CAMPANE DI GEROLA ALTA 1, 2, 3, 4, 5, 6
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Gerola Alta

Gerola Alta è uno dei centri orobici più conosciuti e belli. Posta, com’è, fra alta e bassa valle, a 1050 metri, rappresenta il baricentro della Valle del Bitto di Gerola, la più occidentale delle due grandi e celeberrime valli del Bitto (l’altra è quella di Albaredo).
Per salire a Gerola, bisogna imboccare, a Morbegno, la strada ex statale 405, ora strada provinciale, della Val Gerola, staccandosi dalla ss. 38 dello Stelvio, sulla destra, al primo semaforo all’ingresso della cittadina (per chi proviene da Milano), e seguendo le indicazioni. Dopo 7 km di salita incontriamo il primo paese della valle, Sacco, e dopo 9 il secondo, Rasura. Superata la galleria del Pic, oltrepassiamo anche Pedesina (km 11,5) ed una seconda galleria nei pressi della val di Pai, ed alla fine siamo a Gerola (m. 1050), a 14,5 km da Morbegno. La strada porta direttamente alla piazza centrale del paese, dove ci accoglie l’antica trattoria Pizzo Tre Signori. Proseguendo, troviamo, sulla nostra destra, la bella chiesa parrocchiale di S. Bartolomeo, che ha assunto l’attuale aspetto dopo i restauri del 1796 e del 1928.


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Il territorio comunale, esteso 38,05 kmq, è molto articolato. Il suo confine settentrionale segue il solco di due valli, la Val di Pai (“val de pài”), ad ovest, e la Val Bomino (“val de bumign”), ad ovest, che convergono, a poca distanza, confluendo nella Valle del Bitto, nel punto in cui il grande dosso che scende dal monte Motta (“piàa de la mota”) passando per Nasoncio (“nasunc’”) precipita, a sua volta, nel fondovalle, in corrispondenza della diga dei Panigai (m. 700). L’angolo di nord-ovest di questo territorio è presidiato dal monte Rotondo (“ul redont”, m. 2496, dove convergono anche i confini dei comuni di Rogolo e Pedesina), anche se sulle carte IGM è indicato un punto più a sud, la bocchetta di Stavello (“buchéta de stavèl”, m. 2201); sull’angolo di nord-est, invece, troviamo il pizzo Dosso Cavallo (“scìma de dòs cavàl”, m. 2066), al quale il confine sale, piegando ad est, dalla media Val Bomino, per poi seguire, assumendo l’andamento sud-sud-est, la parte alta del lungo dosso di Bema, che separa le due valli del Bitto (e, in questo tratto, i comuni di Gerola e di Bema), salendo, dunque, dal pizzo Dosso Cavallo al pizzo di Val Carnera (“piz de val carnèra”, m. 2113) ed al monte Verrobbio (“la scìma”, chiamata, invece, sul versante della Val Brembana “piz de véròbi”, m. 2139), dove si incontra con i confini dei comuni di Bema e di Averara (Val Brembana).
Piega, poi, verso sud-ovest, seguendo la linea del crinale e toccando il passo di Verrobbio (“buchéta de bumìgn”, m. 2026), le cime di Ponteranica (“piz de li férèri”, orientale, m. 2378, meridionale, m. 2372, occidentale, m. 2370) ed il monte Valletto (“ul pizzàl” o “ul valét”, m. 2371). Con andamento est-ovest, tocca il passo di Salmurano (“buchéta de salmüràa”, m. 2017), che si affaccia sulla valle omonima, confluente nella Val Torta, ed il limite settentrionale dello splendido altopiano roccioso dei Piazzotti. Piegando a sud-sud-ovest, passa, quindi, per la cima dei Piazzotti (“piz dul mezdé”), la cima dei Piazzotti occidentale (m. 2349) ed il passo Bocca di Trona (o bocchetta di Val Pianella, “buchéta de la val pianèla”, m. 2324). Riprendendo l’andamento verso ovest, raggiunge la bocchetta dell’Inferno (“buchéta de la val l infèren”, m. 2306), che mette in comunicazione le due valli dal medesimo nome (quella in territorio bergamasco appartiene al comune di Ornica). Con due brevi tratti verso sud e verso ovest raggiunge l’angolo sud-occidentale del territorio comunale, suo punto di massima elevazione, la vetta del celebre Pizzo dei Tre Signori (“piz di tri ségnùr”, m. 2554), dove si incontrano i confini delle province di Sondrio, Bergamo e Lecco (dal Cinquecento al Settecento sotto il dominio rispettivamente delle Tre Leghe, della Repubblica di Venezia e del Ducato di Milano: di qui il suo nome).


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Il lato occidentale del territorio comunale, infine, segue il crinale che separa la Val Gerola dall’alta Val Varrone e dell’alta Val di Fraina, passando per la bocchetta di Piazzocco (“buchetìgn dul bùgher”, m. 2252), la bocchetta di Varrone (m. 2126), la più importante bocchetta di Trona (“buchéta de truna”, m. 292, secolare porta di comunicazione fra Milanese-Valsassina e Valtellina), il pizzo Mellasc (“ul melàsc”, m. 2465), la cima Fraina (“piz de fòpa”, m. 2288), il “piz dul cumbàl” (vetta non denominata sulle carte IGM, m. 2325), il monte Colombana (“ul pizzöl” m. 2385), la bocchetta di Stavello (“buchéta de stavèl”, m. 2201) ed, infine, il monte Rotondo (“ul redont”, m. 2496), dal quale siamo partiti circoscrivendo in senso orario il territorio comunale.
In tutto, 38,05 km quadrati, occupati da 4 grandi valli, che confluiscono nel solco principale della Val Gerola; da est, innanzitutto, la Val Bomino (“val de bumign”; poi la Val di Fenile (“val de fenìl”), che si apre, a sud, nelle splendide conche del lago di Pescegallo (“péscégàl dal làach”) e delle foppe di Pescegallo (“péscégàl li fòpi”) e nella val Tronella (“trunèla”); quindi la Valle della Pietra (“val la préda”), che si apre, a sud, negli ampi alpeggi di Trona (“truna”) e nelle valli di Trona e dell’Inferno; infine, la Val Vedrano (“val vedràa”).
Le più belle montagne della valle, famose per la loro conformazione che ricorda i profili dolomitici, sono poste nei crinali che separano la Val di Fenile dalla Valle della Pietra. Fra le foppe di Pescegallo e la val Tronella si innalza la Rocca di Pescegallo, conosciuta anche con la denominazione di Denti della Vecchia “filùn de la ròca” o “dénc’ de la végia”), un insieme di cinque torrioni il più alto dei quali viene chiamato localmente “la ròca” (m. 2125). Il crinale fra la val Tronella e la Valle di Trona si articola in una serie di cime che salgono dal pizzo del Mezzodì (m. 2116) e dal torrione di Tronella (“piich”, m. 2311) alle formazioni della Mezzaluna (“li mezzalüni”), cioè il torrione di Mezzaluna (m. 2247), la cima di Mezzo ed il pizzo Mezzaluna (m. 2333), per terminare nella cima dei Piazzotti (“piz dul mezdé”). Fra Valle di Trona e Valle dell’Inferno, infine, si erge l’elegante cono del pizzo di Trona (“piz di vèspui”, il pizzo del vespro, dove il sole indugia la sera, m. 2510).
Si tratta di cime oggi ben note ad alpinisti ed escursionisti; curioso è, però, notare che gli abitanti di Gerola (“Giaröi”) le consideravano sotto un profilo diverso, utilizzandole anche come rudimentale meridiana: di qui le denominazioni di “piz de la matina” (letteralmente, pizzo del mattino, riferito al profilo unitario che assume la rocca di Pescegallo vista da Gerola), “piz dul mezdé” (pizzo del mezzogiorno, la Cima dei Piazzotti) e “piz di véspui” (pizzo del vespro, il pizzo di Trona), assegnate alle cime dalle quali il sole passa in questi tre diversi momenti del giorno.


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Dal punto di vista geologico le cime di Gerola appartengono all’anticlinare orobica; le sue rocce sono costituire da un nucleo di duro gneiss, rivestito da uno strato, invece, assai più tenero e quindi modellabile dall’azione di vento ed acqua, uno strato di rocce sedimentarie, in gran parte originate da ciottoli pressati e cementati nel corso di milioni di anni. Questi ciottoli, a loro volta, ci parlano di un passato vertiginosamente lontano nel tempo. Dobbiamo trasporci, con l’immaginazione, a circa 250 milioni di anni fa, nel periodo Permiano, quando questa zona di alta montagna era in buona parte il letto di grandi fiumi che difficilmente riusciamo a figurarci. Oggi, invece, ci propone il trionfo della fantasia creatrice degli agenti atmosferici, che ha dato vita ad una sequenza molto varia di piccole guglie e torrioni, accanto a cime dalla forma più regolare ed arrotondata. Queste rocce custodiscono anche il già citato minerale del ferro, che conferisce a molti luoghi quella tonalità rossastra così tipica e forse inquietante che spiega, per esempio, l’introduzione del toponimo “Inferno”.
Fra le bellezze naturali del territorio di Gerola non vi sono, però, solamente le cime, ma anche i laghi, alcuni dei quali, di origine naturale, sono stati sbarrati per costituire bacini artificiali dall’ENEL L’alta valle propone, infatti, da est il lago di Pescegallo (“làch de péscégàl”, m. 1865, oggi bacino artificiale), alle conche del lago di Pescegallo (“péscégàl dal làach”), il lago di Trona (“làc de trùna”, m. 1805, oggi bacino artificiale), in Valle di Trona, il loago Zancone (“làch sancùn”, m. 1856), poco a monte del precedente, nella medesima valle, il bellissimo lago Rotondo (“làch redont”, m. 2256), su un terrazzo glaciale della val Pianella (alta Val di Trona) ed il lago dell’Inferno (“làch l infèren”, oggi bacino artificiale, m. 2085), all’imbocco della valle omonima. Appena a sud dei confini di Gerola si pongono, infine, il lago dei Piazzotti ed alcuni microlaghetti vicini, nell’altipiano dei Piazzotti.


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Una ricchezza di acque, non solo di laghetti, ma anche di torrenti (i “bit”) che giustifica il nome originario del paese, Santa Maria dell’Acqua Viva, mutato, poi, nel più triste Gerola (“giaröla”; triste in relazione all’etimo, da “gera”, deposito alluvionale; il nuovo nome derivò da un’alluvione del Bitto che distrusse il paese nel secolo XIII). Una ricchezza di acque anche piovane: per la sua posizione prossima al bacino del Lario la Val Gerola fa registrare le precipitazioni annue più abbondanti fra le valli orobiche.
La comunità di Gerola è distribuita in diversi nuclei, attorno a quello centrale, denominato “la piazza”: a sud Fenile (“fenìl”), nella valle omonima, e, dagli anni Sessanta del secolo scorso, il Villaggio Pescegallo (“Péscégàl”), legato agli impianti di risalita; a nord Valle; ad ovest la Foppa (“la fòpa”), Case di Sopra (“cà zzuri”), distrutte da una valanga nel 1836, Castello (“Castèl”) e Laveggiolo (“Lavegiöl”); ad est Nasoncio (“nasunc’”).

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Le origini della comunità di Gerola risalgono probabilmente al secolo XII (la prima attestazione sicura dell’esistenza della comunità di Gerola si trova in un atto rogato a Cosio Valtellino del 1238), e sono legate all’arrivo nell’alta Valle del Bitto di abitanti dal versante orobico bergamasco, cioè dalla Valsassina, e soprattutto da Premana. Per questo motivo il paese è sempre stato un nodo di congiunzione importantissimo fra i due versanti orobici. Come scrive Cirillo Ruffoni, “la tradizione orale vuole che i primi abitanti di Gerola siano venuti dagli opposti versanti della Val Brembana e della Valsassina, per l’estrazione e la lavorazione del ferro e per dedicarsi all’attività dell’allevamento. I legami con i paesi d’origine sarebbero stati saldi per parecchio tempo, tanto che i morti venivano portati là per la sepoltura…va ricordato anzitutto che mentre per noi le montagne dividono, in passato non costituivano una barriera ed era frequente il fiorire di comunità che occupavano i versanti opposti. Nel caso specifico di Gerola…certamente i pascoli d’alta quota hanno costituito da sempre un’invitante risorsa e sono stati frequentati dalle comunità vicine”. (da: Cirillo Ruffoni - a cura di -, Inventario dei toponimi valtellinesi e valchiavennaschi. Territorio comunale di Gerola Alta, Sondrio, Società storica valtellinese, 1986; cfr. anche Cirillo Ruffoni, Gerola. La sua gente, le sue chiese, Monza, Moralese, 1995).
La tradizione orale di cui parla il prof. Ruffoni è riportata nella "Storia" del parroco di Gerola Pier Antonio Acquistapace (1829): "Quando precisamente sia incominciata ad abitare non si sa, certo fin prima dell'anno 1307 eranvi gente, e sacerdote. Si dice che siano introdotti in occasione delle miniere del ferro, che tuttora si trovano in Trona, e già anche in Pescegallo e dei forni, di cui veggonsi in più luoghi le vestigia, come alle rasiche di Chigamoscio dove anche sul finite del 1600 era in voga... Inoltre delle parentele, che sono qui, e state, nulla né per la valle del Bitto, e in Valtellina si trovano, però credonsi oriunde da lontano, come da Valsasina, dal Lago di Como ecc. Anzi in Valsasina si portavano anche i morti, e colà per esempio si veggono tanti Acquistapace; quegli di tal cognome, che sono a Morbegno, a Delebio ecc. vennero da qui partiti. Ora si dice Girola o Gerola, e come rilevasi e dal comune dialetto, e da un antico monumento del 1400, anche Giarola. Dicono alcuni che prima si chiamasse Santa Maria dell'Acqua Viva, e dopo de essere stata ingerata dal fiume Bitto, che le trascorre in mezzo, l'abbiano chiamata Giarola da giara, gera o ghiaia. Io però per me non ho però mai trovato niun documento di ciò" (citato da "Gerola - La sua gente, le sue chiese", di Cirillo Ruffoni, Morales editore, Monza, 1995).


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Il legame con il versante orobico meridionale era, peraltro, favorito dall’antichissima via del Bitto, fondamentale nodo di transito fra la bassa Valtellina ed il lecchese, attraverso, appunto, la Val Gerola e la Valsassina: di qui, forse, passarono, in epoche molto più antiche, i popoli che, salendo da sud, colonizzarono per primi questo lembo della catena orobica, anche se non in modo permanente. Sembra che i primi siamo stati i Liguri, seguiti dai Celti e dagli Etruschi. Vennero, quindi, i Romani, ai tempi dell’imperatore Augusto. E, dopo di loro, venne la religione cristiana, predicata da S. Ermagora. Dopo la caduta dell’impero romano vennero i Goti, e dopo di loro i Longobardi, sconfitti dai Franchi: tutti passarono dalle valli orobiche, ed il valico della bocchetta di Trona era, fra tutti, il più praticato.


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Poi venne il Medio-Evo, e, con esso, la colonizzazione duratura dei pastori di Val Brembana e Val Varrone, alla ricerca di pascoli e di ferro (nel territorio di Gerola numerosi sono i resti delle miniere di ferro, ai piedi delle cime di Ponteranica e nella zona compresa fra il pizzo di Trona, i laghi di Trona e dell’Inferno e l’alpe Trona Vaga; del resto il toponimo “truna” significa “cavità”, “galleria”). Non furono, costoro, probabilmente gli unici colonizzatori: si unirono a loro fuggiaschi dalla pianura per effetto delle invasioni germaniche e dei disordini e conflitti dei secoli successivi. Un elemento che spiega il potere attrattivo di queste zone d’alta montagna è quello climatico: il clima fu, nel medio Evo e nell’Età Moderna fino al 1600, più caldo rispetto all’attuale, il che favoriva gli insediamenti e le attività a quote relativamente alte.
Bastarono poche generazioni per trasformare un modesto villaggio di pastori in uno dei centri economicamente più vivaci dell’intera Valtellina. Già nel 1368, per la sua importanza, Gerola, che fino ad allora era stata soggetta alla giurisdizione della parrocchia di Cosio Valtellino, se ne staccò. In quel secolo l’estensione dei terreni coltivati era già pressoché corrispondente all’attuale, e già erano abitati gran parte dei nuclei rurali.
La comunità di Gerola, con una popolazione complessiva che poteva aggirarsi intorno ai 400 abitanti, era istituzionalmente organizzata come Comune, al cui interno le famiglie dei Ruffoni e dei Curtoni primeggiavano per l’estensione dei possessi. L’organo principale del comune era l’assemblea dei capi-famiglia che si riuniva di norma una volta all’anno, nel mese di giugno, per discutere e decidere gli affari più im­portanti nella vita della comunità ed eleggere gli amministratori. L’amministrazione comunale era retta da tre consoli, estratti a sorte da una rosa di diciotto persone ritenute idonee dalla comunità. I consoli sbrigavano gli affari correnti, rappresentavano il comune nelle riunioni della squadra di Morbegno, curavano i beni del comune. La gestione dei consoli era controllata da tre consiglieri o ragionatti, che avevano il compito di tenere la contabilità e stilare il bilancio di ogni anno. Gli stimatori, in numero di due, dovevano valutare i beni immobili e tenevano aggiornati i libri dell’estimo; ogni anno venivano nominati anche due campari. Tra i compiti dell’assemblea rientrava quello di ratificare la nomina dei sindaci della chiesa, di fissare le feste e di eleggere il parroco.
L’economia era incardinata nelle attività agricole (allevamento e coltivazione di orzo, miglio, segale e canapa), ma vi svolgeva un ruolo non secondario l’estrazione e la lavorazione del ferro, che poi, nelle fucine di Milano, veniva utilizzato per forgiare spade, picche, alabarde e corazze. Un supporto importante all’economia era offerto anche dal taglio della legna, che alimentava le fornaci e veniva portato anche sul fondovalle, e dalle attività di tessitura, che riguardava i pezzetti, i panni di lana, le tele di canapa e le tele di lino.


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Nei due secoli successivi, Quattrocento e Cinquecento, iniziò una significativa corrente migratoria da Gerola verso la Val di Sole e Verona, e più tardi verso Ancona, Livorno e Napoli. Il 1512 è un anno da ricordare: l’inizio della dominazione delle Tre Leghe sulla Valtellina fece di Gerola territorio di confine fra questa signoria e due altre importanti signorie, quella della Repubblica di Venezia, sul versante orobico della bergamasca, e quella del ducato di Milano, che raggiungeva la Val Varrone e la Val Fraina.


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I nuovi signori sentirono il bisogno, per poter calcolare quante esazioni ne potevano trarre, di stimare la ricchezza complessiva di ciascun comune della valle. Furono così stesi gli Estimi generali del 1531, che offrono uno spaccato interessantissimo della situazione economica della valle (cfr. la pubblicazione di una copia secentesca del documento che Antonio Boscacci ha curato per il Bollettino della Società Storica Valtellinese). Nel "communis Girolae" vengono registrate case e dimore per un valore complessivo di 431 lire (per avere un'idea comparativa, Forcola fa registrare un valore di 172 lire, Pedesina 190, Tartano 47, Talamona 1050, Morbegno 3419); i prati ed i pascoli hanno un'estensione complessiva di 1935 pertiche e sono valutati 994 lire; boschi e terreni comuni sono valutati 75 lire; gli orti, per 3 pertiche, sono valutati 20 lire; i campi, per 233 pertiche, sono valutati 164 lire; gli alpeggi, che caricano 405 mucche, vengono valutati 81 lire; vengono rilevate una segheria ed una grande fucina, per un valore di 51 lire; il valore complessivo dei beni è valutato 1805 lire (sempre a titolo comparativo, per Tartano è 642, per Pedesina 684, per Forcola 2618, per Buglio 5082, per Talamona 8530 e per Morbegno 12163).
Ed è proprio un governatore di Valtellina per le Tre Leghe, Giovanni Guler von Weineck (1587-88), a descrivere la felice situazione delle Valli del Bitto, di Albaredo e Gerola nella sua opera “Rhaetia”, pubblicata a Zurigo nel 1616. “Da Morbegno si estende, in direzione di mezzogiorno, fra alti monti, fino alle vette del confine veneto, una lunga vallata, ben disposta e popolosa, la quale dal fiume Bitto che le percorre viene denominata valle del Bitto. Essa è così larga e così lunga che comprende ben sei comuni: la popolazione è bella, robusta, di florido aspetto, coraggiosa e ben costumata. Quivi non prospera la vite; ma tuttavia gli abitanti godono una grande agiatezza, perché traggono grossi guadagni dall’allevamento del bestiame, dalla lavorazione dei panni di lana, nonché da svariati mestieri che essi esercitano in diversi luoghi d’Italia. In questa valle si trova anche una certa pietra rossa e durissima con cui si fanno i mortai ed altri arnesi consimili…”
Di Gerola, in particolare, dice che è costituita da 12 frazioni, Piazza (il nucleo centrale), Ravizza, Castello, Laveggiolo, La Foppa, Teggiola, Case dei Mazzi, La Roia, Nasonchio, La Corna, Cassinelle e Fenile, e che le più antiche ed illustri famiglie sono quelle dei Ruffoni e degli Stella, immigrati da Verona, dei Foppa e dei Curti, detti anche Curtoni, dei Mazzi e dei Re, di origine francese. Molte famiglie illustri per uno dei centri più prosperi della Valtellina. In quegli anni Gerola venne eretta a parrocchia autonoma dal vescovo di Como Gianantonio Volpi (1587).
Una seconda testimonianza illustre è quella che ci è giunta dalla relazione che il vescovo di Como, di origine morbegnese, Feliciano Ninguarda, fece della sua visita pastorale in Valtellina del 1589. Di Gerola scrive di avervi trovato 140 famiglie, tutte cattoliche (il che corrisponde ad un totale di circa 700 abitanti).
Ecco quanto scrive: "Infine risalendo altre due miglia (sc. oltre Pedesina) c'è Gerola con 140 famiglie tutte cattoliche. La chiesa parrocchiale è dedicata a S. Bartolomeo Apostolo, la presiede il sac. Luigi de Micheli da Osio nella Marca Anconetana. Qui finisce la valle del Bitto; dopo non c'è che un alto monte che divide questa valle da un'altra, che si trova al di là e appartiene ai Bergamaschi" (trad. dal latino a cura di don Lino Varischetti e Nando Cecini, pubblicata nel 1963 dal Credito Valtellinese).


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Vennero poi tempi assai più foschi, quando la Guerra dei Trent’Anni fece della Valtellina un campo di battaglia di importanza strategica sullo scacchiere europeo, portandovi eserciti spesso avidi di saccheggio e, soprattutto, la terribile peste del 1629-31, che ridusse la popolazione valtellinese a poco più di un quarto e non risparmiò la Val Gerola: ci volle quasi un secolo per tornare a livelli di popolazione vicini a quelli precedenti (gli abitanti di Gerola erano, nel 1690, 618).


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Un quadro sintetico di Gerola nella prima metà del Seicento è offerto dal prezioso manoscritto di don Giovanni Tuana (1589-1636, grosottino, parroco di Sernio e di Mazzo), intitolato “De rebus Vallistellinae” (Delle cose di Valtellina), databile probabilmente alla prima metà degli anni trenta del Seicento (edito nel 1998, per la Società Storica Valtellinese, a cura di Tarcisio Salice, con traduzione delle parti in latino di don Abramo Levi). Vi leggiamo: La Valle del Bitto, così chiamata dal fiume qual passa per quella, è molto longa, più di 15 miglia, dov'è strada commodissima per andare nel stato de Venetiani, tanto a piedi quanto a cavallo. Ha sette parocchie, duoi nel fianco diritto, quatro nel fianco sinistro, et una in un monticello che si leva tra l'un e l'altro fianco… Nel fianco sinistro la più lontana da Morbegno si chiama Gerolo, contrata assai grande con queste contrate, cioè Piazza, Ravizza, Castello, Lavezolo, Foppa, Tegiolo, Naso Onchio, Rogia, Fenile, Casinello; fanno 200 fameglie. Ha la chiesa parochiale libera di S. Bartolomeo apostolo. Nel monte Trona et Tronella vi sono le minere del ferro.”.


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La ripresa vera e propria ebbe come scenario il Settecento, ma non impedì l’inizio di un flusso emigratorio di breve raggio, indirizzato, cioè, ai paesi del fondovalle (Cosio Valtellino e Piantedo), che godevano dei benefici della bonifica dei loro territori di pianura.
Un quadro sintetico della situazione del paese a metà del settecento ci viene offerto dallo storico Francesco Saverio Quadrio, che, nell’opera “Dissertazioni critico-storiche intorno alla Rezia di qua dalle Alpi oggi detta Valtellina” (Edizione anastatica, Bologna, Forni, 1971), scrive: “Gerola (Gerola). Dall'altra Riva del Bitto, al Monte più prossima, è Gerola, che costituisce la sesta Comunità in un co' Villaggi, Piazza, i Rapizzi, i Mazzi, Castello, Lavezzolo, Fossa, Tegiola, Roya, Nansonchio, Casinelle, e Fenile. Ne' Monti del Laghetto, di Picigallo, e di Tronella di questo Comune, vi erano già diverse buone Miniere, o sia Vene di Ferro, come consta da un Instrumento di Vendita d'una Porzione delle medesime, rogato da Abbondio Gaifasso a' 16. di Febbraio del 1398.
Alla fine del secolo (1797) gli abitanti di Gerola assommavano ad 850, quando arrivò la bufera napoleonica, che portò non pochi rivolgimenti istituzionali, primo fra tutti la fine ufficiale della dominazione delle Tre Leghe.  
Nella prima ripartizione del dipartimento d’Adda e Oglio (legge 13 ventoso anno VI), il comune di “Girola” apparteneva al distretto di Morbegno. Nell’assetto definitivo della repubblica cisalpina, determinato nel maggio del 1801 (legge 23 fiorile anno IX), Gerola era uno dei settanta comuni che costituivano il distretto III di Sondrio del dipartimento del Lario. Con l’organizzazione del dipartimento dell’Adda nel regno d’Italia (decreto 8 giugno 1805), il comune di Gerola venne ad appartenere al cantone V di Morbegno, come comune di III classe, con 905 abitanti. Nel prospetto del numero, nome e popolazione dei comuni del dipartimento dell’Adda, secondo il decreto 22 dicembre 1807, il comune di Gerola, con 865 abitanti totali, figurava composto dalle frazioni di Gerola (365), Valle (100), Nasuncio (150), Case di Sopra (150), Ravisciano (100).
La piazza della chiesa ci offre un curioso segno lasciato da quel periodo. Anche qui giunse lo spirito dei tempi nuovi, cioè il soffio della storia e delle innovazioni conseguenti alla rivoluzione francese, diffuse in Europa, agli inizi dell’Ottocento, dalle armate napoleoniche. In particolare, il sistema metrico decimale: questo spiega l’esemplare di metro, inciso nel sasso, che si può osservare sulla facciata di una casa. La nuova unità di misura, cui la popolazione doveva familiarizzarsi, sostituiva la precedente, costituita dal braccio, di circa 76 centimetri (una traccia di questa trasformazione è rimasta nell’espressione “andare a braccio”, o “parlare a braccio”, cioè con una certa approssimazione). Anche Napoleone cadde; il metro, invece, rimase.


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Nel 1815, dopo l’assoggettamento del dipartimento dell’Adda al dominio della casa d’Austria nel regno lombardo-veneto, Gerola figurava (con 987 abitanti totali, 863 da solo) comune principale del cantone V di Morbegno, unitamente al comune aggregato di Pedesina.
Al 1836 risale la più nefasta tragedia che si abbattè sulla comunità, come conseguenza dei massicci esboschi consentiti dalla legislazione del periodo napoleonico, contro le leggi di tutela dei boschi “tensi” in vigore nei secoli precedenti. Ecco cosa riferisce, al proposito, la Guida alla Valtellina edita dal CAI di Sondrio nel 1884: "Gerola subì nel 1836 una spaventosa catastrofe: essendosi in una notte di febbraio rovesciata sull'abitato una immensa valanga, la quale distrusse tre quarti del villaggio, e seppellì settantacinque persone. L'improvvido taglio di un bosco, collocato sopra il paese, fu la causa di questo sfascio di nevi".
L’ossario ottocentesco che si trova nei pressi della chiesa (oggi santuario in memoria dei caduti del lavoro) sembra evocare quella tragedia, e ci invita a meditare sul tempo che fugge e ci trascina con sé in questa fuga, approssimandoci inesorabilmente alla morte. Ecco, allora, gli immancabili teschi, che ricordavano e ricordano a tutti la fragilità e provvisorietà della vita umana. Ma la vita continuava, e Gerola, nel 1853, con le frazioni Castellaveggiolo, Piazza con Fenile e Nasuccio, contava una popolazione di 1.000 abitanti, ed apparteneva al distretto III di Morbegno.
Cadde anche la casa d’Austria, e venne il Regno d’Italia, nel 1861: con esso il nome ufficiale del comune, che contava 1074 abitanti, divenne “Gerola Alta”, per evitare omonimie.
Alla terza Guerra d'Indipendenza del 1866, nella quale si combattè sul fronte dello Stelvio, parteciparono anche alcuni soldati di Gerola, Acquistapace Agostino, Acquistapace Agostino, Acquistapace Ferdinando, Acquistapace Pietro, Bianchi Giuseppe, Cantoni Francesco, Fallati Battista, Maxenti Antonio, Maxenti Angelo e Pilatti Antonio.
Nel seguente riquadro sono riportati i dati della statistica curata dal prefetto Scelsi nel 1866:


Dall’opera “La Valtellina (Provincia di Sondrio)”, di Ercole Bassi (Milano, Tipografia degli Operai, 1890), ricaviamo diverse interessanti notizie statistiche sugli alpeggi di Val Gerola, compresi quelli nel territorio comunale di Gerola:

L'ultima parte del secolo fece segnare un sensibile calo demografico: gli abitanti, infatti, passarono dai 1076 del 1871 ai 927 del 1881 ed ai 664 del 1901. Ciò è spiegato, come in buona parte del resto della Valtellina, dall'intensificarsi del flusso migratorio, diretto non solo al fondovalle, ma anche verso Stati Uniti ed Argentina.


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Il Novecento portò la nuova carrozzabile che risaliva la valle da Morbegno, tracciata dal 1910 al 1927, e la costruzione dei grandi impianti idroelettrici che ancora oggi sono in funzione, promossa dalla Società Elettrica Orobica negli Anni Trenta. Il nuovo secolo portò anche una ripresa demografica: nel 1911 la popolazione balzò a 1155 abitanti.
Durante la prima Guerra Mondiale Gerola dovette pagare un tributo importante in termini di vite umane: morirono al fronte Acquistapace Angelo, Acquistapace Sibiano, Fallati Angelo, Fallati Lodovico, Manni Andrea, Maxenti Francesco e Spandrio Giuseppe. Morirono in prigionia Acquistapace Santino, Bianchi Agostino, Manni Gildo e Manni Lodovico. Morirono, infine, in seguito a malattie Acquistapace Amedeo, Acquistapace Gaetano, Acquistapace Guido, Acquistapace Domenico, Manni Giovanni, Manni Mansueto e Ruffoni Angelo.
Nel primo dopoguerra la popolazione fece segnare una leggera flessione: nel 1921 si contarono 1121 abitanti, nel 1931 1089 e nel 1936 1052.
Ecco come Ercole Bassi, in “La Valtellina – Guida illustrata”, nel 1928 (V ed.), presenta il paese: “Continuando la via, si giunge a Geróla (m. 1051 -ab. 326-1123. - P. - auto estivo per Morbegno (km. 12) - staz. climat. est. - ridente villaggio - trattoria Zugnoni con alloggio al Pizzo dei Tre Signori). Vi si fabbricano scale a pioli. Bei dipinti del 600 nel coro della vecchia chiesa; paramenti con pregevoli pizzi antichi. Nella parrocchiale vi è una bella croce astile del 500. Da Gerola, in poche ore, per l'alpe Trona (m. 1907, grazioso lago con trote), si ascende al Pizzo dei Tre Signori (m. 2560), che offre uno splendido panorama, e dal quale, pel passo di Trona, si può scendere al rifugio Biandino, in Val Brembana, o in Valsassina. Sotto al passo di Camisolo si trova il rifugio Abb. Grassi del C. A. I. di Como. Vicino si trovano cave di minerale argentifero. Dal lago di Trona un erto sentiero sale al Pizzo Trona (m. 2320), vicino al quale s'erge il difficile Pizzo Tronella.


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Una mulattiera sale da Gerola ai casolari di Fenile (metri 1245), indi al Passo di Salmurano (m. 2026) e discende ad Ornica in Val Brembana. Un buon sentiero da Gerola conduce alla frazione di Nasuncio, taglia la Valle di Bomino passando per l'amenolago di Pescegallo e giunge al Passo di S. Marco. Risalendo la Valle di Bomino si arriva al Passo di Verobbio (m. 2020). Da Nasuncio un sentiero mal segnato scende al fiume, risale al di là, giunge all'abitato di Taida, e di qui con una mulattiera in un'ora si giunge a Bema; ove, una recente rotabile, va a congiungersi alla strada di S. Marco”.
Pesante fu anche il tributo pagato da Gerola alla seconda Guerra Mondiale, nella quale risultarono dispersi sul fronte russo nel 1943 Acquistapace Antonio, Acquistapace Giuseppe, Acquistapace Carlo, Acquistapace Cirillo, Acquistapace Onorino, Acquistapace Ferdinando, Ambrosetti Luigi, Bianchi Agostino, Manni Antonio, Manni Gaetano, Maxenti Angelo, Maxenti Felice, Ruffoni Emeri, Spandrio Vittorio e Zugnoni Pietro; cadde sul fronte russo Ambrosetti Mario. Caddero, invece, sul fronte greco-albanese Acquistapace Densi, Curtoni Battista e Ruffoni Mario. Morì prigioniero in Germania il partigiano dottor Manni Igino. Morirono, infine, di malattia Acquistapace Giovanni, Acquistapace Ercole, Acquistapace Pietro e Manni Ettore.
Il massimo storico della popolazione venne raggiunto nel secondo dopoguerra, con i 1379 abitanti del 1951; poi, però, anche Gerola andò incontro al destino degli altri centri di media montagna, vale a dire al progressivo spopolamento in favore dei centri del fondovalle. La sua popolazione, già scesa a 1203 abitanti nel 1961, ebbe un vero tracollo nei decenni successivi: nel 1971 si ridusse a 431 abitanti, nel 1981 a 364, nel 1991 a 267, nel 2001 a 249 e nel 2005 a 237.


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Oggi l’identità e la vitalità di questo centro sono legati al turismo ed all’attività zootecnica di qualità. Ecco, dunque, il nuovo villaggio turistico di Pescegallo, gli impianti di risalita, le molteplici proposte escursionistiche legate alla particolare bellezza dei luoghi  e ad una tradizione ancora viva che attrae un turismo attento alla riscoperta degli aspetti di un passato che non deve tramontare.
Ecco, dunque, la zootecnia di qualità negli alpeggi nei quali la vita dei pastori non è più così dura come un tempo, pur rimanendo un’attività fatta di grande passione e di grandi sacrifici. Ecco perché è così interessante visitare questi alpeggi, anche quelli abbandonati, soffermandosi, magari, presso le baite semidiroccate ed i calècc (termine composto da “cà”, cioè “casa”, e “lecc”, cioè “letto”), costituiti da una base di muri a secco, che venivano coperti da un telone quando il pastore, seguendo il giro della mandria, vi soggiornava temporaneamente, utilizzandoli anche come strutture nelle quali appendere il calderone (“culdera”) utilizzato per lavorare il latte e produrre il formaggio.
I molteplici alpeggi che fanno da corona al centro di Gerola descrivono un arco che, da nord-ovest a sud- est, comprende l'alpe Stavello, sopra Case di Sopra e San Giovanni, l’alpe Vedrano, sopra Laveggiolo, l’alpe Trona Soliva, in fondo alla valle della Pietra, le alpi di Pescegallo, sopra l’omonimo centro turistico invernale ed estivo, l’alpe Bomino, nella valle omonima.
Si tratta dei luoghi nei quali si produceva e si produce ancora il più famoso prodotto caseario della Valtellina, il formaggio grasso Bitto, con latte intero di mucca, cui viene aggiunto anche latte di capra. Le forme, con peso variabile dai 15 ai 25 kg, vengono prodotte e fatte maturare nelle casere degli alpeggi, per 70 giorni, dopo i quali sono pronte per il taglio, al quale si mostra un formaggio di colore giallo, con buchi radi ed a forma di occhio di pernice. Sono le particolari proprietà organolettiche delle erbe degli alpeggi (a loro volta legate al clima della valle ed all’abbondanza delle precipitazioni di cui gode: 1796 millimetri di pioggia media in un anno a Gerola, contro i 1242 a Morbegno, tanto per rendere l'idea) a conferire quel gusto particolarmente pregiato che ha fatto la fortuna di tale prodotto. Un prodotto cui gerola dedica, ogni anno, una sagra che ne rinnova meritatamente i fasti. 


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BIBLIOGRAFIA

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Ruffoni, Cirillo, "Le pergamene dell'archivio storico di Gerola" (in "Bollettino della Società Storica Valtellinese", Sondrio, 1980)

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Ruffoni, Cirillo, "La tutela dell'ambiente e l'amministrazione di un comune di Valtellina (Gerola) nei secoli scorsi" (in Bollettino della Società Storica Valtellinese, 1987)

Fassin, Ivan, "Il conglomerato del diavolo", L'officina del libro, Sondrio, 1991

Ruffoni, Cirillo, “Gerola. La sua gente, le sue chiese”, Monza, Moralese, 1995

Passerini, Renzo “Gh’era na volta”, raccolta dattiloscritta di leggende della bassa Valtellina, pubblicata su diversi numeri della rivista "'L Gazetin" (1995)

Ruffoni Cirillo, "In nomine Domini - Vita e memorie di un comune della Valtellina nel Trecento", Tipografia Bettini, Sondrio, 1998

Savonitto, Andrea, "Le Valli del Bitto - Escursionismo, arrampicata e cultura alpina nel Parco delle Orobie Valtellinesi", CDA Vivalda, Torino, 2000

Ruffoni Cirillo, "Chi va e chi resta - Romanzo storico ambientato in bassa Valtellina nel secolo XV", Tipografia Bettini, Sondrio, 2000

Ruffoni Cirillo, "Ai confini del cielo - la mia infanzia a Gerola", Tipografia Bettini, Sondrio, 2003

AA. VV. (a cura di Guido Combi), "Alpi Orobie Valtellinesi, montagne da conoscere", Fondazione Luigi Bombardieri, Bonazzi, Sondrio, 2011

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