Monte Motta e Valle di Pescegallo

IL MONTE MOTTA

Punti di partenza ed arrivo
Tempo necessario
Dislivello in altezza
in m.
Difficoltà (T=turistica, E=escursionistica, EE=per escursionisti esperti)
Gerola-Bominallo-Monte Motta
3 h
920
E
SINTESI. Alla prima rotonda all'ingresso di Morbegno (per chi proviene da Milano) prendamo a destra ed alla successiva ancora a destra; dopo un ponte imbocchiamo la provinciale della Val Gerola, saliamo verso Gerola Alta, dove parcheggiamo. Ci portiamo sul lato opposto della valle sfruttando il ponte sul torrente Bitto all'altezza del centro del paese. Percorriamo alcuni passi verso valle (nord, sinistra), fino a trovare la partenza di un sentiero, segnalato, sulla nostra destra. Iniziamo, così, a salire, all’ombra di un fresco bosco, accompagnati da alcuni segnavia rosso-bianco-rossi (alcuni dei quali riportano la numerazione “9”). Presso il rudere di una baita, il sentiero piega a destra, poi di nuovo a sinistra, e prosegue, in direzione nord, nella salita lungo il fianco nord-occidentale del lungo dosso che domina, ad oriente, Gerola. A quota 1357 usciamo dal bosco, nella parte bassa dei prati del Bominallo. Proseguiamo ora salendo su traccia incerta, seguendo il centro del dosso. Ad una radura troviamo una pozza. Dopo la successiva radura della località del Piaz, a 1703 metri (baita), la salita si accentua. Incontriamo anche un passaggio che richiede attenzione, perché bisogna sormontare una roccetta in un punto a valle del quale il terreno è franato. Nell’ultima parte della salita, verso sud-est, il sentiero ha una vera e propria impennata, e punta direttamente alla cima arrotondata del dosso, sormontata da una croce di legno, che è già visibile. Passando a sinistra di alcune barriere paravalanghe, lasciamo, alla fine, alle spalle il bosco e la fascia di bassa vegetazione, per approdare all’arrotondata ed erbosa cima del monte Motta (m. 1971).


Apri qui una fotomappa dell'alta Val Gerola orientale

Per dominare con uno sguardo panoramico la Val Gerola, possiamo effettuare una semplice escursione che ha come base Gerola Alta, il centro principale della celebre valle del Bitto, e come meta il monte Motta (Piàa del Mot), che, con i suoi 1971 metri, rappresenta la prima elevazione del lungo crinale che separa la val Bomìno, ad est (il più orientale dei rami nei quali si divide l’alta Val Gerola), dalla valle di Pescegallo, ad ovest.
La salita può essere prolungata percorrendo per intero il crinale della splendida dorsale che separa la Valle di Bomino, ad est, dalla Valle di Pescegallo, ad ovest, con ritorno per la via del fondovalle a Gerola.
Alla prima rotonda all'ingresso di Morbegno (per chi proviene da Milano) prendamo a destra ed alla successiva ancora a destra; dopo un ponte imbocchiamo la provinciale della Val Gerola. Attraversati i centri di Rasura e Pedesina, si raggiunge Gerola (1050 m), a 15 km da Morbegno.
Parcheggiata l’automobile, portiamoci al ponte sul torrente Bitto, leggermente a valle rispetto alla bella chiesa parrocchiale di S. Bartolomeo. Attraversato il ponte e raggiunte le case sul lato orientale del torrente, percorriamo alcuni passi verso valle (nord, sinistra), fino a trovare la partenza di un sentiero, segnalato, sulla nostra destra. Iniziamo, così, a salire, all’ombra di un fresco bosco, accompagnati da alcuni segnavia rosso-bianco-rossi (alcuni dei quali riportano la numerazione “9”).
Presso il rudere di una baita, il sentiero piega a destra, poi di nuovo a sinistra, e prosegue, in direzione nord, nella salita lungo il fianco nord-occidentale del lungo dosso che domina, ad oriente, Gerola. A quota 1357 usciamo dal bosco, nella parte bassa dei prati del Bominallo ("buminàl"). Qui troviamo un cartello giallo della Comunità Montana di Morbegno, che segnala, per chi scende, il bivio dei sentieri per Gerola (quello che noi abbiamo percorso salendo) e per Nasoncio e Valle (frazioni di Gerola, a nord rispetto al centro).
I prati del Bominallo ("buminàl") propongono una serie di baite, un dipinto della Madonna con Bambino ed alcuni punti panoramici, con scorci di indubbia bellezza sulla
valle della Pietra ("val de la Préda", il ramo più occidentale dell’alta Val Gerola), sul versante occidentale della Val Gerola e, verso nord, sulla Costiera dei Cech e su molte delle più importanti cime del gruppo Masino-Bregaglia (si distinguono, da sinistra, i pizzi del Ferro (sciöma dò fèr), la cima di Zocca, la cima di Castello, la punta Rasica ed i pizzi Torrone).
Il sentiero propone ora una traccia più incerta e discontinua. Seguendo, però, il filo del dosso non si può sbagliare. Nella salita attraversiamo una fascia di boschi di larici di grande bellezza. In una seconda radura troviamo anche una bella pozza. Alcuni cartelli, posti in una terza radura, raccontano la storia di questa ed altre pozze. Si tratta di un lavoro dei bambini della scuola elementare di Rasura.
Le pozze si sono originate, così ci dicono, dall’azione erosiva dei ghiacciai, laddove questi hanno scavato delle conce nella roccia, che hanno, poi, permesso la raccolta dell’acqua, impedendo che filtrasse nel terreno o defluisse verso valle. Esse furono sempre assai preziose come fonte alla quale abbeverare il bestiame. Poi, complice anche l’abbandono dei pascoli, cominciarono ad interrarsi, ed il delicato ecosistema ad esse legato ne risultò compromesso. Recenti lavori di pulizia le hanno, però recuperate alla vita ed alla grazia antica.


Apri qui una fotomappa della salita da Nasoncio al Monte Motta

Superata la baita di quest’ultima radura (la località del Piaz, a 1703 metri), affrontiamo la parte più impegnativa della salita, perché la pendenza comincia a farsi più severa. Incontriamo anche un passaggio che richiede attenzione, perché bisogna sormontare una roccetta in un punto a valle del quale il terreno è franato. Nell’ultima parte della salita il sentiero ha una vera e propria impennata, e punta direttamente alla cima arrotondata del dosso, sormontata da una croce di legno, che è già visibile. Passando a sinistra di alcune barriere paravalanghe, lasciamo, alla fine, alle spalle il bosco e la fascia di bassa vegetazione, per approdare all’arrotondata ed erbosa cima del monte Motta (m. 1971). Abbiamo superato 920 metri di dislivello in altezza, in tre ore circa di cammino.
Il panorama dalla cima è veramente ampio: ad ovest lo sguardo raggiunge le Alpi Lepontine, mentre a nord ovest domina la costiera dei Cech. A nord si può ammirare, a destra della cima del Desenigo (m. 2845), la massima elevazione della Costiera dei Cech, buona parte della testata della
Val Masino: si scorgono, da sinistra, i pizzi Badile (m. 3308) e Cengalo (m. 3367), sono ben visibili i pizzi del Ferro (sciöma dò fèr, occidentale, o cima della Bondasca, m. 3289, centrale m. 3232, orientale m. 3199), le cime di Zocca (m. 3175) e di Castello (la massima elevazione del gruppo del Masino, con i suoi 3386 metri), la punta Rasica (m. 3305), i pizzi Torrone (occidentale m. 3349, centrale m. 3290, orientale m. 3333) ed il monte Sissone (m. 3331). Chiude la testata l’imponente monte Disgrazia (m. 3678).
Alla sua destra si scorgono, lontane, alcune delle più famose cime della testata della Valmalenco, vale a dire, da sinistra, il pizzo Bernina (m. 4046), la Cresta Güzza (m. 3869), i pizzi Argient (m. 3945), Zupò (m. 3995) e Palù (m. 3906). Ancor più lontane, si intuiscono le cime della Val Grosina occidentale.
Ad est si propone, in primo piano, il versante orientale della Val Bomino, che separa la Valle del Bitto di Gerola da quella di Albaredo: si tratta del lungo crinale che dal pizzo Berro (termine che deriva da “bel-ver”, belvedere, oppure da “berr”, montone), sopra Bema, sale fino al pizzo di Val Carnera (m. 2216) ed al monte Verrobbio (m. 2139).


Il Monte Disgrazia visto dal Monte Motta

Alle spalle del crinale, sempre verso est, si distinguono, sul versante orientale della Valle del Bitto di Albaredo, tre cime: il monte Lago (m. 2353), il monte Pedena (m. 2399) ed Azzarini (m. 2431). Fra questi ultimi due monti si trova l’ampia e facilmente riconoscibile sella del passo di Pedena (m. 2234), che unisce la val Budria (dal termine bergamasco “büder”, che significa “vaso fatto di scorza di abete) alla valle del Bitto di Albaredo: si tratta dell’unica porta fra quest’ultima valle e la Val Tartano. L’elegante triade di cime nasconde, però, il più ampio panorama delle Orobie centro-orientali.
Proseguiamo, quindi, nel giro di orizzonte in senso orario, puntando con lo sguardo a sud-est: riconosceremo facilmente, anche per la presenza dei tralicci che lo valicano, il più famoso passo di san Marco (m. 1992), che congiunge la Valle del Bitto di Albaredo alla Val Brembana, sul versante orobico bergamasco. Verso sud-sud-est si stende davanti ai nostri occhi il crinale che dal monte Motta sale fino alla cima del Larice (m. 2045), e che separa la val Bomino dalla conca che ospita il lago di Pescegallo.


Apri qui una panoramica sul gruppo del Masino e la testata della Valmalenco visti dal Monte Motta

Alla sua destra si può ammirare la testata della valle di Pescegallo, sulla quale è riconoscibile, da sinistra, il monte Ponteranica (m. 2378), alla cui destra si trova il caratteristico spuntone roccioso denominato monte Valletto (m. 2371). Proseguendo verso destra, in primo piano si propongono l’ampia conca di Salmurano e, alla sua destra, splendidamente aperta, quella della val Tronella, sulla cui testata si distinguono, da sinistra, le frastagliate guglie dei Denti della Vecchia (m. 2125), il caratteristico uncino del torrione della Mezzaluna (m. 2373) ed il pizzo di Tronella (m. 2311). Alle sue spalle si intravede una sezione della testata della valle della Pietra, dominata dal più massiccio pizzo di Trona ("piz di vèspui", m. 2510), alla cui destra si vede la bocchetta omonima (m. 2092), importante porta fra alta Val Gerola ed alta Val Varrone; alle spalle della bocchetta si scorge il pizzo Varrone (m. 2325), con il caratteristico Dente. Rimane, invece, quasi interamente nascosto proprio dietro il pizzo di Trona il più famoso pizzo dei Tre Signori (m. 2554).


La Valle di Zocca (Val Masino) vista dal monte Motta

Verso ovest, infine, si vedono le cime del versante occidentale della val Gerola, vale a dire, da sinistra, il pizzo Mellasc (m. 2465), il Piazzo (m. 2269), il monte Colombana (m. 2385) ed il monte Rotondo (m. 2496), fra i quali si apre la bocchetta di Stavello (“buchéta de Stavèl”, m. 2210), il monte Rosetta (m. 2360), il monte Combana (m. 2327), il pizzo Olano (m. 2267), il pizzo dei Galli (m. 2217) e la cima della Rosetta (m. 2142).
Il ritorno a Gerola può avvenire sfruttando il medesimo itinerario di salita (ed in tal caso si presti attenzione, nella parte bassa dei prati del Bominallo ("buminàl"), alla partenza del sentiero, segnalata sulla sinistra, che riconduce a Gerola), oppure, con un itinerario molto più lungo, percorrendo il crinale che separa le valli Bomino e di Pescegallo (su un tracciato segnalato dai segnavia rosso-bianco-rossi), toccando le quote 2004, 1998 e 2043, passando per la cima del Larice (m. 2045), prima di iniziare la discesa, per balze esposte che richiedono attenzione, alla conce che ospita il lago di Pescegallo (m. 1865). Vediamo questa seconda possibilità.


La costiera Monte Motta-Cima del Larice

TRAVERSATA DELLA DORSALE BOMINO-PESCEGALLO

Punti di partenza ed arrivo
Tempo necessario
Dislivello in altezza
in m.
Difficoltà (T=turistica, E=escursionistica, EE=per escursionisti esperti)
Gerola-Bominallo-Monte Motta-Cima del Larice-Lago di Pescegallo-Pescegallo-Gerola
8-9 h
1140
EE
SINTESI. Alla prima rotonda all'ingresso di Morbegno (per chi proviene da Milano) prendamo a destra ed alla successiva ancora a destra; dopo un ponte imbocchiamo la provinciale della Val Gerola, saliamo verso Gerola Alta, dove parcheggiamo. Ci portiamo sul lato opposto della valle sfruttando il ponte sul torrente Bitto all'altezza del centro del paese. Percorriamo alcuni passi verso valle (nord, sinistra), fino a trovare la partenza di un sentiero, segnalato, sulla nostra destra. Iniziamo, così, a salire, all’ombra di un fresco bosco, accompagnati da alcuni segnavia rosso-bianco-rossi (alcuni dei quali riportano la numerazione “9”). Presso il rudere di una baita, il sentiero piega a destra, poi di nuovo a sinistra, e prosegue, in direzione nord, nella salita lungo il fianco nord-occidentale del lungo dosso che domina, ad oriente, Gerola. A quota 1357 usciamo dal bosco, nella parte bassa dei prati del Bominallo. Proseguiamo ora salendo su traccia incerta, seguendo il centro del dosso. Ad una radura troviamo una pozza. Dopo la successiva radura della località del Piaz, a 1703 metri (baita), la salita si accentua. Incontriamo anche un passaggio che richiede attenzione, perché bisogna sormontare una roccetta in un punto a valle del quale il terreno è franato. Nell’ultima parte della salita, verso sud-est, il sentiero ha una vera e propria impennata, e punta direttamente alla cima arrotondata del dosso, sormontata da una croce di legno, che è già visibile. Passando a sinistra di alcune barriere paravalanghe, lasciamo, alla fine, alle spalle il bosco e la fascia di bassa vegetazione, per approdare all’arrotondata ed erbosa cima del monte Motta (m. 1971), Proseguiamo verso sud-est seguendo i segnavia con numerazione 9, su sentierino discontinuo che percorre l'intera cresta della dorsale fra la Valle di Bomino, ad est (sinistra) e la Valle di Pescegallo, ad ovest (destra). Procediamo con diversi saliscendi, toccando le quote 2004, 1998 e 2043, per poi salire alla cima del Larice (m. 2045), facilmente riconoscibile per le barriere paravalanghe sul versante della Valle di Pescegallo. Da questa cima inizia la discesa alla conca del lago di Pescegallo, che va effettuata con grande attenzione, non perdendo di vista i segnavia. Dopo breve discesa alla successiva selletta, lasciamo il sentiero di cresta e pieghiamo a destra, seguendo la traccia che scende leggermente su un dosso erboso verso nord, per breve tratto, fino al suo limite, per poi piegare a sinistra e scendere sul ripido versante erboso (attenzione!), infilandosi in un canalino ed in un secondo con qualche roccetta e macereto. Ne esce in corrispondenza di un addolcimento del crinale (la "cuna") e, dopo aver piegato a sinistra, scende ad intercettare il marcato sentiero 161 (Gran Via delle Orobie), che percorriamo verso destra per breve tratto, fino al camminamento della diga di Pescegallo. Lo percorriamo interamente e sul lato opposto scendiamo alla pista sterrata che sale fin qui da Pescegallo. Ne percorriamo un tratto verso nord-ovest, poi, in corrispondenza di un ampio ripiano e di una vasca in cemento, poco prima di una curva a sinistra, seguiamo i segnavia che segnalano un sentiero che se ne stacca scendendo a destra ed attraversando una fascia di prati (attenzione ai segnavia). Il sentiero si fa più marcato e scende verso sinistra, passando sotto barriere paravalanghe e scendendo in direzione del centro della valle di Pescegallo, poi piega a destra e prosegue scendendo verso nord-nord-est, con diversi tornanti, fra radi larici. Esce dalla macchia ai prati della baita casera di Pescegallo, a 1595 metri. Scesi alla baita, prendiamo a sinistra ed intercettiamo una pista sterrata, che scende ad intercettare una stradina asfaltata. Proseguiamo scendendo verso sinistra e raggiungiamo i parcheggi del punto terminale della carozzabile che sale a Pescegallo da Gerola (m. 1450). Andiamo a sinistra, verso gli impianti di risalita di Pescegallo. Appena oltre gli impianti, scendiamo verso destra seguendo un accenno di pista che sul limite di un'abetaia diventa una pista che scende fra i boschi sul lato di sinistra (occidentale) della Valle di Pescegallo. Ignorata una deviazione a sinistra, usciamo dall'abetaia e piegando a destra superiamo su un ponte il torrente Bitto di Pescegallo, raggiungendo il nucleo di Fenile (m. 1253). Scendiamo per un tratto sulla carrozzabile Gerola-Pescegallo, fino all'uscita da Fenile. Cerchiamo poi sulla sinistra la partenza della vecchia mulattiera per Gerola, e la imbocchiamo lasciando la carrozzabile e seguendola interamente fino a Gerola. La mulattiera taglia tre volte la carozzabile (dopo la seconda passiamo per le due cappellette della Volta di Cavài), supera un dosso erboso e scende a Gerola Alta, sul lato opposto del Bitto rispetto alla parrocchiale di S. Bartolomeo. Sfruttando un ponte ci portiamo sul lato occidentale e recuperiamo l'automobile.


La costiera monte Motta-Cima del Larice

Nell'alta Val Gerola occidentale una lunga costiera separa la Val Bomino, ad est, dalla Valle di Pescegallo, ad ovest. La costiera si innalza appena ad est di Gerola, e dalla frazione di Nasoncio sale al monte Motta (Piàa de la Mota, m. 1971) e prosegue verso sud-est passando per la cima quotata 2043 m., la cima del Larice (Mot dul Làres, m. 2045), la bocchetta del Forcellino (Fuscelign, m. 1050) ed il pizzo della Nebbia (m. 2245). Un sentiero di cresta, segnalato con segnavia e numerazione 9, percorre l'intera costiera dal Motta alla Cima del Larice.
Non presenta tratti difficili, ma alcuni passaggi esposti che vanno quindi affrontati con attenzione e buone condizioni di terreno. Per la sua panoramicità non deluderà neppure gli appassionati del trekking più esigenti, soprattutto ad inizio autunno, quando alla larghezza di orizzone che accompagna ogni passo di unisce l'impagabile sinfonia dei colori.
Se vogliamo percorrerlo lasciamo alle nostre spalle la croce del Monte Motta e percorriamo il ripiano verso sud-est. Ben presto al fondo erboso si sotituisce un terreno misto, con macereti, roccette e radure erbose.


Pizzo del Vento e cima orientale di Ponteranica dalla cima del Larice (foto di Alessio Pezzotta, per gentile concessione; cfr. "Orobie Over 2000", ed AL.PE, vol. I, 2011)

Procediamo con diversi saliscendi, toccando le quote 2004 e 1998, prima di salire alla quota 2043, la più imponente toccata dalla traversata. Dalla sella che precede la rampa che porta a questa cima scende, verso sinistra, un canalone percorso da una traccia di sentiero che porta sul fondo della Val Bomino, a poca distanza dalla pista sterrata che passa per le baite del Solivo (m. 1601). Possiamo sfruttarla per chiudere un anello molto più breve, ma assolutamente interessante: dal Solivo, infatti, percorrendo la pista che più in basso si porta sul lato destro a quello sinistro della valle, scendiamo ad intercettare una pista più larga che, percorsa verso sinistra, ci riporta diritti a Nasoncio.


Il lago di Pescegallo

Ma vediamo come proseguire nella traversata della costiera. Dopo essere scesi con attenzione alla sella che segue la quota 2043, riprendiamo a salire fibo alla cima del Larice (m. 2045), facilmente riconoscibile per le barriere paravalanghe sul versante della Valle di Pescegallo.
Si tratta di una cima estremamente panoramica, anche se il panorama è analogo a quello del Monte Motta. Da questa cima inizia la discesa alla conca del lago di Pescegallo, che va effettuata con grande attenzione, non perdendo di vista i segnavia ed in nessun caso puramente a vista. Dopo breve discesa, sempre in cresta, alla successiva selletta, lasciamo il sentiero di cresta e pieghiamo a destra, seguendo la traccia che scende leggermente su un dosso erboso verso nord, per breve tratto, fino al suo limite, per poi piegare a sinistra e scendere sul ripido versante erboso (attenzione!), infilandosi in un canalino ed in un secondo con qualche roccetta e macereto.


Discesa dalla cima del Larice e la "cüna"

Ne esce in corrispondenza di un addolcimento del crinale che accenna ad un avvallamento, legato ad una curiosa leggenda. Questo luogo è chiamato localmente “la cüna”, cioè “la culla”: vi sarebbe stato ritrovato in un lontano passato un bambino, che era sopravvissuto grazie ad una camoscia che lo aveva allattato. Al bambino sarebbe stato dato il nome di “Spandrio”. Leggenda curiosa, perché è raro trovarne di analoghe sull'arco alpino, costruite sullo schema del bambino selvaggio allattato da animali.
Il sentiero, dopo aver piegato a sinistra, scende ad intercettare il marcato sentiero 161 (Gran Via delle Orobie), che percorriamo verso destra per breve tratto, fino al camminamento della diga di Pescegallo.
C'è anche una seconda possibilità di discesa: dalla cima del Larice proseguiamo sul crinale, con breve discesa. Superiamo due brevi rialzi, poi lasciamo il crinale prendendo a destra, su sentierino che scende un ripido versante (massima attenzione) ed intercetta il sentiero 161 (Gran Via delle Orobie) poco sotto il Forcellino. Seguendo questo marcato sentiero in discesa raggiungiamo, dopo diversi tornanti, il camminamento della diga di Pescegallo.
Lo percorriamo interamente e sul lato opposto scendiamo alla pista sterrata che sale fin qui da Pescegallo. Potremmo seguirla interamente nella discesa a Pescegallo, ma più breve ed interessante è la discesa che sfrutta l'antica mulattiera di accesso al lago.


Apri qui una fotomappa della salita dal lago di Pescegallo al Forcellino con le due deviazioni per la cima del Larice

Percorriamo dunque un tratto della pista verso nord-ovest, poi, in corrispondenza di un accenno di curva a sinistra, di un ampio ripiano e di una vasca in cemento, poco prima di una curva a sinistra, seguiamo i segnavia che segnalano un sentiero che se ne stacca scendendo a destra ed attraversando una fascia di prati (attenzione ai segnavia). Il sentiero si fa più marcato e scende verso sinistra, passando sotto barriere paravalanghe e scendendo in direzione del centro della valle di Pescegallo, poi piega a destra e prosegue scendendo verso nord-nord-est, con diversi tornanti, fra radi larici. Esce dalla macchia ai prati della baita casera di Pescegallo, a 1595 metri.
Scesi alla baita, prendiamo a sinistra ed intercettiamo una pista sterrata, che scende ad intercettare una stradina asfaltata. Proseguiamo scendendo verso sinistra e raggiungiamo i parcheggi del punto terminale della carozzabile che sale a Pescegallo da Gerola (m. 1450). Andiamo a sinistra, verso gli impianti di risalita di Pescegallo. Appena oltre gli impianti, scendiamo verso destra seguendo un accenno di pista che sul limite di un'abetaia diventa una pista che scende fra i boschi sul lato di sinistra (occidentale) della Valle di Pescegallo.


Discesa dal lago di Pescegallo a Pescegallo

Superato un torrentello laterale su un ponte in legno ed ignorata una deviazione a sinistra, usciamo dall'abetaia e piegando a destra superiamo su un ponte il torrente Bitto di Pescegallo, raggiungendo il nucleo di Fenile (m. 1253). Scendiamo per un tratto sulla carrozzabile Gerola-Pescegallo, fino all'uscita da Fenile. Cerchiamo poi sulla sinistra la partenza della vecchia mulattiera per Gerola, e la imbocchiamo lasciando la carrozzabile e seguendola interamente fino a Gerola. La mulattiera taglia tre volte la carozzabile (dopo la seconda passiamo per le due cappellette della Volta di Cavài).
Il nome di questo luogo, nel quale la mulattiera corre appena a destra del torrente, è legato ad alcune antiche leggende (o forse ha contribuito a generarle). Si natta che qui si annidassero oscure presenze, “striamenc'” (letteralmente “stregonerie”, “apparizioni di streghe”), che minacciavano e spaventavano i numerosi viandanti da e per Gerola. Pare che diverse volte i cavalli, giunti qui, si rifiutassero di proseguire, facessero dietro-front e tornassero indietro (di qui il nome: “Volta di Cavài”).


Testata della Valle di Pescegallo vista dalla pista Pescegallo-Fenile

In particolare accadde un giorno che i cavalli che scendevano per portare a Gerola della calce per la costruzione di una chiesetta (venivano dalla Bergamasca, per il passo di San Marco), qui giunti, si fermarono e si rifiutarono di proseguire. La gente di Gerola e Fenile, stanca di tutto ciò, fece dipingere su un grande masso un affresco che raffigurava la Madonna, ma il masso si frantumò (lo vediamo ancora, proprio a ridosso del sentiero, sul lato sinistro), e tuti capirono che ci aveva messo lo zampino (ed anche qualcosa di più) il diavolo. Ma non si persero d'animo. Nel breve volgere di due anni (1836 e 1837) furono costruite due santelle (gisöi), la prima commissionata da Bartolomeo Ambrosetti e restaurata nel 1986, la seconda commissionata da Carlo e fratelli Spandrio con Giuseppe Acquistapace. Nella prima sono raffigurati la Madonna con Bambino fra i santi Bartolomeo, Giuseppe e, ai lati, Sebastiano e Rocco. Nella seconda sono raffigurati la Madonna con Bambino fra i santi Giuseppe ed Antonio.


Fenile

Si racconta però anche una storia un po' diversa (cfr. Renzo Passerini). Un giorno due ufficiali pagatori salivano da Gerola per portare il compenso agli operai delle miniere di ferro e del forno di Pescegallo. La borsa con i soldi era poggiata sul dorso di due cavalli, che però, alla Vòlta, si imbizzarrirono, si volsero indietro e tornarono a Gerola. I due ufficiali, sconsolati, ridiscesero al paese e provarono a salire in Val Fenile per la più sconnessa via sul lato opposto del fiume, questa volta senza problemi. Vennero poi a sapere che poco dopo di loro erano saliti sulla mulattiera acciottolata due cavalieri, e proprio alla Vòlta erano stati aggrediti e picchiati selvaggiamente da briganti nascosti nei paraggi, forse per aspettare i soldi dei due pagatori. Ringraziarono così il fiuto e la saggezza dei loro cavalli. Secondo questa versione il nome del luogo è legato ai due tornanti che la mulattiera descrive, per la verità appena accennati.

Seconda santella alla Volta dei Cavai

Dopo la Volta di cavai la mulattiera taglia ancora una volta la carrozzabile, poi supera un dosso erboso e scende a Gerola Alta, sul lato opposto del Bitto rispetto alla parrocchiale di S. Bartolomeo. Sfruttando un ponte ci portiamo sul lato occidentale e recuperiamo l'automobile.

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