APPENDICE (LAGO NEGRO E LAGHI DI TRES)

Con due giorni a disposizione si può programmare una bella traversata da Eita, la splendida località nella piana in fondo alla Val Grosina, a Livigno, con tappa intermedia in Val Viola Bormina (dove si trovano in due rifugio Federico in Dosdé e Val Viola). La prima giornata prevede due varianti. La più semplice e breve prevede un percorso interamente su pista, e sfrutta la pista che da Eita sale al passo di Verva per poi scendere lungo la Val Verva fino al suo sbocco nella Val Viola Bormina. Qui la pista supera su un ponte il torrente Viola e risale il versante opposto della valle innestandosi nella carrozzabile di Val Viola, che, percorsa in leggera salita verso sinistra, cioè verso l'interno della Valle, termina al parcheggio di Altumeira, lasciando il posto ad una pista sterrata. Percorrendo questa pista, in breve ci troviamo ad un bivio, al quale prendiamo la pista che se ne stacca sulla sinistra e scende all'imbocco della Val Cantone di Dosdé, dove, non lontano dalle baite dell'alpe, si trova il ben visibile rifugio Federico in Dosdé. Questo il modo più semplice di impegnare la prima giornata, con una traversata che richiede circa 5 ore per un dislivello complessivo approssimativo in altezza di 650 metri.
Più impegnativa ma anche più bella e ricca di scenari e suggestioni la seconda possibilità, che sfrutta la Valle d'Avedo ed il passo di Dosdé. Vediamo come.


Salendo da Stabine ai laghi di Tres

PRIMO GIORNO: EITA - PASSO E RIFUGIO DI DOSDE' - RIFUGIO FEDERICO IN DOSDE'

Punti di partenza ed arrivo
Tempo necessario
Dislivello in altezza
in m.
Difficoltà (T=turistica, E=escursionistica, EE=per escursionisti esperti)
Strada per Eita-Passo di Dosdè-Rifugio Federico in Dosdè
4 h
1220
E
SINTESI. Salendo in automobile in Val Grosina (acquisto del pass giornaliero a Fusino), procediamo in direzione di Eita e passiamo dal lato destro (per noi) a quello sinistro della valle. Superato il ponte di Guer (cartello), troviamo una sequenza di tornanti sx-dx-sx-dx, poi un ampio spiazzo per il parcheggio sulla destra della strada (m. 1620 circa). Lasciamo qui l'automobile e proseguiamo a piedi sulla strada, fino a trovare una pista che se ne stacca sulla sinistra qualche centinaio di metri prima del nucleo di Eita. Passiamo a monte dell'alpe Avedo e, superata la località Stabini (m. 1821), entriamo nella piana di Vermoléra (m. 1927); la pista si è fatta sentiero e si avvicina al torrente, il Roasco (o Rio) di Avedo, che, per un tratto ancora, rimane alla nostra sinistra. Attraversiamo un ponticello e passiamo sul lato opposto della valle, iniziando a salire un gradino di soglia che ci fa approdare alla piana dei laghetti di Tres (m. 2186). Ignorata la deviazione a sinistra del Sentiero Italia, pieghiamo leggermente a destra (nord-ovest), tagliando in diagonale l'ampio versante settentrionale a monte della piana e guadagnando quota con molta gradualità. Al termine della salita, aggiriamo un dosso e si apre di fronte a noi il lungo pianoro che precede un nuovo e modesto gradino, superato il quale, sempre verso ovest-nord-ovest, siamo alla conca che ospita il bellissimo lago Negro (m. 2560). Passiamo alla sua sinistra seguendo la riva meridionale e quella occidentale. Seguiamo ora con attenzione i segnavia e procediamo verso nord-nord-ovest: superato il primo breve gradino, pieghiamo a destra (nord-est), raggiungiamo alcuni modesti specchi d'acqua, e ci accingiamo agli ultimi sforzi, portandoci sul versante sinistro del canalone. Passiamo così proprio ai piedi del terrazzo roccioso al di sopra del quale si mostra il rifugio Dosdè. La salita diretta non è possibile, per cui dobbiamo aggirare l'ostacolo proseguendo verso la sella del passo e lasciando il rifugio alla nostra sinistra, per poi piegare a sinistra e raggiungerlo con un ultimo traverso. In breve raggiungiamo, così, la croce posta sui 2824 metri del passo di Dosdè ("Pas Dosdé") che ospita il rifugio o capanna di Dosdè.


Il lago Negro

Protagonista di questa variante lunga della prima giornata è la Valle d'Avedo, che merita un discorsoa sé.
Le valli della Val Grosina propongono scenari aperti e luminosi. Tutte tranne una, la Valle d’Avedo, appunto, posta proprio nel suo cuore, incastonata com’è fra i suoi due grandi rami, la Valle di Eita ad est e la Val Grosina Occidentale a sud. È stretta, a tratti incassata, non tetra, ma selvaggia ed aspra. Una valle che propone peraltro diverse soluzioni escursionistiche, in quanto possiamo risalirla fermandoci all’incantevole piana dei laghi di Tres, oppure proseguendo fino allo splendido lago Negro o, infine, raggiungendone il fondo dove si collocano il rifugio ed il passo di Dosdé, che si affaccia sulla Val Cantone di Dosdé. Per questa valle passando due importanti traversate in più tappe, il Sentiero Italia Lombardia V (che coincide con una variante dell’Alta Via della Magnifica Terra) e la Via Alpina.
La valle è denominata localmente Val de Avé o anche Val de Vérmulèra. La prima denominazione deriva da quello dell’alpeggio posto al suo ingresso, che a sua volte deriva da “avéd”, cioè “abete”, (la parte inferiore della valle è caratterizzata da fitte abetaie). La seconda denominazione, invece, pare si possa ricondurre all’erba vermulèra, cioè alla scrofularia maggiore, chiamata così perché considerata ottimo rimedio contro i vermi nei bambini.


L'alpe Avedo

La valle, tributaria del ramo principale della Val Grosina, o Valle di Eita (nella quale confluisce da ovest poco sotto la piana di Eita), si sviluppa da est ad ovest, scandita da diversi gradini o soglie modellati dai ghiacciaio quaternari. A sud è delimitata dalla costiera che la separa dalla Val Grosina Occidentale e sale dal monte Saline (m. 2631), toccando il monte Alpisella (m. 2756), il Sasso Campana (m. 2913), il passo di Vermolera (m. 2782), il pizzo Matto (m. 2993), il Dosso Sabbione (m. 2980), il Corno di Lago Negro (m. 2927), il pizzo Ricolda (m. 2962) e, al vertice occidentale, la cima Saoseo (m. 3263). Da qui parte, verso est, la costiera settentrionale, che la separa dalla Val Cantone di Dosdé e che propone, ad est del passo di Dosdé (m. 2824), la cima Viola (m. 3374, massima elevazione della valle), la cima di Lago Spalmo meridionale (m. 3291) ed il Sasso di Conca (m. 3150). La salita in valle parte da un parcheggio sulla carrozzabile che risale la Val Grosina fino ad Eita, posto poco prima di Eita. Possiamo transitare su questa carrozzabile acquistando il pass giornaliero ad una macchina erogatrice al parcheggio di Fusino. Ma vediamo più in dettaglio come procedere.


Salendo verso Stabine

Per raggiungere l'imbocco della valle dobbiamo percorrere la strada che da Grosio risale la Val Grosina, superando Ravoledo e Fusino (a 9 km da Grosio: qui dobbiamo acquistare un ticket per il transito). La strada più avanti passa dal lato destro (per noi) a quello sinistro della valle e raggiunge il ponte di Guer (cartello). Oltre il ponte ci attende una sequenza di tornanti sx-dx-sx-dx, poi un ampio spiazzo per il parcheggio sulla destra della strada (m. 1620 circa). Lasciamo qui l'automobile e proseguiamo a piedi sulla strada, fino a trovare una pista che se ne stacca sulla sinistra qualche centinaio di metri prima del nucleo di Eita. I cartelli segnalano che stiamo percorrendo un tratto del Sentiero Italia, che però si separa dal sentiero per il rifugio alla piana dei laghetti di Tres. Si tratta della strada che sale ai prati di Avedo, stretta e ripida.


La piana di Vermolera

La pista, sulla quale all'asfalto si sostituisce ben presto la terra battuta, passa a monte dei ripidi prati dell'alpe di Avedo (m. 1670; si tratta in realtà di un maggese già citato in un documento del 1398), che vediamo alla nostra sinistra, mentre guardando a destra si aprono diversi scorci panoramici su Eita, riconoscibile per il caratteristico campanile. Le baite del maggese rispecchiano le caratteristiche di quelle dell'intera Val Grosina, con tratti intermedi fra la tipologia dell'alta Valtellina e quella della media e bassa valle. Presentano una base in muratura sopra la quale le pareti sono costituite da tronchi di legno con incastro negli angoli, secondo la tecnica chiamata "cardana" o "blockbau". Al pianoterra si trovano stalla e cucina, al primo piano fienile e camera da letto.
Stiamo risalendo il primo dei gradini che la valle, nel suo sviluppo, propone: lo scenario, qui, è ancora quello gentile dei pascoli verdeggianti che hanno permesso, in Val Grosina, quel largo sviluppo della zootecnia per il quale essa è famosa. Superato un piccolo spiazzo che viene utilizzato da qualche audace automezzo come parcheggio, ci avviciniamo alla porta che introduce al secondo gradino, passando per la località Stabine (localmente "i Stabini", m. 1821, nucleo citato in un documento del 1787: "monte alle stabine in Vermolera").


Baitello sul sentiero

La pista approda alla piana di Vermoléra (Pianàsc’), dove si trova l’omonima alpe, già citata in un documento del 1543. La pista si è fatta sentiero e, qui, si avvicina al torrente, il Roasco (o Rio) di Avedo, che, per un tratto ancora, rimane alla nostra sinistra. L'aspetto solitario della piana è mitigato dalle due baite (m. 1927), mentre sul fondo è già ben visibile il successivo gradino che ci impegnerà nella salita (Mot di Spòtuli). Ora, però, attraversiamo un ponticello e passiamo sul lato opposto della valle (c'è anche un sentiero che resta sul medesimo lato, ma è meno agevole), lasciando il torrente alla nostra destra. Il sentiero, ben marcato, si allontana, poi, dal torrente, che scende, alla nostra destra, da una breve gola con una caratteristica cascata.


Laghi di Tres

La salita fra i rododendri ed i brevi lembi di pascolo è, in questo tratto, abbastanza ripida, per cui si rende probabilmente necessaria qualche sosta, che ci consente di abbracciare con un colpo d'occhio il percorso effettuato dalla piana di Vermolera. Passiamo anche a sinistra di un curioso manufatto in pietra ad ogiva (sullo stile dei nuraghi). Se ne trovano di simili sul versante retico mediovaltellinese (per esempio appena sotto il nucleo di Campione a monte di Bianzone o all'alpe Lughina sopra Villa di Tirano). Molto probabilmente fungevano da ricovero per i pastori oppure servivano a tenere al fresco il latte. Richiamano le più note strutture dei nuraghi sardi e risalgono a tempi antichissimi.
Alla fine della salita ecco la piana dei laghetti di Tres ("lach di Trés", m. 2186, chiamati in passato anche "Laghi di Avedo"), posti poco a sud delle baite omonime. Al suo ingresso, ci riportiamo a destra del torrente, che qui defluisce dal più grande dei laghetti. I laghi di Tres, a dispetto del nome, sono due e, nelle belle giornate, raccolgono i colori dei versanti circostanti regalando suggestivi giochi cromatici. Per la verità è probabile che un tempo effettivamente ci fosse un terzo laghetto, oggi interrato, ed allora i conti tornerebbero. Di questo comunque non si preoccupano i pescatori che amano salire fin qui per pescare nelle loro tranquille acque.


Laghi di Tres, sovrastati dal Pizzo Matto e dal Dosso Sabbione

La piana, baricentro della valle, è gentile e bucolica, ma lo scenario comincia a mutare, e la valle comincia a mostrare un aspetto più arcigno. Alla nostra sinistra (sud) è vegliata dal Sasso Campana, mentre ad est si profilano le tre puntute cime del Pizzo Matto. Alla sua destra il cupolone del Dosso Sabbione. A destra (nord), infine, incombe il poderoso versante meridionale del signore della valle, la cima Viola (m. 3374), che qui mostra un volto davvero impressionante, la sua parete meridionale, una parete di durissimo gneiss che precipita per seicento metri sul pianoro del lago Spalmo.


Apri qui una fotomappa della traversata della piana di Tres

Sotto questo versante scende un ripido declivio di magri pascoli e terreno franoso. Si intuisce, alla sua sommità, una conca, che ospita l’invisibile lago Spalmo (lach Spalm, m. 2515), uno specchio d’acqua dal singolare colore grigio lattiginoso (per la grande quantità di terriccio in sospensione), ai piedi della cima di Lago Spalmo (scima del Lach Spalm) e della sua piccola vedretta (vedregia di Scimi del Lach Spalm). Un lago invisibile perché ben pochi si avventurano alla conca che lo ospita, in quanto non c’è sentiero che vi conduca e per raggiungerla bisogna risalire il ripido e faticosissimo versante. Se il lago è per questo “invisibile”, non lo sono le sue acque, che defluiscono a valle lungo una valletta intagliata proprio in questo versante, né lo è il suo nome, che si è riverberato sulle cime assai frequentate soprattutto dagli scialpinisti (che vi salgono però dal versante della Val Viola Bormina).


La piana di Tres

Nei pressi della baita più grande di Tres un cartello segnala che il Sentiero Italia si stacca qui, prendendo a sinistra e salendo al passo di Vermolera, da quello che sale al passo di Dosdè. Noi restiamo su quest’ultimo e pieghiamo leggermente a destra (nord-ovest), tagliando in diagonale l'ampio versante settentrionale a monte della piana (Gras del Maté) e guadagnando quota con molta gradualità. Alto, alla nostra destra, un dossone dal nome gentile di Dosso dei Camosci (Pala di Camosc’, m. 2601).


Il Pian del Frec'

Procediamo diritti verso ovest-nord-ovest e ci accingiamo ad aggirare il dosso che nasconde alla vista il segmento più alto della valle; ci accompagna qualche segnavia bianco-rosso. C'è ancora parecchia strada da fare: al termine della salita, infatti, si apre di fronte a noi il lungo pianoro che precede un nuovo e modesto gradino, un lungo corridodio glaciale con la caratteristica forma ad U. Siamo ormai nel regno della solitudine: il pian del Fréc' presenta tutte le caratteristiche degli scenari di alta quota, dove i pascoli sempre più magri cedono il passo ai massi ed agli sfasciumi. Ci assale, forse, un profondo senso di desolazione, perché l’impressione è che qui non sia più luogo per uomini, ma per spiriti senza quiete. Rabbrividiamo, e paghiamo il giusto tributo al nome della piana (piana del Freddo). Solo i segnavia bianco-rossi ci parlano di qualcosa di umano.
La piana ha comunque un andamento assai tranquillo. Il sentiero, dopo una breve discesa, si avvicina al torrente e poco più avanti si riporta alla sua sinistra. Alla nostra destra si impone l'aspro versante sud-occidentale della cima Viola (m. 3374), che da qui appare come un modesto corno che chiude a sinistra il fianco del massiccio.
A sinistra è invece il massiccio e caotico versante del Dosso Sabbione a restituire una sensazione velatamente opprimente.


Il lago Negro

Dopo il lungo tratto diritto, saliamo con qualche serpentina un ulteriore modesto gradino glaciale, che ci fa accedere alla conca del bellissimo lago Negro (lac Négru, m. 2560, il più grande, con i suoi 124.000 mq, della Val Grosina, chiamato in passato anche "Lago Scuro"). Lo specchio d’acqua, di un blu intenso, unito ai corrugati contrafforti della cima Viola, regala uno dei più affascinanti scorci di alta montagna del versante retico valtellinese. Anche qui, a stagione avanzata, si può trovare qualche pescatore che attende, perso nei suoi pensieri, che qualche pesce abbocchi. Solo a stagione avanzata, però, in quanto può capitare che anche nella seconda metà di luglio sia ricoperto di ghiaccio.
Il sentiero percorre buona parte del perimetro del lago, di origine morenica. Passiamo alla sua sinistra e ci portiamo sul lato suo occidentale, dal quale si mostra in tutta la sua ampiezza e bellezza. Alla nostra sinistra (ovest) si eleva fiero il pizzo Ricolda, ed alla sua destra la grande mole del Sauseu, la cima di Saoseo (m. 3263, termine che deriva forse dal tedesco “see”, lago, o, secondo l’antica lezione “Sasseo”, da “sasso”), che chiude la valle.


Il lago Negro

Lo scenario è ancora mutato. Non più il malinconico deserto della piana del Freddo, ma un mare caotico di massi di ogni dimensione, increspato da onde pietrificate, piccole colline moreniche, un luogo che incute timore, la probabile cornice del supplizio dei confinati, cioè di quelle anime che né cielo né inferno vogliono, e che qui scontano la loro spregevole esistenza dando di mazza, durante la notte, ai massi, frantumati senza pausa e senza perché. Eppure lo scenario più grandioso è proprio qui: la cima Viola si mostra finalmente in tutta la sua eleganza, con la sua sommità acuminata ed il ghiacciaietto che la presidia.


L'ultimo tratto della salita e la cima Viola

Ci sono ancora un paio di gradini da risalire, prima di guadagnare il passo. Il sentiero si lascia alle spalle il lago e sale verso nord-nord-ovest, con una traccia che si fa sempre più labile, per cui dobbiamo prestare molta attenzione ai segnavia ed agli ometti, per evitare fatiche inutili nel caotico dedalo dei massi di ogni dimensione che occupano il versante che ci separa dal passo. Superato il primo breve gradino, pieghiamo a destra (nord-est), raggiungiamo alcuni modesti specchi d'acqua e ci accingiamo agli ultimi sforzi. Ci portiamo sul versante sinistro del canalone, passando proprio ai piedi del terrazzo roccioso al di sopra del quale si mostra il rifugio. La salita diretta non è possibile, per cui dobbiamo aggirare l'ostacolo proseguendo verso la sella del passo e lasciando il rifugio alla nostra sinistra, per poi piegare a sinistra e raggiungerlo con un ultimo traverso.


Apri qui una panoramica sulla Valle d'Avedo dal passo e dalla capanna di Dosdé

In breve raggiungiamo, così, la croce in legno posta sui 2824 metri del passo di Dosdè ("Pas Dosdé"), ed il rifugio, o capanna di Dosdè ("Capàna Dusdé"), del CAI di Bormio. Interessante la storia di questa struttura, costruita nel 1890 dalla sezione di Milano del CAI, con una spesa complessiva di 2200 lire, grazie all’interessamento dell’alpinista cavalier Antonio Cederna, presidente della sezione valtellinese del CAI e poi di quella milanese. Fu ristrutturata nel 1955 e poi, a cura del CAI di Bormio che l’aveva acquistata, nel 1982. Attualmente è sempre aperta, e quindi funziona come bivacco, ma è sempre bene informarsi sulle condizioni di apertura presso il CAI di Bormio. (tel. 0342 903300). Vi troviamo 12 posti letto, materassi e coperte, un tavolo, panche, un fornello, una bombola di gas, stoviglie ed una cassetta di pronto soccorso. Si può trovare acqua di fusione sulla morena attraversata dal percorso di salita al passo.


Apri qui una fotomappa dell'ultimo tratto di salita al rifugio ed al passo di Dosdé

La posizione del rifugio è strategica non solo in funzione delle ascensioni alpinistiche, ma anche delle lunghe traversate che passano da questo passo. Sul versante opposto del passo si apre l’alta Val Cantone di Dosdé, presidiata dal gigantesco Corno di Dosdé, cima, come vuole un’antica leggenda, di giganti, in una terra di giganti. “Dosdé”, come “Dusdei” (nome di famiglia e di un vicolo a Sondrio), deriva dal latino “domus dei” (casa di Dio: in effetti una leggenda parla proprio del Dio Dosdé e del monte che da lui prende il nome).


Apri qui una panoramica sulla Val Cantone di Dosdè dal passo di Dosdé

Dobbiamo ora scendere in questa valle seguendo i segnavia e percorrendola interamente fino alla sua confluenza nella Val Viola Bormina, dove si trova il rifugio Federico in Dosdé. Se però vogliamo tornare al parcheggio del ponte di Guer, stretti fra giganti e confinati, non attendiamo l’imbrunire prima di tornare sui nostri passi nella lunga discesa della valle d’Avedo.


La discesa dal passo di Dosdé in Val Cantone di Dosdé

Nella prima parte della discesa dal passo ci muoviamocon tutta la dovuta attenzione fra blocchi, nevaietti e sfasciumi, poi raggiungiamo una più tranquilla traccia che scende gradualmente fra magri pascoli e pietrame. Siamo sul lato di sinistra (per noi) della valle e ne assecondiamo l'andamento volgendo gradualmente a destra.


Discesa dal passo di Dosdè

Discesa dal passo di Dosdè

Discesa dal passo di Dosdè

Discesa dal passo di Dosdè

Discesa in Val Cantone di Dosdè

Val Cantone di Dosdè

Raggiunto il punto mediano della passiamo da sinistra a destra del torrente che corre al suo centro, raggiungendo la malandata Baita del Pastori (m. 2361). Qui ignoriamo la deviaizone a destra per il bivacco Caldarini e seguendo le indicazioni di un cartello proseguiamo sul largo sentiero che scende gradualmente a destra del torrente, verso nord.


Apri qui una fotomappa della discesa in Val Cantone di Dosdé dal passo di Dosdé

A quota 2225 un ponte ci riporta sul lato sinistro della valle e procediamo in direzione dell'alpe Dosdè. Alla nostra destra, leggermente rialzato, il rifugio Federico in Dosdè, al quale possiamo portarci per pernottare.


Il rifugio Federico in Dosdè (clicca qui per ingrandire)

Se preferiamo il rifugio Val Viola, proseguiamo verso le baite dell'alpe Dosdé (m. 2129). Seguiamo poi la stradella che supera il torrente di Val Viola e sale ad intercettare la pista principale che risale l'intera Val Viola Bormina. Seguendola verso sinistra, saliamo gradualmente al ripiano terminale, poco sotto il passo di Val Viola, che ospita i laghi di Val Viola ed il rifugio Val Viola (m. 2315).


Apri qui una panoramica della Val Cantone di Dosdé

SECONDO GIORNO: RIFUGIO FEDERICO IN DOSDE' - LIVIGNO

Punti di partenza ed arrivo
Tempo necessario
Dislivello in altezza
in m.
Difficoltà (T=turistica, E=escursionistica, EE=per escursionisti esperti)
Rifugi Federico in Dosdè-Parcheggio di Altumeira-Baita del Pastore-Colle delle Mine-Livigno
6 h e 30 min.
740
EE


Apri qui una fotomappa dei percorsi per il colle delle Mine e per il passo della Vallaccia

La seconda giornata della traversata prevede il passaggio dalla Val Viola Bormina alla Valle di Livigno sfruttando il Colle delle Mine e la Valle delle Mine. Anche in questo caso si propongono scenari solitari e selvaggi, anche se meno angusti.
Lasciamo il rifugio Federico in Dosdè (m. 2129) e, sfruttando la pista sterrata nei suoi pressi, saliamo ad intercettare la pista sterrata principale della Val Viola, che percorriamo scendendo verso destra, fino al parcheggio di Altumeira, dove termina la carrozzabile della Val Viola. Presso il parcheggio si trovano le baite di Altumera.
Dalle baite di Altumeira seguiamo il cartello del Sentiero Italia, numerato 109, che dà a 30 minuti la malga Funeira, a 3 ore il Colle delle Mine ed a 6 ore e 15 minuti alla località Teola di Livigno. Il sentiero guadagna quota su un versante di prati e supera una vallecola, raggiungendo la baita di quota 2280. Qui giunge anche una pista sterrata, che proviene da Funeira e Stagimel. Ignorata la stradina, proseguiamo nella salita, seguendo i segnavia e sfruttando una gola, fino a raggiungere la solitaria Baita del Pastore (m. 2352), sul fondo della Valle Minestra. Qui ignoriamo le indicazioni del sentiero a destra che sale al passo della Vallaccia. Seguendo invece le indicazioni del Sentiero Italia, proseguiamo la salita verso ovest, su moderati pendii, a mezza costa, lasciando a destra, sul lato opposto del torrente, il sentiero che sale al Passo della Vallaccia, e proseguendo in Val Minestra, sempre a mezza costa, sotto le pendici del Pizzo Filone. Piegando poi verso ovest-sud-ovest, superiamo una breve fascia di rocce e raggiungiamo il pianoro del laghetto quotato 2569 m., ai piedi del crestone roccioso meridionale del Pizzo Filone.


Salita al Colle delle Mine dalla Val Minestra

Ora i pascoli ci abbandonano: ci immettiamo in un solitario vallone, che percorriamo dapprima con andamento, ovest-sud-ovest, in direzione della cima di Zembrasca, poi, superata una fascia rocciosa,  piegando  a destra (nord-nord-ovest; attenzione ai segnavia), che, percorso verso, destra conduce al passo del Colle delle Mine (m. 2797). Guadagniamo, così, un’ultima conca, che precede lo strappo che ci porta al passo (m. 2797), intagliato fra il monte Zembrasca, alla nostra sinistra, ed il pizzo Filone, a destra.
Ci affacciamo, così, alla Valle delle Mine, che, nella sua parte alta, è selvaggia ed incute timore. Non facciamo fatica a capire perché la fantasia popolare abbia immaginato questa zona popolata delle anime dei confinati del Livignasco, cioè di quelle anime che debbono scontare una lunga pena prima del perdono divino, dando di mazza senza sosta sulla gran massa di pietre. Anche il colle e la valle delle Mine, come tanti altri luoghi solitari e desolati, sono legati a leggende di confinati: le anime malvagie dei Livignaschi sarebbero, infatti, condannate a rimanere per sempre o fino alla loro redenzione in questa valle desolata, a batter di mazza sulla rocce oppure a spingere faticosamente su erti crinali grandi massi. Una di queste anime rimse sempre impressa nella memoria dei lvignaschi, quella di un tale Galetìn, che in vita truffò molte persone, e dopo la morte fu qui confinato a rompere senza fine e senza scopo pietra su pietra.


Discesa in Valle delle Mine dal Colle delle Mine

Niente paura: solo al calar delle tenebre si odono i colpi di mazza. Se, poi, ci capitasse di essere sorpresi qui a notte fatta, teniamo presente che udire i colpi sinistri non comporta un reale pericolo, ma guai a chi volesse scorgere una di queste anime infelici: sarebbe condannato a condividerne la sorte. Iniziamo, ora, a scendere a scendere, sempre prestando molta attenzione ai segnavia, in direzione ovest-nord-ovest, su terreno di sfasciumi e nevaietti, superando, nel primo tratto, anche un laghetto di fusione. Restando sulla destra del primo vallone, superiamo sulla destra, tagliando una fascia di ripidi pascoli, la gola-strettoia di quota 2600, e scendiamo con andamento ripido fin verso quota 2300, dove la traccia prosegue con andamento meno ripido, portandoci al Baitel del Grasso degli Agnelli (m. 2192), dove giunge una pista sterrata seguendo la quale siamo in breve all’alpe delle Mine (m. 2141).


Discesa dalla Valle delle Mine

Discesa dalla Valle delle Mine

Alpe delle Mine

La pista prosegue nel bosco e, con qualche tornante, esce alla piana di Livigno in località Tresenda (m. 1892). Da qui, procedendo a destra, in poche decine di minuti raggiungiamo il limite meridionale di Livigno.
Può essere interessante, infine, leggere il resoconto della medesima traversata operata il 30 luglio 1906 da Bruno Galli Valerio (da “Punte e passi”, a cura di Luisa Angelici ed Antonio Boscacci, Bettini, Sondrio, 1998): “Lungo un sentiero sulla sinistra di Val Viola, ci dirigiamo verso Funera. Una splendida vipera ci viene incontro e posso catturarla. Fanno la loro apparizione, la Cima Piazzi e il gruppo dell'Ortler. Entriamo nella Valletta, tutta verde. Alcuni pastori ci danno il benvenuto e ci conducono a un'eccellente sorgente d'acqua ferrugginosa che sgorga in riva al fiume. La Valletta è chiu sa in fondo dal Pizzo di Zembrasca e dai Corni di Capra. Ai piedi del primo, sulla sinistra della valle si vede un'insenatura: il Passo delle Mine (2900 m.). Risaliamo per pascoli e gande, passiamo in riva ad un laghetto verde, entriamo in una strettissima gola e all'una pomeridiana, siamo sul passo. Tutt'intorno a noi stanno le cime di Zembrasca, di Capra, di Pavallo, del Filone. Sulla nostra sinistra una grande vedretta; davanti a noi, Val Tresenda, chiusa all'orizzonte dal gruppo del Tödi. Una buona fermata di un'ora, poi scendiamo per nevai e gande, fiancheggiando enormi morene. Tenendo la destra della valle, sotto la costa delle Mine, scendiamo il salto lungo un canalino di roccia. In un piano paludoso, sparso d'Eriophorum, pascolano vacche e cavalli. Passata la baita, tenendo sempre la destra della valle, scendiamo in uno splendido bosco di larici e cembri. Sulla nostra sinistra spuntano le cime del Vago, del Palü e del Cambrena. Alle quattro e un quarto, entriamo nella valle di Livigno.”


Apri qui una fotomappa della discesa dal Colle delle Mine all'alpe delle Mine

COLLE DELLE MINE E PASSO DI VALLACCIA

CARTE DEI PERCORSI sulla base della Swisstopo, che detiene il Copyright. Ho aggiunto alla carta alcuni toponimi ed una traccia rossa continua (carrozzabili, piste) o puntinata (mulattiere, sentieri). Apri qui la carta on-line

Mappa del percorso - elaborata su un particolare della carta tavola elaborata da Regione Lombardia e CAI (copyright 2006) e disponibile per il download dal sito di CHARTA ITINERUM - Alpi senza frontiere

GALLERIA DI IMMAGINI

   

APPENDICE: Viene qui di seguito riportata la relazione di Paolo Pero, professore di Storia Naturale al Liceo “G. Piazzi” di Sondrio, sul lago Nero e sul lago di Tres (nella raccolta “I laghi alpini valtellinesi”, Padova , 1894)




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