LA BOCCHETTA DI TRONA: L'IMPORTANZA STORICA


Apri qui una fotomappa del rifugio FALC e dei suoi dintorni

Non è azzardato affermare che la bocchetta di Trona ("buchéta de Truna") è, dal punto di vista storico, il più importante fra i numerosi valichi che collegano i due versanti della lunga catena orobica. Tale importanza ha radici antichissime: di qui, infatti, passa quella via del Bitto che è stata, per molti secoli, la via di comunicazione terrestre più diretta e breve fra la Valtellina ed il basso Lario, il che vuol dire, poi, con Milano. Il suo primato cominciò ad essere intaccato solo in epoca medievale, con la costruzione di una strada sulla riva orientale del Lario, poi ampliata nel secolo XIX. Ma al tempo dei Romani questi temevano una calata dei barbari proprio da qui (e fortificarono diversi luoghi strategici della Valsassina), ed è a loro che risale la definizione di questo asse come “via gentium”, cioè via delle genti. Parrebbe strano, visto che si dipana nel cuore delle Orobie occidentali, fra Valsassina (o, più precisamente fra Val Troggia, Val Biandino ed alta Val Varrone) e Val Gerola, eppure è così.
Qualche dato generale aiuta a comprendere l’importanza storica di questa direttrice. La via parte da Introbio, nel cuore della Valsassina, ma facilmente raggiungibile da Lecco (che dista circa 16 chilometri). Si sviluppa per 11,5 km da Introbio alla bocchetta di Trona (al confine fra le province di Bergamo e Sondrio), con un dislivello in salita di circa 1500 metri, e per 20 km dalla bocchetta di Trona a Morbegno, con un dislivello in discesa di circa 1900 metri effettivi (1800 sulla carta). In totale, 31,5 km circa, che, aggiunti ai 16 da Lecco ad Introbio, portano la distanza fra Lecco e Morbegno a 47,5 km.
Per la Via del Bitto, da Introbio, in Valsassina, a Morbegno passarono, nei secoli genti, mercanti ed eserciti. Fin dal primo apparire dei popoli che, salendo da sud, colonizzarono per primi questo questo lembo della catena orobica. Sembra che i primi siamo stati i Liguri, seguiti dai Celti e dagli Etruschi. Vennero, quindi, i Romani, ai tempi dell’imperatore Augusto. E, dopo di loro, venne la religione cristiana, predicata da S. Ermagora. Dopo la caduta dell’impero romano vennero i Goti, e dopo di loro i Longobardi, sconfitti dai Franchi: tutti passarono dalle valli orobiche, ed il valico della bocchetta di Trona era, fra tutti, il più praticato.


La bocchetta di Trona

All’inizio del Quattrocento salirono dalla Val Varrone alla bocchetta di Trona truppe al soldo dei Rusconi di Como, ghibellini, per dar man forte alla loro fazione, prevalente a Morbegno e sulla sponda orobica della bassa Valtellina, contro la fazione guelfa, che prevaleva a Traona e sul versante retico: la loro calata in valle, però, venne bloccata dalla coalizione avversa, salita in Val Gerola. Nel 1431 fu la volta dei Veneziani, che, uniti ad un contingente di Valsassinesi, varcarono la bocchetta per scendere a conquistare la bassa Valtellina, possesso dei Visconti di Milano: furono però disastrosamente sconfitti nella sanguinosa battaglia di Delebio l’anno successivo, nel 1432. Passarono di qui, il secolo successivo, nel 1515, i mercenari svizzeri in rotta dopo la sconfitta subita nella battaglia di Melegnano da parte dei Francesi: scesi in bassa Valtellina, molti di loro riuscirono a riparare nella natia Svizzera.


Pizzo di Trona, valle dell'Inferno e pizzo dei Tre Signori visti dal sentiero per la bocchetta di Trona

Nel 1531 venne un esercito nella direzione opposta, cioè dalla bassa Valtellina: si trattava di 6000 uomini delle Tre Leghe, capitanati da Giorgio Vestari, che, per la Val Troggia scesero ad Introbio, tentando di conquistarla. Vanamente. Sempre dalla Valtellina salirono i funesti Lanzichenecchi, nell’anno più nero della storia di questa valle, perché vi portarono un’epidemia di peste che ridusse la sua popolazione complessiva a poco più di un quarto. Pochi anni dopo, nel 1635, furono gli Spagnoli in rotta, sconfitti dai Francesi a Morbegno in uno dei tanti fatti d’armi della fase valtellinese della Guerra dei Trent’Anni, a varcare la bocchetta di Trona per scendere in Val Varrone. Ed ecco subito dopo, l’anno successivo, che il francese Duca di Rohan, vincitore sugli Spagnoli, passò anch’egli di qui per calare poi in Valsassina ed assumerne il controllo.


Rudere della casa Pio XI alla bocchetta di Trona

È l’ultimo transito significativo di armati, prima del secolo XX, quando, durante la seconda guerra mondiale, nell’ottobre del 1944, le forze nazifasciste organizzano un rastrellamento in grande stile che interessa la Valsassina. Gli elementi della brigata partigiana 55sima Rosselli, per sfuggire all’accerchiamento, decisero di ripiegare in Svizzera, lasciando solo alcune unità sul territorio della valle orobica, nell’intento di non perdere il contatto con la popolazione locale. Il grosso della brigata salì, quindi, in Val Troggia e, valicata la bocchetta di Trona, scese in Val Gerola, di cui attraversò l’intero fianco occidentale, passando per gli alpeggi di alta quota, al fine di evitare il presidio di SS italiane che stazionava a Pedesina. Dalla Corte scese, quindi, sul fondovalle, varcando, in punti diversi, con il favore delle tenebre, il fiume Adda, il 3 novembre. Gran parte degli elementi, risalito il versante orientale della Costiera dei Cech, si ritrovarono alla piana di Poira, sopra Civo, già sede, per alcuni mesi, del comando della 40sima Matteotti. Di qui traversarono alla Val dei Ratti ed alla Val Codera, riuscendo (non senza vittime) a passare in territorio elvetico per la bocchetta della Teggiola.
Poi più nulla. Ora passano solo i ben più miti escursionisti, lasciando impressioni ammirate ma anche, talvolta, qualche rifiuto davvero indesiderato.


Apri qui una panoramica sulla Val Varrone dalla bocchetta di Trona

Alla bocchetta di Trona giungeva anche una seconda importante strada storica, denominata "la Strada del Ferro" o "di Maria Teresa". A differenza della Via del Bitto, questa via saliva non dalla Valsassina, ma dalla Val Varrone, più ad ovest. Partiva infatti dalla frazione Giabi di Premana e risaliva tutta la Val Varrone. Venne tracciata molti secoli fa per trasportare a valle il minerale di ferro estratto nel bacino dell'alta Val Varrone. Guardando dalla bocchetta verso la Val Varrone, poco in basso, a sinistra, si vede ancora un baitello presso le ex miniere di ferro.
Il riferimento all'imperatrice Maria Teresa d'Austria si giustifica per il fatto che fu lei a promuoverne, nel Settecento, la risistemazione. Un'ulteriore intervento venne effettuato nel XX per inglobarla nel sistema di comunicazioni della liena Cadorna, che aveva nella bocchetta di Trona un nodo fondamentale. Il generale Cadorna sospettava infatti che la neutralità Svizzera proclamara dopo lo scoppio della Prima Guerra Mondiale e l'entrata in guerra del Regno d'Italia contro l'impero Austro-Ungarico non avrebbe retto e che quindi l'esercito Austro-Ungarico avrebbe potuto invadere la Valtellina dalla Valle di Poschiavo e dalla Val Bregaglia. Bisognava quindi fortificare tutto il crinale orobico per impedire che questo potesse scendere attraverso le valli della Bergamasca, minacciando Milano e la pianura Padana.


Fortino sopra la bocchetta di Trona

Questo spiega la presenza su un dosso a monte della bocchetta di un fortino militare (ancora in piedi) fatto costruire nel 1917. E' l'unico ad essere rimasto in piedi nell'intero complesso di fortificazioni della linea Cadorna che correva sul crinale orobico. Dentro la struttura è stata collocata anche una lapide che ricorda Giovanni Galbiati, perito nella scalata al pizzo di Trona il 17 agosto del 1927. Proprio sulla bocchetta, invece, si trova il rudere della struttura edificata nel 1924, Casa Pio XI, rifugio-colonia estiva della Federazioni Oratori Milanesi, che fu poi incendiata dai nazifascisti il 21 marzo 1944, per togliere ai partigiani un punto di appoggio.
Una nota linguistica, per concludere: il toponimo "Trona" è, in questi luoghi, tanto diffuso da essere riferito, oltre alla bocchetta, ad un pizzo, ad un lago ed ad un'alpe; esso deriva da "truna", che significa "ricovero", "luogo riparato", ma anche "cunicolo", e si riferisce, qui, ai cunicoli delle miniere di ferro sfruttate in passato.
Per raggiungere la bocchetta di Trona abbiamo due possibilità di fondo: una prima, più impegnativa, parte da Gerola e risale la valle della Pietra ("val de la Préda"), ed una seconda, più agevole, parte da Laveggiolo e passa per il rifugio di Trona Soliva. Raccontiamo la prima.


Apri qui una panoramica su Val Varrone e Valtellina dalla bocchetta di Trona

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GEROLA-VALLE DELLA PIETRA-RIFUGIO TRONA SOLIVA

Punti di partenza ed arrivo
Tempo necessario
Dislivello in altezza
in m.
Difficoltà (T=turistica, E=escursionistica, EE=per escursionisti esperti)
Gerola-Valle della Pietra-Rif. Trona Soliva
2 h e 30 min.
850
E
SINTESI. Alla prima rotonda all'ingresso di Morbegno (per chi proviene da Milano) prendamo a destra ed alla successiva ancora a destra; dopo un ponte imbocchiamo la provinciale della Val Gerola, saliamo a Gerola Alta. Ci portiamo poi all’uscita di Gerola Alta (m. 1050) verso Pescegallo e, ignorata la deviazione sulla destra per le frazioni di Castello e di Laveggiolo, proseguiamo fino al ponte sul torrente che scende dalla valle della Pietra. Appena prima del ponte, ci stacchiamo dalla strada sulla destra, percorrendo per un breve tratto una strada asfaltata che ci conduce ad un secondo ponte, superato il quale ci troviamo sul lato sinistro (per noi) della valle della Pietra. Percorriamo, così, per un buon tratto una bella mulattiera, fino ad intercettare una pista sterrata, che, tagliando un bel bosco di larici, ci porta ad una radura con cinque baite della Valle della Pietra (m. 1250). Qui troviamo un ponte che ci riporta sul lato destro della valle, dove seguiamo per un tratto l’argine del torrente, prima di cominciare a salire in un bosco, trovando, a quota 1450 circa, un bivio, al quale andiamo a sinistra. Superiamo un primo torrentello per poi incontrarne, più in alto, un secondo. Stiamo salendo, con diversi tornanti, su una bella mulattiera, con fondo lastricato di pietre ed intorno a quota 1580 incontriamo una deviazione, sulla sinistra, che ignoriamo. Noi proseguiamo sul tracciato principale, che in alcuni punti è scavato nella roccia, ed a quota 1620 metri circa varchiamo in senso opposto, cioè da sinistra a destra, il torrentello incontrato più in basso. Più in alto, ritroviamo per la terza volta, a quota 1780 metri, il corso d’acqua, e lo varchiamo da destra a sinistra, per poi cominciare a risalire un largo dosso che porta al limite inferiore dei pascoli di Trona, passando a destra della casera nuova di Trona (m. 1830). La salita ci porta ad un quadrivio al quale intercettiamo la Gran Via delle Orobie: prendiamo a destra e saliamo al rifugio Trona Soliva (m. 1907).


Valle e pizzo di Trona

Alla prima rotonda all'ingresso di Morbegno (per chi proviene da Milano) prendamo a destra ed alla successiva ancora a destra; dopo un ponte imbocchiamo la provinciale della Val Gerola, saliamo a Gerola Alta. Portiamoci all’uscita di Gerola verso sud (alta valle) e, ignorata la deviazione sulla destra per le frazioni di Castello e di Laveggiolo (“Lavegiöl”), proseguiamo fino al ponte sul torrente che scende dalla valle della Pietra. Appena prima del ponte, stacchiamoci dalla strada sulla destra, percorrendo per un breve tratto una strada asfaltata che ci conduce ad un secondo ponte, superato il quale ci troviamo sul lato sinistro (per noi) della valle della Pietra. Percorriamo, così, per un buon tratto una bella mulattiera, fino ad intercettare una pista sterrata, che, tagliando un bel bosco di larici, ci porta ad una radura con alcune baite, a quota 1250. Qui troviamo un ponte che ci riporta sul lato destro della valle, dove seguiamo per un tratto l’argine del torrente, prima di cominciare a salire in un bosco, trovando, a quota 1450 circa, un bivio. Un cartello ci informa che entrambi i rami portano al rifugio di Trona, quello di destra in un’ora, quello di sinistra in un’ora e mezza. Il primo, infatti, sale deciso sul fianco della valle, in un bellissimo bosco, per poi sbucare, a quota 1700, su un ampio dosso, occupato dai prati e da qualche larice solitario, e salire, con traccia debole, fino ad intercettare, a quota 1900, la pista che da Laveggiolo effettua la traversata all’alpe di Trona Soliva.
Noi dobbiamo, però, seguire la traccia di sinistra, che, dopo qualche metro, supera un primo torrentello che scende dal fianco orientale della valle, per poi incontrarne, più in alto, un secondo. Stiamo salendo, con diversi tornanti, su una bella mulattiera, con fondo lastricato di pietre, in uno scenario che non manca di elementi di asprezza, legati alle slavine che hanno reso irregolari le macchie e la vegetazione. Intorno a quota 1580 incontriamo una deviazione, sulla sinistra: si tratta di un sentiero che punta verso il bacino artificiale di Trona. Noi proseguiamo sul tracciato principale, che in alcuni punti è scavato nella roccia, ed a quota 1620 metri circa varchiamo in senso opposto, cioè da sinistra a destra, il torrentello incontrato più in basso, che in questo punto scende, molto suggestivamente, da una lunga roccia, dalla pendenza non accentuata, con un fresco scroscio. Più in alto, ritroviamo per la terza volta, a quota 1780 metri, il corso d’acqua, e lo varchiamo da destra a sinistra, per poi cominciare a risalire un largo dosso che porta al limite inferiore dei pascoli di Trona, passando a destra della casera nuova di Trona (m. 1830).
Al termine della salita, ci troviamo ad un quadrivio, nel quale alcuni cartelli ci chiariscono un po’ le idee. Abbiamo, infatti, intercettato la Gran Via delle Orobie, che, percorsa verso destra porta al rifugio di Trona Soliva, mentre in senso opposto si dirige al bacino artificiale di Trona. C’è, però, anche un sentierino che si stacca dalla Gran Via e punta deciso, in salita, alla bocchetta di Trona, ed è quello che ci interessa. Se, però, vogliamo prima sostare al rifugio di Trona Soliva, ottenuto riadattando la casera vecchia di Trona (m. 1907), prendiamo a destra.

Il rifugio è già ben visibile, ai piedi dell’ampio e luminoso anfiteatro di alpeggi che si dispiega ai piedi del versante orientale del pizzo Mellasc' (m. 2465). Lo raggiungiamo dopo un ultimo tranquillo tratto: sono trascorse circa due ore e mezza dalla partenza, ed abbiamo superato 850 metri in altezza. Il panorama dal rifugio è bellissimo: guardando a sud, riconosciamo lo sbarramento della diga di Trona e, alla sua destra, la mole imperiosa del pizzo omonimo (m. 2510). Alle spalle della diga si vede bene anche il solco della valle della Pietra, risalendo la quale si trova il bellissimo lago Zancone ("làch Sancùn", m. 1856) e la bocchetta di Val Pianella (m. 2224). Più a sinistra, il Torrione di Tronella (m. 2311), nel quale culmina la frastagliata costiera che divide le valli di Trona e di Tronella.


Il rifugio di Trona Soliva

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GEROLA-LAVEGGIOLO-RIFUGIO TRONA SOLIVA

Punti di partenza ed arrivo
Tempo necessario
Dislivello in altezza
in m.
Difficoltà (T=turistica, E=escursionistica, EE=per escursionisti esperti)
Laveggiolo- Rif. Trona Soliva
2 h
480
E
SINTESI. Alla prima rotonda all'ingresso di Morbegno (per chi proviene da Milano) prendamo a destra ed alla successiva ancora a destra; dopo un ponte imbocchiamo la provinciale della Val Gerola, saliamo a Gerola Alta e all'uscita dal paese lasciamo la strada per Pescegallo per prendere a destra, imboccando la strada che termina a Laveggiolo, dove parcheggiamo (m. 1471). Ci incamminiamo sulla pista che procede verso ovest-sud-ovest, in direzione dell'imbocco della Val Vedrano, lasciandola però non appena vediamo sulla sinistra un sentiero che se ne stacca traversando più basso fino al torrente Vedrano, che supera su un ponticello, per poi salire sul versante opposto e tagliare più volte la pista. Alla fine restiamo sulla pista, giungiamo alla casera quotata 1865 e proseguiamo sul tracciato che si inoltra nella valle della Pietra, in direzione del rifugio Trona Soliva. La traversata, con qualche saliscendi, ci porta al grande edificio del rifugio di Trona Soliva (m. 1907).


Apri qui una panoramica su Val Gerola e Valle di Trona dalla pista per il rifugio Trona Soliva

Vediamo, ora, come giungere al rifugio da Laveggiolo (seconda possibilità), e, infine, come proseguire dal rifugio alla bocchetta. Alla prima rotonda all'ingresso di Morbegno (per chi proviene da Milano) prendamo a destra ed alla successiva ancora a destra; dopo un ponte imbocchiamo la provinciale della Val Gerola, saliamo a Gerola Alta. In uscita dal paese, subito dopo la chiesa di S. Bartolomeo ed il piccolo cimitero, lasciamo la strada principale e prendiamo a destra, su strada asfaltata che sale alle frazioni alte ad ovest del paese. Dopo pochi tornanti passiamo a destra della località Castello (“castèl”, nucleo già citato in un documento del 1323); ignorata la deviazione a destra per la località Case di Sopra (“li cà zzuri”, già citata nel 1333 e distrutta da una valanga nel 1836), incontriamo, quindi, nel successivo tratto la chiesetta secentesca di San Rocco (“san ròch”, m. 1395), su un poggio panoramico che guarda all’alta Val Gerola. I successivi tornanti destrorso e sinistrorso ci portano, infine, a Laveggiòlo (“lavegiöl”, m. 1470), dove troviamo un parcheggio al quale lasciare l’automobile.
L’antico nucleo è citato già in un documento del 1321, dove risulta costituito  da tre nuclei famigliari, tutti Ruffoni, che discendono da un unico capostipite, tal ser Ugone. È collocato su una fascia di prati assai panoramica (il colpo d’occhio sul gruppo del Masino e sulla testata della Val Gerola è davvero suggestivo), nella parte mediana del lungo dosso che scende verso est dalla cima del monte Colombana (“ul pizzöl”, m. 2385). Il suo nome deriva, probabilmente, da "lavegg", la nota pietra grigia molto utilizzata in Valtellina per ricavarne piatti ed altri utensili.
Dalla spianata del parcheggio, dove si trova anche un’edicola del Parco delle Orobie Valtellinesi, parte una pista sterrata che si dirige verso l’imbocco della Val Vedràno (“val vedràa”), il cui torrente, omonimo, confluisce nel Bitto poco a nord di Gerola.
Si tratta di una pista chiusa al traffico; un gruppo di cartelli vicino a quello di divieto di accesso ci segnala, fra l’altro, che imboccando la pista percorriamo un tratto della Gran Via delle Orobie (G.V.O.) e insieme del Sentiero della Memoria (a ricordo del ripiegamento della 55sima brigata partigiana Fratelli Rosselli, che effettuò, nel novembre del 1944, la traversata Valsassina-Val Gerola-Costiera dei Cech-Valle dei Ratti-Val Codera-Svizzera), che ci porta, in un’ora e mezza, al rifugio di Trona Soliva; da qui, poi, con un’ulteriore ora di cammino, possiamo portarci al rifugio Falc. Incamminiamoci, dunque, sulla pista, fino a trovare, dopo un breve tratto, sulla sinistra, un cartello della G.V.O. che segnala la partenza di un sentiero (segnalato da segnavia rosso-bianco-rossi) che se ne stacca per portarsi, con tracciato più diretto, al guardo del torrente Vedrano. Lo imbocchiamo e, dopo una breve e poco marcata discesa, procediamo quasi in piano, superando alcune baite; ad un bivio, presso una fontanella ed un casello del latte, ignoriamo la traccia meno marcata che sale verso destra (indicazione “Vedrano” su un masso), procedendo diritti. Superati in rapida successione due modesti corsi d’acqua, usciamo dal bosco e superiamo un torrentello, per poi scendere leggermente fino al ponticello di travi in legno che ci permette di superare il torrente Vedrano (m. 1541).


Sentiero per la Val Vedrano

Sul lato opposto della valle troviamo subito, a destra, un’amena radura, con un tavolo in legno e due panche per chi volesse sostare; un’indicazione su un masso (“Castello”) segnala che giunge fin qui anche un sentiero che parte più in basso, dalla località Castello. Il sentiero, che qui diventa larga mulattiera, prende a salire sul fianco boscoso della valle, ingentilito da luminosi larici e, dopo un traverso a sinistra, propone una sequenza di tornanti dx, sx, e dx, prima di intercettare, a quota 1595, la medesima pista sterrata che abbiamo lasciato poco dopo Laveggiolo. Pista che possiamo tranquillamente seguire nel prosieguo dell'escursione, perché in anni recenti è stata prolungata fino al rifugio Trona Soliva, mentre la storica mulattiera (che però in buona parte è rimasta) corre un po' più bassa rispetto alla pista medesima.
Dopo un tornante a destra ed il successivo a sinistra, percorriamo un lungo traverso, superando un primo traliccio, un torrentello ed un secondo traliccio (si tratta della linea ad alta tensione che scavalca il crinale orobico in corrispondenza della bocchetta di Trona), presso una radura. Passiamo, poi, accanto alla baita isolata quotata 1725 metri. Una sosta ed uno sguardo alle nostre spalle ci permette di ammirare l’ottimo colpo d’occhio sulle cime del gruppo del Masino, dal pizzo Cengalo al monte Disgrazia.


Laveggiolo dalla pista agro-silvo-pastorale per il rifugio Trona Soliva

Dopo il successivo tornante a destra, troviamo, sulla sinistra, il cartello che segnala la ripartenza della mulattiera che abbiamo lasciamo un bel tratto sotto. Se lasciamo la pista per seguire la mulattiera, saliamo per un tratto verso sinistra, poi affrontiamo una sequenza di tornanti dx-sx-dx-sx ed usciamo dalla macchia di larici, attraversando una piccola radura fino ad una roccia affiorante, per poi volgere di nuovo a destra. Dopo un ultimo tornante a sinistra, raggiungiamo una radura con un tavolo in legno e due panche: siamo alla “furscèla” (m. 1888), cioè alla forcella, piccola bocchetta sul crinale che dal Piazzo (“piz di piàz”, m. 2269) scende verso est.


Apri qui una panoramica dei sentieri della Valle della Pietra

Ci affacciamo, così, sulla soglia settentrionale dell’ampio bacino dell’alpe di Trona e si apre davanti a noi l’intera testata della Val Gerola, che mostra, da est (sinistra), il monte Verrobbio (m. 2139), il pizzo della Nebbia (“piz de la piana”, m. 2243), i pizzi di Ponteranica (“piz de li férèri” o “piz ponterànica”, orientale, m. 2378, meridionale, m. 2372, occidentale, m. 2372), l’agile spuntone del monte Valletto (“ul valèt” o “ul pizzàl”, m. 2371), la compatta compagine della Rocca di Pescegallo (o Denti della Vecchia, “ul filùn de la ròca” o “denc’ de la végia”, cinque torrioni il più alto dei quali è quotato m. 2125 e che vengono visti come un unico torrione da Gerola, chiamato anche “piz de la matìna” perché il sole vi sosta, appunto, la mattina), i pizzi di Mezzaluna (“li mezzalüni”, vale a dire il pizzo di Mezzaluna, m. 2333, la Cima di Mezzo ed il caratteristico ed inconfondibile uncino del torrione di Mezzaluna, m. 2247), il pizzo di Tronella (“pìich”, m. 2311), il regolare ed imponente cono del pizzo di Trona (“piz di vèspui”, m. 2510) ed infine il più famoso ma non evidente, per il suo profilo tondeggiante e poco pronunciato, pizzo dei Tre Signori (“piz di tri ségnùr”, m. 2554, chiamato così perché punto d’incontro dei confini delle signorie delle Tre Leghe in Valtellina, degli Spagnoli nel milanese e dei Veneziani nella bergamasca).


Clicca qui per aprire una panoramica sul gruppo del Masino visto dalla pista per il rifugio Trona

Dopo qualche saliscendi, raggiungiamo un grande traliccio, a monte del quale si trova un frangi-valanghe in cemento, su cui è scritto “Rifugio di Trona 10 min.” Pochi metri più avanti, infatti, dopo una semicurva ci appare la struttura del rifugio: ci vien da pensare che 10 minuti è stima ottimistica, e ci vorrà almeno un quarto d’ora. Dopo aver superato il punto nel quale ci intercetta, salendo da sinistra, il sentiero che sale diretto dal fianco orientale della Val della Pietra (segnalazione su un masso), ci attende un’antipatica discesa (infatti ogni discesa diventa salita al ritorno!), che ci porta ad attraversare un torrentello, prima di riprendere a salire. Attraversato il torrentello, alziamo lo sguardo verso il crinale nel quale culminano gli alpeggi: vedremo, alla sommità di una sorta di enorme scivolo erboso, il profilo sfuggente del pizzo Mellasc.
Poi dobbiamo giocoforza salire ad intercettare la pista che ci porta al grande edificio del rifugio di Trona Soliva (“casèri végi”, la Casera vecchia di Trona sulla carta IGM, m. 1907),
che offre i servizi di pranzo, di mezza pensione o pensione completa, con piatti tipici valtellinesi fatti in casa (pizzoccheri fatti a mano, gnocchi di patate al grano saraceno prodotti nel rifugio stesso, polente e carni, dolci fatti in casa) o classici della cucina italiana (lasagne, paste fresche all'uovo fatte in casa, ...). A 15 minuti dal rifugio c'è anche una palestra attrezzata di arrampicata su roccia. Diverse arrampicate con diversi gradi di difficoltà si trovano da mezz'ora di cammino in poi. Dal rifugio si possono effettuare diverse escursioni, comprese le salite al pizzo dei Tre Signori ed al pizzo Mellasc', che domina con la sua verde ed un po' sfuggente cima il versante ad ovest del rifugio.

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RIFUGIO TRONA SOLIVA-BOCCHETTA DI TRONA-RIFUGIO SANTA RITA

Punti di partenza ed arrivo
Tempo necessario
Dislivello in altezza
in m.
Difficoltà (T=turistica, E=escursionistica, EE=per escursionisti esperti)
Laveggiolo-Rif. Trona Soliva-Bocchetta di Trona-Bocchetta della Cazza-Rif. S. Rita
3 h
670
E
SINTESI. Alla prima rotonda all'ingresso di Morbegno (per chi proviene da Milano) prendamo a destra ed alla successiva ancora a destra; dopo un ponte imbocchiamo la provinciale della Val Gerola, saliamo a Gerola Alta e all'uscita dal paese lasciamo la strada per Pescegallo per prendere a destra, imboccando la strada che termina a Laveggiolo, dove parcheggiamo (m. 1471). Ci incamminiamo sulla pista che procede verso ovest-sud-ovest, in direzione dell'imbocco della Val Vedrano, lasciandola però non appena vediamo sulla sinistra un sentiero che se ne stacca traversando più basso fino al torrente Vedrano, che supera su un ponticello, per poi salire sul versante opposto e tagliare più volte la pista. Alla fine restiamo sulla pista, giungiamo alla casera quotata 1865 e proseguiamo sul tracciato che si inoltra nella valle della Pietra, in direzione del rifugio Trona Soliva. La traversata, con qualche saliscendi, ci porta al grande edificio del rifugio di Trona Soliva (m. 1907). Proseguiamo sul sentiero segnalato, verso sud-ovest. Dopo un largo giro, aggiriamo un dosso e ci affacciamo al vallone che sale alla bocchetta. Ad un bivio segnalato ignoriamo il sentiero di sinistra che traversa alla diga dell'Inferno e stiamo a destra, raggiungendo in breve la bocchetta di Trona (m. 2092). Qui prendiamo a sinistra (indicazioni per i rifugi FALC e Santa Rita) e, dopo breve discesa, cominciamo a traversare sulla parte alta della Val Varrone, fino a trovare l'indicazione che ci manda a sinistra per il rifugio FALC. La ignoriamo a continuiamo la traversata alta sul sentiero segnalato, fino a raggiungere la bocchetta della Cazza: poco oltre vediamo il rifugio Santa Rita (m. 2000), che raggiungiamo in pochi minuti.


Il rifugio Trona Soliva

Dopo la sosta risotratrice, ci rimettiamo in cammino. Appena oltre il rifugio, si trova un bivio: il sentiero di sinistra (prosecuzione della G.V.O. e del Sentiero della Memoria, ora pista sterrata) scende alla Casera nuova di trona (“li caséri”), dalla quale si può salire diritti alla diga di Trona e poi prendere a sinistra (Tronella e Pescegallo), si può salire a destra (rifugio Falc e pizzo dei Tre Signori) e si può, infine, scendere a sinistra in Valle della Pietra, fino a Gerola; il sentiero di destra, invece, non segnalato da cartelli, sale alla bocchetta di Trona.


Apri qui una panoramica del sentiero che sale alla bocchetta di Trona

Per salire alla bocchetta di Trona dal rifugio proseguiamo diritti, seguendo il sentiero che assume, nel primo tratto, la direzione sud-ovest, per poi volgere a sinistra, dopo aver attraversato un torrentello, ed aggirare, volgendo a destra, un crinale che si stacca dalla quota 2302 e scende verso nord-est. Oltrepassato il crinale, ci troviamo ai piedi di un ampio e facile canalone e lo risaliamo, passando alti, sulla destra, rispetto alla baita isolata di quota 2019 ("baita de varùn") e passando a sinistra di una baita isolata. Poco sotto la bocchetta ignoriamo le indicazioni del sentiero che si stacca verso sinistra e traversa alla diga dell'Inferno. Siamo così ai 2092 metri della bocchetta di Trona, riconoscibile anche per il grande traliccio che sembra vegliarla. Soffermiamoci, ora, ad ammirare il versante retico, dove si impone buona parte della lunga testata del gruppo Masino-Disgrazia, sulla quale distinguono, da sinistra, il pizzo Cengalo, i pizzi Gemelli, i pizzi del Ferro (sciöma dò fèr), la cima di Zocca, le cime di Castello e Rasica, i pizzi Torrone, il monte Sissone ed il monte Disgrazia, che si impone per la mole imponente.


Pizzo di Trona dal sentiero per la bocchetta di Trona

Sul lato della bergamasca si apre, invece, un orizzonte assai vasto, dove si impone, a sinistra, l'inconfondibile pizzo Varrone, nume tutelare della valle omonima. In basso ed in primo piano vediamo l’ampia conca dell’alta Val Varrone, dove, a quota 1672, è posto il rifugio Casera Vecchia di Varrone. Si tratta di una struttura sempre aperta nella stagione estiva e nei finesettimana durante il resto dell’anno, che rappresenta un ottimo punto di appoggio per l’esplorazione delle Orobie occidentali. La discesa al rifugio può avvenire facilmente sfruttando un largo sentiero, anch’esso di notevole importanza dal punto di vista storico: si tratta dell’antica Strada del Ferro, poi denominata Strada di Maria Teresa.


La bocchetta di Trona

A monte della bocchetta, appena sopra di noi, troviamo, invece, il rudere dell’ex-fortino militare fatto costruire nel 1917 nel contesto delle fortificazioni della linea Cadorna: lo Stato Maggiore del Regno d'Italia temeva, infatti, che, in caso di sfondamento del fronte dello Stelvio-Adamello, o di passaggio in territorio elvetico (non si era infatti sicuri della neutralità della Svizzera), gli Austriaci avrebbero potuto dilagare, attraverso la Valtellina, nella pianura Padana, minacciando Milano. La linea orobica doveva, quindi, assicurare il versante delle Orobie bergamasche da possibili direttrici secondarie di attacco alla pianura padana, oltre che fungere da punto di partenza per eventuali controffensive. Il fortino divenne, dopo la guerra, una cappella. La particolarità di questo fortino è che è l'unico ad essere rimasto in piedi nell'intero complesso di fortificazioi della linea Cadorna che correva sul crinale orobico. Dentro la struttura è stata collocata anche una lapide che ricorda Giovanni Galbiati, perito nella scalata al pizzo di Trona il 17 agosto del 1927. Proprio sulla bocchetta, invece, troviamo il rudere della struttura edificata nel 1924, Casa Pio XI, rifugio-colonia estiva della Federazioni Oratori Milanesi, che fu poi incendiata dai nazifascisti il 21 marzo 1944, per togliere ai partigiani un punto di appoggio.
Le possibilità di proseguire l’escursione dalla bocchetta, però, non si esauriscono qui: potremmo puntare ad una visita al rifugio F.A.L.C. o al Santa Rita. Nel secondo caso, seguendo le indicazioni per il rifugio S. Rita, scendiamo per un tratto verso sinistra, per poi effettuare una lunga traversata (quota 2020-2040) dell'alta Val Varrone, ignorando la deviazione per il rifugio F.A.L.C. e quella successiva per la bocchetta di Piazzocco ("buchétìgn dul bùgher"). La traversata permette di ammirare il pizzo Varrone (m. 2325), il cui profilo severo è caratterizzato dall'inconfondibile Dente del Varrone, che, visto da qui, sembra, erroneamente, essere la cima principale. Terminata la traversata, ci ritroviamo, dopo una breve discesa, alla bocchetta della Cazza (termine dialettale che sta per "mestolo"), presso la quale sorge il rifugio S. Rita. Il dislivello complessivo da Laveggiolo è di 670 metri circa, mentre il tempo approssimativo è di tre ore.
Se siamo giunti fin qui, non possiamo assolutamente perdere l’occasione per visitare lo stupendo lago di Sasso. Poco prima di raggiungere il rifugio, giungendo dalla Val Varrone, si trova una deviazione a sinistra, segnalata da un cartello, che permette di imboccare un sentiero il quale compie una traversata sul fianco erboso della costiera Val Varrone - Val Biandino, perdendo con gradualità quota e portando al baitello del Lago. Poco oltre si comincia a salire dolcemente, si passa sul lato opposto del torrente Troggia e si raggiunge in breve il pianoro terminale della valle, occupato dal bellissimo lago di Sasso (m. 1922), che deve il suo nome alla sua forma, oppure ai grandi massi che vi sono caduti dentro dal versante destro. Il panorama è dominato dal pizzo dei Tre Signori (m. 2554). La traversata richiede circa mezzora.

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ANELLO RIFUGIO TRONA SOLIVA-RIFUGIO FALC

Punti di partenza ed arrivo
Tempo necessario
Dislivello in altezza
in m.
Difficoltà (T=turistica, E=escursionistica, EE=per escursionisti esperti)
Laveggiolo-Rif. Trona Soliva-Bocchetta di Trona-Rif. Falc-Bocchetta del Varrone-Rif. Trona
4 h
750
E
Rif. Trona Soliva-Bocchetta di Trona-Rif. Falc-Bocchetta del Varrone-Rif. Trona
1 h e 45 min.
260
E
SINTESI. Alla prima rotonda all'ingresso di Morbegno (per chi proviene da Milano) prendamo a destra ed alla successiva ancora a destra; dopo un ponte imbocchiamo la provinciale della Val Gerola, saliamo a Gerola Alta e all'uscita dal paese lasciamo la strada per Pescegallo per prendere a destra, imboccando la strada che termina a Laveggiolo, dove parcheggiamo (m. 1471). Ci incamminiamo sulla pista che procede verso ovest-sud-ovest, in direzione dell'imbocco della Val Vedrano, lasciandola però non appena vediamo sulla sinistra un sentiero che se ne stacca traversando più basso fino al torrente Vedrano, che supera su un ponticello, per poi salire sul versante opposto e tagliare più volte la pista. Giungiamo così alla casera quotata 1865 e proseguiamo sul sentiero che si inoltra nella valle della Pietra, in direzione del rifugio Trona Soliva. La traversata, con diversi saliscendi, ci porta al grande edificio del rifugio di Trona Soliva (m. 1907). Proseguiamo sul sentiero segnalato, verso sud-ovest. Ad un bivio segnalato ignoriamo il sentiero che traversa alla diga di Trona e stiamo a destra, sul sentiero che aggira un dosso e risale il vallone che adduce alla bocchetta di Trona (m. 2092). Qui prendiamo a sinistra (indicazioni per i rifugi FALC e Santa Rita) e dopo breve discesa cominciamo a traversare sulla parte alta della Val Varrone, fino a trovare l'indicazione per il rifugio FALC: qui lasciamo il sentiero per salire verso sinistra, seguendo i segnavia, fra facili rccette, fino a raggiungere, dopo pochi minuti, il rifugio FALC (m. 2115). Di qui saliamo alla vicina bocchetta del Varrone e scendiamo verso sinistra, sul sentiero più alto (non quello che scende alla diga dell'Inferno; qualche tratto esposto). Ad un bivio stiamo a sinistra ed intercettiamo appena sotto la bocchetta di Trona il sentiero seguito all'andata, per il quale torniamo al rifugio Trona Soliva.

Dalla bocchetta di Trona è facile traversare al rifugio F.A.L.C., per poi rientrare in Val Gerola e tornare al rifugio Trona Soliva In questo caso, dopo il primo tratto di discesa e traversata in direzione del S. Rita, seguiamo la deviazione sulla sinistra, segnalata (indicazione per il rifugio FALC), e risaliamo lungo un canalino di roccette, fino a giungere, in breve, al rifugio Falc (m. 2115, detto, dialettalmente, "cà dul bóla"), edificato dall'omonima Società Alpinistica milanese ed inaugurato il 18 settembre 1949. F.A.L.C. è un acronimo dell'espressione beneaugurante latina Ferant Alpes Laetitiam Cordibus, cioè Arrechino le Alpi gioia ai cuori.


Il rifugio Falc

Dal rifugio si può proseguire, su itinerario segnalato, per il pizzo dei Tre Signori (m. 2554), oppure scendere alla diga dell’Inferno (m. 2085), proseguendo poi per quella di Trona (m. 1805), dalla quale un sentiero, che taglia in direzione nord-ovest il fianco montuoso, riporta al rifugio di Trona Soliva (si tratta di un tratto della già segnalata Gran Via delle Orobie). Se invece vogliamo tornare al rifugio Trona Soliva per una diversa via possiamo sfruttare il sentiero diretto (con qualche tratto esposto, che richiede cautela) che aggira sul lato opposto (orientale) la dorsale dei Dentini di Trona (quella ad occidente della quale siamo passati traversando dalla bocchetta di Trona al rifugio Falc).


Apri qui una panoramica sul rifugio FALC e sulla bocchetta del Varrone

Per farlo procediamo così. Dal rifugio saliamo alla vicina bocchetta del Varrone (m. 2126) e ci riaffacciamo in Val Gerola, e precisamente sulla Valle dell'Inferno, poco a monte dell'omonimo lago chiuso da una diga. Qui scendiamo verso sinistra, ma non sul sentiero che scende verso il camminamento della diga, ma su quello più alto che punta a sud. Superiamo qualche passaggio esposto, poi, ad un bivio, stiamo sul sentierino di sinistra (indicazioni per il rifugio trona), proseguendo nella traversata che termina alle balze erbose poco sotto la bocchetta di Trona. Qui ci ricongiungiamo con il sentiero seguito all'andata e per esso torniamo al rifugio Trona.

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CARTA DEL PERCORSO SULLA BASE DI © GOOGLE-MAP (FAIR USE)

GALLERIA DI IMMAGINI

PASSI E PENSIERI DI IVAN FASSIN

Il 28 giugno del 2015 è scomparso Ivan Fassin, grande uomo di cultura che ha vissuto la passione per la montagna e quella per il pensiero e le scienze umane come dimensioni profondamente legate. Nel suo volumetto “Il conglomerato del diavolo – Fantasticherie alpine” (Sondrio, L'officina del Libro, 1991) così racconta una sua escursione in questi luoghi (salita da Pescegallo, per il passo di Salmurano, all'altipiano dei Piazzotti ed alla cime dei Piazzotti occidentale, discesa alla boccehtta di Val Pianella e traversata alla bocchetta d'Inferno per il sentiero 101, discesa alla bocchetta di Varrone e traversata alla bocchetta di Trona, discesa al lago di Trona ed all'imbocco della Val Pianella o Val di Trona):


Rifugio Benigni

Sbuchiamo sul dosso delle Foppe di Pescegallo… Traversata in fondo la valle risaliremo per per il più diretto sentiero… sotto il costone della cima orientale di Piazzotti, all'aereo passo di Salmurano. Intanto già da un po' andavamo guardando i primi contrafforti del regno del conglomerato, vale a dire la costiera turrita dei Denti della Vecchia, illuminata dai primi raggi del sole, rosa.violacea come piccole dolomiti locali. Al passo, come accade, si presenta una situazione geografica del tutto diversa da quella immaginata: una fossa profonda, rotondeggiante, ancora in ombra, costituisce la testata della Val Salmurano… Ora il sentiero si sviluppa per un tratto pianeggiante o in leggera discesa, tagliando in costa i ripidi pendii erbosi sotto gli erti colonnati di conglomerato rossiccio che fanno da sostegno, su questo lato, alla Cima Piazzotti (est). La via poi si inerpica entro un singolare canale sassoso, in cui prosperano certi fiori gialli.. A quanto pare l'incertezza dei crinali e dei deflussi va fatta risalire almeno all'era glaciale, quando il ghiacciaietto sospeso sull'altopiano Piazzotti, intanto che scavava la piccola fossa in cui oggi si annida il lago, riversava le sue lingue sia verso la Val Tronella che su questo lato.


Laghetto superiore dei Piazzotti

Ci avviamo sul pendio tutto solcato da vallette che, sviluppandosi per qualche centinaio di metri (e cento in altitudine) porta alla cima Piazzotti occidentale. Saliamo ancora verso la croce, preceduti da un silenzioso giovane che punta a quella meta come un pellegrino frettoloso; dall'altra parte della valle, tra nebbie dense e grigiastre, un gregge sta abbarbicato in posizione impossibile sul torrione di Giacomo: belano e invocano forse sale o acqua, che scarseggia. Da queste parti sembrano comunicare più gli animali che gli uomini… Dalla vetta gettiamo uno sguardo nel grigiore opaco della valle di Trona, e una occhiata nostalgica al torrione della Mezzaluna, che appare come un miraggio, ancora illuminato dal sole, in un solco della cresta; poi ci affrettiamo a scendere, nella convinzione che il tempo precipiti.


Il sentiero 101 sotto la cima dei Piazzotti occidentale

Non però per ritornare al rifugetto Benigni esposto a tutti i venti sul piccolo altopiano là in fondo, né divallando su Trona lungo una enorme ganda che riempie un vasto canale, bensì calando cauti sulla bocchetta di val Pianella, tra l'erba scivolosa, su una traccia sommaria, ma distinta… Proseguiamo… su un bel percorso che va verso il rifugio Grassi, correndo in quota sul versante meridionale del gruppo. Ma ovviamente vediamo poco più che il sentiero, intuiamo un “sopra” tetro e incombente, un “sotto” che fugge via: il cammino esige qualche attenzione, correndo alto su pendii erbosi ripidi, e più di rado traversando scogli e crestoni rocciosi… In questa tetraggine avanziamo molto rapidamente, apprezzando però l'intelligenza del tracciato, e la sua “esposizione” (ce ne aveva resi avvertiti la pallidezza di un ragazzo che col padre lo percorreva in senso opposto al nostro, e che avevamo incontrato all'inizio sul dosso di Giarolo), finché approdiamo a un piccolo circo invaso da enormi massi e, dopo lo scavalcamento di un ennesimo crestone, ci infiliamo nel rettilineo vallone d'Inferno (bergamasco). A sinistra la Sfinge è invisibile nella nebbia…


Lago Zancone e Val Pianella (o Val di Trona)

Così, dopo la bocchetta d'Inferno… andiamo di corsa su un sentierino che fa lievi saliscendi su canali e pascoli ripidi che scivolano verso il lago, alla bocchetta di Varrone, più un largo spiazzo che un passo, quasi uno svaso da cui l'antico ghiacciaio prendeva la via della Val Varrone. Anche noi ci affacciamo a guardare la testata di quella valle, il rifugetto FALK che sembra oggi deserto… Dall'altra parte di questa dorsale che fa da testata alla Val Varrone, sopra l'altro passo (Bocchetta di Trona) un piccolo bunker d'alta quota, resto forse di trinceramenti militari, poi chiesetta e poggi ridotto a rudere, porta ancora il nome, un po' incredibile, di Casa Pio XI. Nello squallore dell'interno (umido antro gelido), ancora una lapide ricorda la tragica vicenda di un giovane caduto sul Pizzo di Trona…


Bocchetta di Val Pianella (o di Val di Trona)

Dopo un altro tratto di costa, scendiamo cautamente alla diga e la traversiamo, un po' sorpresi di non trovare perentori divieti né arcigni custodi. Scivoliamo rapidamente giù per le pendici franose sotto i dentini di Trona, lungo una traccia non certo migliorata dalle discariche dei lavori, fino a una baita isolata su un dosso. Da lì, piegando verso la val Trona, aggiriamo verso monte il lago e andiamo a sostare… presso le casupole dell'alpe sotto il lago Zancone… Sul pianoro irregolare alcuni enormi massi erratici collocati in equilibrio precario sembrano minacciare la valle sottostante e il lago, verdeggiante in un raggio di sole. In fondo alla valle, grandi massi ora spaccati si devono essere scontrate scendendo da differenti postazioni, come fossero state fatte rovinare da un popolo di giganti in una contesa intestina…


Torrione di Tronella

Mentre sosto trasognato e un po' incerto, un violento scampanio di rochi “zampugn” e urla scomposte di umani sull'altro versante della valle mi richiamano a una scena d'altri tempi. Una lunga fila di capre, seguire da un pastore vociante, si snoda controluce lungo un sentiero di mezzacosta, un sentiero apposito, una via di penetrazione in questo regno della pietra, diretta a chissà quale meta che non si indovina prossima. Questa immagine fa da contrappeso alla turba di turisti sparpagliati in cima al lago che, appostati da ore di attesa del sole che scarseggia, non la smettono di lanciare urla sguaiate.


Val Pianella (o Val di Trona)

Nello scarto fra i due suoni si insinua una riflessione su quale doveva essere la vita quassù un tempo, nella pur breve stagione del pascolo. Luoghi, temo, non troppo amati, per la loro asprezza, la solitudine, la distanza dal fondovalle. Impossibile attribuire ai coloni una disinteressata contemplazione della selvaggia natura, presi com'erano dalla cruda necessità. Alla base di storie e leggende, che vi saranno state di certo, come sembrano attestare anche i sinistri toponimi, non la gioia del fantasticare, ma solo forse i terrori infantili e la noia dell'adulto nelle ore della sorveglianza al pascolo, e poi il tenace ricordare delle donne e l'ironica verbosità degli anziani.


Val Pianella (o Val di Trona)

Non credo vi fosse né più felicità (che talora si associa all'incoscienza) né più costanza, memoria continuità. Forse si partiva per l'alpe come poi per il lavoro nella Bassa o diretti in Merica: per tornare cioè muti, più allucinati dalla fatica e dall'isolamento…. Mi semra che che non sappiamo quasi nulla di ciò che veramente fu, di ciò che passò per le teste dei nostri antenati. E così è come se ci mancasse una chiave per intendere il vero spirito dei luoghi.


Lago di Trona

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