Spettacolare anello escursionistico fra Versante Retico, Valmalenco e Val Masino
I Corni Bruciati (punta nord-orientae, m. 3097, e punta sud-occidentale, m. 3114) sono i potenti vassalli del regale monte Disgrazia (m. 3678). Da queste cime si irradiano le costiere che dividono che divide la Valle di Preda Rossa (Val Masino), ad ovest, dalla Val Torreggio (Valmalenco) ad est e dalle valli di Caldenno(versante retico della Media Valtellina) e Terzana (di nuovo Val Masino) a sud. Posti a presidio dei versanti di queste valli, dominano sterminate gande sulfuree che da tempo immemorabile hanno colpito l'immaginazione popolare, che ne ha fatto lo scenario di un remoto apocalittico rogo, voluto dall'ira divina per punire l'avidità di pastori insensibili alle richieste di Cristo tornato mendicante.
Tutto bruciò per una pioggia di fuoco, e da allora l'ammasso degli innumerevoli blocchi rossastri è luogo di ena dei cuntinàa, le anime particolarmente spregevoli che né cielo né inferi vogliono, e che sono condannate a dar di mazza eternamente ai blocchi per frantumarli senza un perché. Guai a chi passi per questi luoghi a tenebre fatte, e senta i colpi sordi! Potrebbe essere condannato a condividerne la sorte.
Punto di partenza ed arrivo la piana di Preda Rossa, punto di appoggio il rifugio Bosio-Galli, in Val Torreggio. Un anello escursionistico che non propone reali difficoltà tecniche; nondimeno la salita al passo di Corna Rossa, assistita in molti tratti da catene fisse, richiede attenzione ed esperienza. E' richiesto anche buon allenamento, anche se l'impegno fisico non è improbo. La prima cosa da fare, dunque, è raggiungere Preda Rossa. Imboccata subito dopo il ponte degli archi ad Ardenno (deviazione a sinistra per chi proviene da Milano) la strada provinciale della Val Masino, la percorriamo fino al centro amministrativo di Cataeggio.
Appena oltre il paese, siamo alla frazione Filorera, con la caratteristica stretta, e subito dopo ad un bivio, al quale prendiamo a destra. Giunti al punto di partenza della carrozzabile per Preda Rossa, acquistiamo ad una macchinetta il ticket per due giorni e proseguiamo sulla strada che, superata Valbiore, passa da sinistra (per noi) a destra della Valle Bisolo, affronta un tratto in galleria e si riporta sul lato sinistro prima di uscire alla piana di Sasso Bisolo. Una serie di comodi tornanti ci porta infine al limite meridionale di Preda Rossa (m. 1980), dove parcheggiamo, incamminandoci sul segnalato sentiero per il rifugio Ponti (che però questo anello taglia fuori, puntando direttamente per la morena centrale di Preda Rossa al passo di Corna Rossa).
Prima giornata: da Predarossa al rifugio Bosio Galli per il passo di Corna Rossa
La prima tappa ci fa salire per la morena centrale di Preda Rossa fino ad intercettare l'ultima tappa del Sentiero Roma, che poi seguiremo fino al rifugio Bosio Galli.
Invece di seguirlo, guardiamo sul lato opposto, scorgendo un ponte che attraversa uno dei rami del torrente di Preda Rossa. Ci portiamo verso il ponte ma, invece di attraversarlo, restiamo a sinistra del ramo del torrente e procediamo verso nord-est, stando non lontano dai roccioni del versante montuoso alla nostra sinistra. Dopo una breve salita fra massi e radi larici ci affacciamo ad una seconda ampia piana (segùnt piè), che si apre ai nostri occhi ed appare come una sorella di poco più piccola, ma in tutto analoga a quella di Preda Rossa. Anche qui il torrente sembra indugiare, incurante dello scorrere del tempo.
Ne percorriamo il bordo sinistro, su traccia debole, poi, al suo limite, pieghiamo a destra e seguiamo alcuni ometti (non ci sono segnavia) che segnano il sentierino che risale un breve e poco ripido gradino di massi e magri pascoli, affacciandosi ad una terza e più piccola pianetta. Passiamo a destra di un curioso masso, dalla forma che si direbbe qualcosa di intermedio fra un'ogiva ed una punta di lancia, anche se forse non è nè l'una nè l'altra cosa, bensì un uovo di drago (un'antichissima leggenda vuole infatti che i grandi massi di forma ovoidale siano uova di drago deposte quando ancora i draghi signoreggiavano anche sulle Alpi Retiche, e pietrificate con il tempo).
Il resto della salita rimane su questo filo, alternando tratti molto ripidi a tratti che concedono maggiore respiro. In alto il monte Disgrazia, irridente od indifferente, non sapremmo dire, comincia ad occhieggiare alto sopra il nostro naso, mntre alla nostra sinistra i Corni Bruciati tentano invano di insidiarne la regale maestà. In alcuni punti il crinale diventa assai esile, e l'esposizione sui due versanti della morena richiede attenzione. Intorno a quota 2500 la pendenza si addolcisce, e la morena sembra punare diritta al ghiacciaio di Preda Rossa. Il monte Disgrazia si è ormai mostrato in tutta la sua massiccia mole, ma quel che attrae il nostro sguardo è la meta, il rifugio Ponti, che vediamo alla nostra sinistra.
Dobbiamo ora prestare attenzione al punto nel quale il filo della morena viene tagliato dalla traccia si sentiero, segnalata da segnavia rosso-bianco-rossi (che invece fin qui non abbiamo mai trovato) che traversa dal rifugio Ponti al passo di Corna Rossa (ultima tappa del Sentiero Roma). Giunti a quel punto, seguiamo il Sentiero Roma verso destra, lasciando alla nostra sinistra il Rifugio Ponti. Scendiamo sul fianco della morena a guadare un torrente e, ignorate
le indicazioni per il Monte Disgrazia ("desgràzia"), seguiamo i segnavia rosso-bianco-rossi raggiungendo un masso sul quale
è segnalato il percorso per i rifugi Desio e Bosio.
La prima immagine che lo sguardo incontra, oltre il passo, è quella del versante destro della Val Torreggio (Val del Turéc'). Volgendo lo sguardo a sinistra si vede il versante sinistro della Val Airale (Val di Rai), prosecuzione della Val Torreggio (Val del Turéc'). Più a sinistra ancora, ecco il rifugio Desio (m. 2830), chiuso perché pericolante, a seguito delle eccezionali nevicate dell’inverno 2000-2001: esso rimane oltre il crinale, per cui non è visibile per chi sale. Insieme al rifugio Marinelli, fu il primo costruito in Valmalenco, per facilitare l'ascensione al monte Disgrazia. Nel 1880 venne edificato un primo rifugio, chiamato di Corna Rossa, sostituito poi nel 1924 dal rifugio Desio, del CAI di Desio, per parecchio tempo gestito dalla famiglia di Egidio Mitta. Assolveva alla sua funzione con una capienza di 18 posti letto e servizio di ristorazione.
Volgendoci ancora alle spalle ammiriamo la morena centrale di Preda Rossa, parte della costiera Remoluzza-Arcanzo e, sul fondo, alcune fra le più famose cime della Val di Mello ("val da mèl"), che, durante le precedenti giornate, abbiamo imparato a conoscere bene: i pizzi del Ferro ("sciöme do fèr"), la cima di Zocca ed i pizzi Torrone, fra i quali spicca, per la forma a punta di lancia, il pizzo Torrone orientale. Visto da qui, il rifugio Ponti non è che un piccolo punto perso fra le gande.
Dal passo di Corna Rossa, attraverso la Val Airale (Val di Rai), si deve, ora, scendere in Val Torreggio (Val del Turéc'), il cui fondo è dominato dai Corni Bruciati. Per farlo si seguono gli abbondanti segnavia rosso-bianco-rossi, che dettano il percorso più razionale fra un mare di massi rossi di tutte le dimensioni. Si presti attenzione a non seguire la deviazione a sinistra, anch’essa segnalata, per i laghetti di Cassandra.
Nel primo tratto di discesa procediamo verso sud, fino ad un cengione che ci fa scendere dal circo superiore della valle e ci fa accedere, a quota 2570 metri circa, ad una scorbutica fascia di grandi massi, fra i quali i segnavia dettano il percorso meno faticoso. Pieghiamo decisamente a sinistra ed a quota 2500 metri circa siamo alle morene di un antico ghiacciaio e ad una strozzatura della valle, oltra la quale si comincia ad intravvedere qualcosa come una traccia di sentiero.
Procediamo ora verso nord-est e sud-est, scendendo ad intercettare il sentiero che, alla nostra sinistra, sale al vallone dei laghetti di Sassersa. Procediamo ancora verso sud-est, prima di piegare a sinistra e procedere in direzione est, fino alla piana del rifugio. Superato il torrente Torreggio, alla nostra destra, su un ponte in legno, eccoci finalmente al rifugio Bosio-Galli.
Potrebbe essere un’interessante variante allungare la discesa per visitare i suggestivi e nascosti laghetti di Cassandra. Per farlo, iniziamo dal passo di Corna Rossa a scendere in Val Airale (Val di Rai) seguendo il Sentiero Roma, ma, una trentina di metri sotto il passo di Corna Rossa, lo lasciamo per piegare a sinistra, in direzione est (indicazioni "Cassandra"), seguendo segnavia ed ometti nella traversata delle rosse placche del versante meridionale della cima di Corna Rossa (m. 3180).
Il primo tratto della traversata non propone particolari problemi, ma circa a metà dobbiamo perdere quota su un versante di lisci roccioni, sfruttando gradoni, canalini e piccole cengie. I segnavia rosso-bianco-rossi dettano il percorso, che propone passaggi esposti, da affrontare con la massima attenzione. Dopo la breve discesa, tocchiamo un versante di sfasciumi morenici, puntando ad un grande ometto, alle cui spalle lo sguardo raggiunge la media Val Torreggio (Val del Turéc') e la catena orobica. Su un vicino grande masso troviamo la segnalazione di un bivio: prendendo a destra (indicazione "Bosio") troviamo una debole traccia che si cala verso il fondo della Val Airale (Val di Rai), intercettando il sentiero che scende dal passo di Corna Rossa, mentre andando a sinistra (indicazione "Cassandra") ci portiamo ai laghetti di Cassandra. Traversiamo dunque a sinistra, in leggera discesa, fino ad affacciarci ad un ampio vallone che si apre ai piedi del ghiacciaio della Cassandra, annidato nel versante meridionale del monte Disgrazia (m. 3678). Scendendo facilmente su terreno morenico scopriamo, così, lo splendido sistema dei laghetti di Cassandra, nascosti in un vallone nascosto ai piedi del pizzo di Cassandra.
Dici Cassandra e sei nel cuore del mito, di uno dei
miti più singolari ed inquietanti fra quelli che ci sono giunti
dall'antica Grecia. Ne è protagonista la figlia di Priamo che,
avendo rifiutato l'amore di Apollo, fu colpita dalla maledizione di
annunciare sciagure che si sarebbero avverate, senza però essere
creduta da nessuno. Profetizzò così la caduta di Troia;
nessuno le credette, ma Troia cadde veramente. Ora Cassandra, impietrita
dal dolore, è uno dei pizzi che fa da corona alla maestosa mole
del Monte Disgrazia ("desgràzia").
Il mistero si infittisce quando apprendiamo che il cronista solettese Franciscus Haffner, nel 1666, scrive, in una sua cronaca: "Anno 1624 d.C. Nel mese di marzo sul Monte Cassedra [Cassandra], in prossimità del confine con l’Italia, una valanga seppellì un intero paese e uccise più di 300 persone". A quale epocale tragedia si riferisce? Unica ipotesi plausibile, anche se problematica, è che si tratti della valanga che seppellì l'abitato dell'antica Bondoledo, allo sbocco della Val Torreggio, là dove oggi si trova la chiesetta di San Giuseppe. Impossibile pensare che sia scesa direttamente dal pizzo di Cassandra, ma forse il riferimento è alla cima rilevante più vicina al luogo della tragedia. Se così fosse, il cerchio parrebbe chiudersi: siamo partiti dall'annunciatrice di sventure e ad un sventura siamo infine tornati.
Torniamo ora al racconto della traversata. Passiamo a destra del più alto dei laghetti (m. 2746), nelle cui splendide
acque di un blu intenso si specchia il nevaio che scende dal ghiacciaio
della Cassandra, e di un laghetto più piccolo. Ci affacciamo poi ad una conca più ampia e, sempre seguendo segnavia ed ometti (indicazioni "Bosio"), descriamo
un arco in senso orario, quindi assumendo gradualmente l'andamento sud-est e sud ed ignorando, sulla sinistra, la deviazione
per il passo Cassandra (m. 3097), che permette di accedere alla Vedretta
della Ventina (védrècia de la venténa), in alta Valmalenco (val del màler; la discesa è molto complessa, perché il ghiacciaio è crepacciato, e richiede impegno alpinistico ed assicurazione in cordata).
Vediamo ora come proseguire nella discesa. Volgiamo ancora a destra (direzione sud-ovest), scendiamo al più grande, passando a sinistra di un pronunciato torrione, quotato 2710 metri, ed a destra di una enorme ganda. In prossimità del laghetto, che resta alla nostra sinistra, procediamo verso sud per superare, con una certa fatica, una fascia di grandi massi rossi (seguiamo i segnavia, per non complicarci inutilmente la vita).
Poi, piegando a destra (direzione sud-ovest), varchiamo una breve porta e, sfruttando un facile canalino, raggiungiamo il pianoro quotato 2391 metri. Volgendo a sinistra e seguendo i segnavia bianco-rossi, superiamo, con cautela, un sistema di roccette e, dopo un’ultima discesa, intercettiamo il sentiero principale che dal passo di Corna Rossa scende alla piana della Val Torreggio (Val del Turéc'). Seguendolo verso sinistra raggiungiamo il rifugio Bosio-Galli, mentre prendendo a destra possiamo faticosamente risalire al passo di Corna Rossa.
Torniamo ora al racconto dell'itinerario principale, nel suo ultimo tratto. Rifugio Bosio-Galli Seconda giornata: dal rifugio Bosio-Galli a Predarossa per il passi di Caldenno e Scermendone
La seconda giornata ci riporta a Preda Rossa per il passo di Caldenno, il passo di Scermendone e la Val Terzana (o Valle di Scermendone). Nella prima parte coincide con la 288sima tappa del Sentiero Italia, percorsa a ritroso.
Il pianoro che, sul versante della Val Torreggio (Val del Turéc') si apre nei pressi del passo è ricco di rocce di gneiss, che riportano segni e cavità che danno l’impressione di costituire un segno dell’arte petroglifica preistorica. Ecco cosa ne scrive don Nicolò Zaccaria, prevosto di Sondalo ed esperto mineralista, il quale, nel 1902, dopo aver visitato questi luoghi, scrisse: “L’anno 1864 feci un’escursione sull’alpe Caldenno in comune di Berbenno. Appartiene al gruppo del Disgrazia, ed è un’alpe a circa 2600 metri sul mare. Alla sua sommità vi è un valico pel quale si entra nella Val Malenco sopra Torre. Or bene, proprio a questo passo la roccia gnesiaca è nuda e quasi piana ed in essa sono scalfite parecchie cavità d’una dimensione e d’una profondità poco su e poco giù come quella delle scodelle. Variano tuttavia nella forma, perché a prima vista hanno l’aspetto di un piede di cavallo. Quegli alpigiani mi condussero loro a vedere le orme impresse nella pietra dalle streghe che vi ballavano sopra con i piedi di cavallo”. In realtà, come poi fu appurato da Antonio Giussani, non ci sono di mezzo né uomini preistorici né streghe: si tratta di erosioni della roccia del tutto naturali. Nei pressi del passo troviamo anche, sulla destra, le indicazioni di un sentiero che da esso taglia direttamente al passo di Corna Rossa: non si tratta, però, di una traversata agevole, ed una scritta raccomanda di seguire scrupolosamente i segnavia.
Il panorama dal passo non è molto ampio, ma sicuramente suggestivo. A nord si mostra, splendido, il monte Disgrazia (m. 3567), ed alla sua destra si distingue bene il pizzo Cassandra (m. 3226). Procedendo in senso orario, distinguiamo i due Corni di Airale, sul versante settentrionale della Val Torreggio (Val del Turéc'). L’orizzonte, poi, si allarga alle cime del gruppo dello Scalino, con il pizzo Scalino, la punta Painale e la vetta di Ron. Ad est intuiamo appena il gruppo dell’Adamello, poi il panorama è chiuso dalla cima quotata 2610, che nasconde alla nostra vista il monte Caldenno (m. 2669). Alla sua destra, cioè a sud, si apre, con il suo caratteristico solco ad U, la Valle del Caldenno (o Valle di Postalesio), mentre sul fondo si disegna una porzione delle Orobie centrali, con la Valle del Livrio, la Valcervia e la Valmadre, sul cui fondo si vede bene il passo di Dordona.
A sud-ovest e ad ovest l’orizzonte è chiuso dalle cime che contornano l’alta Valle del Caldenno. Ad est, in particolare, possiamo individuare il passo di Scermendone (m. 2595), che congiunge Valle del Caldenno e Val Terzana: si tratta della più marcata depressione sul crinale. Alla sua destra il crinale sale fino alla torre quotata m. 2900, nel gruppo dei Corni Bruciati. A nord-ovest, infine, il crinale sale fino alla cima di Postalesio (m. 2995), quotata, ma non nominata sulle carte IGM.
Qui, seguendo la scritta "Scerendone" ed i segnavia (sempre bolli rossi contornati di giallo), dirigiamoci verso ovest, cioè a destra. Lasciamo il masso alle spalle ed attraversiamo un corridoio fra modesti dossi erbosi, raggiungendo una caratteristica conca che costituiva il fondo di una pozza prosciugata. Passati a destra della conca, pieghiamo leggermente a destra salendo su un dosso erboso. Proprio davanti a noi, in alto, lo scenario è chiuso dal profilo selvaggio e tormentato delle punte centrale e settentrionale dei Corni Bruciati e della cima di Postalesio. Piegando, quindi, di nuovo leggermente a sinistra passiamo accanto ad un secondo grande masso erratico, sul quale vediamo (sul lato rivolto al passo) un bollo rosso contornato di giallo.
Il passo è là, sopra di noi, leggermente a sinistra (vediamo, sul crinale, tre selle; il passo è quella più a sinistra, anche se quella centrale, più larga, dà l’impressione di essere un agevole valico); l’impressione è che lo si debba raggiungere risalendo un canalone che scende dall’intaglio e si allarga verso la base, occupato in gran parte da sfasciumi. In realtà il sentiero lo aggira sulla destra, sfruttando il dosso erboso posto a nord. Rimaniamo più o meno sul filo di modesti dossi erbosi, passando in mezzo a due grandi colate di sfasciumi, quella alla nostra sinistra, propaggine del canalone a valle del passo, e quella, ben più ampia ed impressionante, alla nostra destra, che sembra una desolata laguna infernale, una sinistra distesa di massi le cui tonalità, dal grigio al rossastro, sembrano suggerire l’idea di tizzoni di roccia che si vanno lentamente spegnendo dopo un rogo immane.
Il rogo dei Corni Bruciati di cui parla una celebre leggenda. In un tempo antico splendidi pascoli contornavano su ogni lato queste cime, e la cima del monte Disgrazia. Fra i pastori fortunati venne il Signore, nelle sembianze di un umile mendicante, chiedendo ospitalità a due fratelli. L’uno lo derise, l’altro lo accolse, ed a questi il misterioso mendicante ingiunse di lasciare l’alpe senza voltarsi. Piovve, poi, fuoco dal cielo, incenerì gli alpeggi ed arse le rocce stesse; queste si sgretolarono e caddero dai fianchi martoriati di quelle montagne che da allora assunsero un nome legato alla terribile punizione divina, monte Disgrazia, appunto, e Corni Bruciati. Eccole ancora lì, le rocce sgretolate e non ancora spente. Non è ancora l’ora, ma se le tenebre ci sorprendessero in questo luogo, potremmo udire il batter di mazza dei disgraziati “cunfinàa” relegati in eterno a dimorare in questo desolato deserto, forse gli stessi pastori egoisti di cui parla la leggenda.
Al grande ometto posto sui 2595 metri del passo di Scermendone possiamo finalmente tirare il fiato. Volgendo lo sguardo alla Valle del Caldenno, riconosciamo, alle spalle della sterminata distesa di massi rossastri, lo stretto filo del sentiero che sale al passo gemello di Caldenno. Oltre il crinale dell’alta valle vediamo, poi, da sinistra, il pizzo Cassandra, i Corni di Airale, uno scorcio delle lontane cime della Val Grosina, il più vicino pizzo Scalino, la punta Painale ed un brevissimo scorcio della vetta di Ron.
Il sentiero, segnalato da alcuni segnavia rosso-bianco-rossi e bianco-rossi, è agevole: nel primo tratto passa a destra di uno speroncino erboso, poi piega gradualmente a sinistra passando dal lato destro a quello sinistro del torrentello dell’alta valle, scende ad una conca erbosa e prosegue alla conca del laghetto; di qui, dopo una ripida discesa, si porta all’alpe Piano di Spini, dove diventa largo tratturo che, tagliando il fianco sinistro della bassa valle, ci porta nei pressi della chiesetta di S. Quirico (san Cères) e del bivacco Scermendone, che si trova a poche decine di metri di distanza, più ad est (a sinistra). L'ultima parte dell'anello prevede la discesa all'alpe di Scermendone basso e la traversata da qui a Preda Rossa. Il sentiero che scende a Scermendone basso si trova un po' prima della chiesa di San Quirico all'uscita della Val Terzana, e si stacca dal largo sentiero che abbiamo percorso nella discesa della valle. Se torniamo indietro da San Quirico lo troviamo quindi a sinistra. Ce n'è anche un altro, più ad ovest, cioè poco dopo San Quirico, ed è segnalato da un cartello.
In entrambi i casi dopo pochi tornanti ci portiamo al limite meridionale della piana dell'alpe di Scermendone basso. Dobbiamo attraversarla diritti verso il lato opposto, lasciando alla nostra sinistra la baita ed il cocuzzolo che la delimita ad ovest, fino a raggiungere un ponticello in legno che scavalca il torrente della Val Terzana.
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