Apri qui una fotomappa del versante sopra Monte in Valdisotto

Punti di partenza ed arrivo
Tempo necessario
Dislivello in altezza
in m.
Difficoltà (T=turistica, E=escursionistica, EE=per escursionisti esperti)
Bivio Tiola-Monte - Campello - Campacciolo - Lago di Campaccio
3 h
780
E
SINTESI. Lasciamo la ss. 38 dello Stelvio all’ultimo svincolo a sinistra prima di Bormio (per chi proviene da Milano; indicazioni per Cepina). Procediamo per un tratto verso nord, poi, seguendo le indicazioni per S. Maria, prendiamo a sinistra e superiamo su un ponte il fiume Adda, per poi prendere di nuovo a sinistra (ancora indicazioni per S. Maria) e procedere in direzione contraria rispetto a Bormio (cioè verso sud). Ignorata una deviazione a sinistra, proseguiamo su una stradina asfaltata dalla carreggiata piuttosto stretta, fino ad un successivo bivio, dove, ignorata la strada che prosegue a sinistra (indicazioni per Fontane), prendiamo a destra. Ad un terzo bivio ignoriamo la strada che volge a destra e prendiamo a sinistra, imboccando una breve galleria che ci porta a S. Maria Maddalena. Proseguiamo andando a destra ad un quatro bivio e parcheggiando appena prima il quinto binio (m. 1530). Ci incamminiamo andando a sinistra e salendo al nucleo di Monte (m. 1619). Ci portiamo alla chiesetta e troviamo la partenza di 2 sentieri: prendiamo quello di destra (Campaccio), salendo per una ripida stradella che entra nel bosco. Superiamo una cappelletta a quota 1800. Dopo un nuovo tratto di pendenza severa ed un breve saliscendi, usciamo dal bosco per attraversare le poche baite della località Campello (m. 1890). Oltrepassate le baite, il tratturo piega leggermente a sinistra, riprende a salire decisamente e rientra nel bosco, dove guadagna rapidamente quota con qualche tornantino. Sbuchiamo ad una piccola radura con un capanno, prima di entrare di nuovo nel bosco. Ignorate due deviazioni a destra, proseguiamo sulla pista principale, che termina alle baite di Campacciolo (m. 2104). Alle spalle delle baite troviamo (segnalato da un segnavia rosso-bianco-rosso su un sasso) il sentiero che prosegue per il lago, superando una bella radura con tavolo e panche in legno ed immergendosi in una breve macchia di larici. Raggiungiamo, quindi, il torrente Massaniga e lo attraversiamo, ignorando sul lato opposto una traccia che va a destra. Proseguiamo salendo, in breve, all’ampia conca dell’alpe Campaccio, chiusa dal gradino glaciale che ci separa dalla meta. Il sentiero non si porta verso il centro della conca, ma ne taglia, a mezza costa, il fianco alla nostra destra, guadagnando gradualmente quota e portandoci alle soglie della più alta ed ampia conca che ospita il lago di Campaccio (m. 2301).


Fra i laghetti alpini di cui sono ricche le montagne di Valtellina e Valchiavenna diversi sono ben noti agli appassionati di escursionismo, ma ve ne sono almeno altrettanti sconosciuti ai più. Fra questi ultimi è sicuramente da annoverare il lago di Campaccio (lach de Campac’, m. 2301), posto nell’amplissima conca glaciale che si apre ai piedi del versante meridionale della cima Piazzi, sospesa nella parte alta del versante montuoso che sovrasta ad ovest Cepina, nel comune di Valdisotto. Al lago si arriva dopo una facile escursione due ore e mezza o poco più, che parte dalla frazione alta di Tiola, alla quale ci si può portare con l’automobile.
Per farlo, lasciamo la ss. 38 dello Stelvio all’ultimo svincolo a sinistra prima di Bormio (indicazioni per Cepina). Procediamo per un tratto verso nord, poi, seguendo le indicazioni per S. Maria, prendiamo a sinistra e superiamo su un ponte il fiume Adda, per poi prendere di nuovo a sinistra (ancora indicazioni per S. Maria) e procedere in direzione contraria rispetto a Bormio (cioè verso sud). Ignorata una deviazione a sinistra, proseguiamo su una stradina asfaltata dalla carreggiata piuttosto stretta, fino ad un successivo bivio, dove, ignorata la strada che prosegue a sinistra (indicazioni per Fontane), prendiamo a destra (indicazioni per Massaniga, S. Maria, Presure, Tiola e Monte). Ad un terzo bivio ignoriamo la strada che volge a destra e prendiamo a sinistra, imboccando una breve galleria: si tratta della galleria di Santa Maria, costruita per ripristinare i collegamenti fra i nuclei di Santa Maria, sul versante montuoso a sud del torrente Massaniga (Rin de Masanìga) e Cepina dopo la tragica alluvione del luglio 1987.
Usciti dalla galleria, ci troviamo alla frazione di S. Maria Maddalena (chiamata, nel Medio Evo, Plazmortizio), a 3 km da Cepina. Oltrepassata la graziosa chiesetta (costruita nel 1935 al posto della ben più antica chiesetta del 1372), che resta alla nostra sinistra, ecco un quarto bivio, al quale non prendiamo a sinistra (indicazione per Presure), ma a destra (indicazione per Monte). Dopo alcuni tornanti, la strada prende per un tratto a destra, e ci porta ad un quinto bivio, a 5 km e mezzo da Cepina: le indicazioni segnalano che a destra si raggiunge il nucleo di Tiola (abitato permanentemente; fino al 1970 vi si trovata anche una scuola elementare), mentre a sinistra si prosegue per quello di Monte.
Dobbiamo, però, lasciare qui l’automobile, allo slargo appena prima del bivio, perché la stretta stradina di destra finisce subito alle case di Tiola, mentre quella di sinistra è chiusa al traffico dei veicoli non autorizzati. La camminata inizia, dunque, da una quota di circa 1530 metri. Seguiamo la strada asfaltata per Monte, che, dopo un tornante sinistrorso, ci porta alle case della frazione (Mont, m. 1619, a 7 km da Cepina), abitata permanentemente da un centinaio di persone fino agli anni Cinquanta del secolo scorso, ora animata dai villeggianti solo nella stagione estiva o nei finesettimana. La denominazione si riferisce ai pascoli che circondano l’abitato, sfruttati, in passato, per la fienagione fino all’ultimo filo d’erba. Si cercava di rubare progressivamente spazio al bosco, coltivando anche la segale: questa coltura, associata all’allevamento del bestiame, consentiva di passare l’inverno, ovviamente in condizioni modeste e dure. Erano altri tempi, come ripete chi ha vissuto quelli stentati del passato: la miseria, oggi, ha lasciato il posto ad un agio diffuso, ed il bosco si prende la sua rivalsa dopo secoli e secoli di ritirata, incalzato dalla fame dell’uomo. Fra le case spicca la chiesetta dedicata alla visitazione della Madonna alla cugina Elisabetta, edificata nel 1911 per volontà del cappellano don Michele Molinari.
Nei pressi della chiesa partono due stradelle: quella di sinistra porta all’alpe Zandila (m. 2015; cartello D – Sentiero Zandila), mentre quella di destra sale verso Campello, Campacciolo e la Val Campaccio, dove si trova il lago omonimo, la nostra meta (cartello C- Sentiero Piazzi, che dà la malga Campaccio ad un’ora e 30 minuti ed il lago di Campaccio a 2 ore e 30 minuti). La stradella sale ripida, superando le ultime case della frazione, prima di entrare nel bosco (notiamo anche un vecchio cartello che reca scritto “Ai laghi”). Il tratturo prosegue con pendenza sempre severa; alla nostra sinistra notiamo, su un masso, il primo segnavia rosso-bianco-rosso (senza numerazione).
A quota 1800 circa incontriamo, dopo un primo tratto di faticosa salita, un gruppo di baite, alla nostra sinistra, ed una cappelletta dedicata alla Madonna, con una breve e suggestiva preghiera: “Quando l’aurora imbianca, quando il tramonto annera, sulla soglia del bosco i passi a noi rinfranca, Messaggera dell’alba, Custode della sera”. Oltre la cappelletta, si staccano due piste secondaria, sulla sinistra e sulla destra, che ignoriamo. La pendenza, quindi, tende ad addolcirsi. Dopo un nuovo tratto di pendenza severa ed un breve saliscendi, usciamo dal bosco per attraversare le poche baite della località Campello (Campèl, m. 1890). Oltrepassate le baite, il tratturo piega leggermente a sinistra, riprende a salire decisamente e rientra nel bosco, dove guadagna rapidamente quota con qualche tornantino. Prima di un secco tornante a destra (qui il tratturo è protetto da un muro a secco e da un parapetto in legno) troviamo un cartello che reca scritto “Per accendere il fuoco all’alpe portare legna”. Al lettore potrà sembrare singolare che si annotino in una relazione escursionistica tutti questi dettagli. In realtà ogni dettaglio è prezioso per l’escursionista: tutto può contribuire a fargli comprendere la natura dei luoghi che si attraversano e verso cui ci si dirige.
Dopo i successivi tornanti sinistrorso e destrorso, sbuchiamo ad una piccola radura con un capanno, prima di entrare di nuovo nel bosco. Ignorato un largo sentiero che si stacca sulla nostra destra, troviamo un secondo cartello relativo al percorso D (Sentiero Piazzi), che segnala la deviazione a destra che scende alla malga Campaccio (Campàc’, m. 2074) e che dà il lago Campaccio ad un’ora ed il colle Rinalpi (m. 2995) a 4 ore. Noi ignoriamo questa deviazione e proseguiamo sulla pista principale, che termina alle baite di Campacciolo (Campaciöl, m. 2104), che si stendono ai piedi del Dosso Filetto (Al Filét).
Alle spalle delle baite troviamo (segnalato da un segnavia rosso-bianco-rosso su un sasso) il sentiero che prosegue per il lago, superando una bella radura con tavolo e panche in legno ed immergendosi in una breve macchia di larici. Raggiungiamo, quindi, il torrente della valle: si tratta del torrente Massaniga – Rin de Masanìga -, che esce direttamente dal lago di Campaccio e nel quale confluisce, più a valle, da sinistra il torrente della Val di Mot. Lo attraversiamo, da sinistra a destra, su un ponticello in legno, ma appena prima del ponte dobbiamo prestare attenzione: sulla sinistra si stacca, infatti, dal sentiero principale una debole traccia, che però è segnalata da un segnavia: la ignoriamo.
Sul lato opposto troviamo, invece, una debole traccia che si stacca dal sentiero, questa volta sulla destra: ignoriamo anche questa e proseguiamo salendo, in breve, all’ampia conca dell’alpe Campaccio, chiusa dal gradino glaciale che ci separa dalla meta. L’alpeggio viene ancora caricato, anche se in passato assumeva una ben maggiore importanza, per cui il suo uso era regolato da norme molto rigide: ogni malga, assegnata ad una vicinanza (frazione politico-territoriale nel territorio della Contea di Bormio), era affidata alla responsabilità di due caricatori d’alpe, che passavano, in primavera, di casa in casa per raccogliere la prenotazione del bestiame da caricare e reclutare casari e pastori.
Il sentiero non si porta verso il centro della conca, ma ne taglia, a mezza costa, il fianco alla nostra destra, guadagnando gradualmente quota e portandoci alle soglie della più alta ed ampia conca che ospita il lago di Campaccio. Ci accoglie il cartello (in pessime condizioni) che annuncia il lago Campaccio e dà il colle Rinalpi a 3 ore. Il lago, però, non lo vediamo ancora: davanti a noi individuiamo, invece, una baita diroccata ed una cabina di recente costruzione, che probabilmente, in futuro, sarà attrezzata a bivacco-ricovero.
Per trovare il lago dobbiamo procedere, dalla cabina, verso sinistra: ci ritroviamo, in breve, ai 2301 metri della sua riva settentrionale, dopo poco più di due ore e mezza di cammino (il dislivello in altezza è di circa 780 metri). Da qui possiamo ammirare l’ampio scenario di cime che contorna l’alta valle: a sud-ovest il pizzo Coppetto (m. 3066), il cui nome è stato ingiustamente e tristemente legato alla tragica frana della Val Pola del 1987, la cima Riacci (m. 3009) e la cima di Campello (m. 3046); ad ovest, cioè in direzione del fondo della valle, il pizzo Campaccio (m. 3143), il colle dei Piazzi (Pas de li Torta, m. 3022, un tempo difficile passo di contrabbandieri – il nome deriva dal fatto che, soprattutto con carichi pesanti, ci si doveva assicurare con delle corde - che dà sull’alta Val Verva) e la cima quotata 3241; a nord-ovest, cioè più a destra, l’imponente parete meridionale della cima Piazzi (Corna di Plaz, m. 3439); a nord, infine, il monte Rinalpi (m. 3009) e, alla sua destra, il colle Rinalpi (m. 2995), la meta segnalata dai cartelli della Comunità Montana dell’Alta Valtellina sopra menzionati. Queste due ultime cime si elevano al di sopra di un’ampia conca-vallone che si apre a monte della formazione rocciosa del Dosso dei Mot: si tratta della Val di Mot (toponimo che significa cumulo, dosso), che ospita alcuni microlaghetti, il più grande dei quali è denominato, sulla carta IGM, lago dei Mot (Lach di Mot, m. 2457).
Se vogliamo allungare un po’ l’escursione, possiamo andare a scovarlo, prestando però un po’ di attenzione, perché il sentierino che porta ad esso ha una traccia incerta e non segnalata. Per trovarlo dobbiamo riportarci alla cabina-ricovero e portarci sul lato opposto (da destra a sinistra) del piccolo corso d’acqua che si trova nei suoi pressi, a nord. Procediamo, quindi, a salire gradualmente verso destra, mentre la traccia, all’inizio ben visibile, si fa più incerta e, a tratti, appena intuibile. Tagliamo, così, in diagonale il ripido versante sottostante ad alcune formazioni rocciose (attenzione a non scivolare), procedendo verso nord-est,  fino a giungere ai piedi di una formazione di scure rocce marce; qui intercettiamo una traccia più marcata, che sale da destra, e la seguiamo continuando a salire e volgendo, quindi, a sinistra (direzione ovest). Al termine della salita guadagniamo il dosso erboso che sormonta le formazioni rocciose a monte della cabina-ricovero.
Qui, invece di proseguire diritti verso l’interno della valle (ovest), pieghiamo a destra (nord) e, superata una breve depressione erbosa, saliamo ad intercettare un sentiero che proviene da sinistra. Lo seguiamo, quindi, verso destra (nord-est), iniziando una nuova diagonale a mezza costa, che ci fa passare a monte della formazione di rocce scure e marce. La traccia è stretta ma ben marcata: davanti a noi l’orizzonte è chiuso dal superbo scenario dei monti Ortles, Gran Zebrù e Cevedale; più a destra si distingue facilmente il monte Vallecetta, nei cui pressi si trovano gli impianti di Bormio 3000. Tagliato un modesto dosso, passiamo a monte di una gola, piuttosto orrida ed impressionante, nonostante sia occupata, al suo culmine, da una gentile pianetta erbosa. Incontriamo, poi, una fascia di massi, dove la traccia si perde, ma, tagliando in diagonale verso un roccione alla nostra sinistra, la ritroviamo. Aggirato il roccione ed un nuovo dosso, vediamo, davanti a noi, un grande ometto; il sentiero passa qualche decina di metri a monte. La conformazione del terreno ci fa qui capire il motivo del nome assegnato a questa valle, che appare segnata da una successione di dolci poggi erbosi.


Laghetto del Mot

Ci ritroviamo, in breve, leggermente alti rispetto alla conca che ospita il laghetto dei Mot (m. 2457), un’incantevole perla immersa nel più profondo silenzio ed in una solitudine irreale. Calcoliamo, dal lago Campaccio al laghetto dei Mot una mezzora o poco più di cammino. Il ritorno può, ovviamente, avvenire per la via di salita oppure, per via più breve (ma che richiede cautela ed esperienza) sfruttando i ripidi dossi che si alternano ai canaloni che scendono al fondovalle ad est del laghetto.
In questo secondo caso ci portiamo sul lato opposto del laghetto rispetto a quello cui siamo giunti e, prendendo a destra, ci affacciamo ad un ripido versante erboso. Guardando a destra, vediamo un dosso che raggiungiamo per la via più semplice, cominciando poi a scendere tenendone il filo (sul quale troviamo anche una debole traccia di sentiero), tenendoci in mezzo a due formazioni rocciose ai nostri lati. Più in basso vediamo che la traccia volge a sinistra, lasciando il dosso, attraversando una vallecola appena accennata e raggiungendo un dosso occupato da macereti. Proseguiamo, quindi, in diagonale (evitiamo di scendere), su una traccia che va e viene, passando fra alcuni larici solitari e tagliando un nuovo dosso. Proseguendo nella discesa verso sud, attraversiamo un modesto corpo franoso.  Raggiunto un valloncello occupato da massi, pieghiamo a sinistra e seguiamo il dosso che si tiene a sinistra di tale valloncello. Non appena ai massi si sostituisce una fascia erbosa, tagliamo a destra, attraversiamo il valloncello e ci portiamo sul lato opposto, dove troviamo una chiara traccia che scende fino al ponticello sul torrente per il quale siamo passati salendo, dopo aver incontrato le baite di Campacciolo. Attraversato il ponte, proseguiamo la discesa per la medesima via di salita.

CARTA DEL PERCORSO sulla base della Swisstopo, che ne detiene il Copyright. Ho aggiunto alla carta alcuni toponimi ed una traccia rossa continua (carrozzabili, piste) o puntinata (mulattiere, sentieri). Apri qui la carta on-line

Mappa del percorso - particolare della carta tavola elaborata da Regione Lombardia e CAI (copyright 2006) e disponibile per il download dal sito di CHARTA ITINERUM - Alpi senza frontiere

GALLERIA DI IMMAGINI

APPENDICE: Viene qui di seguito riportata la relazione di Paolo Pero, professore di Storia Naturale al Liceo “G. Piazzi” di Sondrio, sul lago Campaccio (nella raccolta “I laghi alpini valtellinesi”, Padova , 1894).



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