocchiamo il sentiero che a sinistra sale al crinale (ometto). Proseguiamo sulla traccia di sentiero, che lascia il filo del dosso ed effettua una diagonale sopra una fascia di roccette. La traversata ci porta alla parte alta dell’alpe Canale; qui, dopo essere passati qualche decina di metri a monte di una baita (Baita Növa), ricominciamo a salire, piegando leggermente a sinistra e seguendo una traccia dapprima ben marcata, poi meno evidente. Non è comunque possibile sbagliare: si tratta di risalire l'ampio canalone erboso, per poi piegare verso destra, giungendo, alla fine, in vista della meta, la bocchetta di Cògola. Dalla bocchetta rientriamo in alta Val Cògola, questa volta in corrispondenza del ramo meridionale dell’alta valle. A destra della bocchetta vediamo un ometto, che segnala la partenza di una traccia che divalla all’ampia conca dell’alta valle. Il sentiero va verso destra, descrive un arco verso sinistra e poi nuovamente verso destra (sud), scendendo gradualmente sul versante di fastidiosi ontani e macereti (attenzione a non perderlo, perché non è segnalato). Il sentiero piega di nuovo a sinistra (nord-est) e scende al rudere di baita quotato 2160 metri. Il sentiero piega ancora di più a sinistra ed attraversa il solco dell’alta valle, ma noi scendiamo diritti sul filo del dosso, verso nord-est, puntando alla piana dove si trova la baita di quota 1901 metri. Qui ritroviamo una traccia di sentiero che prosegue scendendo verso nord, superando un nuovo gradino e tornando alla piana dove si trova la Casera di Cogola. Da qui ridiscendiamo per la medesima via di salita, cioè scendendo diritti lungo il corridoio di pascoli fino all’ultima baita di quota 1592, piegando a destra ed entrando nella pecceta, superando un vallone, raggiungendo la baita di quota 1485, piegando a sinistra e scendendo con ripidi tornantini lungo un dosso nella pecceta fino alla baita di quota 1272 ed infine piegando a destra per l’ultima graduale discesa che ci riporta al ponte sul torrente Madrasco in località le Teggie.


Apri qui una fotomappa della traversata dal rifugio di Bernasca alla bocchetta del Gerlo

Se abbiamo la possibilità di pernottare al rifugio di Bernasca (potrebbe essere aperto, ma non è sicuro) oppure se siamo ottimi camminatori ed abbiamo ancora diverse ore di luce a disposizione, possiamo chiudere l’escursione con un bell’anello intorno al signore di questo comprensorio, il monte Seleron. Dobbiamo però avere molto occhio ed esperienza, perché la discesa in val Cogola dalla bocchetta omonima avviene su un sentiero che non è segnalato ed è poco marcato.
L’anello parte dal passo di Vicima, raggiunto come sopra descritto. Dal passo non scendiamo in Val Vicima, ma, appena prima del passo, seguiamo una traccia di sentiero che sale a sinistra (per chi guarda alla Val Vicima), cioè verso sud, portandosi ad un ampio versante di sfasciumi e radi pascoli fra i versanti orientali del pizzo del Gerlo e del monte Seleron. Procediamo diritti verso il centro dell’anfiteatro. Guardando al crinale individuiamo il più marcato intaglio, e procediamo in quella direzione.

La traccia del sentiero è intermittente, e non ci sono segnavia che ci possano aiutare, ma riconosciamo facilmente, davanti a noi, la meta da raggiungere: si tratta, infatti, del più profondo intaglio sulla costiera che separa l’alta Valle di Bernesca dalla Val Lunga, la bocchetta del Gerlo o di Bernasca, raggiunta da un lembo di pascolo. La raggiungiamo senza particolari difficoltà, ad una quota approssimativa di 2380 metri. Ben più difficoltosa ci appare subito, invece, la discesa all’alta alpe del Gerlo.
Ecco come la guida Mario Vannuccini, nella “Guida al Parco Regionale delle Orobie Valtellinesi”, la descrive: “Il versante opposto, raggiunto da un canalino di scivolosa festuca varia (l’erba vìsega dei valtellinesi, chiamata cèra in Val Tartano) all’inizio spaventa un po’. Ma con la dovuta cautela la discesa si dimostra meno difficile del previsto. Si abbandona la seconda metà del canale per proseguire sulla sua sponda destra fino al termine delle difficoltà, presso l’Alpe Matarone (2215 m)”. E’ proprio il passaggio dal centro del canalino al suo erboso lato destro a rappresentare il punto più esposto, e quindi quello che richiede la maggiore attenzione. La tentazione sarebbe quella di proseguire infilandosi nell’ultima parte del canalino, ma anche qui si incontrerebbero difficoltà: un passaggio un po’ ostico ed il rischio costante, se si è in più di uno, di far rotolare sassi su coloro che stanno più in basso. Raggiunti i pascoli alti, proseguiamo in direzione della baita Matarone (m. 2215), a valle della quale, lungo un basso muro di cinta, si impongono alla vista tre misteriosi grandi ometti.
Sulla nostra sinistra alcuni sentieri salgono sul crinale del dosso che separa l’alta alpe del Gerlo (dove ci troviamo) dall’alpe che si trova a sud-est, sempre sul versante orientale della Val Lunga, l’alpe Canale. Salendo al crinale, possiamo poi scendere sul lato opposto, all’alta alpe Canale e proseguire verso sinistra, su traccia di sentiero che si perde, risalendo un ampio canalone che ci porta ad una sella erbosa quotata 2410, immediatamente a sud del monte Seleron: si tratta di una bocchetta, senza nome, che dà accesso, sul versante opposto, all’alta Val Cògola, laterale occidentale della Val Madre.


Apri qui una fotomappa della discesa dalla bocchetta del Gerlo alla Casera del Gerlo

Ma torniamo alla baita Matarone: inizia da qui, su traccia di sentiero piuttosto labile, la discesa dell’alpe, davvero molto ampia. La discesa mantiene una direzione che approssimativamente rimane sulla verticale della baita Matarone, senza piegare verso destra, dove è ben visibile la grande baita della Moia (m. 2009). Scendendo verso sinistra ci portiamo alla baita di quota 2119, dalla quale parte un sentiero verso sinistra che punta al crinale che separa l'alpe del Gerlo dall'alpe Canale.
Seguendolo, raggiungiamo il filo del dosso, segnato da alcuni grandi ometti: qui si apre l’ampio scenario dell’alpe Canale. Proseguiamo sulla traccia di sentiero, che lascia il filo del dosso ed effettua una diagonale sopra una fascia di roccette. La traversata ci porta alla parte alta dell’alpe Canale; qui, dopo essere passati qualche decina di metri a monte di una baita (Baita Növa), ricominciamo a salire, piegando leggermente a sinistra e seguendo una traccia dapprima ben marcata, poi meno evidente. Non è comunque possibile sbagliare: si tratta di risalire l'ampio canalone erboso, per poi piegare verso destra, giungendo, alla fine, in vista della meta, la bocchetta Cògola, a sinistra di una modesta cima senza nome (localmente è chiamata Scìma de la Sciùra, m. 2508).


Salendo alla bocchetta di Cogola

Qualche sforzo ancora e la bocchetta di Cogola, a 2410 metri è raggiunta. Lo scenario che si apre è ampio e sorprendente: se la giornata è bella, è difficile dimenticare lo spettacolo delle cime orobiche che si offre allo sguardo. Un ripido sentierino permette di scendere, sul versante orientale, in val Cògola, laterale della Valmadre. A sinistra (nord) della bocchetta o sguardo incontra dapprima la cima del monte Seleron, quindi i pizzi Gerlo e Torrenzuolo, sul crinale che separa l’alpe Gerlo dalla val Vicima. Emozionante è il panorama che si apre ad oriente: una fuga di cime e costiere che offre al nostro sguardo le cime più importanti delle Orobie centrali. Molto ampio è anche il panorama verso sud ovest.


Apri qui una panoramica occidentale dalla bocchetta di Cogola

Dalla bocchetta di Cògola, salendo sul crinale alla nostra sinistra, possiamo raggiungere la cima del monte Seleron in circa 40 minuti (l'ultimo ripido tratto del crinale viene aggirato a sinistra). Ma torniamo al nostro anello. Dalla bocchetta rientriamo in alta Val Cògola, questa volta in corrispondenza del ramo meridionale dell’alta valle. A destra della bocchetta vediamo un ometto, che segnala la partenza di una traccia che divalla all’ampia conca dell’alta valle. Il sentiero va verso destra, descrive un arco verso sinistra e poi nuovamente verso destra (sud), scendendo gradualmente sul versante di fastidiosi ontani e macereti sul versante orientale della Cima della Sciura (m. 2508). Il sentiero piega di nuovo a sinistra (nord-est) e scende al rudere di baita quotato 2160 metri. Il sentiero piega ancora di più a sinistra ed attraversa il solco dell’alta valle, ma noi scendiamo diritti sul filo del dosso, verso nord-est, puntando alla piana dove si trova la baita di quota 1901 metri.
Qui ritroviamo una traccia di sentiero che prosegue scendendo verso nord, superando un nuovo gradino e tornando alla piana dove si trova la Casera di Cogola. Da qui ridiscendiamo per la medesima via di salita, cioè scendendo diritti lungo il corridoio di pascoli fino all’ultima baita di quota 1592, piegando a destra ed entrando nella pecceta, superando un vallone, raggiungendo la baita di quota 1485, piegando a sinistra e scendendo con ripidi tornantini lungo un dosso nella pecceta fino alla baita di quota 1272 ed infine piegando a destra per l’ultima graduale discesa che ci riporta al ponte sul torrente Madrasco in località le Teggie.


Apri qui una fotomappa della discesa dalla bocchetta di Cogola alla Val Cogola

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CARTE DEL PERCORSO SULLA BASE DI © GOOGLE MAP (FAIR USE) e della Swisstopo, che ne detengono il Copyright. Ho aggiunto alla carta alcuni toponimi ed una traccia rossa continua (carrozzabili, piste) o puntinata (mulattiere, sentieri). Apri qui la mappa on-line

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