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CARTA DEL PERCORSO sulla base della Swisstopo, che ne detiene il Copyright. Ho aggiunto alla carta alcuni toponimi ed una traccia rossa continua (carrozzabili, piste) o puntinata (mulattiere, sentieri). Apri qui la carta on-line

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Il Legnone. Chiamarlo semplicemente monte sarebbe un'offesa. E' un'icona, innanzitutto: con il suo inconfondibile profilo a forma di corno il poema sinfonico della catena orobica propone un ultimo poderoso acuto, prima di spegnersi nelle profonde acque del Lario. Un'icona che gode del primato della cima più vista o comunque riconosciuta da sentieri, alpeggi e cime del versante retico della media e bassa Valtellina. E', più ancora, un piccolo mondo, popolato, in passato, da orsi, lupi, greggi di capre e pecore, armenti, camosci, galli selvatici e pernici, un microcosmo in cui natura, storia ed immaginazione hanno realizzato nei secoli un equilibrio che oggi è sicuramente incrinato, ma forse non ancora irrimediabilmente compromesso. Un piccolo mondo che si affaccia ad ovest ai dolci profili lariani, ad est alle dense ombre dell'intatta Val lesina, a nord alle estreme propaggini della valle dell'Adda, a sud ai vertiginosi versanti della Val Varrone. La sua cima è, in assoluto, fra le più panoramiche della catena orobica: sotto tale profilo, teme il confronto solo con il vicino ed altrettanto noto pizzo dei Tre Signori.

La significatività del monte è testimoniata dai molti nomi che ha ricevuto nel corso dei secoli. Il più antico, in epoca pre-romana, fu "Lineo", dal termine celto-ligure "lin", che significa "acqua": la conformazione dei suoi versanti, infatti, lo rende un naturale serbatoio di accumulo di neve che, a primavera, viene incanalata sui versanti e rifluisce a valle. Per i Romani, poi, esso fu il "Tricuspide", perché da Mandello (cui giungevano le loro imbarcazioni nella navigazione del lago da Como a Samolaco) sembrava culminare in tre diverse cime. Poi, nell'alto medioevo, riaffiora l'antica radice "Lineo", ed in un documento dell'anno 879 risulta come monte "Lineone". Da qui a "Legnone" il passo è breve (nel 1256: "Mons Legnonum").
Fra gli elementi di interesse del monte figurava, anche, in passato, la presenza del più basso ghiacciaio d'Europa, nel vallone chiamato Valorga, dove cavalieri e nobildonne mandavano a prendere il ghiaccio per conservare fresche le vivande nella stagione estiva (ed ancora negli anni Cinquanta e Sessanta del secolo scorso dalla Valorga si prelevava ghiaccio a questo scopo, ed in particolare per preparare granite alla vaniglia consumate nella sagra agostana di San Rocco - 16 agosto -). Oggi del ghiacciaio non resta praticamente più nulla: solo neve di slavina che rimane per tutta l'estate, anche perché protetta da tronchi e detriti.
La salita al monte Legnone è fra le più classiche escursioni delle Orobie occidentali. Diverse sono le possibilità per effettuare l'ascensione, da Delebio, Colico e Dervio. Raccontiamo l'ultima, la cosiddetta “via normale”, che unisce al minore impegno fisico la garanzia di un tracciato quasi totalmente privo di pericoli (nella bella stagione, s'intende). Il punto di partenza è il rifugio Roccoli dei Lorla, collocato sull'ampia sella che separa il monte Legnoncino (m. 1714), a sud-ovest, dal fratello maggiore, il monte Legnone (m. 2609), ad est. Per raggiungerlo, dobbiamo percorrere il vecchio tracciato della ss 36 (ora sostituito dalla supestrada Colico-Lecco) da Colico in direzione di Lecco, fino a Dervio (infatti la superstrada, nella direzione Colico-Lecco, non ha svincoli per Dervio, ma solo più avanti, per Bellano).
Giunti a Dervio, dobbiamo, al semaforo, prendere a sinistra e salire verso il centro del paese, oltrepassare i binari della ferrovia e, prendendo a sinistra al successivo stop, imboccare la strada che conduce in Val Varrone.La carreggiata è in più punti alquanto stretta, per cui dobbiamo procedere con prudenza.
Oltrepassati i paesi di Vestreno ed Introzzo, raggiungiamo Tremènico, dove, seguendo le segnalazioni del rifugio, svoltiamo a sinistra e cominciamo a risalire, lungo il fianco occidentale della val Fosasco, su una stradina stretta ma sempre asfaltata.
Ignorando poche deviazioni, restiamo sulla strada principale e, oltrepassato l'abitato di Monte Lavade,
dopo 18 chilometri di strada da Dervio, siamo finalmente all'incantevole radura che fronteggia il rifugio,
ingentilita da una graziosa pozza posta al centro di un prato paludoso.
Parcheggiata l'automobile al parcheggio accanto al prato, non seguiamo le due piste che corrono sui suoi lati opposti, ma saliamo al rifugio Roccoli Lorla, posto su un poggio, nei pressi della piana. Su una targa si legge: “Il comitato lombardo delle guide e portatori e la sezione del CAI di Dervio ricordano il loro presidente Accademico dott. Guido Silvestri. Dicembre 1971”. Una targa accanto all’ingresso ricorda che il rifugio, posto a quota 1463, è stato rifatto nel 1951 dal CAI di Dervio, in onore di J. B. Nogara. Sulla trave in legno soprastante campeggia una scritta latina: “Post fata resurgo”, cioè dopo il giorno del destino (la morte), risorgo.
Se ci poniamo di fronte alla facciata del rifugio, vediamo un cartello che indica la partenza del sentiero per il Legnone, dato a 3 ore e mezza.
Passiamo, così, a sinistra del rifugio, procedendo in una bella macchia di larici. L'intero percorso che ci attende si appoggia al lungo crinale che dalla vetta del Legnone scende verso ovest. Dopo una breve discesa, siamo ad un gruppo di cartelli, che segnalano la direzione per Agrogno (dato a 50 minuti), alpeggio per il quale passeremo, ed i sentieri del Pivion (impegnativo; traversata al rifugio Scoggione, sopra Colico, dato a 3 ore) ed Alpetto, Alpe Rossa e Bedolesso. Sul sentiero troviamo anche qualche segnavia bianco-rosso e rosso-bianco-rosso. All’inizio abbiamo l’impressione che vi siano più tracce: stiamo al centro del largo dosso, e procediamo fino al primo strappo, nel quale la mulattiera è larga e per un tratto lastricata di sassi.
Passiamo per Merésc de Scim, a 1506 metri, dove una pista si stacca sulla destra dalla mulattiera e porta ad un baitone che vediamo poco più in basso, alla nostra destra.
Il sentiero si restringe, ma resta sempre ben marcato e procede, con qualche serpentina e pendenza media,
 fra i larici, che di tanto in tanto si aprono, regalando i primi scorci sulla parte terminale del lago di Como. Alta e diritta proprio sopra di noi si scorge già la vetta del Legnone, sormontata da una grande croce.
Alle nostre spalle, invece, il Legnoncino. Ad un certo punto l’aria si fa elettrica, sembra friggere: passiamo proprio sotto un enorme traliccio dell’alta tensione.
Poi tagliamo il fianco destro di un cocuzzolo boscoso
e, in leggera discesa, giungiamo
alle soglie
di un luogo decisamente più bucolico,
l'alpe Agrogno, a 1644 metri, alla sommità della valle Rasga. Si tratta di una fascia di prati che si appoggia sulla parte destra (meridionale) del crinale che separa la bassa Valtellina dalla Val Varrone: il versante di sinistra è, infatti, scosceso e selvaggio. Se ci portiamo al suo bordo possiamo ammirare un panorama già molto bello sull’imbocco di Valtellina e Valchiavenna: il luogo, per la sua panoramicità, può essere meta di una breve escursione ad esso dedicata. Il sentiero procede pianeggiante sul lato alto dei prati, passando a sinistra delle due baite e del baitone dell’alpe.
 Qui troviamo tre cartelli, che segnalano un bivio: prendendo a destra si procede sull’alta Via della Val Marrone, portandosi all’alpe della Stanga (50 minuti), all’alpe Campo (un’ora e 50 minuti) ed a Premana (3 ore e mezza), dove inizia la seconda tappa. Nella direzione dalla quale proveniamo il rifugio Roccoli Lorla è dato a 40 minuti, e sono segnalate le postazioni militari costruite nella prima guerra mondiale (un’ora e mezza) e la vetta del Legnoncino (un’ora e 40 minuti). Procedendo diritti, infine, lungo l’alta via della Valsassina saliamo in 3 ore al monte Legnone.
Avanti diritti, dunque.
Riprendiamo la salita fra radi larici, trovando nuovi cartelli,questa volta del CAI di Colico, che segnalano un bivio: a sinistra alle alpi Temnasco e Rossa, ed infine a Colico, mentre rimanendo sul sentiero principale si sale alla Porta dei Merli, alla Ca’ de Legn ed al Legnone.
 Procediamo sempre fra larici che non si infittiscono mai a costituire una vera macchia, e ci portiamo ad una nuova ampia fascia di prati, la parte alta dell’alpeggio di Agrogno, dove troviamo, alla nostra destra, un nuovo baitone, ma nessun nuovo cartello. Guardando alle nostra spalle, vediamo un ampio scorcio del lago di Como, a sinistra ed a destra del Legnoncino, che appare sempre più basso, con le sue roccette terminali assediate dal fitto bosco. La pendenza si addolcisce per un buon tratto, poi riprende a farsi sentire.
In compenso, alla nostra sinistra cominciamo a scorgere
Colico ed il Laghetto.
Saliamo, ora, una china abbastanza erta, al termine della quale si trova uno sbarramento di rocce.
Passiamo a destra di una piccola grotta, poi siamo al fronte delle rocce, ed il sentiero, sostenuto a tratti da muretto a secco, lo supera tagliando a destra e sfruttando una cengetta.
Usciamo ad una nuova china erbosa, e continuiamo a salire a zig-zag, sempre con pendenza pronunciata.
 Il crinale si va assottigliando in corrispondenza di uno sperone, che il sentiero aggira sul fianco destro. Il versante si fa assai ripido ed insidioso per l’erba scivolosa: un tratto quasi scavato fra roccette è opportunamente protetto
da corde fisse.
La presenza di neve, ghiaccio o rocce bagnate
rende il passaggio
assai
insidioso.
Alla fine
lasciamo
lo sperone alle nostre spalle,
e ci portiamo ad un punto pianeggiante del crinale, denominato
Porta dei Merli (m. 2125).
Procedendo, troviamo nuovi cartelli del CAI di Colico: siamo alla Ca’ de Legn, e procediamo lungo l’alta Via della Valsassina, sul sentiero che porta al monte Legnone e prosegue scendendo alla bocchetta di Colombano. Poco più avanti, l’edificio della Ca’ de Legn (cioè Casa del Legnone, m. 2140), edificato nel 1884 e ristrutturato un secolo dopo, nel 1984, come leggiamo su una targa: “La sensibilità di enti e privati con la volontà e la tenacia dei valligiani uniti a tanti amici della montagna hanno consentito di ricostruire onorare chi la costruì e restituire a chiunque percorra questo sentiero la Ca’ de’ Legn, a unanime ricordo del dott. Guido Silvestri, già presidente del CAI di Dervio. Settembre 1984”. Una seconda targa ricorda Giuliano, scomparso nel 1992. Una mappa, infine, rappresenta l’intero percorso dell’Alta Via della Valsassina, che parte proprio dal rifugio Roccoli Lorla, si porta alla cima del Legnone, scende alla bocchetta del Legnone e ad un ricovero posto a monte dei laghetti di Deleguaccio, taglia il versante meridionale della cresta del pizzo Alto, raggiungendo la bocchetta di Taeggio (che si affaccia a nord sulla Val Lesina), si porta alla cima del pizzo Rotondo (che si affaccia sulla Val Gerola), scende alla bocchetta di Stavello, traversa alla bocchetta di Colombana e scende al rifugio Casere Vecchie di Varrone, sotto la bocchetta di Trona; sale, infine, al rifugio Falc, alla cima del pizzo dei Tre Signori, traversa al rifugio Grassi e si conclude al rifugio Ratti ai Piani di Bobbio. Una bella traversata, che richiede però molta attenzione e preparazione. La nostra salita al Legnone ne rappresenta il primo tratto.
Azionando le leve della porta metallica possiamo trovare ricovero, se ne abbiamo bisogno, nel bivacco, spartano ma accogliente. Vi troviamo un caminetto e due panche; appeso ad una parete, il gagliardetto del comune di Garbagnate Monastero. Dall’esterno del rifugio, invece, proprio sulla sua verticale, possiamo vedere lo scosceso ed impressionante versante sud-occidentale del monte Legnone, che dovremo risalire rimanendo presso il crinale sul suo limite alla nostra sinistra. Vista da qui la salita appare davvero difficile; in realtà ci sembrerà alla fine meno ardua di quanto avessimo immaginato.
Lasciamo, dunque, il bivacco alle nostre spalle, e procediamo lungo un breve tratto quasi pianeggiante,
fino ad un grande ripetitore posto proprio sul crinale, alla nostra sinistra.
 Il sentiero, sempre molto marcato, comincia, poi, a salire deciso, zigzagando a pochi metri dal crinale che, alla nostra sinistra, precipita sulla bassa Valtellina con un impressionante salto. Una prima fascia di roccette è superara con qualche passo di arrampicata assistita da corda fissa (attenzione, soprattutto in discesa: si impongono calzature con suola adeguata). Segue una lunga e un po’ monotona salita che porta ad un secondo passaggio, sempre assistito da corda fissa, fra facili roccette. Alta, davanti a noi, un po’ invitante, un po’ beffarda, sta, sempre, la croce di vetta del Legnone, sulla cima di sinistra di una coppia di arrotondati culmini sommatali. Puntiamo, ora, salendo con pendenza severa, ad un grande ometto, che sembra posto alla sommità di questo tratto di crinale.
In realtà oltre l’ometto il crinale prosegue, solo con pendenza leggermente meno severa.  
La salita, come detto, non è difficile: neve, ghiaccio e terreno bagnato possono, però, complicarla fino a renderla decisamente sconsigliabile, così come possono richiedere un supplemento di attenzione le dense nebbie che non di rado salgono dalla nostra destra, cioè dalla Val Varrone e dal lago, e che possono ridurre di molto la visuale. In questo caso l’attenzione va tenuta desta passo dopo passo.
Ora il sentiero si appoggia sul versante destro e procede rimanendo più basso rispetto al crinale: un nuovo passaggio fra roccette è assistito da corde fisse. Passiamo a destra di una targa metallica posta dal CAI e dall’UES di Seregno, alla memoria di Vittorio Mantica, perito tragicamente il 5 dicembre 1922. Questa targa ci ricorda che il Legnone non è, in condizioni avverse, una cima banale: l’elenco delle sue vittime non è esiguo.
Poi il sentiero volge a sinistra e si riporta sul crinale: sul lato opposto al salto verticale si è sostituito un meno minacciosa versante occupato da sfasciumi rossastri. Davanti a noi un saltino roccioso sormontato da alcuni cartelli: una corda fissa ci invita a salire proprio nel suo mezzo, anche se il sentiero lo aggira facilmente sul lato sinistro. Su un masso a terra è indicata la partenza di un sentierino che scende verso sinistra: la scritta, affiancata dalla numerazione “1”, segnala “Delebio”, che si trova, in verità, circa 2200 metri più in basso. Noi restiamo sul sentiero principale, e ci portiamo ai cartelli sopra menzionati.
 Siamo all’anticima del Legnone (m. 2529) e, prendendo a sinistra, possiamo scendere al passo di Colombano, all’alpe Scoggione ed a Colico, oppure possiamo traversare direttamente all’alpe Scoggione, su percorso però assai difficile, con passaggi di impegno alpinistico (EEA). Teniamo presente che dalla bocchetta di Colombano possiamo scendere anche all’alpe Legnone e di qui a Delebio: questo spiega l’indicazione sul masso che abbiamo incontrato poco prima.
Ignorando le deviazioni a sinistra, proseguiamo nella salita: il crinale per un tratto è quasi pianeggiante, poi siamo allo strappo finale, che richiede attenzione. La cupola sommatale è, infatti, difesa da una fascia di roccette. Dobbiamo dapprima procedere su un crinalino stretto ed esposto (corde fisse),
poi attaccare
questa fascia di roccette terminali, con arrampicata non difficile assistita da corda fissa (attenzione soprattutto in discesa).
Gli ultimi sforzi sono, infine, ripagati dall’incontro con la grande croce sommitale (m. 2609 o, secondo altra scuola di pensiero, 2610).
 Sulla croce una targa reca scritto: “La croce di vetta del monte Legnone fu posta a dimora nel lontano agosto dell’anno 1900 dai valligiani. È stata restaurata nell’estate dell’anno 2003 con il patronato delle sezioni CAI di Colico, Dervio, Bellano, Premana, dei gruppi ANA di Piagnona, Dervio, Delebio, Colico, Vestreno, Tremenico, Introzzo, Sueglio, Dorio, Piantedo, Premana e Pro Loco di Delebio”.
Pochi metri più avanti, sull’ampia spianata della cima,
un tempietto custodisce l’immagine della Madonna:
è stato eretto dal Gruppo Alpini di Colico nel 1958 per ricordare Antonio Della Valle, di anni 24
(“di fronte all’azzurro del cielo per la Madonnina di questa vetta offrì la vita il 7-9-1958) ed Alberto Angeloni, di anni 17 (“lavorò a quest’opera con lo slancio della sua adolescenza, morto il 6-12-1958”). Sulla cima troviamo, infine, un altarino eretto dagli “Alpini delle nostre valli” il 12 luglio 1959, a ricordo del senatore dott. E. Falck.

 Se la giornata è bella il panorama è davvero grandioso, e giustamente celebrato: lo sguardo può passare in rassegna l’intero gruppo delle cime di Val Masino

e di parte di quelle della Valmalenco
(il monte Disgrazia, infatti, ne nasconde la sezione centrale), vagando, più a nord, fra le cime retiche svizzere; può spingersi, ad ovest, oltre i laghi di Como e Lugano, ai monti Rosa e Cervino;
può raggiungere, a sud, le prime elevazioni appenniniche; può incontrare, infine, ad est le vette del gruppo Ortles-Cevedale. Ecco la descrizione del panorama offerta dalla Guida alla Valtellina del CAi di Sondrio (II edizione, 1884): "Lo sconfinato panorama del Legnone abbraccia tutta la catena delle Alpi dall'Ortler al monte Viso, e buona parte della valle del Po dalle Prealpi all'Appennino. Al nord la valle della Mera e del Liro sino allo Spluga; all'est la Valtellina; al sud la Valsassina; all'ovest i laghi di Como e di Lugano e il Maggiore. Il Duomo di Milano si distingue di lassù ad occhio nudo."
Tutto questo ripaga ampiamente le 4 ore, circa, di cammino necessario per superare i 1150 metri di dislivello, dal rifugio di partenza alla cima.
È interessante leggere, a questo punto, la relazione dell’escursione da Delebio al Legnone effettuata il 3 agosto 1897 da Bruno Galli Valerio, alpinista e naturalista che molto amò queste montagne: “Eravamo in tre ai quali era toccato l'onore di rappresentare la Sezione Valtellinese del C.A.I. all'inaugurazione di una nuova strada al Legnone. A Delebio, ai piedi di questa bella montagna che si erge al disopra delle rive del lago di Como, ci fecero un'accoglienza entusiastica. Dovemmo attraversare il paese dietro una fanfara venutaci a cercare alla stazione e attraversarlo sotto gli occhi di ragazze vestite di bianco, che, dalle finestre e dai balconi, ci guardavano passare come tre animali rarissimi. Uno degli amici prendendo la faccenda seriamente, camminava rigido e dignitoso come si fa in circostanze simili. In quanto a me e all'altro amico, avremmo voluto essere altrove.
Quando ricevimenti, brindisi d'onore, ecc., furono terminati, erano già le otto e un quarto della sera. Ci affidarono allora a un buon contadino che era incaricato di accompagnarci all'alpe Legnone, dove dovevamo passare la notte. Man mano che salivamo nei boschi di castani, il cielo diveniva tutto grigio e di tanto in tanto era illuminato di lampi. L'aria era pesante, l'oscurità si faceva profonda. Fummo costretti ad accendere le lampade che ci erano state fornite. Cominciava a cadere la pioggia a grosse gocce ed io cominciavo a temere per le lanterne, chè mi ricordavo di una notte analoga in cui essendosi sciolte sotto l'acqua le lanterne di carta, noi eravamo rimasti nella notte nera e avevamo fatto una fatica enorme ad aprirci una strada. Fortunatamente, vedemmo apparire sopra di noi delle luci e la nostra guida ci avvertì che stavamo raggiungendo l'alpe. Grida, canti, ci avvertirono che c'era già parecchia gente lassù. Infatti, nonostante fossero già le undici e mezzo, fummo accolti ordialmente da signori e signore in una baita trasformata in un ristorante. La pioggia cadeva a rovesci e i tuoni rumoreggiavano. Poco a poco, tutti scomparvero per andare a dormire.
E arrivò il nostro turno. Ci accompagnarono in una specie di camerone dove sui due lati del corridoio centrale una folla di alpinisti dormiva sul fieno. Ma come trovare un posto? Tutti erano stretti gli uni agli altri come acciughe. Tutto d'un tratto, qualcuno ci chiama: Era il dott. C. Ci fece posto di fianco a lui e potemmo così sdraiarci. Alle cinque e mezzo, quando ci alzammo per partire, non pioveva più, ma delle spesse nebbie volteggiavano tutt'intorno al Legnone. Cominciammo ad inerpicarci lungo le coste erbose del Legnone, poi lungo una parete rocciosa molto ripida, presentante però numerosi scaglioni. Questa parete ci portò ad una cresta da cui ci fu possibile il raggiungere la cima alle sette ed un quarto. Eravamo completamente inviluppati dalle nebbie che danzavano, trasportate da un fortevento. Di quando in quando si squarciavano e attraverso ampie finestre, vedevamo a turno la Grigna, le montagne della valle di Chiavenna e della Val Masino e, ai nostri piedi, nel sole, il lago di Como”. (Bruno Galli Valerio, “Punte e passi”, a cura di Luisa Angelici ed Antonio Boscacci, edito dal CAI di Sondrio, 1998).
Poco meno di vent'anni dopo, rispetto alla data di questa ascensione, venne tracciata, durante la Prima Guerra mondiale, la mulattiera che oggi consente di salire agevolmente alla cima del monte partendo dall'alpe Legnone. Lo scopo della mulattiera era militare: il generale Cadorna, diffidando della neutralità svizzera, temeva che l'esercito austro-ungarico potesse invadere la Valtellina scendendo dalla Valle di Poschiavo, e fece costruire una linea di resistenza che interessava quasi interamente il crinale orobico.
Il sistema, con il suo reticolo di mulattiere, non servì allo scopo per cui era stato pensato, per fortuna; serve ottimamente, invece, ancora oggi agli scopi degli escursionisti. Scendendo dalla cima sul lato opposto rispetto a quello di salita giungiamo facilmente al punto nel quale questa mulattiera raggiunge il crinale: di qui, dunque, possiamo proseguire la discesa fino all’alpe Legnone ed a Delebio.

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