Monte Legnone visto da Traona

ASCENSIONE AL LEGNONE: DAL RIF. ROCCOLI-LORLA E DA OSICCIO (DELEBIO)


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Il Legnone. Chiamarlo semplicemente monte sarebbe un'offesa. E' un'icona, innanzitutto: con il suo inconfondibile profilo a forma di corno il poema sinfonico della catena orobica propone un ultimo poderoso squillo di ottoni, prima di spegnersi nelle profonde acque del Lario. Un'icona che gode del primato della cima più vista o comunque riconosciuta da sentieri, alpeggi e cime del versante retico della media e bassa Valtellina. E', più ancora, un piccolo mondo, popolato, in passato, da orsi, lupi, greggi di capre e pecore, armenti, camosci, galli selvatici e pernici, un microcosmo in cui natura, storia ed immaginazione hanno realizzato nei secoli un equilibrio che oggi è sicuramente incrinato, ma forse non ancora irrimediabilmente compromesso. Un piccolo mondo che si affaccia ad ovest ai dolci profili lariani, ad est alle dense ombre dell'intatta Val lesina, a nord alle estreme propaggini della valle dell'Adda, a sud ai vertiginosi versanti della Val Varrone. La sua cima è, in assoluto, fra le più panoramiche della catena orobica: sotto tale profilo, teme il confronto solo con il vicino ed altrettanto noto pizzo dei Tre Signori.


Monte Legnone e alto Lario

La significatività del monte è testimoniata dai molti nomi che ha ricevuto nel corso dei secoli. Il più antico, in epoca pre-romana, fu "Lineo", dal termine celto-ligure "lin", che significa "acqua": la conformazione dei suoi versanti, infatti, lo rende un naturale serbatoio di accumulo di neve che, a primavera, viene incanalata sui versanti e rifluisce a valle. Per i Romani, poi, esso fu il "Tricuspide", perché da Mandello (cui giungevano le loro imbarcazioni nella navigazione del lago da Como a Samolaco) sembrava culminare in tre diverse cime. Poi, nell'alto medioevo, riaffiora l'antica radice "Lineo", ed in un documento dell'anno 879 risulta come monte "Lineone". Da qui a "Legnone" il passo è breve (nel 1256: "Mons Legnonum").
 Fra gli elementi di interesse del monte figurava, anche, in passato, la presenza del più basso ghiacciaio d'Europa, nel vallone chiamato Valorga, dove cavalieri e nobildonne mandavano a prendere il ghiaccio per conservare fresche le vivande nella stagione estiva (ed ancora negli anni Cinquanta e Sessanta del secolo scorso dalla Valorga si prelevava ghiaccio a questo scopo, ed in particolare per preparare granite alla vaniglia consumate nella sagra agostana di San Rocco - 16 agosto -). Oggi del ghiacciaio non resta praticamente più nulla: solo neve di slavina che rimane per tutta l'estate, anche perché protetta da tronchi e detriti.

Monte Legnone ed alto Lario

DAL RIFUGIO ROCCOLI-LORLA AL MONTE LEGNONE

Punti di partenza ed arrivo
Tempo necessario
Dislivello in altezza
in m.
Difficoltà (T=turistica, E=escursionistica, EE=per escursionisti esperti)
Rifugio Roccoli-Lorla-Alpe Agrogno-Ca' de Legn-
Monte Legnone
4 h
1150
EE
SINTESI. Al semaforo di Dervio, dobbiamo prendere a sinistra (a monte) e salire verso il centro del paese, oltrepassare i binari della ferrovia e, prendendo a sinistra al successivo stop, imboccare la strada che conduce in Val Varrone. La carreggiata è in più punti alquanto stretta, per cui dobbiamo procedere con prudenza. Oltrepassati i paesi di Vestreno ed Introzzo, raggiungiamo Tremènico, dove, seguendo le segnalazioni del rifugio, svoltiamo a sinistra e cominciamo a risalire, lungo il fianco occidentale della val Fosasco, su una stradina stretta ma sempre asfaltata. Ignorando poche deviazioni, restiamo sulla strada principale e, oltrepassato l'abitato di Monte Lavade, dopo 18 chilometri di strada da Dervio, siamo finalmente all'incantevole radura che fronteggia il rifugio Roccoli-Lorla (m. 1469). Se ci poniamo di fronte alla facciata del rifugio, vediamo un cartello che indica la partenza del sentiero per il Legnone, dato a 3 ore e mezza. Passiamo, così, a sinistra del rifugio, procedendo in una bella macchia di larici. L'intero percorso che ci attende, che alterna le direzioni sud-est nord-est ed est, si appoggia al lungo crinale del Legnone. Dopo una breve discesa, siamo ad un gruppo di cartelli, e seguiamo le indicazioni per Agrogno. Passiamo per Merésc de Scim, a 1506 metri, dove una pista (che ignoriamo) si stacca sulla destra dalla mulattiera e porta ad un baitone che vediamo poco più in basso, alla nostra destra. Il sentiero si restringe, ma resta sempre ben marcato e procede, con qualche serpentina e pendenza media, fra i larici. Poi tagliamo il fianco destro di un cocuzzolo boscoso e, in leggera discesa, giungiamo alle soglie dell'alpe Agrogno, a 1644 metri. Il sentiero procede pianeggiante sul lato alto dei prati, passando a sinistra delle due baite e del baitone dell’alpe. A due successivi bivi segnalati procediamo diritti. Saliamo una china abbastanza erta, al termine della quale si trova uno sbarramento di rocce. Passiamo a destra di una piccola grotta, poi siamo al fronte delle rocce, ed il sentiero, sostenuto a tratti da muretto a secco, lo supera tagliando a destra e sfruttando una cengetta. Usciamo ad una nuova china erbosa, e continuiamo a salire a zig-zag, sempre con pendenza pronunciata. Il crinale si va assottigliando in corrispondenza di uno sperone, che il sentiero aggira sul fianco destro (tratto esposto e servito da corde fisse: la presenza di neve, ghiaccio o rocce bagnate rende comunque il passaggio del tutto sconsigliato). Alla fine lasciamo lo sperone alle nostre spalle, e ci portiamo ad un punto pianeggiante del crinale, denominato Porta dei Merli (m. 2125). Procedendo, troviamo nuovi cartelli del CAI di Colico: siamo alla Ca’ de Legn. Lo superiamo e procediamo lungo un breve tratto quasi pianeggiante, fino ad un grande ripetitore posto proprio sul crinale, alla nostra sinistra. Il sentiero, sempre molto marcato, comincia a salire deciso, zigzagando a pochi metri dal crinale che, alla nostra sinistra, precipita sulla bassa Valtellina con un impressionante salto. Una prima fascia di roccette è superara con qualche passo di arrampicata assistita da corda fissa (attenzione, soprattutto in discesa). Segue una lunga e un po’ monotona salita che porta ad un secondo passaggio, sempre assistito da corda fissa, fra facili roccette. Puntiamo, ora, salendo con pendenza severa, ad un grande ometto, oltre il quale la salita prosegue con pendenza meno accentuata. Ora il sentiero si appoggia sul versante destro e procede rimanendo più basso rispetto al crinale: un nuovo passaggio fra roccette è assistito da corde fisse. Poi il sentiero volge a sinistra e si riporta sul crinale: sul lato opposto al salto verticale si è sostituito un meno minacciosa versante occupato da sfasciumi rossastri. Davanti a noi un saltino roccioso sormontato da alcuni cartelli: una corda fissa ci invita a salire proprio nel suo mezzo, anche se il sentiero lo aggira facilmente sul lato sinistro. Ignorata una deviazione a sinistra (indicazione "Delebio"), restiamo sul sentiero principale e ci portiamo all’anticima del Legnone (m. 2529, cartelli escursionistici). In breve siamo ai piedi della cupola sommitale. Dobbiamo dapprima procedere su un crinalino stretto ed esposto (corde fisse), poi attaccare questa fascia di roccette terminali, con arrampicata non difficile assistita da corda fissa (attenzione soprattutto in discesa). Gli ultimi sforzi sono, infine, ripagati dall’incontro con la grande croce sommitale del monte Legnone (m. 2609)

La salita al monte Legnone è fra le più classiche escursioni delle Orobie occidentali. Diverse sono le possibilità per effettuare l'ascensione, da Delebio, Colico e Dervio. Raccontiamo l'ultima, la cosiddetta “via normale”, che unisce al minore impegno fisico la garanzia di un tracciato quasi totalmente privo di pericoli (nella bella stagione, s'intende). Il punto di partenza è il rifugio Roccoli dei Lorla, collocato sull'ampia sella che separa il monte Legnoncino (m. 1714), a sud-ovest, dal fratello maggiore, il monte Legnone (m. 2609), ad est. Per raggiungerlo, dobbiamo percorrere il vecchio tracciato della ss 36 (ora sostituito dalla supestrada Colico-Lecco) da Colico in direzione di Lecco, fino a Dervio (infatti la superstrada, nella direzione Colico-Lecco, non ha svincoli per Dervio, ma solo più avanti, per Bellano).
Giunti a Dervio, dobbiamo, al semaforo, prendere a sinistra e salire verso il centro del paese, oltrepassare i binari della ferrovia e, prendendo a sinistra al successivo stop, imboccare la strada che conduce in Val Varrone. La carreggiata è in più punti alquanto stretta, per cui dobbiamo procedere con prudenza. Oltrepassati i paesi di Vestreno ed Introzzo, raggiungiamo Tremènico, dove, seguendo le segnalazioni del rifugio, svoltiamo a sinistra e cominciamo a risalire, lungo il fianco occidentale della val Fosasco, su una stradina stretta ma sempre asfaltata. Ignorando poche deviazioni, restiamo sulla strada principale e, oltrepassato l'abitato di Monte Lavade, dopo 18 chilometri di strada da Dervio, siamo finalmente all'incantevole radura che fronteggia il rifugio, ingentilita da una graziosa pozza posta al centro di un prato paludoso. Parcheggiata l'automobile al parcheggio accanto al prato, non seguiamo le due piste che corrono sui suoi lati opposti, ma saliamo al rifugio Roccoli Lorla, posto su un poggio, nei pressi della piana. Su una targa si legge: “Il comitato lombardo delle guide e portatori e la sezione del CAI di Dervio ricordano il loro presidente Accademico dott. Guido Silvestri. Dicembre 1971”. Una targa accanto all’ingresso ricorda che il rifugio, posto a quota 1463, è stato rifatto nel 1951 dal CAI di Dervio, in onore di J. B. Nogara. Sulla trave in legno soprastante campeggia una scritta latina: “Post fata resurgo”, cioè dopo il giorno del destino (la morte), risorgo.
Se ci poniamo di fronte alla facciata del rifugio, vediamo un cartello che indica la partenza del sentiero per il Legnone, dato a 3 ore e mezza. Passiamo, così, a sinistra del rifugio, procedendo in una bella macchia di larici. L'intero percorso che ci attende si appoggia al lungo crinale che dalla vetta del Legnone scende verso ovest. Dopo una breve discesa, siamo ad un gruppo di cartelli, che segnalano la direzione per Agrogno (dato a 50 minuti), alpeggio per il quale passeremo, ed i sentieri del Pivion (impegnativo; traversata al rifugio Scoggione, sopra Colico, dato a 3 ore) ed Alpetto, Alpe Rossa e Bedolesso. Sul sentiero troviamo anche qualche segnavia bianco-rosso e rosso-bianco-rosso. All’inizio abbiamo l’impressione che vi siano più tracce: stiamo al centro del largo dosso, e procediamo fino al primo strappo, nel quale la mulattiera è larga e per un tratto lastricata di sassi.
Passiamo per Merésc de Scim, a 1506 metri, dove una pista si stacca sulla destra dalla mulattiera e porta ad un baitone che vediamo poco più in basso, alla nostra destra. Il sentiero si restringe, ma resta sempre ben marcato e procede, con qualche serpentina e pendenza media, fra i larici, che di tanto in tanto si aprono, regalando i primi scorci sulla parte terminale del lago di Como. Alta e diritta proprio sopra di noi si scorge già la vetta del Legnone, sormontata da una grande croce. Alle nostre spalle, invece, il Legnoncino. Ad un certo punto l’aria si fa elettrica, sembra friggere: passiamo proprio sotto un enorme traliccio dell’alta tensione.


Crinale

Poi tagliamo il fianco destro di un cocuzzolo boscoso e, in leggera discesa, giungiamo alle soglie di un luogo decisamente più bucolico, l'alpe Agrogno, a 1644 metri, alla sommità della valle Rasga. Si tratta di una fascia di prati che si appoggia sulla parte destra (meridionale) del crinale che separa la bassa Valtellina dalla Val Varrone: il versante di sinistra è, infatti, scosceso e selvaggio. Se ci portiamo al suo bordo possiamo ammirare un panorama già molto bello sull’imbocco di Valtellina e Valchiavenna: il luogo, per la sua panoramicità, può essere meta di una breve escursione ad esso dedicata. Il sentiero procede pianeggiante sul lato alto dei prati, passando a sinistra delle due baite e del baitone dell’alpe. Qui troviamo tre cartelli, che segnalano un bivio: prendendo a destra si procede sull’alta Via della Val Marrone, portandosi all’alpe della Stanga (50 minuti), all’alpe Campo (un’ora e 50 minuti) ed a Premana (3 ore e mezza), dove inizia la seconda tappa. Nella direzione dalla quale proveniamo il rifugio Roccoli Lorla è dato a 40 minuti, e sono segnalate le postazioni militari costruite nella prima guerra mondiale (un’ora e mezza) e la vetta del Legnoncino (un’ora e 40 minuti). Procedendo diritti, infine, lungo l’alta via della Valsassina saliamo in 3 ore al monte Legnone. Avanti diritti, dunque.


L'alpe Agrogno

Riprendiamo la salita fra radi larici, trovando nuovi cartelli, questa volta del CAI di Colico, che segnalano un bivio: a sinistra alle alpi Temnasco e Rossa, ed infine a Colico, mentre rimanendo sul sentiero principale si sale alla Porta dei Merli, alla Ca’ de Legn ed al Legnone. Procediamo sempre fra larici che non si infittiscono mai a costituire una vera macchia, e ci portiamo ad una nuova ampia fascia di prati, la parte alta dell’alpeggio di Agrogno, dove troviamo, alla nostra destra, un nuovo baitone, ma nessun nuovo cartello. Guardando alle nostra spalle, vediamo un ampio scorcio del lago di Como, a sinistra ed a destra del Legnoncino, che appare sempre più basso, con le sue roccette terminali assediate dal fitto bosco. La pendenza si addolcisce per un buon tratto, poi riprende a farsi sentire. In compenso, alla nostra sinistra cominciamo a scorgere Colico ed il Laghetto. Saliamo, ora, una china abbastanza erta, al termine della quale si trova uno sbarramento di rocce. Passiamo a destra di una piccola grotta, poi siamo al fronte delle rocce, ed il sentiero, sostenuto a tratti da muretto a secco, lo supera tagliando a destra e sfruttando una cengetta.
Usciamo ad una nuova china erbosa, e continuiamo a salire a zig-zag, sempre con pendenza pronunciata. Il crinale si va assottigliando in corrispondenza di uno sperone, che il sentiero aggira sul fianco destro. Il versante si fa assai ripido ed insidioso per l’erba scivolosa: un tratto quasi scavato fra roccette è opportunamente protetto da corde fisse. La presenza di neve, ghiaccio o rocce bagnate rende il passaggio assai insidioso. Alla fine lasciamo lo sperone alle nostre spalle, e ci portiamo ad un punto pianeggiante del crinale, denominato Porta dei Merli (m. 2125). Procedendo, troviamo nuovi cartelli del CAI di Colico: siamo alla Ca’ de Legn, e procediamo lungo l’alta Via della Valsassina, sul sentiero che porta al monte Legnone e prosegue scendendo alla bocchetta di Colombano. Poco più avanti, l’edificio della Ca’ de Legn (cioè Casa del Legnone, m. 2140), edificato nel 1884 e ristrutturato un secolo dopo, nel 1984, come leggiamo su una targa: “La sensibilità di enti e privati con la volontà e la tenacia dei valligiani uniti a tanti amici della montagna hanno consentito di ricostruire onorare chi la costruì e restituire a chiunque percorra questo sentiero la Ca’ de’ Legn, a unanime ricordo del dott. Guido Silvestri, già presidente del CAI di Dervio. Settembre 1984”. Una seconda targa ricorda Giuliano, scomparso nel 1992. Una mappa, infine, rappresenta l’intero percorso dell’Alta Via della Valsassina, che parte proprio dal rifugio Roccoli Lorla, si porta alla cima del Legnone, scende alla bocchetta del Legnone e ad un ricovero posto a monte dei laghetti di Deleguaccio, taglia il versante meridionale della cresta del pizzo Alto, raggiungendo la bocchetta di Taeggio (che si affaccia a nord sulla Val Lesina), si porta alla cima del pizzo Rotondo (che si affaccia sulla Val Gerola), scende alla bocchetta di Stavello, traversa alla bocchetta di Colombana e scende al rifugio Casere Vecchie di Varrone, sotto la bocchetta di Trona; sale, infine, al rifugio Falc, alla cima del pizzo dei Tre Signori, traversa al rifugio Grassi e si conclude al rifugio Ratti ai Piani di Bobbio. Una bella traversata, che richiede però molta attenzione e preparazione. La nostra salita al Legnone ne rappresenta il primo tratto.
 Azionando le leve della porta metallica possiamo trovare ricovero, se ne abbiamo bisogno, nel bivacco, spartano ma accogliente. Vi troviamo un caminetto e due panche; appeso ad una parete, il gagliardetto del comune di Garbagnate Monastero. Dall’esterno del rifugio, invece, proprio sulla sua verticale, possiamo vedere lo scosceso ed impressionante versante sud-occidentale del monte Legnone, che dovremo risalire rimanendo presso il crinale sul suo limite alla nostra sinistra. Vista da qui la salita appare davvero difficile; in realtà ci sembrerà alla fine meno ardua di quanto avessimo immaginato.
Lasciamo, dunque, il bivacco alle nostre spalle, e procediamo lungo un breve tratto quasi pianeggiante, fino ad un grande ripetitore posto proprio sul crinale, alla nostra sinistra. Il sentiero, sempre molto marcato, comincia, poi, a salire deciso, zigzagando a pochi metri dal crinale che, alla nostra sinistra, precipita sulla bassa Valtellina con un impressionante salto. Una prima fascia di roccette è superara con qualche passo di arrampicata assistita da corda fissa (attenzione, soprattutto in discesa: si impongono calzature con suola adeguata). Segue una lunga e un po’ monotona salita che porta ad un secondo passaggio, sempre assistito da corda fissa, fra facili roccette. Alta, davanti a noi, un po’ invitante, un po’ beffarda, sta, sempre, la croce di vetta del Legnone, sulla cima di sinistra di una coppia di arrotondati culmini sommitali. Puntiamo, ora, salendo con pendenza severa, ad un grande ometto, che sembra posto alla sommità di questo tratto di crinale. In realtà oltre l’ometto il crinale prosegue, solo con pendenza leggermente meno severa.  
La salita, come detto, non è difficile: neve, ghiaccio e terreno bagnato possono, però, complicarla fino a renderla decisamente sconsigliabile, così come possono richiedere un supplemento di attenzione le dense nebbie che non di rado salgono dalla nostra destra, cioè dalla Val Varrone e dal lago, e che possono ridurre di molto la visuale. In questo caso l’attenzione va tenuta desta passo dopo passo.
Ora il sentiero si appoggia sul versante destro e procede rimanendo più basso rispetto al crinale: un nuovo passaggio fra roccette è assistito da corde fisse. Passiamo a destra di una targa metallica posta dal CAI e dall’UES di Seregno, alla memoria di Vittorio Mantica, perito tragicamente il 5 dicembre 1922. Questa targa ci ricorda che il Legnone non è, in condizioni avverse, una cima banale: l’elenco delle sue vittime non è esiguo.
Poi il sentiero volge a sinistra e si riporta sul crinale: sul lato opposto al salto verticale si è sostituito un meno minacciosa versante occupato da sfasciumi rossastri. Davanti a noi un saltino roccioso sormontato da alcuni cartelli: una corda fissa ci invita a salire proprio nel suo mezzo, anche se il sentiero lo aggira facilmente sul lato sinistro. Su un masso a terra è indicata la partenza di un sentierino che scende verso sinistra: la scritta, affiancata dalla numerazione “1”, segnala “Delebio”, che si trova, in verità, circa 2200 metri più in basso. Noi restiamo sul sentiero principale, e ci portiamo ai cartelli sopra menzionati. Siamo all’anticima del Legnone (m. 2529) e, prendendo a sinistra, possiamo scendere al passo di Colombano, all’alpe Scoggione ed a Colico, oppure possiamo traversare direttamente all’alpe Scoggione, su percorso però assai difficile, con passaggi di impegno alpinistico (EEA). Teniamo presente che dalla bocchetta di Colombano possiamo scendere anche all’alpe Legnone e di qui a Delebio: questo spiega l’indicazione sul masso che abbiamo incontrato poco prima.
Ignorando le deviazioni a sinistra, proseguiamo nella salita: il crinale per un tratto è quasi pianeggiante, poi siamo allo strappo finale, che richiede attenzione. La cupola sommatale è, infatti, difesa da una fascia di roccette. Dobbiamo dapprima procedere su un crinalino stretto ed esposto (corde fisse), poi attaccare questa fascia di roccette terminali, con arrampicata non difficile assistita da corda fissa (attenzione soprattutto in discesa). Gli ultimi sforzi sono, infine, ripagati dall’incontro con la grande croce sommitale (m. 2609 o, secondo altra scuola di pensiero, 2610). Sulla croce una targa reca scritto: “La croce di vetta del monte Legnone fu posta a dimora nel lontano agosto dell’anno 1900 dai valligiani. È stata restaurata nell’estate dell’anno 2003 con il patronato delle sezioni CAI di Colico, Dervio, Bellano, Premana, dei gruppi ANA di Piagnona, Dervio, Delebio, Colico, Vestreno, Tremenico, Introzzo, Sueglio, Dorio, Piantedo, Premana e Pro Loco di Delebio”.
Pochi metri più avanti, sull’ampia spianata della cima, un tempietto custodisce l’immagine della Madonna: è stato eretto dal Gruppo Alpini di Colico nel 1958 per ricordare Antonio Della Valle, di anni 24 (“di fronte all’azzurro del cielo per la Madonnina di questa vetta offrì la vita il 7-9-1958) ed Alberto Angeloni, di anni 17 (“lavorò a quest’opera con lo slancio della sua adolescenza, morto il 6-12-1958”). Sulla cima troviamo, infine, un altarino eretto dagli “Alpini delle nostre valli” il 12 luglio 1959, a ricordo del senatore dott. E. Falck.
Se la giornata è bella il panorama è davvero grandioso, e giustamente celebrato: lo sguardo può passare in rassegna l’intero gruppo delle cime di Val Masino e di parte di quelle della Valmalenco (il monte Disgrazia, infatti, ne nasconde la sezione centrale), vagando, più a nord, fra le cime retiche svizzere; può spingersi, ad ovest, oltre i laghi di Como e Lugano, ai monti Rosa e Cervino; può raggiungere, a sud, le prime elevazioni appenniniche; può incontrare, infine, ad est le vette del gruppo Ortles-Cevedale. Ecco la descrizione del panorama offerta dalla Guida alla Valtellina del CAi di Sondrio (II edizione, 1884): "Lo sconfinato panorama del Legnone abbraccia tutta la catena delle Alpi dall'Ortler al monte Viso, e buona parte della valle del Po dalle Prealpi all'Appennino. Al nord la valle della Mera e del Liro sino allo Spluga; all'est la Valtellina; al sud la Valsassina; all'ovest i laghi di Como e di Lugano e il Maggiore. Il Duomo di Milano si distingue di lassù ad occhio nudo."
Tutto questo ripaga ampiamente le 4 ore, circa, di cammino necessario per superare i 1150 metri di dislivello, dal rifugio di partenza alla cima.


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È interessante leggere, a questo punto, la relazione dell’escursione da Delebio al Legnone effettuata il 3 agosto 1897 da Bruno Galli Valerio, alpinista e naturalista che molto amò queste montagne: “Eravamo in tre ai quali era toccato l'onore di rappresentare la Sezione Valtellinese del C.A.I. all'inaugurazione di una nuova strada al Legnone. A Delebio, ai piedi di questa bella montagna che si erge al disopra delle rive del lago di Como, ci fecero un'accoglienza entusiastica. Dovemmo attraversare il paese dietro una fanfara venutaci a cercare alla stazione e attraversarlo sotto gli occhi di ragazze vestite di bianco, che, dalle finestre e dai balconi, ci guardavano passare come tre animali rarissimi. Uno degli amici prendendo la faccenda seriamente, camminava rigido e dignitoso come si fa in circostanze simili. In quanto a me e all'altro amico, avremmo voluto essere altrove.


Valchiavenna visto dal monte Legnone

Quando ricevimenti, brindisi d'onore, ecc., furono terminati, erano già le otto e un quarto della sera. Ci affidarono allora a un buon contadino che era incaricato di accompagnarci all'alpe Legnone, dove dovevamo passare la notte. Man mano che salivamo nei boschi di castani, il cielo diveniva tutto grigio e di tanto in tanto era illuminato di lampi. L'aria era pesante, l'oscurità si faceva profonda. Fummo costretti ad accendere le lampade che ci erano state fornite. Cominciava a cadere la pioggia a grosse gocce ed io cominciavo a temere per le lanterne, chè mi ricordavo di una notte analoga in cui essendosi sciolte sotto l'acqua le lanterne di carta, noi eravamo rimasti nella notte nera e avevamo fatto una fatica enorme ad aprirci una strada. Fortunatamente, vedemmo apparire sopra di noi delle luci e la nostra guida ci avvertì che stavamo raggiungendo l'alpe. Grida, canti, ci avvertirono che c'era già parecchia gente lassù. Infatti, nonostante fossero già le undici e mezzo, fummo accolti ordialmente da signori e signore in una baita trasformata in un ristorante. La pioggia cadeva a rovesci e i tuoni rumoreggiavano. Poco a poco, tutti scomparvero per andare a dormire.


Valchiavenna vista dal monte Legnone

E arrivò il nostro turno. Ci accompagnarono in una specie di camerone dove sui due lati del corridoio centrale una folla di alpinisti dormiva sul fieno. Ma come trovare un posto? Tutti erano stretti gli uni agli altri come acciughe. Tutto d'un tratto, qualcuno ci chiama: Era il dott. C. Ci fece posto di fianco a lui e potemmo così sdraiarci. Alle cinque e mezzo, quando ci alzammo per partire, non pioveva più, ma delle spesse nebbie volteggiavano tutt'intorno al Legnone. Cominciammo ad inerpicarci lungo le coste erbose del Legnone, poi lungo una parete rocciosa molto ripida, presentante però numerosi scaglioni. Questa parete ci portò ad una cresta da cui ci fu possibile il raggiungere la cima alle sette ed un quarto. Eravamo completamente inviluppati dalle nebbie che danzavano, trasportate da un fortevento. Di quando in quando si squarciavano e attraverso ampie finestre, vedevamo a turno la Grigna, le montagne della valle di Chiavenna e della Val Masino e, ai nostri piedi, nel sole, il lago di Como”. (Bruno Galli Valerio, “Punte e passi”, a cura di Luisa Angelici ed Antonio Boscacci, edito dal CAI di Sondrio, 1998).
Poco meno di vent'anni dopo, rispetto alla data di questa ascensione, venne tracciata, durante la Prima Guerra mondiale, la mulattiera che oggi consente di salire agevolmente alla cima del monte partendo dall'alpe Legnone. Lo scopo della mulattiera era militare: il generale Cadorna, diffidando della neutralità svizzera, temeva che l'esercito austro-ungarico potesse invadere la Valtellina scendendo dalla Valle di Poschiavo, e fece costruire una linea di resistenza che interessava quasi interamente il crinale orobico. Il sistema, con il suo reticolo di mulattiere, non servì allo scopo per cui era stato pensato, per fortuna; serve ottimamente, invece, ancora oggi agli scopi degli escursionisti. Scendendo dalla cima sul lato opposto rispetto a quello di salita giungiamo facilmente al punto nel quale questa mulattiera raggiunge il crinale: di qui, dunque, possiamo proseguire la discesa fino all’alpe Legnone ed a Delebio. Sempre dalla cima vediamo, poi, sul lato di destra (cioè sul versante della Val Varrone) una seconda mulattiera militare, che sale al crinale con andamento regolare: è anche questa una via d’accesso al Legnone, facile ma di notevole impegno fisico, dal momento che il dislivello è notevole.
Giunge, infine, il momento di scendere: ricordiamo di prestare molta attenzione nel superare la breve fascia di roccette posta poco sotto la cima: in discesa, infatti, la cautela deve essere ancora maggiore rispetto alla salita.


Panorama settentrionale dal monte Legnone
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DA OSICCIO (DELEBIO) AL MONTE LEGNONE

Punti di partenza ed arrivo
Tempo necessario
Dislivello in altezza
in m.
Difficoltà (T=turistica, E=escursionistica, EE=per escursionisti esperti)
Osiccio di Sopra-Alpe Legnone-Bucheta de Legnun-Monte Legnione
5-6 h
1680
EE
SINTESI. Lasciamo la ss. 38 dello Stelvio alla prima rotonda all’ingresso di Delebio (per chi proviene da Colico): acquistato il pass giornaliero presso il Bar Cioca (via Roma 57), il Bar Milvia (via Stelvio, 123), il bar Zero8 (piazza S. Domenica, 20), il Blu Bar (via Stelvio, 19) o il Ristorante Domingo (via Carcano, 3), dalla chiesa parrocchiale saliamo con l'automobile in direzione del versante orobico, prendendo a destra e raggiungendo la località Tavani (indicazioni del percorso vita), imboccando la pista con fondo sterrato e in cemento che con poche lunghe diagonali risale i versante a monte del paese e porta al parcheggio di Osiccio di Sopra (usìic', m. 922). Dall’estremità superiore dei prati parte un sentiero molto ripido, che corre sul filo del dosso e guadagna abbastanza rapidamente i prati di Piazza Calda (m. 1165). Alle soglie dei 1200 metri, seguendo le indicazioni per l’alpe Legnone, una targa del sentiero Andrea Paniga ed i segnavia bianco-rossi, lasciamo anche questi prati e ci addentriamo nel bosco, seguendo un sentiero ben tracciato che compie un lungo traverso in direzione sud-ovest (destra), giungendo a sormontare un vallone scosceso, guadagnando, a circa 1300 metri, una piccola radura, dove volge a sinistra, puntando a sud, fino alla conca di grandi abeti, detta “Zoca de la Naaf”, Conca della Nave, al culmine del dosso denominato Mottalla dei Larici, a 1395 metri. Proseguiamo, salendo, verso sud-ovest, di un altro centinaio di metri, prima di uscire dal bosco, alle soglie dei 1500 metri, per attaccare il limite inferiore dei prati della grande alpe Legnone. Sempre seguendo il sentiero, passiamo a sinistra della croce in legno collocata nel 1993 sul limite di un dosso dell’alpe. Poco sopra siamo al'alpe, rappresentato da tre baite, fra le quali si trova il rifugio Legnone, dell’Azienda Regionale delle Foreste di Morbegno, denominato rifugio A.R.F. Alpe Legnone Legnone (m. 1690). Dobbiamo ora imboccare la mulattiera militare prestando attenzione ai cartelli che ne segnalano la partenza a sinistra delle baite più alte (per chi guarda verso monte, cioè ad est). La mulattiera, che a tratti è stata recuperata nel suo originario fondo lastricato, traversa a mezza costa, verso sud-ovest, l'alto circo dei pascoli di Galida, con andamento pianeggiante, passando per un grosso masso (Sass de Galìda) sotto il quale si trova una sorgente chiamata Acqua de Galida. Dopo un paio di tornanti la mulattiera svolta decisamente verso sinistra ed attraversa un paio di valloncelli. Ci raggiunge da destra un'altra mulattiera militare, che proviene dallla bocchetta di Colombano. Raggiungiamo così, procedendo verso sud-est, il costone che divide Galida da Cappello, chiamato Dosson di Zocche. Lasciamo alla nostra sinistra il sentiero della Gran Via delle Orobie, che scende al bacino dell'alpe Cappello, e proseguiamo seguendo il costone, breve tratto, con serrati tornantini, salendo verso sud-ovest. Lasciamo poi il costone prendendo a sinistra (sud) ed iniziamo a tagliare la fascia di roccette e magri pascoli a monte del bacino di Cappello. Il sentiero alterna tratti marcati a punti nei quali si fa meno chiaro, per cui dobbiamo prestare costante attenzione. Tagliati due valloncelli, ci portiamo così ai piedi di un ripido canalone. Ci raggiunge da sinistra la mulattiera che sale dall'alpe Cappello (Munt de Capèl), a monte della quale vediamo, qualche metro più in basso, sotto una grande roccia, un piccolo edificio diroccato (m. 2170), utilizzato un tempo per il ricovero del bestiame, il Bàrach di manzöö (letteralmente "ricovero dei vitelli", recentemente ristrutturato). Volgendo a destra la mulattiera inizia ad inanellare una serie di ripidi tornantini, guadagnando quota in direzione sud-ovest, fino alla Buchèta de Legnùn (o bocchetta alta del Legnone, m. 2360) posta a destra di un cocuzzolo roccioso, sul crinale che si affaccia sulla bassa Val Fraina. La mulattiera volge ora a destra, passa nei pressi di due postazioni di osservazione della linea Cadorna e per un tornante ancora segue il crinale sud-orientale del Monte Legnone, per poi lasciarlo ed iniziare la discesa a Pagnona. Noi la lasciamo alla nostra sinistra, seguendo il ramo della mulattiera militare (ormai ridotto a sentiero) sale verso nord-ovest, nel primo tratto sotto il crinale (alla sua sinistra), poi, da quota 2430 di nuovo sul crinale. Seguiamo così la cresta, fra terriccio e sassi mobili, fino alla cime del Monte Legnone (m. 2609). che raggiungiamo senza difficoltà dopo cinque ore abbondanti dalla partenza da Osiccio di Sopra (il dislivello approssimativo è di 1780 metri).


Fotomappa della salita da Delebio al monte Legnone

Più lunga e quindi fisicamente impegnativa la salita al Legnone da Delebio, sul versante valtellinese. Essa prevede, infatti, la possibilità di salire in automobile da Delebio ad Osiccio e di qui raggiungere a piedi l'alpe Legnone, per poi sfruttare una mulattiera di origine militare che porta alla Bucheta de Legnùn, sul crinale sud-orientale del monte Legnone, che alla fine viene raggiunto dopo la non difficile salita sul crinale.
Lasciamo la ss. 38 dello Stelvio alla prima rotonda all’ingresso di Delebio (per chi proviene da Colico): acquistato il pass giornaliero presso il Bar Cioca (via Roma 57), il Bar Milvia (via Stelvio, 123), il bar Zero8 (piazza S. Domenica, 20), il Blu Bar (via Stelvio, 19) o il Ristorante Domingo (via Carcano, 3), dalla chiesa parrocchiale saliamo con l'automobile in direzione del versante orobico, prendendo a destra e raggiungendo la località Tavani (indicazioni del percorso vita), imboccando la pista con fondo sterrato e in cemento che con poche lunghe diagonali risale i versante a monte del paese e porta al parcheggio di Osiccio di Sopra (m. 922). Proseguiamo per breve tratto e lasciamo l'automobile al parcheggio della località Piazza Calda (m. 1165). Dall’estremità superiore dei prati parte un sentiero molto ripido, che corre sul filo del dosso e guadagna abbastanza rapidamente i prati di Piazza Calda (m. 1165).
A questi luoghi appartiene il ricordo di una singolare figura, la cosiddetta "Castellana di Piazza Calda". Ercole Bassi ce ne dà notizia: "Ho conosciuto anche una giovane avvenente figlia di intelligenti artieri, che passava la maggior parte dell'anno sola, a 1100 metri, in una località della "Piazza Calda", ove teneva una casetta, stalla fienile, e vi coltivava un orto con patate, insalata, fagiuoli e piante di frutta. Vi allevava delle api rustiche, e nella primavera scese l'orso a mangiarle il miele... Era una giovine seria e laboriosa, e s'intratteneva volentieri con chi la frequentava".


Panorama da Osiccio

Alle soglie dei 1200 metri, seguendo le indicazioni per l’alpe Legnone, una targa del sentiero Andrea Paniga ed i segnavia bianco-rossi, lasciamo anche questi prati e ci addentriamo nel bosco, seguendo un sentiero ben tracciato che compie un lungo traverso in direzione sud-ovest (destra), giungendo a sormontare un vallone scosceso, guadagnando, a circa 1300 metri, una piccola radura, dove volge a sinistra, puntando a sud, fino ad un’incantevole conca immersa nella penombra di grandi abeti, detta “Zoca de la Naaf”, Conca della Nave (m. 1420), al culmine del dosso denominato Mottalla dei Larici. È difficile capire cosa abbia a che fare questo luogo magico con le navi, ed è interessante osservare che esiste, sulla Costiera dei Cech, un dosso che ha una denominazione analoga, quella di “Piazzo della Nave”.
Ma proseguiamo, salendo, verso sud-ovest, di un altro centinaio di metri, prima di uscire dal bosco, alle soglie dei 1500 metri, passando accanto alla "Casera di Piodi" (m. 1506), per poi attaccare il limite inferiore dei prati della grande alpe Legnone, che si stende, per oltre duecento metri, ai piedi della dirupata parete nord dell’omonimo monte. Sempre seguendo il sentiero, passiamo a sinistra della croce collocata nel 1993 sul limite di un dosso dell’alpe, e superiamo la "Casera Vegia" (m. 1640).
Non manca molto al cuore dell’alpe, rappresentato da tre baite, fra le quali si trova il rifugio Legnone, dell’Azienda Regionale delle Foreste di Morbegno, denominato rifugio A.R.F. Legnone (m. 1690).


Alpe Legnone

Ora sediamoci nei pressi del rifugio e guardiamo in direzione nord. L’occhio attento riconoscerà, in direzione della Val Chiavenna (a sinistra), il profilo tondeggiante del monte Matra (m. 2206), il pizzo di Prata (m. 2727, posto a guardia della bassa Val Codera), l’inconfondibile lancia del Sasso Manduino (m. 2888), che chiude ad ovest la testata della Val dei Ratti, le rimanenti cime che ne segnano il profilo, cioè la punta Magnaghi (m. 2871) ed il pizzo Ligoncio (m. 3032); con un cambio di scena, ecco, in primo piano, le cime della Costiera dei Cech, il monte Sciesa (m. 2487), la cima di Malvedello (m. 2640) e, defilata, la cime del Desenigo (m. 2845); ancora più a destra, il possente monte Disgrazia (m. 3678), affiancato dai Corni Bruciati (m. 3097 e 3114); sullo sfondo, infine, le cime della lontana Val di Togno e del versante retico, cioè il pizzo Scalino (m. 3323), la punta Painale (m. 3248) e la vetta di Rhon (m. 3139). Volgiamoci, ora, a sud: a sinistra della scura parete nord del Legnone ci si presenta la sequenza delle cime della testata della val Lésina, fra le quali emergono la cima di Moncale (m. 2306), la cima del Cortese (m. 2512) ed il pizzo Rotondo (m. 2495). La seconda parte dell'escursione, che porta al crinale fra Valtellina e Val di Fraina e di qui alla cime del Lwegnone, sfrutta il sentiero militare, tracciato durante la prima guerra mondiale nel contesto di un sistema di fortificazioni orobiche allestite per far fronte ad un eventuale cedimento della linea del fronte allo Stelvio o di una violazione della neutralità svizzxera che avrebbe condotto in Valtellina le truppe austro-ungariche dalla Valle di Poschiavo.


Parete nord del monte Legnone

Per imboccare la mulattiera militare basta prestare attenzione ai cartelli che ne segnalano la partenza a sinistra delle baite più alte (per chi guarda verso monte, cioè ad est). La mulattiera, che a tratti è stata recuperata nel suo originario fondo lastricato, traversa a mezza costa, verso sud-ovest, l'alto circo dei pascoli di Galida, con andamento pianeggiante, passando per un grosso masso (Sass de Galìda) sotto il quale si trova una sorgente chiamata Acqua de Galida.
Dopo un paio di tornanti la mulattiera svolta decisamente verso sinistra ed attraversa un paio di valloncelli. Ci raggiunge da destra un'altra mulattiera militare, che proviene dallla bocchetta di Colombano. Raggiungiamo così, procedendo verso sud-est, il costone che divide Galida da Cappello, chiamato Dosson di Zocche. Lasciamo alla nostra sinistra il sentiero della Gran Via delle Orobie, che scende al bacino dell'alpe Cappello, e proseguiamo seguendo il costone, breve tratto, con serrati tornantini, salendo verso sud-ovest.


La mulattiera militare per il monte Legnone

Lasciamo poi il costone prendendo a sinistra (sud) ed iniziamo a tagliare la fascia di roccette e magri pascoli a monte del bacino di Cappello. Il sentiero alterna tratti marcati a punti nei quali si fa meno chiaro, per cui dobbiamo prestare costante attenzione. Tagliati due valloncelli, ci portiamo così ai piedi di un ripido canalone.


Tratto della mulattiera Alpe Legnone-Dosso di Zocche

Tratto della mulattiera Alpe Legnone-Dosso di Zocche

Bàrach di manzöö

Ci raggiunge da sinistra la mulattiera che sale dall'alpe Cappello (Munt de Capèl), a monte della quale vediamo, qualche metro più in basso, sotto una grande roccia, un piccolo edificio diroccato (m. 2170), utilizzato un tempo per il ricovero del bestiame, il Bàrach di manzöö (letteralmente "ricovero dei vitelli", recentemente ristrutturato). Volgendo a destra la mulattiera inizia ad inanellare una serie di ripidi tornantini, guadagnando quota in direzione sud-ovest, fino alla Buchèta de Legnùn (bocchetta alta o forcella del Legnone, m. 2360) posta a destra di un cocuzzolo roccioso, sul crinale che si affaccia sulla bassa Val Fraina. Usiamo l'espressione dialettale, attestata nell'uso locale, per distinguere questa sella dalla Bocchetta del Legnone IGM, cioè dalla massima depressione del crinale segnata sulle carte IGM in posizione assai più distante dalla cima del Legnone, a sud-est (m. 2238), a ridosso della cima di Moncale (m. 2306).


La bocchetta alta (o forcella) del Legnone

La mulattiera volge ora a destra, passa nei pressi di due postazioni di osservazione della linea Cadorna e per un tornante ancora segue il crinale sud-orientale del Monte Legnone, per poi lasciarlo ed iniziare la discesa a Pagnona. Noi la lasciamo alla nostra sinistra, seguendo il ramo della mulattiera militare (ormai ridotto a sentiero) sale verso nord-ovest, nel primo tratto sotto il crinale (alla sua sinistra), poi, da quota 2430 di nuovo sul crinale. Seguiamo così la cresta, fra terriccio e sassi mobili, fino alla cime del Monte Legnone (m. 2609). che raggiungiamo senza difficoltà dopo cinque ore abbondanti dalla partenza da Osiccio di Sopra (il dislivello approssimativo è di 1680 metri).


Cresta sud-est del monte Legnone

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CARTE DEI PERCORSI sulla base della Swisstopo, che ne detiene il Copyright. Ho aggiunto alla carta alcuni toponimi ed una traccia rossa continua (carrozzabili, piste) o puntinata (mulattiere, sentieri). Apri qui la carta on-line

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STORIE DEL LEGNONE

Dalla storia alla leggenda: sul Legnone e le sue falde ne sono fiorite tante, che parlano di streghe, di orsi e di lupi (spesso presentati come metamorfosi delle streghe). Si racconta perfino di un uomo selvatico, concorrente, per modo di dire, per più famoso "homo salvadego" della Val Gerola. Ercole Bassi spiega, però, che non si tratta di una semplice leggenda, e, in un articolo pubblicato su "Le vie del bene", scrive: "Io ho conosciuto anche l'uomo selvaggio. Era costui un contadino che viveva affatto solitario in una casupola isolata sui fianchi del monte Legnone a Canargo di sotto e viveva col latte di una vacca e di qualche capra e un po’ di farina, di patate e d'altro che i suoi parenti gli portavano. Non era pazzo e non sentii che avesse fatto male ad alcuno. Molti lo temevano, e non ho mai potuto sapere perché conducesse tale vita".
Il piccolo mondo del Legnone, dunque, era anche un eremo, eletto per scelta propria o per forza, come accadde a quel giovane di Colico di cui parla, nel medesimo articolo, il Bassi: "Era di Colico, imputato di fratricidio. Si diceva che aveva ucciso per legittima difesa e poi si era rifugiato sul Legnone, ove non faceva male a nessuno e d'estate si occupava come pastore su qualche alpeggio. Persone fidate e parenti gli portavano da mangiare nelle altre stagioni in punti intesi ma sempre diversi. Era stato processato alle Assise di Como, e condannato in contumacia a gravissima pena. Ebbi a trovarlo una volta all'alpe Scuggione sopra Colico, e mi fece l'impressione di buon uomo. Dopo oltre un ventennio di questa vita, quando ormai egli sperava di non essere più ricercato, i carabinieri poterono una volta sorprenderlo nel suo rifugio. Fu rifatto il processo ed egli fu assolto." Una storia così non poteva avere un esito diverso.
Non si può chiudere la carrellata degli eremiti del Legnone senza menzionare la figura più singolare, quella della cosiddetta "Castellana di Piazza Calda". E' sempre il Bassi a darcene notizia: "Ho conosciuto anche una giovane avvenente figlia di intelligenti artieri, che passava la maggior parte dell'anno sola, a 1100 metri, in una località della "Piazza Calda", ove teneva una casetta, stalla fienile, e vi coltivava un orto con patate, insalata, fagiuoli e piante di frutta. Vi allevava delle api rustiche, e nella primavera scese l'orso a mangiarle il miele... Era una giovine seria e laboriosa, e s'intratteneva volentieri con chi la frequentava".
Vero signore del Legnone era, però, nei secoli passati non l'uomo, ma l'orso. Ecco di nuovo il Bassi: "L'orso era pericoloso agli armenti che pascolavano all'aperto sugli alpeggi, li avvicinava cauto di notte, assaliva una capra, un vitello da tergo, e con la preda cercava allontanarsi e percorrere lunghe miglia, spesso passando da un versante all'altro di una valle, di un monte. Gli armenti, terrorizzati, fuggivano all'impazzata, accorrevano i pastori, inseguivano l'orso con la preda, e a bastonate l'obbligavano spesso ad abbandonarla. Era più terribile nella primavera, quando si svegliava nel suo sonno letargico, era affamato e non trovava di cibarsi di erbe, allora si abbassava sino ai prati maggenghi. Saliva sui tetti delle stalle ove sentiva si trovavano pecore e capre, rimuoveva con le zampe le lastre di pietra che li ricoprivano e saltava dentro a satollarsi. In generale non era ritenuto feroce, e ben di rado assaliva l'uomo, se lo scorgeva si allontanava per altre direzioni. Ci fu chi si dilettava a raccontare d'averlo incontrato sopra uno stretto e ripido sentiero, di essere stato afferrato, e posto dietro a sè dall'orso che continuò la sua via." ”
Ed ancora, sugli orsi del Legnone, ecco quanto scrive Bruno Galli Valerio, alpinista e naturalista che molto amò queste montagne: "Ma laggiù, là sul versante del Legnone, gli orsi erano feroci o mattacchioni. Tutti ne hanno sentito parlare! Per molto tempo, Legnone e orsi sono stati una sola cosa. Mi pare ancora di vedere l'enorme bestia dalla pelliccia quasi nera, che si era lanciata contro due cacciatori ferendo gravemente l'uno, prima di cadere sotto le palle di fucile dell'altro.
Un altro orso vagava un giorno tranquillo lungo un sentiero della Val della Lesina, quando incontrò un toro. Il sentiero era talmente stretto che i due animali si fermarono e si guardarono ben bene negli occhi. Poi l'orso si leccò i baffi: da molto tempo, non gli era capitato sotto gli artigli un così buon boccone! Si drizzò grugnendo sulle zampe posteriori e si gettò sul toro, ma quest'ultimo, più agile, abbassò la testa e con un abile colpo di corna, inchiodò l'avversario contro la roccia aprendogli il ventre. E il povero Martino lasciò cadere la sua grossa testa sul petto gli occhi chiusi, ma restò dritto, perché il toro, per la paura che fosse ancora vivo, lo teneva inchiodato con le corna. Qualcuno dice che il toro è rimasto nella stessa posizione fino a morir di fame, ma altri assicurano che i pastori lo liberarono tre o quattro giorni dopo guadagnandoci la pelle dell'orso.
Ma il Legnone ha avuto l'orso più famoso: l'orso chirurgo. Un gozzuto che passeggiava nella Val della Lesina, vide due orsacchiotti che giocherellavano nel bosco. L'occasione era eccellente per impossessarsene. Si avvicinò, tranquillo tranquillo, ma l'orsa, che era nascosta, si lanciò su di lui, lo gettò a terra e con un colpo di artigli, gli aprì la gola. Ne uscì un secchio d'acqua e il povero diavolo si sentì tutto risollevato, perché respirava meglio. Quando scese al piano, tutti furono strabiliati: - Dove hai lasciato il gozzo? -. E tutti seppero allora che nella Val della Lesina c'era un celebre chirurgo, specialista nell'operazione al gozzo. Non so se altri si sono decisi a farsi operare dall'orso. La leggenda dell'orso chirurgo divertì molto tutta la compagnia che mi chiedeva altre storie di orsi, ma esse erano terminate con gli orsi che le avevano generate.” (Bruno Galli Valerio, “Punte e passi”, a cura di Luisa Angelici ed Antonio Boscacci, edito dal CAI di Sondrio, 1998). La storia dell'orso chirurgo è vera, come ricorda Andrea Bonetti: ne fu protagonista il suo bisnonno, che, mentre pascolava il suo bestiame alle falde del Legnone, fu colpito al gozzo da un orso, che gli procurò una profonda ferita, alla quale, però sopravvisse. Per questo commissionò un quadro dedicato alla Madonna; un ex-voto che ricorda questa grazia si trova anche nella Basilica della Madonna di Tirano.
Poi la caccia sistematica ha privato il Legnone del suo antico signore. Ma anche così ferito, rimane un monte intrigante quant'altri mai.

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Il monte Legnone

ANCORA SUL LEGNONE: VOCI DAL PRESENTE E DAL PASSATO

Il 28 giugno del 2015 è scomparso Ivan Fassin, grande uomo di cultura che ha vissuto la passione per la montagna e quella per il pensiero e le scienze umane come dimensioni profondamente legate. Nel suo volumetto “Il conglomerato del diavolo – Fantasticherie alpine” (Sondrio, L'officina del Libro, 1991) così racconta una sua escursione al monte Legnone dal rifugio Roccoli-Lorla:
Il sentiero si snoda lento dentro e fuori da dossi rocciosi sui quali i grandi larici si protendono nel cielo lattiginoso come in una stampa cinese. L'incanto è naturalmente ben presto rotto da un ronzio insistente e poi dalla improvvisa comparsa di un elettrodotto che non ha trovato altro varco, a quanto pare tra Valtellina e Valsassina. È davvero questo, tra Legnone e Legnoncino, doveva essere un gran varco per i volatili, se dietro a noi i “roccoli” e poco avanti una bizzarra “porta dei merli” sono i toponimi ricorrenti.


Pozza ai Roccoli-Lorla

Sul crestone c'è posto anche per rare alpi: l'alpe Agrogno, che per pochi minuti dopo averla superata vediamo dall'alto come in una veduta aerofotogrammetrica, e più sopra qualche altro baitello.
Incontriamo due pastori con un mulo (ce ne sono ancora?) e uno dei due, tutto allegro, ci rivolge la parola: una sola (da buon montanaro che non spreca fiato: “la scima?” - risposta: “la cima, se tutto va bene”. Neanche “buon viaggio”, ma è sottinteso). La precisazione cauta non era inutile, perché ormai da un po' salgono dalla val Varrone ondate di nebbie (sul crinale c'è anche una località chiamata “zòca de la nebia”: evidentemente non è una rarità), dense e nere come vere nubi. Ma non ci facciamo ingannare, e del resto si sfilacciano, si diradano, volano alte…


Larice sul sentiero

In cima alla ripida scarpata sopra la “porta dei merli” attraversiamo nella nebbia densa alcune sporgenze rocciose, poi c'è un tratto quasi pianeggiante, che si affaccia su vertiginosi scivoli d'erba verso la val Varrone, stranamente liberi dalle nebbie. Un costolone di roccia si divide in pilastri regolari che si allontanano, emergendo dal pendio erboso come sentinelle in fila. Che avranno fatto per settimane e mesi i militari che hanno lavorato a questa strada che si spinge sin qui, e va a morire alla “cà de legn” (oggi rifatta in pietra, rifugetto aperto a quota 2146), donde si può solo montare in vetta, o tornare indietro: infatti da entrambe le parti i fianchi della montagna sono precipitosi e incavati, il che non vuol dire privi di percorsi e sentieri, ma destinati questi al girovagare delle capre e al più dei cacciatori, non certo tracciati di passaggio o collegamento con centri abitati…


Scorcio sull'alto Lario dal sentiero

C'è una sola ripida costola, solcata da un sentiero erto, con qualche roccia elementare, che saliamo rapidamente tra folate di nebbia e occhiate di sole, e siamo in vetta. Non si è soli (a parte i gitanti che arrivano a frotte), perché la “pizza” è abitata da una legione di capre d'ogni forma e colore… Siamo dunque in cima alla montagna-mondo tante volte ammirata, questo colosso che inaugura la catena orobica da occidente, sentinella possente del regno alpino degli antenati Orumbrovii, il popolo celtico che, per primo forse, colonizzò queste erte pendici, queste valli profonde. Ai suoi piedi, d'altra parte, il primo insediamento romano in cima al Lario, la mitica Olonio, annunciava una nuova presenza, ma più interessata ai transiti e ai traffici che alla pastorizia d'altura. Tra celti e romani, avrà pur avuto un ruolo questa montagna, e prima di tutto un ruolo sacro, di cui però non resta traccia nella storia e nella leggenda. Neanche il nome, che spesso è spia del daimon, sembra alludere ad arcaiche suggestioni.


Bassa Valtellina dalla cima del monte Legnone

Non resta che affidarsi al fascino del luogo, che forse, più ancora che nel “vertex”, sta nelle vertiginose valli che ne incidono i fianchi. Otto sproni e otto facciate, sostiene il Bassi: io ne ho contate cinque, forse sei, che partono effettivamente dalla cima o dalle immediate adiacenze. “


Passaggio attrezzato

Da “Saggio della storia naturale del Monte Legnone e del Piano di Colico”, di Giuseppe Medici, Pavia, 1836 (ristampa anastatica ne “IL NATURALISTA VALTELLINESE” - Atti Mus. civ. Stor. nat. Morbegno, 15: 117-159. 31/12/2004):
In quella catena di montagne la quale forma il lato sinistro della Valtellina e del Lago di Como, e propriamente ove quella ha termine, e questo la sua origine, si innalza il Monte Legnone. Considerato esso isolatamente presenta la figura di una grande piramide triangolare, le di cui superficie guardano una a nord-est la valle della Lesina, una al sud la valle di Dervio ed una al nord-ovest il piano di Colico, lo sbocco dell’Adda nel lago di Como, ed il principio del medesimo. Quest’ultima parte è la più bella e la più magnifica, e la chi la guarda di rincontro offre la figura di un triangolo, la cui base si estende da Delebio a Dervio, e i cui lati partendo dagli estremi indicati si innalzano, e si incontrano ad un’altezza di 1377 tese dal livello del mare, formando ivi un acuto e scosceso cocuzzolo. Di questi lati però il settentrionale è più breve, e quasi perpendicolare, il meridionale più lungo ed irregolare, e a tanto da presentare alla sua metà un’elevazione emula del Legnone stesso, e che ricevette, qual figlia del medesimo, il nome di Legnoncino. Degna poi di rimarco è l’osservazione del celebre cavalier Pini, il quale rilevò presentar esso dalla cima alla base del triangolo descritto il pendio più alto e continuato stato sinora osservato non solo nei monti vicini, ma eziandio nei più elevati d’Europa.
Che se volgesi lo sguardo alla base di questa grande prospettiva ci si presentano in ordine simmetrico disposte, due a destra e due a sinistra, quattro staccate e isolate colline. Le prime stanno nel piano di Colico, e formano la settentrionale il Forte di Fuentes, la meridionale il Montecchio di Sopra; le seconde seguendo lo stesso ordine nella loro considerazione formano il Montecchio di Sotto ed il Cul di Piona. Questi ultimi due colli possono però meglio considerarsi come due promontori, o penisole; giacché sporgono nel lago, ne abbracciano una parte, e danno luogo fra loro ad un esteso seno, che ricevette il nome di Laghetto. Ho nominato il forte di Fuentes: questo nome non è privo di celebrità nelle patrie storie, e chi vago di curiosità vi dirigerà i suoi passi potrà contemplarvi i vestigi dei grandi lavori, che gli Spagnoli eressero, e nopn è molto i Francesi distrussero.
Le acque di questo monte seguono la direzione della sua superficie: quelle della prospettiva nord-est concorrono alla formazione della Lesina, che scende, scorre fino a Delebio, e va a perdersi nell’Adda: quelle della meridionale vanno a ingrossar il Varrone, torrente o piuttosto fiume, che vicino a Dervio mette foce nel lago di Como: quelle poi della parte che guarda il lago si adunano pressoché tutte in due torrenti chiamati Inganna e Perlino. Questi e per il grande pendio, che ho già fatto rimarcare, e quindi per la furia con cui scendono, hanno seco loro trascinato tante macerie da dare origine a due elevazioni, o ammassi di terre, che dalla base del monte si prolungano allargandosi in parte verso Piano di Colico, ed in parte verso il lago. Le quali elevazioni formano in vero una grande parte delle ricchezze di quegli abitanti, e sono quasi per intiero coltivate a vigne, a gelsi, a prati, e sparse di ameni casini, e di varj gruppi di rustici abitacoli, che in complesso formano il villaggio di Colico; ma per quanto l’industria dei suddetti abitanti, ed il desiderio di difendere le loro proprietà si affatichino, e vari muraglioni vadino tuttora erigendo per frenar l’impeto, e dirigere il corso dei due mentovati torrenti, non è però vero che ne abbiano ottenuto l’intento; imperciocché spesse volte non tengon letto fisso, irrompono furiosi e menando ruine, e disertando i coltivati, vanno per varie bocche al lago sottoposto.
Le nevi, benché cadano abbondanti su questo monte, si disquagliano però prestamente, e tranne la parte alta della valle dell’Inganna, ove sono quasi perpetue, essendo quello il punto ove sprofondano le più grosse valanghe, offresi nei mesi di state affatto nudo e libero a chi desidera salirvi o per curiosità, o per delizia di naturali studi.


Alto Lario visto dal crinale

La parte di esso che guarda a nord-ovest si può considerare come divisa in quattro zone. L’inferiore è quasi interamente coltivata, ed offre da Dervio a Delebio le terre di Dorio, di Corenno, di Colico, e di Piantedo, ed è percorsa sino a Colico dal magnifico stradale militare, il quale prolungandosi quindi al Forte di Fuentes si divide, e conduce ai gioghi di Spluga e dello Stelvio. La seconda è formata intieramente dai boschi, e da prati, e questi prati ricevono dagli abitanti di detti villaggi il nome di monti, e danno ricetto e pascolo alle loro mandre nei primi mesi del caldo. La terza zona assomiglia in tutto alla suddetta, solo che i di lei prati assumono il nome di alpi, e servono allo stesso ufficio negli ultimi tempi di estate. L’ultima zona finalmente è nuda e spaventosa roccia, e solo or qua or là offre delle erbe pumiglionidi. La stessa divisione non puossi istituire sulle prospettive nord-est, e meridionale. La prima non solo non offre segno di coltivazione, ma eziandio mostra grande irregolarità nella distribuzione dei boschi, dei monti e delle alpi; la seconda è ora coltivata nelle inferiori, ora nelle medie zone, ed offre pure monti ed alpi irregolarmente distribuiti. Sono però sparsi in quest’ultima molti gruppi di case, ed alcuni villaggi.
Varie sono le ve, che possono guidare alla cima di questo monte. Io le indicherò, ma avvertirò pure che tutte richeggiono un’agile ed esperta guida. Dalla parte meridionale vi si può ascendere per due vie, o partendo cioè da Piagnona, e per la via di Daven alla Porta dei Merli, e quindi lungo la costiera alla vetta, o da Dervio ai roccoli del sig. Lorla, e di là alla Porta dei Merli, e quindi come sopra. Dalla parte nord-est vi si sale per una sola via, da Delebio cioè ai sovrapposti monti, e di là alla vetta. Dalla parte che guarda a nord-ovest poi ci si offrono due vie: una ci guida dal Porto di Colico all’alpe di Rossa, a Negrogno, alla Porta dei Merli, e l’altra dal Porto di Colico a Fontanedo, all’alpe Squaggione, e di là alla cima. Le prime due vie sono le più comode, la terza è la più pericolosa e faticosa: la quarta è la più breve, ed è abbastanza comoda; la quinta ha alcuni passi pericolosi, ma offre alla curiosità di quelli che la percorrono alcuni avanzi di fortificazioni a Fontanedo, ed un laghetto a Squaggione. Il viaggio si intraprende in estate, e si compie in 6, a 7 ore: le fermate si fanno nei monti, e nelle alpi indicate, ove con ischietti e cordiali modi si è ricevuto dai pastori nelle loro abbastanza comode, e difese capanne.


Cima del monte Legnone

Quella considerevole pianura, poi, che dal Forte di Fuentes, e dal Montecchio di sopra si estende sino alla sinistra sponda dell’ultimo tratto dell’Adda, vien detto Piano di Colico o altrimenti di Spagna, e costituisce la parte geografica inferiore della Valtellina. Ma questa pianura ancorché somministri abbondanti pascoli e foraggi, non manca di produrre danni gravissimi; imperciocché e per le alluvioni ora del lago, ora dall’Adda cagionate, e per le acque che vi stagnano, e per la putrefazione, e dissoluzione de’ vegetabili, e degli insetti, che vi sono abbondantissimi, emanano nei mesi caldi molti principj pestiferi, i quali coll’aria mescolandosi la infestano sì fattamente, che gli abitanti dei circonvicini villaggi o sono costretti a ritirarsi sui monti, o altrove, o vengon colti quasi inevitabilmente da pertinaci febbri intermittenti. Ora però è consolante il poter dire, che atteso i progressi della coltivazione, ed in grazia dei fossi praticati per lo scolo delle acque, l’aria va di anno in anno divenendo più salubre e meno temuta.
Data così una breve descrizione geografica del luogo che ho preso ad esaminare, dirò ora alcun che sulla sua formazione geognostica, e sui minerali, che vi ho riscontrati; farò conoscere gli animali più degni di menzione, che vi abitano, o vi sono di passaggio; e quindi stenderò un elenco dei vegetabili, che spontaneamente vi crescono…
Il monte è tutto micascisto dalle falde alla cima, né è ricoperto che verso mezzogiorno da un calcare nero molto stratificato, il quale si prolunga per altre montagne sino a Varenna, e che si può riferire all’epoca di transizione.


Alto Lario visto dal crinale

La roccia di cui il Legnone è formato è piuttosto povera di specie mineralogiche: il granato vi è comune come in tutti i micascisti, ed il Randelli ne cita uno strato ricchissimo sopra Corenno e Dorio, ma lo dichiara inetto ad essere lavorato: la mica vi è talvolta in lamine assai grandi ed argentine, e tale si offre principalmente lungo la statale fra Dervio e Colico. Alcune altre specie, sebben rare, trovansi sparse qua e là nella massa del monte, come la staurotide, la tormalina nera e comune laminare non elettrica, di cui si rinvengono grossi cristalli specialmente in una roccia granitica a feldspato azzurriccio, il disteno, l’allume, ed il solfato di ferro, i quali due ultimi trovansi principalmente sul Legnone presso Dervio, non che sulle pareti della galleria di Dervio stesso, e risultano, come pare, dallo sfacimento delle piriti.
Nelle viscere del Legnone è pure rinchiuso un filone di ferro spatico, e questo scavasi anche presentemente a Premana, scavasi non è molto sotto Olciascia, e si manifesta per vari indizi in molti altri luoghi, come al Forte di Fuentes, ai Pradelli ecc…
Un grosso filone poi di calcare bianco e saccaroide, e che forse è contemporaneo alla roccia, che forma internamente il Legnone, trovasi sotto, ed un poco a settentrione di Olciasca; e lo scavo che se ne fece pel Duomo di Como, o di Milano… ha dimostrato che esso può essere sostituito ottimamente al marmo di Carrara, ed agli altri marmi stranieri…
Sotto Olciasca ancora tra il micascisto ed il calcare nero di transizione trovasi la grauwacke, quella che rinviensi erratica nei contorni del lago: essa indica assai bene il passaggio del suolo primordiale a quello di transizione, ed è attraversata da in filone di quarzo jalino amorfo, il quale si scava con profitto per rivolgerlo alla fabbricazione del vetro in Fiume Latte.
Il Cristallo di monte più o meno puro trovasi anch’esso, in piccole masse, in molte località; così dicasi del feldspato luminoso…
Alcuni assicurano di aver incontrato sul Legnone dei saggi di carbon fossile; io non so d’onde abbia avuto origine questa asserzione, ma è certo, che questo materiale non può trovarsi in un suolo primitivo, e tra i massi erratici del Legnone non mi accadde mai di riscontrare alcun che di analogo al litantrace…


Verso la cima del monte Legnone

L’orso (Ursus Aretos) si mostra or qua or là quasi tutti gli anni, e cacciato dalla fame si abbassa alle volte a divorare le castagne e le uve di que’ paesani, o quanto può; ma non infrequentemente paga a caro prezzo il suo ardire. Il lupo (Canis Lupus) vi fu osservato piuttosto di passaggio, che stazionario, e nella pianura di Colico fu visto più volte assalire audace le pecore, i cani ed i cavalli, penetrando persino ne’ loro ricoveri. Il camoscio (Rupicapra vulgaris-Antiope rupicapra Lin.) vi è piuttosto frequente, benché i cacciatori si lagnino della diminuzione della specie, il qual lagno si estende pure alla volpe (Vulpes vulgaris – Canis vulpes Lin.) ed al lepre (Lepus timidus Lin.). Nelle parti più alte poi fu colto anche il lepre bianco: ma per ora non saprei assicurare se questo sia lo stesso lepus timidus di Lin. Nel suo abito invernale, oppure il lepus variabilis di Pallas. Il tasso (Meles vulgaris – Ursus Meles Lin.), la marmotta (Arctomys marmotta – Mus alpinus Lyn.), la faina (Mustela Faina Lin.), la martora (Mustela Martora Lin.), la donnola (Mustela vulgaris), lo scoiattolo (Sciurus vulgaris Lin.), il ghiro (Mioxus Glis. – Glis esculeutus Lin.) ecc. non sono rari: lo stesso dicasi della lontra (Lutra vulgaris – mustela lutra Lin.) nella pianura di Colico.
Gli uccelli vi sono abbondantissimi e se dovessi annoverare anche quelli che vi appariscono semplicemente di passaggio non mi allontanerei forse dal vero dando l’elenco di tutte le specie che si trovano nell’alta Italia. Stimo quindi inutile il ripetere la lunga enumerazione dei medesimi, la quale d’altronde puossi rinvenire registrata in molti altri scritti. Ma non tralascerò di dire essere forse questa la località del citato territorio più opportuna per ogni genere di caccia di volatili; e di fatti più di sedici roccoli, più di cinquanta paja di copertoni d’autunno e i cacciatori col fucile in tutte le stagioni dell’anno ne distruggono una quantità sterminata. Nella parte più eccelsa del monte vi fu osservato l’avvoltojo comune (Vultur fulvus Lin.) e l’avvoltojo degli agnelli (Gypaetos barbatus – Vultur barbatus Lin.): vi sono stazionarj, né molto rari l’aquila (Aquila crysactos – Falco crysactos Lin.), il gallo di monte (Tetrao tetrix Lin.), il francolino (Lagopus vulgaris – Tetrao lagopus Lin.) ed il tichodroma phacnicopterus di Tem. (Cerchia muraria Lin.). Nella parte bassa, poi, e propriamente nel piano di Colico, vi fu osservato il pellicano (Pelecanus onocrotalus Lin.), il fiamingo (Phaenicopterus ruber), l’ottarda (Otis tarda), la gru (Ardea Grus), lo sgneppone di mare (Numenius arquatus), ecc.
Tra i rettili lo scorzone… è moltiplicatissimo nel piano di Colico: vi si rinviene pure il milerdo… Sul Forte di Fuentes, ed in molte altre località è pure frequente la vipera…, né fuggì all’osservazione di molti l’aspide…, il quale pare doversi ritenere per una varietà della precedente; abbandono poi l’orbisolo… e le lucerte comuni ed i ramarri…

Ora entriamo a parlare della parte botanica. Il piano di Colico, e molto più il Legnone sono in questo ramo ricchissimi, ed accrescono d’assai la bella flora della Diocesi Comense che con molta esattezza va pubblicando il sig. prof. Comolli…
Tralasciando… di parlare delle specie medicinali abbastanza conosciute… non farò che esporne alcune, le quali vengono sottoposte all’esame de’ curiosi della natura da medici insigni.
ACHILLEA MOSCHATA. È in grand eriputazione presso i montanari come sudorifera. Da essa si ottiene lo Spirito d’Iva.
AGRIMONIA EUPTORIA. Weder e Alibert la considerano nella gonorrea e leucorrea.
ALISMA PLANTAGO. De Haen la sostituisce all’uva ursi.
ANTIRRHINUM CYMBALARIA. Hamilton dice che nelle Indie si usa mista collo zucchero ne diabete.
ARISTOLOCHIA CLEMATITIS. Orfila fece perire colla di lei radice alcuni cani: del resto è poco conosciuta.
ARTEMISIA VULGARIS. Burdach, ed altri in seguito lodaron molto la di lei radice, alla dose di due scrupoli al giorno, nell’epilessia.
ASCLEPIAS VINCETOXICUM. Orfila ne’ suoi esperimenti lo trovò velenoso, e si assicura che la sua polvere alla dose di 30 grani produca il vomito.
ASTRANTIA MAJOR. Morison vuole che la radice di questo vegetabile sia aere e purgativa.
ATHAMANTA OREOSELINUM. I suoi semi furono vantati contro la gonorrea benigna.
BUXUS SEMPERVIVENS. Si predicano purgative le foglie, e sudorifero il legno in decozione.
CARDAMINE PRATENSIS. Secondo Vogel può essere sostituita alla cochlearia off.
CARLINA ACAULIS. Villars dice che in alcune montagne se ne mangiano i ricettacoli come i carcioffi.
CHENOPODIUM BONUS HENRICUS. Si può mangiare, secondo alcuni, come lo spinaccio.
CLEMATIS VITALBA. Le sue foglie si propongono come vescicatorie, e la radice cotta e mista coll’olio d’uliva in frizione contro la scabbia. È certo che ha forte azione e meriterebbe qualche studio.
CONVALLARIA POLYCONATUM. La sua radice è dapprima dolce, poi acre e amara. Schröder dice che tanto essa, che le di lei bacche sono atte a produrre il vomito.
CONVOLVULUS SEPIUM. Bodard, Chevallier ed altri l’assicurano degno di maggiori studi per la virtù purgativa delle foglie e della radice.
CYCLAMEN EUROPAEUM. La sua radice fresca è acre, bruciante, amara; ma la sua azione è poco nota.
EUPHORBIA CYPARISSIAS. Loiseleur Deslongchamps assicura che la di lei radice in polvere alla dose di 8 a 18 grani produce vomito, e diarrea. Orfila in cinque oncie del di lei sugo fece perire un cane.
EVONIMUS EUROPAEUS. Bulliard sostiene che le di lui foglie sono velenose, e Coste e Willemet dicono che molti fra il popolo Inglese per purgarsi prendono tre o quattro de’ suoi frutti, i quali si vogliono anche vermifughi.
FAGUS SYLVATICA. Secondo alcuni i di lei frutti se vengano mangiati in gran quantità possono uccidere; v’ha sospetto che contenghino dell’acido idrocianico.
GALLIUM MOLLUGO. Jourdan Direttore dell’Ospitale di Tain loda moltissimo il di lui sugo alla dose di alcune oncie nell’epilessia.
GLOBULARIA NUDICAULIS. De Candolle dice che gode quasi dell’istessa azione della Alypum, la quale vien proposta in sostituzione alla senna.
HEDERIA HELIX. Le foglie sono amare, austere, astringenti.
HERACLEUM SPONDYLIUM. De Candolle lo dice velenoso se cresce nei luoghi umidi.
HYPERICUM PERFORATUM. Ha sapore amaro, stitico e salato, ed è d’incerta azione.
ILEX AQUIFOLIUM. Dietro molte esperienze ripetute in Francia da medici distinti si sostiene che le di lui foglie in polvere alla dose di uno o due scrupoli sieno ottime, e da paragonarsi alla china, contro le febbri intermittenti.
IMPETIENS NOLITANGERE. Si dice velenosa.
IMPERATORIA OSTRUTIUM. Hoffmann la chiamava remedium divinum. Meriterebbe più esatte esperienze nella moltitudine di mali in cui fu proposta.
IRIS GERMANICA. La sua radice si propone da molti autori in sostituzione alla fiorentina, ma in dose minore perché più attiva.
LYCOPODIUM SELAGO. Si ritiene da molti per velenoso.
NARCISSUS PSEUDO-NARCISSUS. I suoi fiori in polvere alla dose di due scrupoli vengon fortemente commentati da Loiseleur Deslongchamps contro la diarrea e la febbre intermittente. Altri vogliono che cagionino con facilità il vomito.
OENANTE FISTULOSA. Si ritiene da molti come velenosa.
PARIS QUADRIFOLIA. È pure ritenuta velenosa.
PHYTOLACCA DECANDRA. È di forte azione, e meriterebbe qualche studio.
POLYGONUM AVICULARE. De Candolle ed altri assicurano che i di lui semi sono purgativi ed emetici.
RHAMNUS FRANGULA. Si vuole che la sua scorza in polvere ed alla dose di due scrupoli cagioni il vomito ed a dosi rifratte sia febbrifuga ed antielmintica. Le sue bacche pure si ritengono dotate di azione purgante.
RHODODENDRUM FERRUGINEUM. È velenoso e Velsh citato da Orfila ne adduce prove. Villars assicura che le percore e le capre che se ne cibano periscono.
ROSA CANINA. M. Loiseleur Deslongchamps trovò che la di lei radice alla dose di 20 a 48 grani in polvere purga da 1 a 6 volte.
SCROPHULARIA AQUATICA E NODOSA. De Candolle ritiene le loro foglie purganti a piccole, ed emetiche a più forti dosi.
SEDUM ACRE. Contiene un succo molto acre. Orfila vide perire in 24 ore due cani, a cui ne aveva dato quattro oncie e mezzo. A minor dose però tanto il succo che la polvere si predicano utilissimi nell’epilessia da molti medici insigni. M. Lombard lo raccomanda nelle ulceri cancerose della pelle.
SEMPERVIVUM MONTANUM. Secondo Gmelin la di lui polvere sarebbe un purgante assai forte.
SENECIO VULGARIS. Il dott. Finazzi ne propose il succo alla dose di un cucchiajo contro le convulsioni isteriche.
SIUM LATIFOLIUM. Beystern assicura che la radice di questa pianta in agosto fatta cuocere e mangiata cagiona delirio furioso.
SISYMBRIUM AMPHIBIUM. I di lui semi sono raccomandati da Forestus come antielmintici e M. Didelot dice d’averli usati felicemente contro la Tenia.
SOLANUN NIGRUM. Su questo vegetabile si trovano registrate mille contraddizioni. Chi lo vuol velenoso in tutte le sue parti, chi nelle sole bacche, né mancano quelli che lo dicono di azione emolliente.
VERONICA OFFICINALIS. Sattler e Andry  la vogliono sostituita al thè.
VIBURNUM LANTANA. La sua scorza si propone come vescicante.”

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Da “Delebio e il Legnone”, pubblicato per cura del Circolo “Stella delle Alpi”, Tipografia E. Quadrio, Sondrio, 1897:
“Il Legnone che alza superbo la sua bella piramide dal piano di Valtellina proprio allo spalle di Delebio racchiude in sé le bellezze imponenti o severe delle Alpi e quelle gaie e civettuole delle Prealpi.
Se da un lato bagna il suo piede nel Lario e bella e lussureggiante la vegetazione dei climi temperati ne copre le pendici coll’ulivo o colla vite, dal versante Valtellinese offre aspetto più severo coi boschi di castano e di faggi che cedono più in alto il lor posto alle nere pinete, incornicianti i verdi tappeti dei pascoli alpini. Più in alto ancora cessando quasi ogni traccia di vegetazione a mala pena spunta dalla nuda roccia qualche rado fil d'erba, qualche cespuglio di rododentri, mentre nelle riposto insenature del monte le nevi eterno formano piccoli ghiacciai.
La salita al Legnone è da Delebio di un terzo più breve che da ogni altro versante e richiede non più di sei ore per un mediocre camminatore. Abitualmente si divide in duo parti, recandosi la sera a pernottare all'alpe Legnone od aCapello, per essere di buon mattino alla vetta.
Si può compiere senza fatica anche in un giorno solo partendo al mattino da Delebio. La valle del Lesina poi ricca di boschi di resinose, di pascoli ameni o circondata da eccelse vette, si presta a magnifiche escursioni.
Essa si divido in due rami principali: Val Lesina orientale o di Mezzana dalla quale si può passare in Val Gerola.
Val Lesina Occidentale collo bocchette di Luserna e di Legnone che mettono in Valsasina. Un sentiero che parte da Canargo e sognato cou una freccia conduce alla bocchetta Luserna e lago di Delegnaccio ricco di trote squisite. E una gita da raccomandare. Di fianco alla bocchetta di Lusorna si innalza il Pizzo Alto o di Luserna (m. 2550) dal quale si gode vasto panorama , e che da qui sì raggiunge in mezz'ora.
Il sentiero che da Delebio conduco al Pizzo Legnone si diparto dalla via centrale del paese all'altezza di Torazza, o dopo un'erta salita d'una ventina di minuti arriva alle cascine di Campo Betto dalle quali si gode amena vista. Da qui, in un quarto d'ora passando pei casolari di Piazzo Menghino si arriva alla Tagliata dove il sentiero si biforca. Il sentiero sognato O conduce ad Osiccio, l'altro segnato A, aCanargo ; ma per entrambi si sale alla Casera Legnone. Quello di Canargo è più comodo.
Partendo dalla Tagliata il sentiero sale ripido per raggiungere in mezz'ora Osiccio, quindi in altri venti minuti i casolari di Piazza Calda. Passata questa località si entra in un magnifico bosco di abeti dal quale si goda amena vista del piano, e dopo un'ora si arriva ai primipascoli dell' Alpe Legnone. Per raggiungere la casera occorre ancora una faticosa salita di circa mezz'ora attraverso ai pascoli dell'Alpe.
Se alla Tagliata noi seguiamo invece il sentiero A che s'addentra comodo nella valle, arriveremo in 3/4 d'ora a Canargo dove vi è un piccolo oratorio dedicato alla Madonna della Nove. Bella è la festa che qui si celebra ai 5 di Agosto. Fin dalla sera prima convengono numerose le comitive dal piano, scendono i pastori dall'alto monte, e se la notte è serena si passa gran parto all'aperto. I gridi e gli allegri canti frammisti alle note della musica svegliano di valle in valle l'eco più riposto della montagna. Al mattino dopo, celebrata la mossa, si spargon le allegre brigato poi casolari, e fra i balli campestri termina la bella giornata.

Canargo, Osiccio, Prato Betto, Piazza Calda sono tante piccole stazioni climatiche dove i Delebiesi passano i mesi più. caldi dell' estate. Chi ebbe occasione di vivere anche solo pochi giorni di quella vita primitiva, non priva dì un certo comfort, ne serba dolce ricordo. Da Canargo in poco tempo si arriva a Prato Betto, quindi a Piazza Calda. Da qui un sentiero comodo s' interna nella Valle in direzione dell'Alpe Cappello. Ma dopo una ventina di minuti conviene abbandonare questo sentiero, per entrare in in. un bosco di faggi che dopo parecchi risvolti raggiunge il sentiero proveniente da Osiccio là dove incominciano gli abeti.
L'Alpe Legnone è in posizione eccelsa, dalla quale si gode già magnifica vista. Qui si trova comodo ricovero, conforto di cibi, di latticini, che l'alpe produce e ospitale accoglienza.
Chi brama godere dalla vetta del Legnone il sublime spettacolo dello spuntar del sole, poche ore concede al sonno, e appena vede in cielo biancheggiar l' aurora si alza dal giacilio. Un sentiero facile e piano attraverso i pascoli conduce ad un gran masso dal quale zampilla fresca ed abbondante l'acqua. Da qui due sentieri salgono al Pizzo. Il sentiero che era comunemente seguito continua nella vallo, fino a raggiungere lo sperone che divide l'alpe Legnone da quello di Cappello, e attraversando alcune vallette arriva all'erta salita della bocchetta che si scorge sempre in alto ma che sembra non si raggiunga mai. Arrivati stanchi ed estenuati alla Bocchetta, d'onde si scorge la Valsassina, bisogna inerpicarsi sulla roccia a picco fino a guadagnare la cresta lungo la quale camminando una mezz'ora si arriva alla cima.
Ora che por cura del Circolo, Stella delle Alpi, si è reso praticabile il passo del Colombano, si consiglia all' Alpinista di abbandonare il vecchio sentiero alla sorgente già descritta, seguendo i segni II fino a raggiungere le falde rocciose del Colombano che si attraversano mediante comodo sentiero. Da qui si sale continuamente godendo però di svariati panorami. Attraversato un nevaio si arriva alla cresta dalla quale si ha già bella vista sul Lago di Como e sulla catena occidentale delle Alpi. Dopo alcuni minuti di terreno franoso si raggiunge infine il sentiero dei Roccoli Lorla che si segue per l'ultimo tratto, che è il più erto, fino alla vetta.
Un altro sentiero pur facile e comodo è quello che passa per Cappello, segnato 11, e che si stacca da Piazza Calda. Anche all'Alpe Cappello si trova buon ricovero per la notte. Dalla casera Cappello il sentiero attraversa i pascoli, poscia alcuni canali per Unirsi a quello che proviene dal­l'Alpe Legnone in principio alla salita della Bocchetta, già menzionata.
Magnifico è il panorama che si godo in un giorno sereno dal Pizzo Legnone. L'occhio spazia su un mare infinito di cime o di valli. Maestosa imponente la catena delle Alpi biancheggianti di nevi, che tutta si scorge dal Monviso all'Ortler. La pianura del Po intersecata da fiumi, sparsa di città, è limitata all'estremo orizzonte dagli Appennini. I laghi di Como, di Lugano, il Maggiore, quelli ridenti di Brianza, spiccano azzurri bacini fra il verde delle valli.
Non tralascino gli Alpinisti di visitare il Legnone e la sua valle, chè non sarà la loro fatica sprecata ma ne porteranno invece gradita impressione.
G. B.
Guide approvate dal C. A. I. per la salita al Pizzo Legnone e vette vicine : Dedonati Domenico — Dedonati Pietro di Delebio.

IL CACCIATORE SUL LEGNONE

Il seguace di S. Uberto che arriva a Delebio per darsi alla caccia sui monti dove innanzi tutto essere disposto ad affrontare delle manie, a mangiare allegramente in. qualche modo in mezzo ai pastori, a dormire sul fieno. Questi sacrifici sono però compensati dallo splendore dei paesaggi, dallo emozioni della caccia. Lassù dove finisce la regione del pino, tra i leandri selvatici si incontra il gallo di montagna, il più superbo campione di selvaggina. Il gallo si trova sul Legnone nella località detto Sardena, sull'alpe Lucerna, sull'alpe Dosso, e anche sull'alpe Mezzana.
È più facile immaginare che descrivere l'emoziono che desta nel cacciatore appassionato l' alzarsi rumoroso del gallo, e in ispecie del maschio dalle penne nero lucenti, dalla coda a ventaglio ; il volo è rapido, il tiro riesce sempre difficile.
Senonchè sul Legnone e in tutta la vallata del Lesina si trovano le pernici grosse ( coturnici ) in abbondanza, nelle stesse località in cui abita il fagiano. Nello pinete si incontrano spesso le famiglie dei francolini, volatile difficile a lasciarsi avvicinare e che ordinariamente viene ucciso alla posta col richiamo.
Il genere di selvaggina che più abbonda in tutta la località del Legnone e della vallata del Lesina è la lepre. Un cacciatore che volesse seriamente divertirsi e dedicarsi ad ogni genere di caccia dovrebbe procurarsi non. solo un cane da posta, ma anche dei buoni segugi. In tal caso è sicuro, specie nei primi giorni dell'apertura della caccia, di compiere una vera strage di lepri.
Da che la benemerita società dei cacciatori di Sondrio e Morbegno iniziò una spietata campagna contro le volpi le lepri si sono moltiplicate al punto di costituire il principale divertimento per il cacciatore della bassa Valtellina. Ma io dimenticavo il camoscio. Avete coraggio, abnegazione, gambe buone, occhio sicuro? ebbene nella valle del Lesina e specialmente sui dirupi quasi inacessibilí dell'alpe Stavello, Mezzana, Dosso e Lucerna troverete con certezza il camoscio. Spesso, specie d'estate, lo si in­contra anche nelle folto pinete. Questo genero di caccia è certamente il più arduo e faticoso.
E l'orso? questo re dello alpi è quasi fortunatamente scomparso, però di quando in quando fa la sua apparizione e lascia tra le mandre sanguinoso vestigia della sua presenza. Senonché non mancano mai in questi casi i coraggiosi cacciatori per dare la caccia alla belva la quale è sempre inesorabilmente uccisa con grande soddisfazione delle popolazioni.
Ed ora io non posso che dire ai lettori: quelli fra’ voi che amano la montagna e la caccia troveranno nella valle del Lesina certamente soddisfatte le loro aspirazioni.”

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