Passo di Vicima e lago della Bernasca

Punti di partenza ed arrivo
Tempo necessario
Dislivello in altezza
in m.
Difficoltà (T=turistica, E=escursionistica, EE=per escursionisti esperti)
Strada Campo-Tartano - Alpe e passo di Vicima - Lago di Bernasca - Rifugio Bernasca
4 h
1100
E
Strada Campo-Tartano - Alpe e passo di Vicima - Lago di Bernasca - Rifugio Bernasca - Sovalzo - Colorina
6-7 h
1150
EE
SINTESI. Lasciata la ss 38 dello Stelvio prendendo a destra dopo il viadotto sul Tartano (per chi procede verso Sondrio), prendiamo ancora a destra al primo svincolo, imboccando la strada provincale 11 della Val Tartano e dopo 12 tornanti raggiungiamo Campo Tartano, dove parcheggiamo (m. 1041). Ci incamminiamo sulla strada che prosegue per Tartano ma dopo la prima semicurva a sinistra la lasciamo imboccando a sinistra una stradella in cemento che lasciamo quasi subito prendendo a destra la mulattiera segnalata da cartelli (mulattiera per la Val Vicima). Il sentiero prosegue per buon tratto quasi in piano, fino ad un bivio, al quale lo lasciamo prendendo a sinistra (sentiero 167 per la Val Vicima). Seguiamo la mulattiera salendo diritti fino ad un poggio (la Foppa), oltre il quale essa si inoltra tagliando il fianco settentrionale della Val Vicima. Dopo una breve discesa, riprendiamo la salita ed attraversiamo il torrentello della laterale Valle di Zocca. Riprendiamo a salire e dopo pochi tornanti raggiungiamo le baite di Vicima o Maggengo Vicima (m 1505). Continuiamo, fino ad un secondo gruppo di baite (Casera Maggengo, m. 1619), che raggiungiamo dopo aver superato un piccolo corso d’acqua ed aver attraversato una fascia di bassa vegetazione, dove ignoriamo una deviazione che si stacca dal sentiero sulla nostra destra. Qui troviamo un bivio. Se restiamo, a sinistra, sul vercchio sentiero, usciamo, quindi, definitivamente allo scoperto e nella salita successiva incontriamo una fascia di bassa vegetazione, costituita soprattutto dagli ontani verdi. Troviamo, sulla nostra sinistra, a quota 1763, un terzo gruppo di baite (Casera Vicima), prima di scendere sulla destra ad attraversare il torrente e, superata un’ultima balza, giungere presso la baita dell’alpe di Vicima o baita Lago (m. 1933). Alla medesima baita, dal bivio sopra menzionato, possiamo giungere prendendo a destra e seguendo un tratturo che scende ad attraversare il torrente della valle e passa a destra delle baite di quota 1763. Poi torna verstro sinistra e sale a superare l'ultimo gradino che separa dalla piana della Baita Lago. Passiamo poi a sinistra del recinto della Baita Lago ed attraversiamo il pianoro sul lato sinistro. Superata un’ultima baita (baita Foppe, 2054), risaliamo il fianco del gradino roccioso che ci separa dallo strappo finale. Siamo sempre sul lato sinistro della valle, spostati verso il centro, quando affrontiamo il sentiero ben marcato che, con qualche stretta serpentina, conduce infine al passo di Vicima (m 2234), riconoscibile anche da lontano per il grande ometto e la croce che lo sormontano. Sul lato opposto il sentiero scende al lago di Bernasca (m. 2134) passando sul lato destro di un gradino roccioso. Superato sulla sinistra il lago possiamo procedere diritti e raggiungere poco più in basso il rifugio Bernasca (m. 2093). Scegliamo ora se tornare per la medesima via di salita oppure, se abbiamo due automobili, scendere a Colorina. In questo caso dal rifugio Bernasca cominciamo ad abbassarci seguendo la traccia di sentiero che taglia in diagonale verso sinistra. Superiamo così una fascia di pascolo ed una franetta, proseguendo diritti in graduale discesa, fra lembi di pascolo e roccette affioranti. Ci avviciniamo così ad una valletta. Prima di raggiungela, la traccia piega a destra e scende affiancandolo lungo una striscia di pascolo, per poi piegare a sinistra e portarsi sul suo lato opposto. Non la seguiamo, però, in questa svolta, ma restiamo sul medesimo lato, risaliamo per qualche metro la gobba erbosa alla nostra destra e scendiamo lungo un breve corridoio erboso. Pieghiamo ora a destra iniziando a scendere in diagonale fra pascoli e roccette, su facile terreno, fino a raggiungere un facile avvallamento che sdeguiamo stando più o meno al centro. La discesa ci porta ad una sorta di conca, dove intercettiamo un sentiero che scende da destra. Lo seguiamo verso sinistra. Il sentiero descrive un arco verso sinistra, attraversando un pascolo pulito e raggiungendo la valletta sopra menzionata. Sul lato opposto pieghiamo a destra e poi subito a sinistra, raggiungendo la bella conca che ospita la Casera di Bernasca (m. 1965), affiancata da un baitello. Passiamo davanti alle due baite e proseguiamo nella discesa, sempre sul sentiero discretamente marcato, piegando a destra. Raggiunto il centro di un avvallamento, pieghiamo a destra e scavalchiamo un dosso erboso, proseguendo con qualche svolta su una larga striscia di pascolo. Superato un modesto gradito, siamo ad un nuovo avvallamento. Qui il sentiero piega a sinistra, superando piccole franette e portandosi di nuovo ad un’ampia striscia di pascoli. Piegando subito a destra ci portiamo al già ben visibile Baitone di Bernasca (m. 1890), anch’esso affiancato da una baita. Il sentiero passa appena a sinistra di questa baita ed alla sua altezza piega decisamente a sinistra, scendendo ad attraversare una seconda valletta (il solco principale della Valle di Bernasca). Sul lato opposto proseguiamo diritti per un tratto, poi pieghiamo decisamente a destra riattraversando la valletta in una fascia di macereti. Tornati sul pascolo, vediamo alla nostra destra la baita più bassa dell’alpe (m. 1820). Il sentiero però non ragigunge la baita, ma piega prima a sinistra e, descritto un arco, torna ad una fascia di macereti e riattraversa per la terza volta la valletta. Lasciati alle spalle i pascoli dell’alpe Bernasca, il sneiteor, a tratti esposto, punta decisamente a nord e raggiunge, dopo una breve salita, un bel bosco di abeti, dove piega ancora, questa volta a destra, e comincia una lunga discesa, che ci fa perdere 600 metri circa, sul crinale di un largo dosso compreso fra la valle Sciesa, alla nostra destra, ed un vallone laterale della valle del Pizzo, alla nostra sinistra. Dopo un primo breve tratto di discesa, attraversiamo la radura della Piana (m. 1650 circa). Il sentiero diventa larga mulattiera (a tratti scalinata e sorretta da muretti a secco) e prosegue scendendo con le sue serpentine all’ombra di un fiabesco ed incantevole bosco di abeti. Alla fine, poco sotto il rudere della baita Caprile (m. 1141), il sentiero volge a sinistra (attenzione a non perdere la svolta proseguendo verso il fondovalle: ci si ritroverebbe ai margini di un dirupo) ed iniziando l’ultimo lungo traverso sul fianco occidentale della bassa Val Madre, selvaggio e scosceso, procedendo quasi sempre in piano, protetti da corrimano alla nostra destra (ma la mulattiera è sempre larga). Attraversiamo, così, il solco dell’aspra ed impressionante valle del Pizzo (che scende dal versante nord-orientale del pizzo di Presio), proprio nel tratto in cui un salto roccioso forma un’interessante cascata del torrentello. Superato un secondo e più modesto vallone, che scende anch’esso dalle pendici del pizzo, ci ritroviamo, infatti, nell’amena pianetta di Sovalzo (o Soalzo), ad 859 metri, dove ci accoglie un’edicola del Parco delle Orobie Valtellinesi. Seguendo una pista sterrata intercettiamo la carrozzabile che scende con diversi tornanti a Colorina.


Apri qui una fotomappa della parte terminale della Val Tartano e della Val Vicima

La val Vicìma è la prima laterale orientale importante della Val di Tartano, ma appartiene interamente al comune di Forcola. Non possiamo, quindi, mancare di visitarla, in un’ideale carrellata delle mete escursionistiche che questo comune può regalare agli appassionati delle orme sul sentiero. Teniamo, poi, presente che essa rappresenta un’interessantissima porta fra la bassa Val di Tartano e la Valmadre, perché, attraverso il passo di Vicima, posto in fondo alla valle, possiamo scendere all’alpe di Bernesca e, di qui, su una bella mulattiera, al versante orobico immediatamente a monte di Colorina. Se a ciò aggiungiamo la presenza, sul versante della Val Madre, poco sotto il passo, di un incantevole laghetto, quello di Bernesca, possiamo ben dire che di motivi per salire in val Vicima ce ne sono a sufficienza!


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Innanzitutto, però, dobbiamo salire in Val di Tartano. Per farlo, stacchiamoci dalla ss. 38, dopo il viadotto sul torrente Tartano e prima di quello sul fiume Adda nel tratto fra Talamona ed Ardenno (se proveniamo da Milano). Ci immettiamo, così, sulla strada provinciale Pedemontana Orobica, che lasciamo, però, ben presto, deviando a destra, per imboccare la strada, segnalata, per la Val di Tartano. La strada, costruita negli anni Cinquanta del ‘900, si snoda sull’aspro fianco occidentale del Crap del Mezzodì (m. 1031), inanellando 12 tornanti prima di raggiungere Campo Tartano (m. 1049). Procedendo per circa mezzo chilometro oltre Campo, in direzione di Tartano, troviamo una piazzola a lato della strada, sulla destra, con un tavolo per la sosta.
Pochi metri oltre parte, sulla sinistra, il sentiero per la Val Vicima. Dal primo tratto del sentiero si domina la bassa Val di Tartano, con Campo Tartano, mentre sul versante opposto della valle si vedono le case di Postareccio. Si può intercettare la mulattiera (sentiero 167), nei pressi di una cappelletta, anche salendo per un ripido e breve sentierino che parte dalle case della frazione Ronco, dove si trova anche un parcheggio dove si può lasciare l’automobile. La salita avviene su una bella mulattiera, che regala alcuni suggestivi colpi d’occhio su
Campo Tartano, prima di condurre al crinale di un dosso (Foppa), dove una piccola radura permette una piacevole sosta, rallegrata dal dolce profilo delle betulle. Dal dosso lo sguardo raggiunge, sul fondo della Val Lunga, il passo di Tartano, sormontato da una grande croce.
Il sentiero si inoltra, quindi, sul fianco settentrionale della valle e raggiunge una cappelletta che sembra posta a guardia del pauroso dirupo che si apre, alla nostra destra, sul fondovalle. Il sentiero, infatti, è largo, comodo ed in questo tratto quasi pianeggiante, ma esposto su questo dirupo: da qui scorgiamo anche l’audace ponte di Vicima, che, sulla strada che porta a Tartano, supera la selvaggia forra della bassa Val Vicima. Sul lato opposto, cioè a monte, possiamo osservare, invece, la più rassicurante presenza di un bel bosco di abeti e faggi. Superato il torrentello della Valle di Zocca, riprendiamo la salita e dopo pochi tornanti raggiungiamo le baite di Vicima o maggengo Vicima (m 1505), a monte dei ripidi prati che la sapienza contadina ha saputo sfruttare da tempi immemorabili.


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Continuiamo, fino ad un secondo gruppo di baite-stalle (casera Maggengo, m. 1619), che raggiungiamo dopo aver superato un piccolo corso d’acqua ed aver attraversato una fascia di bassa vegetazione, dove ignoriamo una deviazione che si stacca dal sentiero sulla nostra destra, scende al torrente della valle e si porta sul suo lato opposto, per raggiungere l’alpeggio del Barghèt: potremo utilizzare questo itinerario al ritorno.


Val Vicima e pizzo del Gerlo

Siamo quindi ad un bivio. Se restiamo sul vecchio sentiero, cioè a sinistra, usciamo definitivamente allo scoperto e nella salita successiva incontriamo una fascia di bassa vegetazione, costituita soprattutto dagli ontani verdi (una presenza spesso temuta dall’escursionista, in quanto nasconde, in molti casi, la traccia di sentiero: non però, in questo caso).


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Ci stiamo affacciando all’alta valle, e troviamo, sulla nostra sinistra, a quota 1763, un terzo gruppo di baite (Casera Vicima), prima di scendere sulla destra ad attraversare il torrente e, superata un’ultima balza, giungere in vista dell’ampio pianoro terminale dell’alpe di Vicima o Baita Lago, dove, a 1933, troviamo la baita utilizzata dai caricatori dell’alpe.


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Alla medesima baita si può giungere, dal bivio sopra menzionato, prendendo a destra e seguendo un tratturo che scende a scavalcare il torrente della valle, proseguendo la salita sul lato opposto e passando a destra della Casera Vicima, per poi tornare verso sinistra e, salito l'ultimo gradino, approdare alla piana della Baita Lago.


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Da questa baita, tenendo la sinistra (per noi) della valle senza però guadagnare quota, aggiriamo il recinto che delimita lo spazio riservato agli animali e percorriamo a vista il pianoro: manca, infatti, una vera e propria traccia di sentiero.


Testata della Val Vicima, passo di Vicima e pizzo del Gerlo

Superata un’ultima baita (baita Foppa, 2054), risaliamo il fianco del gradino roccioso che ci separa dallo strappo finale. Siamo sempre sul lato sinistro della valle, spostati verso il centro, quando affrontiamo il sentiero ben marcato che, con qualche stretta serpentina, conduce infine al passo di Vicima (o Om di Vicima, m 2234), riconoscibile anche da lontano per il grande ometto e la croce che lo sormontano (om di Vicima). Questo itinerario potrebbe anche essere chiamato il sentiero degli ometti, dal momento che ne incontriamo diversi, e di ragguardevoli proporzioni, lungo il percorso. Alcuni sono posti in corrispondenza di luoghi importanti, un passo, un dosso, e quindi hanno la funzione di permettere l’orientamento in condizioni di scarsa visibilità.


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Ma in altri casi, come in quello degli ometti dell’alpe del Gerlo, che incontreremo nella seconda parte dell’escursione, la loro funzionalità appare assai meno chiara, e forse deve essere legata a qualche motivo simbolico-rituale che ci sfugge interamente. Quel che è certo è che questi manufatti, che risalgono ad epoche antichissime, rimangono come muti testimoni di una civiltà di cui ben poco sappiamo e la cui suggestione, proprio per questo, accompagna, come un’ombra enigmatica ed inquietante, i nostri passi nel cammino.


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La salita fino al passo richiede circa tre ore ed un quarto, necessarie per superare un dislivello approssimativo di 1100 metri in salita. Oltre il passo di Vicima (che segna anche il confine del territorio del comune di Forcola), troviamo subito, sulla destra, una traccia di sentiero che comincia a salire, fino ad una bocchettina, un po’ insidiosa insidiosa, dalla quale si può tornare in Val di Tartano, scendendo, con percorso da affrontare con grande cautela, all’alpe del Gerlo.
Lasciamolo, però, alla nostra destra e proseguiamo, scendendo per un breve tratto alla conca sottostante, fino ad affacciarci su un pianoro più ampio, dove, inatteso, ci appare il bellissimo laghetto di Bernasca (m 2134), dominato, sulla destra, dalla mole del monte Seleron. Il sentiero, con qualche tornantino, percorre il fianco destro di un salto roccioso e ci permette di scendere alle sue rive. Il luogo, nascosto e tranquillo, regala un’impagabile senso di pace e di armonia. Ci sentiamo, qui, riconciliati con il mondo, o forse, semplicemente, in un altro mondo, nel quale l’eco di quello che quotidianamente ci circonda, e talora ci assale, neppure giunge.


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Passiamo a sinistra del lago e percorso un breve tratto, giungiamo a vedere, sulla nostra destra, lo sperone roccioso denominato Pizzolo e, nei suoi pressi, il rifugio Bernasca (m. 2093). Siamo sul limite superiore di destra dell’alpe di Bernasca, nella valle omonima, laterale della Val Madre.


Il rifugio Bernasca e, sullo sfondo, monte Disgrazia e testata della Valmalenco

Il rifugio dispone di una ventina di letti completi di cuscini e coperte, di una cucina, di tavoli con panche, di una stufa e di un camino con legna da ardere. E' provvisto anche di illuminazione da pannello solare e di due bagni con acqua calda.
Il rifugio era inizialmente sempre aperto, ma il deplorevole comportamento di alcuni utilizzatori (consumo di legna senza reintegro, piccoli furti, abbandono di rifiuti) potranno indurre i gestori a rivedere questa scelta. Spiace. Spiace perché sarebbe bello poter pensare che chi ama la montagna possegga anche un minimo senso di correttezza e di sensibilità per il rispetto degli altri. ma non sempre è così. E' bene, dunque, qualora lo si voglia utilizzare per il pernottamento, informarsi presso gli uffici dell'aministrazione comunale di Colorina (anche per conoscere il calendario delle aperture estive). Ed è altrettanto bene lasciare un'offerta preziosa per le spese di gestione della struttura.

L'edificio del rifugio è stato ricavato dalla baita della quinta e più alta "muda" (stazione di posizionamento dei capi durante il periodo di alpeggio) dell'alpe Bernasca, nei pressi della bocchetta del Pizzolo o di Bernasca, detta anche "Forcello" (la riconosciamo facilmente a destra (per chi scende verso il rifugio) del rifugio. Bocchetta che costituiva l'importante porta di comunicazione fra l'alpe Bernasca e la gemella alpe Cogola, posta più a nord (il caricatore dei due alpeggi era unico). L'alpe Bernasca purtroppo oggi risente delle condizioni di abbandono, ma in passato era un alpeggio di rilevante consistenza, con capacità di carico di 70 vacche ed altrettante capre. I vecchi di Colorina ricordano ancora che mentre l'alpe di Cògola era detta favorevole ai caricatori, perché la sua erba più fresca faceva produrre alle mucche più latte, quella di Bernasca era detta favorevole ai proprietari, perché l'erba, a causa del maggior soleggiamento, era più matura e tendeva a far ingrassare i capi.


Il laghetto di Bernasca, poco a monte del rifugio

L'escursione può terminare qui, ed il ritorno ripercorrere la medesima via di salita. Se però abbiamo due automobili a disposizione e ne abbiamo lasciato una a Colorina (al limite della carrozzabile sopra Colorina oltre il quale la strada è chiusa ai veicoli non autorizzati) possiamo scendere direttamente sul fondovalle della media Valtellina, con grande attenzione, però, al percorso, che sfrutta un buon sentiero, che tuttavia è tassativo non perdere per la natura selvaggia dei luoghi.
La discesa dal rifugio Bernasca all’attacco del sentiero per Sovalzo, sopra Colorina, richiede attenzione, perché il sentiero, segnalato a tratti, spesso latita e la fascia dell’alpeggio, che si estende per circa trecento metri di dislivello, è costituita non solo da prati, ma anche da noiose fascie di mecereti e roccette.


Il monte Disgrazia visto dal rifugio Bernasca

Procediamo così. Dal rifugio Bernasca cominciamo ad abbassarci seguendo la traccia di sentiero che taglia in diagonale verso sinistra. Superiamo così una fascia di pascolo ed una franetta, proseguendo diritti in graduale discesa, fra lembi di pascolo e roccette affioranti. Ci avviciniamo così ad una valletta. Prima di raggiungela, la traccia piega a destra e scende affiancandolo lungo una striscia di pascolo, per poi piegare a sinistra e portarsi sul suo lato opposto. Non la seguiamo, però, in questa svolta, ma restiamo sul medesimo lato, risaliamo per qualche metro la gobba erbosa alla nostra destra e scendiamo lungo un breve corridoio erboso. Pieghiamo ora a destra iniziando a scendere in diagonale fra pascoli e roccette, su facile terreno, fino a raggiungere un facile avvallamento che sdeguiamo stando più o meno al centro.


Il rifugio Bernasca e, sullo sfondo, monte Disgrazia e testata della Valmalenco

La discesa ci porta ad una sorta di conca, dove intercettiamo un sentiero che scende da destra. Lo seguiamo verso sinistra. Il sentiero descrive un arco verso sinistra, attraversando un pascolo pulito e raggiungendo la valletta sopra menzionata. Sul lato opposto pieghiamo a destra e poi subito a sinistra, raggiungendo la bella conca che ospita la Casera di Bernasca (m. 1965), affiancata da un baitello.


Apri qui una fotomappa della discesa dal passo di Vicima

Passiamo davanti alle due baite e proseguiamo nella discesa, sempre sul sentiero discretamente marcato, piegando a destra. Raggiunto il centro di un avvallamento, pieghiamo a destra e scavalchiamo un dosso erboso, proseguendo con qualche svolta su una larga striscia di pascolo. Superato un modesto gradito, siamo ad un nuovo avvallamento. Qui il sentiero piega a sinistra, superando piccole franette e portandosi di nuovo ad un’ampia striscia di pascoli. Piegando subito a destra ci portiamo al già ben visibile Baitone di Bernasca (m. 1890), anch’esso affiancato da una baita.


Apri qui una fotomappa della discesa dal rifugio Bernasca alle baite più basse dell'alpe

Il sentiero passa appena a sinistra di questa baita ed alla sua altezza piega decisamente a sinistra, scendendo ad attraversare una seconda valletta (il solco principale dell'alta Val Bernasca). Sul lato opposto proseguiamo diritti per un tratto, poi pieghiamo decisamente a destra riattraversando la valletta in una fascia di macereti. Tornati sul pascolo, vediamo alla nostra destra la baita più bassa dell’alpe (m. 1820).


Il rifugio Bernasca

Il sentiero però non ragigunge la baita, ma piega prima a sinistra e, descritto un arco, torna ad una fascia di macereti e riattraversa per la terza volta la valletta. Lasciati alle spalle i pascoli dell’alpe Bernasca, dobbiamo ora procedere fra macereti e macchie di larici, dapprima in leggera salita, traversando diritti verso nord, per un buon tratto, lungo il selvaggio versante che scende dalla pizzo di Presio. Il sentiero, pulito di recente, è a tratti esposto, con qualche protezione, e sempre marcato.


La baita più bassa dell'alpe Bernasca

Al termine della traversata, il sentiero piega ancora, questa volta a destra, e comincia una lunga discesa, che ci fa perdere 600 metri circa, sul crinale di un largo dosso compreso fra la valle Sciesa, alla nostra destra, ed un vallone laterale della valle del Pizzo, alla nostra sinistra.
Dopo un primo breve tratto di discesa, attraversiamo la radura della Piana (m. 1650 circa). Il sentiero diventa una mulattiera larga ed a tratti scalinata e protetta da muretti a secco, che scende con le sue serpentine all’ombra di un fiabesco ed incantevole bosco di abeti. Curiosamente, non è cartografata sulla carta IGM.


Discesa all'attacco del sentiero Bernasca-Sovalzo

Alla fine, poco sotto il rudere della baita Caprile (m. 1141), il sentiero volge a sinistra (attenzione a non perdere la svolta proseguendo verso il fondovalle: ci si ritroverebbe ai margini di un dirupo) ed iniziando l’ultimo lungo traverso sul fianco occidentale della bassa Val Madre, selvaggio e scosceso, procedendo quasi sempre in piano, protetti da corrimano alla nostra destra (ma la mulattiera è sempre larga).


Mulattiera Bernasca-Sovalzo

Attraversiamo, così, il solco dell’aspra ed impressionante valle del Pizzo (che scende dal versante nord-orientale del pizzo di Presio), proprio nel tratto in cui un salto roccioso forma un’interessante cascata del torrentello (dopo piogge abbondanti o in tarda primavera non si potrà evitare di ricevere il fresco spruzzo dell’acqua che precipita dal salto). Superato un secondo e più modesto vallone, che scende anch’esso dalle pendici del pizzo, ritorniamo a luoghi meno selvaggi: ci ritroviamo, infatti, nell’amena pianetta di Sovalzo (o Soalzo), ad 859 metri, dove ci accoglie un’edicola del Parco delle Orobie Valtellinesi.


Apri qui una fotomappa della discesa dal passo di Vicima a Sovalzo

E’ l’inizio della fine, e di una fine un po’ monotona dell’escursione: dobbiamo, infatti, percorrere un tratto su una carrozzabile sterrata, che si immette in una seconda sterrata la quale, a sua volta, si congiunge con la strada principale che sale da Colorina (chi volesse effettuare l’anello in senso inverso tenga presente che per raggiungere Sovalzo ci si deve staccare da questa strada alla terza traversa a sinistra). Non abbiamo altra alternativa che percorrerla in discesa fino al paese, che raggiungiamo dopo aver oltrepassato la bella chiesetta della Madonnina (m. 414).


Mulattiera Sovalzo-Bernasca

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