Campane di Lovero 1, 2, 3


Lovero

Lòvero è un comune dell’antico Terziere Superiore di Valtellina, ad est di Tirano, sul lato destro (per chi sale) della Valtellina, fra Sernio e Tovo Sant’Agata. Il suo territorio comunale comprende però entrambi i versanti della valle. La sezione più ampia si trova sul lato meridionale, dove i confini salgono dal fondovalle fino alla dorsale che separa la Valcamonica dalla Valtellina, in corrispondenza del passo di Guspessa (m. 1824) ad ovest e del Dosso San Giacomo (m. 2235) ad est. Qui si trovano una fitta rete di maggenghi ed alpeggi e, un po’ elevato rispetto all’Adda, il centro dell’abitato di Lovero, posto a 530 m. s.l.m. Sul ripido versante retico della valle il territorio comunale si ritaglia una striscia che dal fiume (m. 507) sale restringendosi fino al torrione Tirano (m. 2647), sua massima elevazione, appena a sud del monte Masuccio (m. 2816).


Lovero

Difficile ricostruire le più antiche vicende della presenza umana in questi luoghi. Enrico Besta (ne "Le Valli dell’Adda e della Mera nel corso dei secoli. Vol. I: Dalle origini alla occupazione grigiona", Milano, Giuffrè, 1955) sostiene che la Valtellina fu interessata dalla colonizzazione etrusca nei secoli XI-VIII a. C. Agli Etruschi seguirono i Galli, popolo di stirpe celtica, che dal Nord-Ovest dell'Europa calarono in Italia spingendosi fino a Roma nel IV secolo a.C., passando anche per la zona di Tirano.
Dopo la conquista romana, con la campagna iniziata nel 16 a. C., la Valtellina venne inserita nel più vicino municipio, quello di Como. Già durante la crudelissima persecuzione di Diocleziano alcuni cristiani si erano rifugiati all'estremità del lago di Como e all'ingresso delle Valli della Mera e dell'Adda. Verso la fine dell'Impero romano, poi, sopratutto per opera di S. Felice, primo vescovo di Como, e di S. Abbondio, il Cristianesimo si affacciò in Valtellina: S. Fedele, soldato cristiano che fuggiva dalla condanna a morte,fu raggiunto e martirizzato a Samolaco. Solo qualche secolo dopo, in epoca già longobarda, la valle venne pressoché interamente convertita.


Lovero

Caduto l'Impero romano, per intima crisi e sotto la pressione delle popolazioni germaniche, anche la Valtellina fu interessata da queste “migrazioni di popoli” da nord. Tracce della presenza longobarda sono rinvenibili anche nei dialetti valtellinesi, ed il repertorio di termini che ad essa rimandano non è insignificante. Per citarne solo alcuni, di uso piuttosto comune, si possono segnalare "sberlüsc'" (lampo) e "matüsc'" (caciottella di formaggio molle), “güdàzz" (padrino), "sluzz" (bagnato), "balòss" (furbo, furfante), "maschérpa" (ricotta), "gnècch" (di malumore), "lifròch" (sciocco), "bütér" (burro), "scagn" (appoggio per mungere), "scràna" (panca), "scoss" (grembo) , "stracch" (stanco), “slendenàa” (ozioso), “menegold” (coste, bietole), “trincà” (bere), “slòz” (bagnato), “sgrafignà” (rubare), “snizà” (iniziare a mangiare), “grignà” (ridere), “scòss” (grembo), “gram” (cattivo, scarso), “maròs” (cespuglio, ontano), “schèrp” (contenitore), “stachèta” (chiodo per scarpe), “burnìs” (brace), “biótt” (nudo), “rüt” (sporco, rifiuto), “bródeg” (sporco), “ghèi” (soldi), "güzz" (aguzzo, furbo), gnücch (ottuso, sciocco).


Lovero

Ai Longobardi seguirono i Franchi, che, pare, ne abbiano fatto strage nella sanguinosa battaglia del Mortirolo, da cui il passo derivò, forse, il suo nome sinistro: nell’anno 800 Carlo Magno venne incoronato imperatore del Sacro Romano Impero. In età carolingia abbiamo le prime forme di organizzazione ecclesiastica, in quanto Carlo Magno ed i suoi successori favorirono largamente il potere temporale, oltre che spirituale, dei Vescovi. La Valtellina divenne, dunque, un possesso feudale dei Vescovi di Como e di alcuni potenti monasteri, quali S. Ambrogio di Milano e S. Abbondio di Como.
L’organizzazione religiosa della Valtellina e della Valchiavenna, dopo il Mille, faceva capo alle pievi di San Lorenzo a Chiavenna, S. Fedele presso Samolaco, S. Lorenzo in Ardenno e Villa, S. Stefano in Olonio e Mazzo, S. Eufemia o S. Pietro in Teglio, dei martiri Gervasio e Protasio in Bormio e Sondrio e S. Pietro in Berbenno e Tresivio.


Chiesa di S. Alessandro a Lovero

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E' probabile che nei secoli XI o XII venne edificata la chiesa di Sant'Alessandro, menzionata nei documenti più antichi come Cappella Sancti Alexandri, che fu chiesa parrocchuale fino al 1830. La chiesa sorse vicino ad una fortificazione, il castello Pregnolino, di cui però non è rimasta traccia. La chiesetta di Sant'Alessandro, invece, affiancata da un suggestivo ossario che ci ricorda la fragilità di ogni realtà umana, ancora oggi domina il paese da un poggio posto in posizione leggermente rialzata.
Nel secolo XII Lovero entra nella storia in quanto viene citato in una bolla del 21 marzo 1178 con cui il papa Alessandro III conferiva al monastero di San Simpliciano di Milano i privilegi e le donazioni ricevuti dall’imperatore Enrico IV nel 1081, da Lotario II nel 1137 e da Federico I nel 1152 in Lombardia, tra cui decime dei distretti di Lugario (Lovero), Sudri (Sondrio), Pristino (Tovo), Grosio, e Veddo di Dubino. Nel 1208 si ha notizia della presenza a Lovero della chiesa di Santa Maria Maddalena, una dele più antiche della pieve di Mazzo.
Nel 1335 Como, e con essa Valtellina e Valchiavenna, vennero inglobate nella signoria milanese di Azzone Visconti ed il paese figurava negli Statuti di Como con la denominazione dicomune de Loari”.
La Valtellina era ripartita nei terzieri superiore (con capoluogo Tirano), di mezzo (con capoluogo Tresivio), inferiore (con capoluogo Morbegno); Teglio non faceva capo alle giurisdizioni di terziere. Il giudice generale di valle (poi governatore di valle) risiedeva in Tresivio. Il giudice generale, di nomina ducale, svolgeva le funzioni di giudice d’appello, sempre con sede con sede in Tresivio, ed era anche detto podestà della Valtellina. La Valtellina conservò però la sua autonomia locale, tanto che i pretori venivano eletti dal consiglio di valle, che era l’organo in cui si riunivano i rappresentanti delle giurisdizioni. Sempre nel Trecento si vanno delineando forme ed istituzioni dell’ordinamento comunale. Nel 1350 un console di Lovero, Berto di Santa Maria, partecipò ad un sindacato a Tirano per l’elezione di un procuratore.
In un documento del 1491 leggiamo che il sacerdote Paolo de Carate, eletto dalla comunità il 6 aprile 1491, in qualità di curato-rettore doveva, nella chiesa di S. Alessandro, “battezzare gli infanti e ogni altra creatura del paese, svolgere le funzioni solite a tenersi nella sepoltura dei morti del comune, amministrare i sacramenti in detta chiesa, celebrare la messa nei giorni festivi e tutte le altre volte che la comunità lo ritenesse utile”.


La chiesa di S. Maria delle Grazie a Lovero

Nel 1503 i rappresentanti del comune di Lovero (analogamente a quelli di Sondalo) ottennero dal duca di Milano il privilegio che la comunità potesse eleggere da sè un podestà, dei commissari e dei luogotenenti, con beneplacito del feudatario, ma anche senza di esso, purché fossero persone capaci. Il podestà avrebbe avuto autorità in materia civile e penale. Lovero ottenne inoltre che gli aggravi che il comune pagava ab immemorabili ed i redditi prima spettanti al signore feudale dovessero essere attribuiti da allora in poi per metà al comune, che avrebbe amministrato i suoi affari separatamente. Tutti questi privilegi furono accordati e confermati da re Luigi, come duca di Milano, e dal parlamento reale il 16 maggio 1503. Lovero elesse come podestà Giovannino de Nivola. A questo stato di cose si oppose il podestà di Tirano, che dovette però lasciare Lovero nel libero possesso dei diritti conquistati.


Lovero

I confini tra Lovero e Tovo furono stabiliti tra il 1501 e il 1502 e con un successivo compromesso nel 1523.
Nei documenti che attestano la regolamentazione dei confini fra Lovero e Tovo sono menzionate diverse persone di Lovero: Domenico de Carate, Giovanni de Nivola, Giovanni de Carate decano di Lovero, Gaspare e Ugeti fu Bernardo de Carate, Simon de Burno, Domenico fu Leone de Carate, Giovanni fu Martino, Bartolomeo fu Pietro, Ugeto fu Bernardo da Carate.
In una riunione di vicinanza del 1500 figuravano presenti 96 capifamiglia di Lovero e alcuni deputati per la nomina di messi e procuratori. Nel 1520 il comune, la cui prima vicinia si sviluppò probabilmente attorno alla contrada di Santa Maria Maddalena, era suddiviso in contrade, fra quali le principali erano Santa Maria Maddalena, de Carate, de Iudicibus, de Venosta, de Castellazio, de Nova, de Beccaria.


Lovero

Alla signoria dei Visconti succedette, a metà del Quattrocento, quella degli Sforza di Milano. I Francesi nel 1499, travolti gli Sforza a Milano, penetrarono in Valtellina. L'unica resistenza alla loro avanzata fu opposta, inutilmente, dalle fortificazioni di Tirano, che ospitò anche, il 6 settembre 1499, il duca di Milano, in fuga dopo la disfatta. Ma dopo un breve assedio anche Tirano capitolò. Dopo la sconfitta definitiva di Novara, del 1500, gli Sforza uscirono di scena: il loro ducato, con la Valtellina, divenne possesso del Regno di Francia. I Francesi rimasero in Valtellina per dodici anni, e lasciarono, per la loro prepotenza ed i loro soprusi, un pessimo ricorso di sé.
Il malgoverno francese aprì la strada alla successiva dominazione delle Tre Leghe Grigie, le cui truppe, nel 1487, avevano già percorso l’intera valle da Bormio a Caiolo, lasciandola solo dopo uno scontro con le truppe ducali ed un cospicuo riscatto.


Lovero

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I nuovi signori, infatti, imposero la loro signoria sulla Valtellina nel 1512 e proclamarono di voler esercitare un dominio non rapace e prepotente, ma saggio e rispettoso delle autonomie dei valligiani, chiamati "cari e fedeli confederati" nel misterioso patto sottoscritto ad Ilanz (o Jante) il 13 aprile 1513 (di cui si conserva solo una copia secentesca, sulla cui validità gli storici nutrono dubbi); Valtellina e Valchiavenna figuravano come paesi confederati, con diritto perciò di essere rappresentati da deputati alle diete; le Tre Leghe promisero, inoltre, di conservare i nostri privilegi e le consuetudini locali, e di non pretendere se non ciò che fosse lecito e giusto. Ma, per mettere bene in chiaro che non avrebbero tollerato insubordinazioni, abbatterono tutti i castelli di Valtellina e Valchiavenna.
Sulla natura del dominio grigione è lapidario il Besta: "Nessun sollievo rispetto al passato; e men che meno un limite prestabilito alla pressione fiscale. Nuovi pesi si aggiunsero ai tradizionali... I Grigioni... ai primi di luglio del 1512... imponevano un taglione di 21.000 fiorini del Reno pel pagamento degli stipendiari del vescovo di Coira e delle Tre Leghe.... Per quanto si cerchi non si trova al potere dei Grigioni altro fondamento che la violenza. Sarà magari verissimo che i Grigioni non fecero alcuna promessa ai Valtellinesi; ma è anche vero che questi non promisero a loro una perpetua sudditanza". Il più acuto fu motivo di conflitto fu, nei decenni successivi, la questione religiosa. La Valtellina rimase interamente cattolica, mentre le Tre Leghe erano passate alla religione riformata, che aveva in Zurigo, con Zwingli, uno dei suoi capisaldi.


S. Alessandro a Lovero

I Magnifici Signori Reti approvarono gli Statuti dei comuni valtellinesi che già avevano preso forma dal tardo Duecento. Fra questi, gli ordinamento comunali di Lovero. Nei documento secenteschi troviamo che questi avevano la seguente articolazione. “Lovero era diviso in sei contrade o colondelli: 1. colondello di sotto, o Castellaccio; 2. colondello di mezzo, comprendente de Carate, Giudice, Beccaria, sede del comune; 3. colondello Venosta; 4. colondello superiore, presso la chiesa di Sant’Alessandro; 5. colondello di fuori, a valle della chiesa di Santa Maria Maddalena; 6. colondello di Santa Maria Maddalena (Sosio 1988). Non sono stati conservati gli ordinamenti comunali di Lovero, che devono comunque essere esistiti, come si può desumere dai documenti contabili conservati: erano certamente conformati agli statuti di Valtellina del 1531. Assemblea plenaria dei capifamiglia di Lovero era la vicinanza, che si riuniva per la discussione e approvazione delle decisioni di maggior rilievo nella vita della comunità, come la nomina dei cappellani e dei parroci, e la definizione delle controversie per il pagamento delle decime. Figura di rilievo era quella del decano, che rappresentava la comunità nei consigli di terziere, presiedeva i consigli del comune ed era responsabile durante il suo mandato della gestione finanziaria della comunità, oltre che mediatore nei negozi e convenzioni con la chiesa.


S. Alessandro a Lovero

Organo deliberante del comune era il consiglio, coadiuvato da sindaci e procuratori per la gestione e trattativa degli affari economici. Il consiglio provvedeva all’elezione degli agenti della comunità, cioè stimatori; arbostari; canepari; saltari, che svolgevano anche compiti di messi e provvedevano alla convocazione della vicinanza su mandato del decano; della stesura e sottoscrizione degli atti della comunità era responsabile l’attuario, o notaio; i deputati alle chiese rappresentavano la comunità negli affari inerenti i rapporti con la parrocchia, ad esempio nelle controversie attinenti il pagamento delle decime.
Ogni contrada era amministrata da due agenti, i quali alla fine di ogni anno davano ragione dei propri conti ad una giunta costituita da sindaco e due consiglieri, che a sua volta rendeva edotta la popolazione in pubblica assemblea.” (da Istituzioni storiche del territorio lombardo, a cura di Roberto Grassi, ed. Regione Lombardia, 1999).


Lovero

Nel resoconto della visita pastorale del vescovo di Como Feliciano Ninguarda (1589) leggiamo le seguenti notizie su Lovero: “Oltre Tovo discendendo per un altro miglio verso Tirano, ai piedi del monte, vi è Lovero, abbastanza grande ma sparso con circa duecentotrenta famiglie, tutte cattoliche e 550 anime che si comunicano; sullo stesso monte, appena fuori strada, con un bel cimitero cintato vi è la chiesa vicecurata dedicata a S. Alessandro Martire, abbastanza grande e molto elegante; sopra l'altar maggiore in un notevole ed artistico tabernacolo in legno dorato è conservata inuna pisside d'argento la SS. Eucaristia. Fa le veci dell'arciprete di Mazzoed ha la cura un religioso agostiniano, il cui nomeè r.Battista Dell'Acqua, che vive nel convento non lontano dalla parrocchiale. Ai piedi del monte, al centro del paese dove passa la strada, sulla destra sorge il ricordato monastero agostiniano cui è annessa la chiesa dedicata all'Annunciazione della B. V. Maria; in questo monastero vivono due sacerdoti, il priore fr. Tommaso Carati oriundo dello stesso paese e il sopra ricordato vicecurato fr. Battista Dell'Acqua con un giovane frate professo, fr.Agostino Arrighetti di Lovero. Vi è anche un altro sacerdote secolare, sac. Gottardo Carati. Nello stesso paese vi è un'altra chiesa dedicata a S. Maria Maddalena.”


Dipinto nell'ossario di S. Alessandro a Lovero

Uno scorcio della situazione di Lovero a cavallo fra Cinquecento e Seicento ed una sintesi della sua storia ci viene offerto dalla celebre opera di Giovanni Guler von Weineck (governatore della Valtellina per le Tre Leghe Grigie nel biennio 1587-88), “Rhaetia”, pubblicata a Zurigo nel 1616 (e tradotta in italiano dal tedesco da Giustino Renato Orsini): “Il settimo comune, che sta mezz'ora al disotto di Tovo, si dice Lovero... Fa parte del comune la frazione di S. Maria Maddalena, situata fra Tovo e Lovero. Da questo comune e da altri vicini emigra annualmente in Germania un gran numero di muratori e costruttori di tetti: gente economa che all’inverno, quando il gelo impedisce i lavori, torna in patria con un buon gruzzolo; perciò alcuni sono veramente benestanti.
Verso la fine del secolo, e precisamente nel 1596, iniziò l'edificazione della chiesa di Santa Maria delle Grazie, terminata nel 1630; la chiesa dal 1830 sostituì S. Alessandro come chiesa parrocchiale. Nel 1598 Lovero diventa parrocchia autonoma.
Uno dei nodi cruciali delle vicende valtellinesi fra Cinquecento e Seicento fu sicuramente la questione religiosa. Per rendere più saldo il legame di sostanziale sudditanza dei Valtellinesi, la politica delle Tre Leghe, soprattutto dopo la metà del Cinquecento, fu quella di favorire con ogni mezzo la penetrazione delle idee riformate nella valle.


Lovero

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Cupe nubi, gravide di violente turbolenze, si stavano addensando sulla Valtellina, alimentate dalla crescente insofferenza della nobiltà cattolica della valle rispetto alla politica grigiona di introduzione della Riforma. A Sondrio, al culmine del conflitto fra cattolici e governanti grigioni, venne rapito l’arciprete Niccolò Rusca, condotto a Thusis per il passo del Muretto e fatto morire sotto le torture, nel settembre del 1618. Nel 1619 a Boalzo, presso Teglio, avendo i cattolici rifiutato l'uso della loro chiesa ai protestanti, sorse una rissa che sfociò nel sangue e gli abitanti furono condannati a costruire una chiesa protestante a loro spese. L’anno successivo, il 19 luglio del 1620, si scatenarono la rabbia della nobiltà cattolica, guidata da Gian Giacomo Robustelli, la sollevazione anti-grigione e la caccia al protestante, nota con l’infelice denominazione di “Sacro macello valtellinese”, che fece quasi quattrocento vittime fra i riformati. Fu l’inizio di un periodo quasi ventennale di campagne militari e battaglie, che videro nei due schieramenti contrapporsi Grigioni e Francesi, da una parte, Imperiali e Spagnoli, dall’altra.
Il 19 Luglio 1620 il capitano Giacomo Robustelli, una nobile figura di gentiluomo e di soldato nativo di Grosotto, raccolti intorno a sé illustri esponenti della nobiltà valtellinese, tra cui anche G. Battista Marinoni, che sarebbe poi diventato prevosto di Tirano, con 120 uomini armati entrò in Tirano per la porta Poschiavina, aperta nottetempo da una guardia corrotta, mentre un altro gruppo s'appostava presso il castello di Piattamala per impedire l'arrivo di eventuali rinforzi grigioni.


Santa Maria delle Grazie a Lovero

La reazione delle Tre Leghe non si fece attendere: corpi di spedizione scesero dalla Valchiavenna e dal Bormiese. Il primo venne però sconfitto al ponte di Ganda e costretto a ritirarsi al forte di Riva. Il secondo, dopo aver incendiato Sondalo, Grosio e Mazzo ed essere sceso, seminando rovine, fino a Sernio (dove furono bruciate diverse case e profanata la Chiesa di San Gottardo), fu affrontato e sconfitto da truppe valtellinesi e spagnole in una storica battaglia che ebbe come teatro proprio Tirano. A questa giornata dell’11 settembre 1620 è legata la leggenda secondo la quale la statua di bronzo di S. Michele, al culmine del Santuario della Madonna, fu vista animarsi ed agitare la spada lampeggiante, prodigio interpretato come segno della protezione divina sulle armi cattoliche. Alcuni soldati elvetici in rotta passarono per Sernio. Uno di loro, per la rabbia, infierì con la spada su un crocifisso ligneo dentro una santella, e fu passato a fil di spada. Altri soldati appiccarono un incendio nella chiesa di San Gottardo.


Lovero

La battaglia di Tirano liberò provvisoriamente la Valtellina dalla signoria delle Tre Leghe, ma un’alleanza fra Francia, Savoia e Venezia, contro la Spagna, fece nuovamente della valle un teatro di battaglia. In particolare, Tirano fu occupata dalle truppe della Lega di Avignone, comandata dal francese marchese di Coeuvres. Le vicende belliche ebbero provvisoriamente termine con il trattato di Monzon (1626), che faceva della Valtellina una repubblica quasi libera, con proprie milizie e governo, ma soggetta ad un tributo nei confronti del Grigioni. Ma la valle godette solo per breve periodo della riguadagnata pace: il nefasto passaggio dei Lanzichenecchi portò con sé la più celebre delle epidemie di peste, descritta a Milano dal Manzoni, quella del biennio 1630-31 (con recidiva fra il 1635 ed il 1636). L’Orsini osserva che la popolazione della valle, falcidiata dal terribile morbo, scese da 150.000 a 39.971 abitanti (poco più di un quarto). La stima, fondata sulla relazione del vescovo di Como Carafino, in visita pastorale nella valle, è probabilmente eccessiva, ma, anche nella più prudente delle ipotesi, più di un terzo della popolazione morì per le conseguenze del morbo.


Santa Maria delle Grazie a Lovero

Neppure il tempo per riaversi dall'epidemia, e la guerra di Valtellina tornò a riaccendersi, con le campagne del francese duca di Rohan, alleato dei Grigioni, contro Spagnoli ed Imperiali. Il duca, penetrato d'improvviso in Valtellina nella primavera del 1635, con in una serie di battaglie, a Livigno, Mazzo, S. Giacomo di Fraele e Morbegno, sconfisse spagnoli e imperiali venuti a contrastargli il passo. Egli fece più volte di Tirano il proprio quartier generale; la popolazione tiranese ebbe modo di saggiare piuttosto le angherie dei suoi soldati che la genialità dello stratega. Poi, nel 1637, la svolta, determinata da un inatteso rovesciamento delle allenze: i Grigioni, che pretendevano la restituzione di Valtellina e Valchiavenna (mentre i Francesi miravano a farne una base per future operazioni contro il Ducato di Milano), si allearono segretamente con la Spagna e l'Impero e cacciarono il Duca di Rohan dal loro paese. Le premesse per la pace erano create e due anni dopo venne sottoscritto il trattato che pose fine al conflitto per la Valtellina: con il Capitolato di Milano del 1639 i Grigioni tornarono in possesso di Valtellina e Valchiavenna, dove, però l’unica religione ammessa era la cattolica. I Grigioni restaurarono l'antica struttura amministrativa, con un commissario a Chiavenna, un podestà a Morbegno, Traona, Teglio, Piuro, Tirano e Bormio, ed infine un governatore ed un vicario a Sondrio.

Un quadro sintetico di Lovero nella prima metà del Seicento è offerto dal prezioso manoscritto di don Giovanni Tuana (1589-1636, grosottino, parroco di Sernio e di Mazzo), intitolato “De rebus Vallistellinae” (Delle cose di Valtellina), databile probabilmente alla prima metà degli anni trenta del Seicento (edito nel 1998, per la Società Storica Valtellinese, a cura di Tarcisio Salice, con traduzione delle parti in latino di don Abramo Levi). Vi leggiamo: “Lovero dista un altro paio di miglia ed è popolato il doppio di Tovo, avendo duecento famiglie; è altresì più produttivo di quello, in quanto ha una campagna più estesa e campi più irrigati, nonché castagneti, pascoli assai ameni ad oriente e vigneti a settentrione. Gli abitanti sono in egual misura laboriosi e religiosi. La chiesa parrocchiale, anticamente costruita in onore del martire S. Alessandro, guarda il paese dal colle vicino nascosto fra i castagni. Si dice che in passato fosse un monastero e il servizio vi viene svolto, con licenza annuale del vescovo di Como, dai sacerdoti del convento agostiniano. Quest'ultimo, con l'oratorio dell' Annunziata, vi trova presso la via principale e possiede una rendita così esigua da riuscire a mantenere a stento tre religiosi. Fu costruito dai Capitanei di Sondrio con annessa fortificazione e rendita. Ha inoltre tre oratori: uno della Madonna, fuori dal paese a occidente, un altro di S. Rocco, nello stesso paese, alle falde del monte, il terzo di S. Maria Maddalena, che si presenta immediatamente a quelli che provengono da Tovo per la strada di sopra. Il luogo sembra essere stato teatro di un vulcano malefico, tanto il fuoco, magari suscitato a caso, imperversò in lungo e in largo, così da ridurre a estrema povertà abitazioni nel piano e abitanti. I Loveresi producono molto vino, peraltro assai leggero. Vi sono rogge pescose e cannifere. Il cielo è spesso gravato da nebbia e, poiché i monti privano della luce del sole, l'aria si fa pesante per l'umidità del terreno.

A partire dal Settecento la situazione economica migliorò ulteriormente. La ripresa settecentesca non fu, però, priva di arresti e momenti difficili, legati soprattutto ad alcuni inverni eccezionalmente rigidi, primo fra tutti quello memorabile del 1709 (passato alla storia come “l’invernone”, “l’inverno del grande freddo”), quando, ad una serie di abbondanti nevicate ad inizio d’anno, seguì, dal giorno dell’Epifania, un massiccio afflusso di aria polare dall’est, che in una notte gelò il Mallero e parte dell’Adda. Ed ancora, nel 1738 si registrò una nevicata il 2 maggio, nel 1739 nevicò il 27 ed il 30 marzo con freddo intenso, nel 1740 nevicò il 3 maggio, con freddo intenso e nel 1741 nevicò a fine aprile, sempre con clima molto rigido e conseguenze disastrose per le colture e le viti.


Panorama dalla chiesa di S. Alessandro a Lovero

Lo storico Francesco Saverio Quadrio, nel III volume delle sue “Dissertazioni critico-storiche sulla Rezia di qua dalle Alpi”, scrive: ”Lovero (Luggaris). Lovero è distante un altro Miglio da Tovo; ma è più popolare al doppio, che Tovo, e più ampio, e più ricco. Vedesi quivi tuttavia una Torre, ma rovinata, unico segnale, e residuo dell'antico Castello, che vi era, Signorìa dell'antichissima, e nobil Famiglia dei Presta de' Zenoni di Bormio, che vi erano di questo Luogo i Padroni. Lovero ha sotto sè anche il Borgo, chiamato di S. Maria Maddalena.”

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Nel Settecento il malcontento contro il dominio delle Tre Leghe Grigie nelle due valli crebbe progressivamente, soprattutto per la loro pratica delle di mettere in vendita le cariche pubbliche. Tale vendita spettava a turno all'una o all'altra delle Leghe e chi desiderava una nomina doveva pagare una cospicua somma di denaro, di cui si sarebbe rifatto con gli interessi una volta insediato nella propria funzione, esercitandola spesso più per amore di lucro che di giustizia. Gli abusi di tanti funzionari retici, l'egemonia economica di alcune famiglie, come quelle dei Salis e dei Planta, che detenevano veri e propri monopoli, diventarono insopportabili ai sudditi. Il malcontento culminò, nell'aprile del 1787, con i Quindici articoli di gravami in cui i Valtellinesi (cui si unirono i Valchiavennaschi, ad eccezione del comune di S. Giacomo) lamentavano la situazione di sopruso e denunciavano la violazioni del Capitolato di Milano da parte dei Grigioni, alla Dieta delle Tre Leghe, ai governatori di Milano e, per quattro volte, fra il 1789 ed il 1796, alla corte di Vienna, senza, peraltro, esito alcuno. Fu la bufera napoleonica a risolvere la situazione, con il congedo dei funzionari Grigioni e la fine del loro dominio, nel 1797.


Panorama dalla chiesa di S. Alessandro a Lovero

Nel successivo Regno d’Italia il comune di Lovero figurava come comune di III classe nel III distretto di Tirano, 677 abitanti. Nel 1807, il comune denominativo di Lovero, con 690 abitanti totali, figurava composto dalle frazioni di Piazza (60) e Santa Maria Maddalena (630). In quel medesimo 1807 si verificò la tremenda alluvione destinata a rimanre a lungo nella memoria degli abitanti del paese. Don Lino Varischetti, nella sua “Storia di Tirano”, così la descrive: “… nel 1807 vi furono dei giorni di angosciosa trepidazione. L'otto di Dicembre di quell'anno, una gigantesca rovina precipitò dal monte sopra Sernio e, travolgendo alcune case, raggiunse il letto dell'Adda, nella gola della Valchiosa, ostruendo il passaggio del fiume. Si creò così una diga altissima, e l'acqua incominciò a rifluire nella pianura retrostante, raggiungendo Tovo e Mazzo. Alcune case di Lovero furono in parte sommerse e una scritta, su una di esse, indica ancora il punto raggiunto dalle acque. A Tirano si incominciò a temere l'improvviso cedimento di quella diga naturale e l'enorme massa d'acqua avrebbe sommerso la città. Fino al mese di Maggio seguente. i Tiranesi, vissero in continua apprensione. Il 16 di Maggio la diga incominciò a cedere, fortunatamente in modo graduale, ma a un certo punto. la forza delle acque fu violentissima e il ponte in sasso della porta Poschiavina fu travolto con qualche abitazione, senza però fare vittime. Secondo alcuni storici, in quest'occasione l'Adda avrebbe preso l'attuale direzione, scavandosi un nuovo letto, arginato un trentennio dopo dall'Austria. In precedenza il fiume. raggiunta Tirano, piegava più a destra. e il Pedrotti asserisce che toccava la cappella di S. Giuseppe e andava a congiungersi col Poschiavino, poco sotto il Santuario, in una località detta tuttora «Miscent». E così, a Tirano, dopo tanti rivolgimenti di storia, ci fu anche un mutamento di geografia ..." Sopra il muro di una casa di Lovero, ad un’altezza di circa 6 metri dal suolo, si poteva leggere: “Cadde il monte di Sernio e si ristette/ l’Adda impedita nel suo corso usato;/ fin qui montaron l’acque e fu notato/ tal caso il mille ed ottocento e sette.”

Dal 1810 al 1816 Lovero fu poi aggregato al comune di Tirano, ma tornò comune autonomo dopo il Congresso di Vienna, nell’asburgico Regno Lombardo-Veneto (1816).
I nuovi dominatori mostrarono il duplice volto di un’amministrazione rigida, ma attenta ai bisogni infrastrutturali della valle ed ai problemi dell’istruzione pubblica. In particolare, venne decisa la sistemazione della grande arteria stradale valtellinese e decretata la costruzione delle due grandi strade dello Stelvio e dello Spluga: due opere colossali che richiedevano un grande impegno finanziario. In particolare il progetto della strada dello Stelvio (realizzata fra il 1820 ed il 1825), fu steso dal celebre ingegnere Carlo Donegani. Nel 1838 transitò dalla strada dello Stelvio l'Imperatore Ferdinando d'Austria, che scendeva a Milano per ricevere la corona di re del Lombardo -Veneto.
Il periodo asburgico fu, però, anche segnato anche da eventi che incisero in misura pesantemente negativa sull’economia dell’intera valle. L’inverno del 1816 fu eccezionalmente rigido, e compromise i raccolti dell’anno successivo. Le scorte si esaurirono ed il 1817 è ricordato, nell’intera Valtellina, come l’anno della fame. Vent’anni dopo circa iniziarono le epidemie di colera, che colpirono la popolazione per ben quattro volte (1836, 1849, 1854 e 1855). Si aggiunse anche l'epidemia della crittogama, negli anni cinquanta, che mise in ginocchio la vitivinicoltura valtellinese. Queste furono le premesse del movimento migratorio che interessò anche a Lovero una parte consistente della popolazione nella seconda metà del secolo, sia di quella stagionale verso Francia e Svizzera, sia di quella spesso definitiva verso le Americhe e l’Australia.


Lovero

All’unità d’Italia, nel 1861, Lovero contava 1095 abitanti. Nei decenni successivi fece registrare un andamento altalenante: gli abitanti passarono a 1047 nel 1871, 1121 nel 1881, 1161 nel 1901, 1061 nel 1911.
La statistica curata dal prefetto di Sondrio Scelsi nel 1866 ci offre il seguente quadro del comune. Nel centro di Lovero abitavano 947 persone, 484 maschi e 463 femmine, divisi in 157 famiglie ed in 143 case (43 case non risultano abitate). Nella frazione di Santa Maria Maddalena abitavano 115 persone, 61 maschi e 54 femmine, divisi in 38 famiglie ed in 50 case (10 case non risultano abitate). Erano presenti due scuole dell’ordinamento primario, frequentate da 171 alunni, 85 maschi ed 86 femmine. Vi insegnavano un maestro ed una maestra ed il comune spendeva annualmente 515 lire per la gestione della scuola.
Nella Guida alla Valtellina edita dal CAI di Sondrio, a cura di Fabio Besta (1884, II edizione), (600 m., 1121 abitanti), leggiamo: “Fu qui che nel 1807 un’enorme quantità di terreno disciolto da interne vie d’acqua, che ancora appaiono, precipitò nell’alveo dell’Adda, chiudendo il varco alle onde, le quali rigurgitando trasformarono in un lago il superiore bacino di Lovere. Poi, mentre si stava studiando il modo di dare gradualmente sfogo alle acque, esse irruppero ad un tratto cagionando enormi danni: il piano di Lovere non si potè più rimettere a coltura, e vedesi ora una grande superficie, che misura più chilometri di lunghezza, tutta coperta di ghiaja, in balia del fiume e delle paludi. L’aspetto che presenta la valle osservata lungo quel tratto, in cui la via dei casolari di Val Chiosa discende verso Lovere, è dei più pittoreschi. Sopra il muro d’una casa di questo piccolo borgo, all’altezza di sei metri dal suolo, leggesi la seguente iscrizione: “Cadde il monte di Sernio e si ristette/ l’Adda impedita nel suo corso usato;/ fin qui montaron l’acque e fu notato/ tal caso il mille ed ottocento e sette.”


Chiesa di Santa Maria delle Grazie a Lovero

Il monumento ai caduti a Lovero riporta i seguenti nomi di soldati morti nella prima guerra mondiale: Leoni Giuseppe, Zampatti Luigi, Giudice Stefano, Giudice Cardelio, Trafori Ambrogio e Giudice Camillo. I caduti nella seconda guerra mondiale furono Zampatti Aurelio, Beccaria Marino, Beccaria Giacomo, Giudicatti Giacomo, Giumelli Vincenzo e Giudice Domenico (disperso).
Fra le due guerre la popolazione di Lovero segnò un costante regresso: nel 1921 contava 932 abitanti, scesi a 862 nel 1931; nel 1936 erano 837. Una sintetica fotografia di Lovero alla data del 1928 ci viene offerta da Ercole Bassi, in “La Valtellina – Guida illustrata”: “Più oltre si trova il villaggio di Lovero (m. 523 – ab. 1080 – Poste – auto e messaggeria per Tirano e Bormio – latteria tur. - società elettrica – asilo infantile), che possiede nella parrocchia una bella croce processionale d’argento e affreschi di G. B. Muttoni. Il pulpito, il coro e la cimasa dell’organo sono ben intagliati. La cappella della Madonna del Rosario possiede una bella ancona in legno. Nella chiesa di S. Alessandro vi sono due ancone dorate, una sull’altar maggiore, barocca, con un pregevole ciborio intagliato, su cui leggesi: “Hoc opus fecit Al. Pochet de Lueri A. D. MDLXXXI; l’altra sotto una piccola volta su cui è dipinta l’Incoronazione della Vergine per mano di un primivo pittore del 400. Vi si trovano pure affreschi del Valorsa scoperti nel 1908, e altri, forse, anteriori, nell’ossario, colla Crocefissione, molti santi, una bellissima fascia a fiorami e putti.
Nel secondo dopoguerra Lovero ha fatto registrare una progressiva una progressiva decrescita demografica. Contava 837 abitanti nel 1951, 811 nel 1961, 730 nel 1971. Nel 1981 gli abitanti erano 707, nel 1991 686 e nel 2001 635. Nel 2011 sono risaliti a 667.


Ossario a Lovero

CARTA DEL TERRITORIO sulla base della Swisstopo, che ne detiene il Copyright. Apri qui la carta on-line

BIBLIOGRAFIA

Sosio, Dante, "Lovero. Un paese in mezzo al verde chiamato <<Lugarium>>", Sondrio, 1988

Vannuccini, Mario, “Monti e valli della Comunità Montana Valtellina di Tirano ”, Lyasis edizioni, 2002

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