Apri qui una panoramica su Mazzo di Valtellina

Mazzo fu centro di una delle più importanti pievi di Valtellina, che occupava il territorio del Terziere Superiore di Valtellina da Sernio al Ponte del Diavolo, suo limite settentrionale al confine con la Magnifica Terra della Contea di Bormio. Il suo territorio fu frequentato fin da epoche remote e preistoriche. Lo provano le celebri incisioni rupestri (o petroglifi) scoperti dall’archeologo Davide Pace sulla cosiddetta Rupe Magna di Grosio, nel 1966, che risalgono a quattro fasi preistoriche principali, databili rispettivamente al IV-III millennio a.C. (Neolitico ed Età del Rame), al II millennio a.C. (Età del Bronzo), ai secoli XII-VIII a.C. ed infine ai secoli VIII-VI sec. a.C. (Età del Ferro). La rupe è posta presso il punto di confluenza della Val Grosina nell’alta Valtellina, in un’area che probabilmente ebbe un grande valore rituale in epoca preistorica e fino al VI sec. a.C., per poi diventare centro di insediamento permanente. Un’area di rilievo primario, crocevia delle direttrici sud-ovest-nord-est (solco principale della Valtellina) e sud-est-nord-ovest (passo del Mortirolo, che congiunge Valcamonica e Valtellina, e Val Grosina).


Mazzo di Valtellina

Sulla via del Mortirolo, ai piedi del monte, si trova appunto Mazzo, che dovette la sua importanza alla sua posizione strategica, dal momento che il Mortirolo era facile accesso alla Valcamonica, quindi alla terra dei Camuni, e successivamente ai territorio della Serenissima Repubblica di San Marco, che aveva interessi strategici ai commerci con i paesi di lingua tedesca. Non estranea alla fortuna di Mazzo fu però anche la salubre posizione nella bella ed ampia piana dove l’angustia di orizzonti del Terziere Superiore sembra per buon tratto cedere il posto ad una luminosa e riposante apertura. Tutto ciò attirò nel paese alcune nobili famiglie (i Venosta di Matsch, in primis, cui esso deve il nome, ma anche i Lavizzari ed i Quadrio, i cui stemmi nobiliari si osservano su diversi palazzi), con l’esito di conferirgli un volto assolutamente caratteristico ed originale, dove i segni della civiltà medievale e di quella rinascimentale si compongono numerosi in un mosaico suggestivo.
Mazzo entrò nella storia con la conquista romana nel 16 d. C. La disgregazione dell’Impero Romano d’occidente portò alle invasioni (o migrazioni, a seconda dei punti di vista) delle popolazioni germaniche e probabilmente Mazzo fu inglobata, dopo il 489, nel regno ostrogoto di Teodorico, in quel medesimo V secolo nel quale si colloca la prima penetrazione del cristianesimo nella valle. L’offensiva Bizantina riconquistò probabilmente alla “romanità” la valle della Mera, anche dopo l'irruzione e la conquista dei Longobardi (568); nell'VIII secolo, però, con il re Liutprando il confine dei domini longobardi raggiunse il displuvio alpino. Tracce della presenza longobarda sono rinvenibili anche nei dialetti valtellinesi, ed il repertorio di termini che ad essa rimandano non è insignificante. Per citarne solo alcuni, di uso piuttosto comune, si possono segnalare "sberlüsc'" (lampo) e "matüsc'" (caciottella di formaggio molle), “güdàzz" (padrino), "sluzz" (bagnato), "balòss" (furbo, furfante), "maschérpa" (ricotta), "gnècch" (di malumore), "lifròch" (sciocco), "bütér" (burro), "scagn" (appoggio per mungere), "scràna" (panca), "scoss" (grembo) , "stracch" (stanco), “slendenàa” (ozioso), “menegold” (coste, bietole), “trincà” (bere), “slòz” (bagnato), “sgrafignà” (rubare), “snizà” (iniziare a mangiare), “grignà” (ridere), “scòss” (grembo), “gram” (cattivo, scarso), “maròs” (cespuglio, ontano), “schèrp” (contenitore), “stachèta” (chiodo per scarpe), “burnìs” (brace), “biótt” (nudo), “rüt” (sporco, rifiuto), “bródeg” (sporco), “ghèi” (soldi).
Sconfitti, nel 774, i Longobardi da Carlo Magno, Mazzo rimase parte del Regno d’Italia, sottoposto alla nuova dominazione franca. Una leggenda vuole che proprio al passo del Mortirolo Carlo Magno avrebbe sterminato un gran numero di Camuni rimasti pagani, e che il passo dovrebbe il nome a tale battaglia, ma ovviamente ciò non ha alcun fondamento storico. È invece storicamente attestata la pieve di Mazzo in un diploma dell’Imperatore Lotario risalente dal 795. I diritti legati alla pieve erano in origine assai ampi: nomina e revoca dei piccoli feudatari, diritto di fodro durante le guerre, diritto di giudizio sui tre delitti di sacrilegio, omicidio ed adulterio, riscossione della mungitura di tutto il latte di una giornata a Grosio e Grosotto e nomina dei parroci. Questi diritti andarono però scomparendo nei secoli successivi.


Mazzo di Valtellina

Furono in quel periodo gettate le basi delle pievi nelle valli dell’Adda e della Mera. “La divisione delle pievi”, scrive il Besta, “appare fatta per bacini… aventi da epoche remote propri nomi, come è infatti accertato per i Bergalei, i Clavennates, gli Aneuniates”. La pieve di Santo Stefano di Mazzo fu, dopo l’anno Mille, insieme a quelle di S. Fedele presso Samolaco, di S. Lorenzo in Chiavenna, Ardenno e Villa, di S. Stefano in Olonio, di S. Eufemia o S. Pietro in Teglio, dei martiri Gervasio e Protasio in Bormio e Sondrio e di S. Pietro in Berbenno e Tresivio, uno dei poli fondamentali dell'irradiazione della fede cristiana. Un documento del 824 attesta la presenza in Alta Valtellina delle Pievi di Amatio, Poschiavo e Bormio. La pieve di Mazzo ebbe una certa preminenza sulle vicine, tanto da risultare una delle quattro principali, in un documento della Diocesi di Como del 1240, nel quale, appunto, le 16 pievi diocesane venivano riunite in quattro gruppi principali; quella di Mazzo era anche sede del capitanato di pieve.
La frammentazione dell’Impero di Carlo portò all’annessione del Regno d’Italia a quello di Germania. Il 3 settembre 1024 l’imperatore Corrado succedette ad Enrico II, inaugurando la dinastia di Franconia. Proprio nel secolo XI la storia ed il nome stesso di Mazzo vennero segnati dall’arrivo di una nobile famiglia di Val Venosta, i Venosta di Matsch, chiamati dall’Imperatore Enrico IV a tenere aperti i valichi alpini al passaggio delle truppe imperiali. Ai Venosta vennero dunque assegnati diritti feudali sul paese e che poi posero la loro residenza anche a Grosio. I diritti feudale erano stati concessi dal Vescovo di Como, che ne era il primo titolare e che non esitò, nel successivo secolo XII, a muovere guerra ai Venosta quando questi vollero indebitamente allargarli alle pievi di Poschiavo e di Villa. La pace firmata nel 1151 segnò la rinuncia momentanea a tali mire, ma confermò i loro diritti feudali su Mazzo, che furono conservati fino all’inizio della signoria delle Tre Leghe Grigie, cioè fino al 1512.


Torre di Pedenale

[Torna ad inizio pagina]

Nel secolo XIII venne eretto quello che localmente fu sempre chiamato el Castel de Mazz, cioè quella fortificazione di cui resta ancora oggi la torre di Pedenale, nel contesto di un sistema di fortificazioni che dal Castello di Grosio scendeva a quello di Bellaguarda. Non deve stupire questo addensarsi di rocche in un segmento relativamente breve della valle: questa sezione era strategica, essendo posta a valle del ponte del Diavolo e di Serravalle, ma anche allo sbocco della Val Grosina, cioè delle due porte di accesso alla Contea di Bormio. Controllare la piana di Mazzo significava controllare gli spostamenti da e per i paesi di lingua tedesca, spostamenti di mercanti ed eserciti. Il castello fu la residenza dei Venosta, rappresentati nella seconda metà del Duecento dalla forte figura di Corrado Venosta, le cui vicende, dal 1262 al 1277, potrebbero ispirare la sceneggiatura di un film storico e d’azione. Corrado riaccese le tensioni fra i Venosta ed i Vescovi di Como, inserendosi nelle lotte feudali fra guelfi e ghibellini nella città di Como. Nel 1262, con l’aiuto di banditi Valtellinesi e di fuorusciti Milanesi guidati dal condottiero Simone da Locarno, si unì, infatti, alla famiglia ghibellina dei Rusconi e prese Como, sconfiggendo i guelfi di Raimondo Torriani. Questi, però, il 26 dicembre di quel medesimo anno ripresero la città e Corrado Venosta fu costretto a fuggire. Non rinunciò tuttavia alla sua lotta contro il partito guelfo, nonostante il Vescovo di Como, il medesimo Raimondo Torriani, avesse confermato, per tenerlo buono, i suoi diritti feudali su Mazzo. Venuto meno al giuramento di obbedienza, dovette affrontare nel 1269 la reazione del vescovo, che salì fino alla piana di Mazzo per farlo prigioniero. Ma Corrado si asserragliò nel vicino castello di Boffalora, a Sondalo, e con una sortita riuscì a catturare lo stesso vescovo, tenendolo prigioniero per diversi mesi e vendicando così lo smacco subito a Como sette anni prima. Ciò attirò su di lui e sulla sua famiglia una solenne scomunica ed una reazione militare promossa da Napo Torriani, signore di Milano e zio del prigioniero Raimondo Torriani.


Chiesa plebana di S. Stefano a Mazzo di Valtellina

Le milizie milanesi (300 fanti, cui si aggiungevano milizie comesche, vercellesi, cremonesi e cremasche) si presentarono così di fronte al castello di Boffalora, che dovette arrendersi dopo qualche mese di assedio e fu distrutto. Corrado dovette fuggire, ma non si diede per vinto. Si avvicinò ad ambienti eretici (patarini) e venne quindi catturato dalle milizie che facevano da scorta all’inquisitore padre Pagano da Lecco, “Inquisitore dell’eretica pravità”, giunto a Mazzo con due confratelli e due notai. Mentre stava per essere condotto a Mazzo fu però liberato, il 26 dicembre del 1277, da suoi partigiani, che in un agguato uccisero lo stesso padre inquisitore. Il cadavere dell’inquisitore, poi proclamato beato, rimase esposto per giorni, senza che, narrano le cronache, subisse alcun segno di corruzione, mentre i suoi assassini fuggivano in Val Camonica per il passo del Mortirolo. L’enormità del fatto indusse il papa Nicolò III ad occuparsene in alcune lettere apostoliche, nelle quali definiva Corrado “fautore e difensore degli eretici ed egli stesso eretico manifesto”. Certo lo stesso Nicolò III non era probabilmente figura integra e cristallina, se Dante lo pose a testa in giù in una fossa nell’ottavo cerchio e nella bolgia dei simoniaci. Ma, sia come sia, la veemente reazione della chiesa colse nel segno e l’annosa e romanzesca vicenda legata all’ambizione di Corrado Venosta terminò con la sua uscita di scena (non si ha notizia certa della sua morte, che dovrebbe però cadere fra il 1280 ed il 1283). Non uscì invece di scena la famiglia dei Venosta, che si vide confermata dai Vescovi di Como nei suoi diritti feudali su Mazzo.


Piazza centrale a Mazzo di Valtellina

Nel 1335 i Visconti signori di Milano estesero il loro dominio su Como e sulla Valtellina, che da essa dipende. Il comune di Mazzo, citato nel 1335 (Statuti di Como) come “comune loci vicinantie de Maze”, appare chiaramente organizzato già alla fine del XIV secolo., quando era diviso nelle quadre di Vione, dei Nobili, o Venosta, Monti e Albertinelli. La squadra dei nobili era raggruppata intorno alla chiesa collegiata di Santo Stefano; la squadra degli Albertinelli, soprannome di un ramo dei Foppoli, comprendeva anche gli abitati di Pedenale, Motti, Castello, Ruina, Sparso; la squadra dei Monti era costituita dai nuclei rurali sulle pendici del Mortirolo: Ronchiraldo, Roncasetto, Scerscellaro, Saligari, Selve, Piaz, Ca’ del Papa; la squadra di Vione, oltre l’Adda, comprendeva i casali di Ca’ Longhe, Villanova e le case di Lupatti, soprannome di un ramo dei Senini. Il Quattrocento fu forse il secolo più felice nella storia di Mazzo, che esprimeva accenti rinascimentali riconducibili all’importante legame con la Serenissima Repubblica di Venezia. Accenti che forse si esprimono nella forma più suggestiva in un dipinto su una dimora in vicolo della Torre, che raffigura scene di battaglie con cammelli ed elefanti, piante tropicali e figure orientali, piuttosto aliene dai moduli legati all’immaginario degli scenari alpini.


Piazza centrale a Mazzo di Valtellina

[Torna ad inizio pagina]

Ai Visconti succedettero, a metà del Quattrocento, gli Sforza, che dovettero fronteggiare i primi tentativi di egemonia sulla Valtellina operati dalle Tre Leghe Grigie. Correva l’anno di grazia 1487. Un esercito proveniente da Coira (Lega Caddea, o della Casa di Dio) e dalla lega delle Dieci Diritture, in tutto sei o settemila fanti, con 400 cavalli ed una schiera di donne al seguito, scendendo dalla Valdidentro, si presentò, il 27 febbraio, alle porte di Bormio. Al loro comando Giovanni Loher, Ermanno Capaul e Nicola Buol. A quel tempo da circa un secolo e mezzo la Valtellina era sottoposta alla signoria dei Duchi di Milano, i Visconti prima, gli Sforza dalla metà del quattrocento. Le truppe del duca Ludovico il Moro rinunciarono a difendere la città, che venne saccheggiata. Era il primo di una serie di episodi destinati a ripetersi quasi in serie: gli invasori avevano in animo di fare bottino pieno discendendo per intero la valle, a titolo di risarcimento per la mancata esenzione dai dazi doganali da parte del governo ducale. Una debole difesa alla stretta di Serravalle fallì, costando la vita a quaranta soldati ducali. Ecco, dunque, i temutissimi fanti grigioni, con quelle facce arcigne che sembrava fatte della stessa lega degli elmetti e delle pancere di ferro, scendere lungo il Terziere Superiore saccheggiando e terrorizzando le popolazioni. Non era ancora il momento di una signoria stabile sulla Valle dell’Adda, ma sarebbe venuto di lì a poco.


Scorcio a Mazzo di Valtellina

Il Cinquecento si apre con la caduta di Ludovico il Moro, che pone termine alla signoria milanese sulla Valtellina e, dopo una breve parentesi di dominio francese, apre la strada, nel 1512, al dominio delle Tre Leghe Grigie sulla Valtellina. I nuovi signori proclamavano di voler esercitare un dominio non rapace e prepotente, ma saggio e rispettoso delle autonomie dei valligiani, chiamati "cari e fedeli confederati" nel misterioso patto sottoscritto ad Ilanz il 13 aprile 1513 (di cui si conserva solo una copia secentesca, sulla cui validità gli storici nutrono dubbi); ma per mettere bene in chiaro che non avrebbero tollerato insubordinazioni, nel 1526 abbatterono tutti i castelli di Valtellina e Valchiavenna (anche perché non li potevano presidiare ed avevano dovuto subire, l'anno precedente, il tentativo, fallito, di riconquista della Valtellina messo in atto da un famoso avventuriero, Gian Giacomo Medici detto il Medeghino). Sulla natura di tale dominio controverso è il giudizio degli storici; lapidario è il Besta: "Nessun sollievo rispetto al passato; e men che meno un limite prestabilito alla pressione fiscale. Nuovi pesi si aggiunsero ai tradizionali... I Grigioni... ai primi di luglio del 1512... imponevano un taglione di 21.000 fiorini del Reno pel pagamento degli stipendiari del vescovo di Coira e delle Tre Leghe.... Per quanto si cerchi non si trova al potere dei Grigioni altro fondamento che la violenza. Sarà magari verissimo che i Grigioni non fecero alcuna promessa ai Valtellinesi; ma è anche vero che questi non promisero a loro una perpetua sudditanza".


Rustici sulla strada per il Mortirolo

Fra il 1525 ed il 1529 arciprete di Mazzo fu una personalità di grande rilievo nel panorama delle grandi casate nobiliari italiane, quel Gian Angelo Medici, zio di San Carlo Borromeo, che fu poi cardinale e pontefice con il nome di Pio IV. L’arciprete, per la verità, non risiedette mai a Mazzo, ma la nomina di un personaggio del suo rango testimonia il prestigio della chiesa plebana.
Nel Cinquecento il comune di Mazzo aveva ormai assunto una struttura amministrativa ben delineata, ed i suoi Statuti furono approvati dalle Tre Leghe Grigie. Al centro di tale struttura si poneva il consiglio di comunità che, eletto il 30 novembre procedeva il successivo 8 dicembre all’elezione di otto saltari, due per quadra, con la funzione di custodire i beni comunali, accusare i colpevoli di danneggiamenti e far annotare le contravvenzioni al notaio del comune. Un nono saltaro era preposto alla pubblicazione delle gride ed alla salvaguardia di ponti, acque, strade ed elemosine. Otto giorni dopo venivano eletti quattro esattori, o canepari, uno per quadra, e il notaio o attuario, che non potevano essere né figli né fratelli del decano. Gli esattori dovevano riscuotere accole, mendanze, fitti, taglie, dazi e qualunque altra competenza dovuta alla comunità, ad eccezione delle elemosine. L’esattore appartenente alla quadra del decano aveva inoltre il compito di esigere le taglie forestiere. Gli esattori rendevano conto al notaio della comunità, il quale doveva tenere i conti della comunità, annotare le mendanze, i prestatori d’opera e ogni altro negozio della comunità. Il consiglio di comunità, nell’adunanza del 31 dicembre, assegnava ad incanto la panetteria, l’osteria e la beccaria. Ogni tre anni, decano, consiglieri e sindaci dovevano eleggere due uomini che provvedessero alla ricognizione e conservazione dei beni e fitti spettanti al capitolo delle elemosine ed aiutassero decano e consiglieri nella distribuzione delle elemosine stesse. A deputati eletti dalla comunità spettava infine l’amministrazione del monte di pietà, fondato nel 1709, che integrava con prestiti gratuiti di cereali i redditi dei ceti meno abbienti, mentre il capitolo delle elemosine distribuiva gratuitamente ai poveri le rendite dei legati.


Dipinto in vicolo de Torre

[Torna ad inizio pagina]

Sul finire del Cinquecento, nel 1589, il vescovo di Como di origine morbegnese, Feliciano Ninguarda, visitò il paese, e così scrisse nella sua relazione: “Nel paese di Mazzo,che è al di qua del fiume Adda, e dista da Tirano cinque miglia, vi è la chiesa arcipretale dedicata a santo Stefano protomartire,officiata dall'arciprete con cinque canonici che sono: R. Sacerdote Delaido Annanasco di Tovo,dottore in sacra teologia, arciprete residente, suficientementediligente e sollecito nel suo incarico; Sacerdote Giacinto Venosta di Grosio, residente; Sacerdote Giovanni Venosta di Mazzo, residente; Sacerdote Maurizio Crottidi Mazzo, assente da oltre sette anni, e si trattiene nel paese di Santicolo, diocesi di Brescia; Sacerdote Alberto Foppoli di Mazzo,assente per alcuni anni, facente funzionedi curato nel paese di Solbiate, diocesi di Como; Martino Fappoli, accolito, residente. Oltre ai canonici servono inquesta chiesa altri due sacerdoti semplici, il sacerdote Giacomo Mazacchino e il sacerdote Gottardo di Corate. Il paese di Mazzo con le frazionivicine conta circa trecento famiglie, ottocento anime adulte e sono tutti cattolici. In paese vi è un'altra chiesa dedicata a S. Giovanni Evangelista con il suo battistero. Un'altra chiesa è dedicata a S. Maria, il cui titolare è il canonico Giovanni Venosta. Fuori del paese sul monte vicino vi è la chiesa di S. Matteo Apostolo, non consacrata, e non sussistono giusti motivi perchè venga consacrata. Oltre l'Adda, distante da Mazzo quattro miglia, vi è un'altra chiesa dedicata a S. Abondio Vescovo.”


Torre di Pedenale

Nel 1617, a Basilea, viene pubblicata l'opera "Pallas Rhaetica, armata et togata" di Fortunat Sprecher von Bernegg, podestà grigione di Teglio nel 1583 e commissario a Chiavenna nel 1617 e nel 1625; vi si legge (trad. di Cecilia Giacomelli, in Bollettino del Centro Studi Storici dell’Alta Valtellina, anno 2000): "A Mazzo, sede arcipretale, appartengono i paesini di Vione, Villanova, Massoni, Sparso e la montagna di Mazzo. Su una roccia sopra sparso si innalza il castello di Pedenale."
Un quadro sintetico di Mazzo nella prima metà del Seicento è offerto dal prezioso manoscritto di don Giovanni Tuana (1589-1636, grosottino, parroco di Sernio e di Mazzo), intitolato “De rebus Vallistellinae” (Delle cose di Valtellina), databile probabilmente alla prima metà degli anni trenta del Seicento (edito nel 1998, per la Società Storica Valtellinese, a cura di Tarcisio Salice, con traduzione delle parti in latino di don Abramo Levi). Vi leggiamo: “Sulla sinistra dell'Adda c'è Mazzo, capoluogo e al centro della pieve, antichissima sede della famiglia Venosta, e, come la pieve di Mazzo protesa fra il pendio di Tirano e le chiuse di Bornzio, eccelle sulle altre per salubrità del clima, per magnificenza dei castelli, per facilità di accesso, per numero e civiltà degli abitanti, così il paese di Mazzo, per cielo, posizione e amenità è incomparabilmente superiore agli altri. Composto da duecento famiglie del popolo e da più di venti di nobili, gode di un clima temperato, è cinto per ogni verso da una fertile campagna; è fertilizzato da impianti di irrigazione, abbonda di ogni sorta di frutti: lo chiameresti l'abitazione di Pomona, biancheggiante fra le siepi dei giardini verdeggianti ed incorniciato dalle linee armoniose dei tetti e dei fastigi. La chiesa dedicata a S. Stefano è posta in mezzo al paese; è arcipresbiteriale, collegiata e parrocchiale, e con questi titoli è officiata da oltre cinquecento anni; fino a poco tempo fa era in perfetto stato, ma fu pressoché distrutta dalle profanazioni dei Reti. Nei tempi passati ebbe fama altissima, tanto da avere uomini celebri tra i quali lo stesso sommo pontefice Pio IV come arciprete. Ha cinque canonici, tre dei quali, deputati in perpetuo a coadiuvare l'arciprete nelle funzioni sacre e ad esercitare la cura d'anime, abitano già da lungo tempo nella canonica attigua alla chiesa e fungono da vicari dell'arciprete. Il battistero si trova a parte in una chiesetta rotonda, costruita dalla pietà dei padri in onore di S. Giovanni Battista. Nella stessa area si trova pure un antichissimo oratorio della Madonna, al quale è assegnato un sacerdote con una rendita fissa per determinate funzioni sacre. Vi sono pure, per tenere viva la devozione degli abitanti più lontani, due oratori: al di là dell'Adda quello di S. Abbondio nella frazione di Vione, un secondo in montagna è quello di S. Matteo.
In altri tempi il paese ebbe uomini distintisi per imprese militari, molti famosissimi in giurisprudenza e in medicina; anche oggi ve ne sono moltissimi, ma che si occupano di letteratura minore, sia pure con discreta fama. Che in passato vi siano stati migliori ingegni lo testimoniano numerosi castelli e torri. Infatti la stessa casa dei canonici fu costruita sui muri perimetrali di antichissime torri; la torre nel paese, abbattuta la cima, fu ridotta più utilmente ad ospizio. Il castello di Pedenale, fra i castagneti sulla sinistra, è oggi abitato, dopo che per ordine dei Reti furono soppresse le fortificazioni; la torre fra i vigneti posti sulla destra, alta sopra una collina, testimonia con grande vivacità sia la potenza degli abitanti d'un tempo sia le turbolentissime vicende. Turbano non poco la giocondità del luogo le convalli che incombono dalla scoscesa montagna.”


Mazzo di Valtellina

[Torna ad inizio pagina]

Ma, nonostante da queste annotazioni non traspaia, il Seicento fu un secolo fosco, nel quale le ombre sopravanzarono di gran lunga le luci. Già nel 1587 a Grosotto scoppiarono disordini tra cattolici e riformati, sinistro preludio di quanto sarebbe accaduto oltre trent’anni dopo. La convivenza fra cattolici e minoranza di riformati era qui, come nel resto della Valtellina, carica di tensione. Un anno, sopra tutti, merita di essere ricordato come funesto, il 1618: in Europa ebbe inizio la Guerra dei Trent’Anni, nella quale Valtellina e Valchiavenna furono coinvolti come nodi strategici fra Italia e mondo germanico; a Sondrio, al colmo delle tensioni fra cattolici e governanti grigioni, che favorivano i riformati in valle, venne rapito l’arciprete Niccolò Rusca, condotto a Thusis per il passo del Muretto e fatto morire sotto le torture. Nel luglio del 1620 la reazione della nobiltà cattolica valtellinese partì dalla vicina Grosotto, per iniziativa di Giacomo Robustelli, che guidò una spedizione su Tirano, atto d’inizio della rivolta contro il governo grigione e della feroce caccia al protestante passata alla storia con l’infelice denominazione di “Sacro Macello valtellinese”, dovuta alla monografia dedicatale dallo storico Cesare Cantù (1832).
La reazione delle Tre Leghe non si fece attendere: corpi di spedizione scesero dalla Valchiavenna e dalla Valmalenco. Il primo venne però sconfitto al ponte di Ganda e costretto a ritirarsi al forte di Riva. La battaglia di Tirano liberò provvisoriamente la Valtellina dalla loro signoria, ma un’alleanza fra Francia, Savoia e Venezia, contro la Spagna, fece nuovamente della valle un teatro di battaglia. Morbegno, dopo l’incendio del 1623, che distrusse un quarto dell’abitato, venne occupata nel 1624 dal francese marchese di Coeuvres, che vi eresse un fortino denominato “Nouvelle France”. Le vicende belliche ebbero provvisoriamente termine con il trattato di Monzon (1626), che faceva della Valtellina una repubblica quasi libera, con proprie milizie e governo, ma soggetta ad un tributo nei confronti del Grigioni. Ma la valle godette solo per breve periodo della riguadagnata pace: il nefasto passaggio dei Lanzichenecchi portò con sé la più celebre delle epidemie di peste, descritta a Milano dal Manzoni, quella del biennio 1630-31 (con recidiva fra il 1635 ed il 1636). L’Orsini osserva che la popolazione della valle, falcidiata dal terribile morbo, scese da 150.000 a 39.971 abitanti (poco più di un quarto). La stima, fondata sulla relazione del vescovo di Como Carafino, in visita pastorale nella valle, è probabilmente eccessiva, ma, anche nella più prudente delle ipotesi, più di un terzo della popolazione morì per le conseguenze del morbo.


Piazza centrale a Mazzo di Valtellina

Neppure il tempo per riaversi dall'epidemia, e la guerra di Valtellina tornò a riaccendersi, con le campagne del francese duca di Rohan, alleato dei Grigioni, contro Spagnoli ed Imperiali. Il duca, penetrato d'improvviso in Valtellina nella primavera del 1635, con in una serie di battaglie, a Livigno, Mazzo, S. Giacomo di Fraele e Morbegno, sconfisse spagnoli e imperiali venuti a contrastargli il passo. Mazzo fu dunque teatro di una delle più importanti battaglie di questa campagna, combattuta il 3 luglio 1635. Il Rohan, con 3000 Francesi e 600 Grigioni, sconfisse gli Imperiali del duca di Fernamont, che vennero messi in fuga ed attraversarono disordinatamente il vecchio ponte in legno sull’Adda. Il ponte non resse, e tragicamente molti di loro vennero uccisi dai fucilieri francesi o annegati dalle acque del fiume. Mille Imperiali furono fatti prigionieri e forse solo poche centinaia riuscirono a trovare riparo a Bormio. Molto maggiore fu il numero dei morti.
Fu una delle più brillanti vittorie del Rohan. Troppo brillanti, per non far temere ai Grigioni che l’influenza della Francia potesse diventare troppo forte. Ciò spiega la svolta del 1637, cioè il rovesciamento delle allenze: i Grigioni, che pretendevano la restituzione di Valtellina e Valchiavenna (mentre i Francesi miravano a farne una base per future operazioni contro il Ducato di Milano), si allearono segretamente con la Spagna e l'Impero e cacciarono il Duca di Rohan dal loro paese. Le premesse per la pace erano create e due anni dopo venne sottoscritto il trattato che pose fine al conflitto per la Valtellina: con il Capitolato di Milano del 1639 i Grigioni tornarono in possesso di Valtellina e Valchiavenna, dove, però l’unica religione ammessa era la cattolica. I Grigioni restaurarono l'antica struttura amministrativa, con un commissario a Chiavenna, un podestà a Morbegno, Traona, Teglio, Piuro, Tirano e Bormio, ed infine un governatore ed un vicario a Sondrio.


Torre di Pedenale

Guerre, carestie e peste, cioè il triplice volto della sciagura contro il quale già si pregava nelle invocazioni medievali, avevano colpito duramente la demografia e quindi l’economia di Mazzo, tanto che dalla metà del Seicento si fece gradualmente più accentuato il fenomeno dell’emigrazione, soprattutto di artigiani come i calzolai, soprattutto verso Vicenza e Verona, passando per il Mortirolo. Alla Mazzo dei nobili ed a quella contadina e popolare fanno riferimento i brevi cenni che si leggono in una cronaca di un anonimo del Seicento: “Maz, gentill’huomini assai et bella terra de qua d’Ada … al piede della montagna de Mortarolo … non è anco terra troppo povera, arciprebenda; ne vanno assai in Italia, Verona, Vicenza, per zavatini, il restante per lavorar le vigne che hanno de là d’Ada”.


Rustico a Mazzo di Valtellina

[Torna ad inizio pagina]

Non si può tratteggiare la storia della Mazzo settecentesca senza menzionare uno storico, e non uno qualsiasi, bensì il primo storico cui va il merito di aver ricostruito organicamente le vicende della Valtellina, vale a dire il canonico Pier Angelo Lavizzari, che nacque nella vicina Lovero nel 1678 ma risiedette per gran parte della sua vita proprio a Mazzo e scrisse le “Memorie istoriche della Valtellina, in libri dieci descritte e dedicate alla medesima valle da Pietro Angelo Lavizari”.
La situazione a metà del settecento è così sintetizzata dallo un altro storico, Francesco Saverio Quadrio, nelle “Dissertazioni critico-storiche intorno alla Rezia di qua dalle Alpi oggi detta Valtellina”, Edizione anastatica, Bologna, Forni, 1971: "Mazzo (Amacia). Mazzo fu già il Domicilio della Famiglia Venosta, che trapiantatasi da' tempi antichissimi in Valtellina, rinnovò a quella lor nuova Stanza il nome di Mazzo lor Patria in Val Venosta, ond'erano usciti. Maze si legge sovente nell'antiche Carte: voce Teotisca, che già a' tempi andati significava Viragine, come scrive il Keysler; e che per abuso fu poi tradotta a significare Donna di mal affare (Metze). Quest'Autore ne deduce l'Origine da Manzon, che presso gli Antichi significava Mammella. Non è incredibile, che da ciò traesse il suo Nome: perciocchè due erano con tal nome le Terre, una oltra Monti, e l'altra di qua da' Monti, amendue da' Venosti possedute, onde quasi due Mammelle si consideravano della principale loro Dominazione, che era il Contado di Bormio. In alcuni Diplomi antichi si trova latinizzato col nome di Amacia. Tal Luogo ha sotto se varie Ville, che sono Vione, Villanova, i Massoni, Sparso, e il Monte di Mazzo. Era esso un tempo di buone Mura guarnito con varie Torri, d'una delle quali assai grande la stessa Canonica n'è poi stata formata; e un altra era, dove la Chiesa Parrocchiale di S. Stefano ora si trova, e altre decapitate hanno servito agli Abitatori per fabbricarne più utilmente le loro Case. Oltra ciò aveva Mazzo un Castello detto di Pedenale, pochi momenti indi discosto, che smantellato per ordine de' Grigioni, serve a ogni modo di buona abitazione. Un altro ne era in Sparso anche più vicino ad esso Luogo; e vi si vede tuttavia la Torre, che il dominava. Il suo Terreno è felicissimo, in particolare per l'abbondanza, e bontà de' Frutti, che si producono ne' Giardini: e il suo Clima vi ha portati molti Uomini illustri in Lettere, e in Armi. Fiorisconvi tuttavia più di venti Famiglie Nobili: e già vi fiorirono per l'addietro i Foppoli, i Lavizzarj, i Perti, i Venosti, gli Ugolini, ec."


Rustico a Mazzo di Valtellina

Il settecento si concluse con la bufera napoleonica, che pose termine al dominio grigione sulla Valtellina: nel 1797, anno in cui furono congedati gli ufficiali grigioni. Nell’assetto definitivo della repubblica cisalpina, determinato nel maggio del 1801 (legge 23 fiorile anno IX), Mazzo era uno dei settanta comuni che costituivano il distretto III di Sondrio del dipartimento del Lario. Con l’organizzazione del dipartimento dell’Adda nel regno d’Italia (decreto 8 giugno 1805), il comune di Mazzo venne ad appartenere al cantone III di Tirano: comune di III classe, contava 900 abitanti. Nel prospetto del numero, nome e popolazione dei comuni del dipartimento dell’Adda secondo il decreto 22 dicembre 1807, il comune denominativo di Mazzo, con 873 abitanti totali, figurava composto dalle frazioni di Albertinelli (158), Pedenali (55), Sparso (89), Alla Cà (44), Piazzola (24), Roncaletto (19), Sciarsellaro (35), Ronchirardo (40), Alle Selve (20), Cà del Papa (53), Vione (140), Piazza (196).


Contrada Pedenale

Molto severo sul periodo della dominazione francese in Valtellina è Dario Benetti (cfr. l’articolo “I pascoli e gli insediamenti d’alta quota”, in “Sondrio e il suo territorio”, IntesaBci, Sondrio, 2001), il quale sostiene che esso rappresentò l’inizio di una crisi senza ritorno, legata alla cancellazione di quei margini di autonomia ed autogoverno per Valtellina e Valchiavenna riconosciuti durante i tre secoli di pur discutibile e discussa signoria delle Tre Leghe Grigie:”L’1 aprile 1806 entrò in vigore nelle nostre valli il nuovo codice civile, detto Codice Napoleone, promulgato nel 1804. A partire da questo momento si può dire che cessi, di fatto, l’ambito reale di autonomia delle comunità di villaggio che si poteva identificare negli aboliti statuti di valle. I contadini-pastori continueranno ad avere per lungo tempo una significativa influenza culturale, ma non potranno più recuperare le possibilità di un pur minimo autogoverno istituzionale, soffrendo delle scelte e delle imposizioni di uno Stato e di un potere centralizzati. Già l’annessione alla Repubblica Cisalpina, peraltro alcuni anni prima, il 10 ottobre 1797, dopo un primissimo momento di entusiasmo per la fine del contrastato legame di sudditanza con le Tre Leghe, aveva svelato la durezza del governo francese: esso si rivelò oppressivo e contrario alle radicate tradizioni delle valli; vennero confiscati i beni delle confraternite, furono proibiti i funerali di giorno, fu alzato il prezzo del sale e del pane, si introdusse la leva obbligatoria che portò alla rivolta e al brigantaggio e le tasse si rivelarono ben presto senza paragone con i tributi grigioni. Nel 1798 a centinaia i renitenti alla leva organizzarono veri e propri episodi di guerriglia, diffusi in tutta la valle: gli alberi della libertà furono ovunque abbattuti e sostituiti con croci. Nel 1797, dunque, la Valtellina e contadi perdono definitivamente le loro autonomie locali, entrano in una drammatica crisi economica e inizia la deriva di una provincializzazione, di una dipendenza dalla pianura metropolitana e di un isolamento culturale e sociale che solo gli anni del secondo dopoguerra hanno cominciato a invertire”.


Rustico a Mazzo di Valtellina

[Torna ad inizio pagina]

Cadde anche Napoleone, lasciando ai posteri l’ardua sentenza sulla sua gloria, ed il dipartimento dell’Adda venne assoggettato al dominio della casa d’Austria, nel regno lombardo-veneto. Nel 1853 (notificazione 23 giugno 1853), Mazzo con la frazione Vione, comune con consiglio senza ufficio proprio e con una popolazione di 1.124 abitanti, fu inserito nel distretto II di Tirano.
Alla proclamazione del Regno d’Italia (1861) Mazzo aveva 1285 abitanti, saliti a 1275 nel 1871 ed a 1503 nel 1881. Poi si ebbe una flessione, dovuta al flusso migratorio: gli abitanti del 1901 erano 1296, risaliti a 1333 nel 1911.
La statistica voluta dal Prefetto di Sondrio Scelsi rilevò, nel 1866, nel nucleo centrale di Mazzo 308 abitanti (141 maschi e 167 donne), 76 famiglie e 44 case, di cui 2 vuote. In località Albertinelli vivevano inoltre 253 persone, 124 maschi e 129 donne, in 50 famiglie e 37 case (di cui 2 vuote). In contrada Sparso vivevano 146 persone, 86 maschi e 60 femmine, in 29 famiglie e 14 case, di cui una vuota. A Vione vivevano 203 persone, 103 uomini e 100 donne, in38 famiglie e 29 case. In case sparse, infine, vivevano 384 persone, 211 uomini e 173 donne, in 73 famiglie e 48 case, di cui 2 vuote. In totale, dunque, 1293 persone, 665 uomini e 629 donne. 8 uomini e 6 donne risultavano sordo-muti, mentre 30 persone erano classificate come “cretine”, termine tecnico con il quale si designava una sindrome legata a carenze di alimentazione. Viene registrata anche una fornace di calce condotta nel solo periodo estivo da Bernardo Pozzi e C. al Borminello.
Ecco il quadro complessivo:



Portici a Mazzo di Valtellina

Ecco come la Guida alla Valtellina edita a cura della sezione valtellinese del CAI nel 1884 (II ed. a cura di Fabio Besta) descrive il paese e la sua storia: “Attraversato il piccolo villaggio di Tovo S. Agata (523 ab.) la strada giunge a Mazzo (622 m.) (1503 ab.) antica e non umile borgata sull’Adda. Mazzo è una delle quattro antiche pievi della Valtellina. Fra i rettori della sua Chiesa principale figurò come arciprete il fratello del Medeghino, Giovan Angelo Medici, che divenne poi papa sotto il nome di Pio IV. Il 3 luglio 1635 Fernamondo generale degli Imperiali aveva collocato gli avamposti suoi a Lovere, e il grosso delle truppe presso Mazzo dietro muri di cinta di giardini e campi. Rohan, che erasi prima ritirato a Tirano, l’attaccò furiosamente con tremila francesi e seicento grigioni, e ottenne, subendo poche perdite, splendida vittoria. Dei tedeschi, sgominati, pochi poterono passare l’Adda, essendo che il ponte, guasto, a quanto narra il cronista Alberti, per astuzia del Rohan, si ruppe: mille rimasero prigionieri assai più furono uccisi e si annegarono nel tentativo di guadare il fiume. Il Rohan nelle sue memorie dice che dei seimila uomini di cui si componeva l’esercito imperiale, poco più di seicento riuscirono ad arrivare a Bormio; l’Alberti, invece, che accompagnò il Fernamondo a Mazzo il 2 luglio e lo rivide poi fuggiasco, fa ascendere a tre mila uomini la perdita dei Tedeschi.
Mazzo è patria di Pietro Angelo Lavizzari, il più antico e forse più sereno e fedele fra gli storici valtellinesi. Sono notevoli, in Mazzo l’antichissima chiesetta ove trovasi il Battistero, che la tradizione vuole fosse già un tempio pagano, e la chiesa parrocchiale. Assicurasi che la chiesetta del Battistero fosse già interamente adorna di pregevoli affreschi e che un parroco abbia fatto dare il bianco a quei dipinti perché rappresentavano figure nude e a suo parere oscene. La chiesetta fu nel 1880 ristaurata per intiero di modo che nell’interno non presenta altro segno di antico che un tavernaculetto per gli olii santi coll’iscrizione: ”1508 addì 8 febraro. Hoc opus complevit magister Hyeronimus de Marozia; il qual Marozia è quello stesso che ha lavorato nella chiesa di Ponte. La porta dietro il battistero è elegante e decorata di ornamentazioni a basso rilievo. Nella chiesa parrocchiale voglionsi osservare la porta gotica in marmo bianco scolpita essa pure, ma con minor arte di quella sopradetta: sull’uscio in legno trovasi la data 1597. In questa chiesa vi ha un insigne dipinto di Fermo Stella rappresentante l’adorazione dei Magi, … La Crocifissione e i Quattro Evangelisti , pregevoli affreschi che trovansi nelle sacrestie, sono attribuii a Cipriano Valorsa. Gli affreschi sulle pareti della casa dei Venosta vicina alla chiesa sono pure del Valorsa: datano dal 1564. E voglionsi di questo valente pittore altri dipinti sopra la porta della casa Pozzi e in diverse chiese minori.


Mazzo di Valtellina

La vecchia torre, la quale sorge su di un poggio al di sopra di Mazzo è l’ultimo avanzo di un antico castello, che fu costrutto nel secolo XII e che si chiamava Castello di Pedenale. Questo castello, al suo primo comparire, fece molto parlare di sé; e intorno a lui, per molti anni, ci fu un gran strepito di armi e di armati. Sulla Pieve di Mazzo, come pure su molte altre terre dell’alta Valtellina, , la curia di Como, dopo il mille, diceva di avere dei diritti feudali, e cercava di farli valere alla meglio. Quando a un tratto Enrico IV, imperatore tedesco, investì di questi medesimi diritti una famiglia che teneva i fondi di Valle Venosta e di Valle di Metsch, terre tirolesi vicine alla Valtellina dalla parte dello Stelvio. Con questa nuova investitura l’imperatore metteva in mano sicure lo Stelvio e i passi che, in questo punto delle Alpi, conducono dalla Germania in Italia; e di più in Valtellina metteva un forte posto di vanguardia per sé o per il partito ghibellino. I nuovi investiti si impadronirono subito delle rocche e dei luoghi fortificati dell’Alta Valtellina; eressero i castelli di Serravalle, di Boffalora e da ultimo questo di Pedenale. La Curia vescovile di Como si oppose lungamente colle proteste, poi venne alle armi. Il Vescovo Ardizzone mosse guerra ad Artuico di Venosta e fece porre l’assedio al castello di Pedenale da lui eretto. La lotta durò parecchi anni con diversa fortuna, finché si venne a una pace l’anno 1150. Il Vescovo lasciò che Artuico si tenesse il suo castello di Pedenale; Atruico cedette al Vescovo alcune terre, e si lasciarono a decisioni future le altre questioni più imbrogliate. Questi accordi si trovano riuniti nel libro delle imbreviature feudali esistente nell’archivio vescovile di Como. Dopo quella pace, il castello ebbe per molti secoli una vita modesta e tranquilla; finché, carico d’anni, a poco a poco scomparve e si ridusse a questa povera ed ultima torre. La lotta di religione che nel 1620 insanguinò la Valtellina ,e durante la quale furono incendiati paesi e castelli (vedi Castello di Grosio) avrà lasciato le sue tristi impronte anche al castello di Mazzo; ne avrà probabilmente incominciato la distruzione.


Dipinto in vicolo de Torre

[Torna ad inizio pagina]

Pesante fu il tributo del paese alla Grande Guerra. Il monumento ai caduti sulla piazza della chiesa plebana di Mazzo di Valtellina riporta i nomi di soldati morti nella prima guerra mondiale, cioè Lazzarini Angelo fu Agostino, Pozzi cav. Anselmo fu Agostino, Pozzi Antonio di Antonio, Robustelli Giovanni di Giovanni, Pozzi Agostino di Agostino, Rossi Agostino fu Andrea, Forzatti Antonio di Antonio e Buzzetti Battista di Carlo, Foppoli Amedeo fu Amedeo, Foppoli Alfonso fu Egidio, Gilotti Lorenzo fu Lorenzo e Rizzi Giovanni di Francesco. Risultarono dispersi i soldati Foppoli Antonio di Antonio, Rossatti Giacomo di Giacomo e Sala-Crist Agostino fu Giovanni. Sono poi riportati i soldati morti nell'Africa Orientale Italiana nel 1936, vale a dire Moratti Lorenzo fu Lorenzo e Pozzi Guglielmo di Fortunato. Nel 1921 a Mazzo risiedevano 1357 persone, scese a 1106 nel 1931 e 1132 nel 1936.


Scorcio di Mazzo

Un ampio quadro di Mazzo fra le due guerre, della sua storia e del suo patrimonio artistico si può ricavare da “La Valtellina – Guida illustrata”, a cura di Ercole Bassi, 1928 (V ed.): “Dopo km 10 da Tirano si giunge al borgo di Mazzo, già Amazio, che era una delle quattro antiche pievi della valle (m. 570 – ab. 1346 – Poste e Telegrafo – Telefono – R. C. - meccan. - nolo auto e vettura – albergo ristorante Mortirolo – auto per Bormio e Tirano – latteria turn. -cooperativa smobilitati) A Mazzo nacquero: nel 1679, Pietro Angelo Lavizzari, che lasciò le lodate e Memorie storiche della Valtellina, padre del dottor Vincenzo, medico illustre; l'abate Antonio Foppoli, eruditissimo letterato, che pubblicò nel 1766 una Descrizione della Valtellina. Vi fu arciprete Gian Angelo Medici, poi papa Pio IV. Da padre di Mazzo nacque, nel 1828, Felice Venosta, buon patriota, che scrisse molti pregiati e popolari libri storici, patriottici, drammatici e romanzeschi. Nel 774 la Pieve di Mazzo fu da Carlo Magno concessa al Monastero di S. Dionigi di Parigi; nell'XI sec. passò al Vescovo di Como, indi ai Venosta che vi eressero intorno ben quattro castelli. Nel 1635 il duca di Rohan sconfisse ivi le truppe tedesche e spagnuoli capitanate dal Fernamondo.
La arcipretale di S. Stefano ha la porta di marmo bianco con bellissimi bassorilievi .... La porta è ricca di intagli e fiorami, come lo è quella dell’antichissimo battistero, le cui sculture sono piuttosto rozze. L’oratorio di S. Giovanni Battista, che si ritiene fosse un tempio pagano, nasconde sotto l’intonaco affreschi di Fermo Stella. Nell’annesso oratorio di S. M. vi è una preziosa ancona di Gian Pietro Malacrida di Como, del 1489, fatta per commissione del prete De Venosta, come si rileva dall'iscrizione latina. Il Monti così ne scrive: <Un'antina rappresenta la Vergine in preghiera, ed è condotta con arte così fina, che sembra una miniatura dei corali del medioevo. Sull'altra antina è l'Angelo che completa l’Annunciazione; in alto la Trinità>. La parte superiore è l’unica che fu risparmiata da una barbara ridipintura di pochi lustri or sono. Sull'altare maggiore vi era una tavola del pittore Gottardo Scotti che si riteneva di Mello, essendosi letta erroneamente l’abbreviazione di Mediolanum sul quadro che si trova nei Museo Poldi Pezzoli dello stesso autore, del sec. XV, vista dal Monti nel 1890 e menzionata dal Quadrio. Vi si trovava un quadro coll'Adorazione dei Magi di Fermo Stella, con la data del 1527 scomparso da tempo, e vi sono affreschi di G. B. Mattoni sull'altare di S. Antonio ed un quadro del Volorsa del 1540, con la B. V. e due Santi Vescovi ai lati, mentre due angioletti, volando, reggono una corona, nonchè una ancona intagliata e polieroma (il Presepio) ed un ciborietto in pietra entrambi del princ. del sec. XVI. L'arcipretale possiede una croce processionale d’argento di molto pregio del 500 e un calice dalla base esagona, a ceselli e smalti corrosi, colle immagini del Crocifisso, della Madonna e di diversi senti, dono degli abitanti di Sondalo… a memoria del tempo in cui la Comunità di Sondalo si separò da Mazzo e si eresse in parrocchia indipendente. Pure di grande valore un altro calice del 500, di recente restaurato, ed alcuni paramenti, specialmente l’antico piviale di velluto rosso a fiorami su fondo d'oro. L’ancona dell'altare della M. è tutto intagliata coi Misteri, in pannelli ad alto rilievo. Vi è una bella cancellata. Sono firmati da Cipriano Valorsa gli affreschi sulla parete e sulla volta della sacristia, rappresentanti la Crocifissione, i quattro Evangelisti, la Vergine col Bambino e vari Santi, il Trasporto della S. Casa di Loreto, e S. Rocco che visita gli appestati; dello stesso Valorsa è la tavola con la B. V. e il Bambino fra due angioli, Lorenzo, S. Caterina e la Maddalena, del 1541, però non delle migliori del['artista. Anche sopra la porta del palazzo Pozzi, in contrada Pedenale, vi è un affresco del Valorsa, rappresentante Gesù con la croce. Molto belli, ma purtroppo guastati dalle intemperie, sono gli affreschi a chiaro-scuro che ornavano il cortiletto di casa Quadrio. ... Altri pannelli portano il giudizio di Paride; le Tre Grazie con la scritta: NULLA GRATIA APUD N0S PERIT, e sul fondo il Banchetto della Discordia. Queste scene sono assai elegantemente trattate con notevole sicurezza di tocco.


Scorcio di Mazzo

Come i precedenti, sono attribuiti al Valorsa gli affreschi decorativi della sala terrena della casa Lavizzari, con un bel soffitto in legno portante la data del 1536. Sono pregevolissimi per ricchezza e varietà d'invenzione e leggerezza di esecuzione l'alta fascia a fiorami e figure, e gli ornati degli stemmi di molti casati valtellinesi, dipinti sulle pareti. Molto bello il grande camino di pietra lavorata che si trova nella stessa sala. Nella casa Venosta vi sono affreschi primitivi del 400, ben conservati, nella camera rivestita di legno detta stufa. In un corridoio della stessa. casa si trovano diversi quadri di pregio, fra i quali una Betsabea e un Figliuol Prodigo. Nel salone si conservano diversi oggetti antichi riguardanti le famiglie Carbonera e Lavizzari. Nell'antico oratorio dei Ss. Ippolito e Cassiano detto di S. Marco, alle falde del monte di Mazzo, presso Tovo, a 30 metri sopra l'Adda., sono dipinti dal Valorsa: il quadro colla Discesa dello Spirito Santo su M. V. e gli Apostoli; l'affresco coi Ss. Ippolito e Cassiano; sei patriarchi dipinti nell'arco colla data del 1560; l'Annunciazione sopra l'arco e cinque bellissimi angeli sulla volta. Il sac. Zaccaria attribuisce a pennello più antico la M. col B. Benedicente nella nicchia di una cappella esterna, che il Monti ritiene della fine del XV, mentre nota la grazia di una invetriata dipinta. Nella cappella dell’oratorio vi è un affresco del 1879 del pittore Felice Carbonera di Vervio, che rappresenta S. Giuseppe, S. Marco e S. Rocco. A Mazzo si vede ancora una torre, avanzo dell'antico castello di Pedenale. Da Mazzo una mulattiera sale al passo del Mortirolo (m. 1845), il cui nome dicesi ricordi una strage fatta da Carlo Magno di Camuni rimasti pagani, tradizione confermata dal vicino Motto Pagano (m. 2345). Lungo questa via., all'abitato di S. Matteo, da dove si gode un bel panorama, all'esterno di una casa Valorsa dipinse un S. Matteo e altri santi. Dal Mortirolo si scende a Monno in Valcamonica.”


Mazzo di Valtellina

Il monumento ai caduti sulla piazza della chiesa plebana di Mazzo di Valtellina riporta i nomi dei soldati morti nella seconda guerra mondiale, vale a dire Foppoli Bernardo, Marchesi Stefano, Tomerini Giovanni e Cattaneo Cesare. I soldati dispersi furono Bianchi Remo, De Paoli Stefano, Foppoli Fortunato, Pozzi Alberto (classe 1916), Pozzi Alberto (classe 1917), Pozzi Carlo Enrico, Pozzi Clemente, Pozzi Felice, Pozzi Luigi e Tomè Arturo.
Nel secondo dopoguerra si ebbe un calo della popolazione, che dai 1052 abitanti nel 1951 scese ai 972 del 1961 ed ai 890 del 1971. La popolazione tornò poi a salire: nel 1981 gli abitanti erano 1981, nel 1991 1010, nel 2001 1045 e nel 2011 1041.


Torre di Pedenale

[Torna ad inizio pagina]

BIBLIOGRAFIA

De Carli, Carlo, "La Pieve diMazzo attraverso i secoli" in Eco delle Valli, 27 gennaio 1961

Pedrotti, Egidio, "La Pieve di Mazzo", in "Bollettino della Società Storica Valtellinese", 15 (1961), pp. 164-170

Centro di Lettura di Grosotto e Biblioteca popolare (a cura di), "Racconti e leggende di Grosio, Grosotto, Mazzo" (Collana "Quaderni Valtellinesi", n. 1), febbraio 1974

Amici, Remo, "Note storico-artistiche su Mazzo di Valtellina" (in "Bollettino della Società Storica Valtellinese", Sondrio, 1979)

Antonioli, Gabriele, "Archivi storici eccleiastici di Grosio-Grosotto-Mazzo", Sondrio, 1990

Antonioli, Gabriele, "I rapporti tra la Comunità di Sernio e la chiesa matrice di Mazzo", in Bollettino della Società Storica Valtellinese, 1993

Canetta, Eliana e Nemo, “Mortirolo, la verde costiera tra il passo dell'Aprica e il monte Serottini ”, CDA, Torino, 1999

Vannuccini, Mario, “Monti e valli della Comunità Montana Valtellina di Tirano ”, Lyasis edizioni, 2002


Chiesa plebana di S. Stefano a Mazzo di Valtellina

CARTA DEL TERRITORIO sulla base della Swisstopo, che ne detiene il Copyright. Ho aggiunto alla carta alcuni toponimi ed una traccia rossa continua (carrozzabili, piste) o puntinata (mulattiere, sentieri). Apri qui la carta on-line

Copyright © 2003 - 2024 Massimo Dei Cas Designed by David Kohout