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Se amate le ascensioni poco impegnative, ma molto remunerative dal punto di vista panoramico e naturalistico, la salita al monte Padrio (dal latino "patrius", terreno ereditato dal padre) fa decisamente per voi. Con un’ora ed un quarto o poco più di cammino, infatti, si può guadagnare una delle cime più panoramiche di Valtellina, posta, com’è, in posizione felice e strategica, sul lungo crinale che separa l’alta Valtellina, nel tratto Tirano-Grosio, dall’alta Valcamonica.
Si tratta, infatti, della prima elevazione rilevante (se si esclude la cima boscosa del Dos della Croce, m. 1881, che ospita un grande ripetitore televisivo), con i suoi 2154 metri, sul crinale che propone poi, sviluppandosi verso nord-est, il Motto della Scala (m. 2333), le cime Cadì (m. 2449) e Verde (m. 2409), il monte Resverde (m. 2348) ed il monte Varàdega (m. 2634). Punto di partenza dell’escursione è il villaggio di Trivigno (m. 1700), che, per la sua felice posizione climatica e paesistica, ha assunto una discreta importanza come luogo di villeggiatura estiva.

Punti di partenza ed arrivo
Tempo necessario
Dislivello in altezza
in m.
Difficoltà (T=turistica, E=escursionistica, EE=per escursionisti esperti)
Trivigno-Monte Padrio
2 h
570
E
SINTESI. Ci stacchiamo dalla ss. 38 dello Stelvio sulla destra (se proveniamo da Sondrio) all’altezza di Tresenda, imboccando la ss. 39 del passo dell’Aprica e percorrendola per 12 km, fino all’Aprica. Qui, attraversato interamente il paese e superato il passo, scendiamo per un paio di chilometri verso Còrteno Golgi, fino a trovare, sulla sinistra, lo svincolo segnalato per Trivigno. Percorrendola interamente, parcheggiamo a Trivigno (m. 1696). Sul lato opposto della strada, rispetto alla chiesetta di San Gaetano, presso un gruppo di case, troviamo un cartello che indica la partenza del largo sentiero per il monte Padrio. Dopo un brevissimo tratto su un largo sentiero (ci guidano i segnavia bianco-rossi), intercettiamo una stradina asfaltata, ed in breve incontriamo un bivio segnalato, al quale andiamo a destra, seguendo una pista che descrive un ampio arco verso destra, in pineta. Procediamo verso est, superando alcune radure e passando a sinistra del grande ripetitore. Ci avviciniamo al filo del lungo dosso che si conclude alla cima del monte Padrio, che ora vediamo, ancora un po’ lontano, di fronte a noi, leggermente spostato sulla destra. Dopo un breve tratto in salita, raggiungiamo il filo del dosso. Procediamo verso sud est, la pendenza si fa assai più modesta ed inizia l’ultimo tratto della salita, che apre squarci panoramici sempre più ampi. Lasciata sulla sinistra l’arrotondata cima secondaria del monte della Colma (m. 2144), puntiamo facilmente alla meta, riconoscibile anche per la centralina di rilevamento dell’inquinamento atmosferico che, insieme con una modesta croce, la presidia. Superata una conca, siamo alla cima del monte Padrio (m. 2154).


Trivigno

La via più semplice per salire a Trivigno passa per l’Aprica. Stacchiamoci, dunque, dalla ss. 38 dello Stelvio sulla destra (se proveniamo da Sondrio) all’altezza di Tresenda, imboccando la ss. 39 del passo dell’Aprica e percorrendola per 12 km, fino all’Aprica.
Qui, attraversato interamente il paese e superato il passo, scendiamo per un paio di chilometri verso Còrteno Golgi, fino a trovare, sulla sinistra, lo svincolo segnalato per Trivigno. Si tratta di una strada larga e comoda, lunga una decina di chilometri, che, per il suo andamento regolare e senza pendenze severe, può essere raccomandata anche a chi ama i percorsi di mountain-bike di livello medio-facile. Nel primo tratto, in territorio di Corteno Golgi, la strada guadagna quota rimanendo sul versante che guarda alla piana dell’Aprica, poi, dopo un tornante sinistrorso, entra nel cuore di una suggestiva pineta, in un ambiente di grande fascino.
Usciti dalla pineta, passiamo a lato della bellissima conca del Pian di Gembro (in territorio di Villa di Tirano), che, per il suo valore naturalistico, è tutelata come riserva naturale. Superati gli agriturismo la Quercia Antica (nei cui pressi parte un interessante percorso segnalato, lungo un paio di chilometri, che conduce nel cuore del sistema difensivo del Poschiavino, che risale alla Prima Guerra Mondiale) e Piscè, la strada riprende a salire, assumendo la direzione nord-est. Dopo un ultimo tratto, nel quale il panorama è nascosto dal bosco che la circonda, sbuchiamo sul limite sud-occidentale dell’ampia conca di Trivigno, che ci colpisce per la sua bellezza, luminosità ed apertura. Sul fondo, alle spalle del gruppo centrale di case, ancora lontano, si distinguono il grande ripetitore del Dos della Croce e, più lontana, spostata sulla destra, la poco pronunciata cime del monte Padrio, meta dell’escursione. Superato un ponticello ed ignorata, sulla sinistra, la deviazione della strada che scende a Tirano (Trivigno è in territorio del comune di Tirano), raggiungiamo, dopo un’ampia curva a destra, il nucleo centrale di Trivigno, dove si trova la chiesetta di S. Gaetano, costruita nel 1701.
Sul lato opposto della strada, rispetto alla chiesetta, presso un gruppo di case, troviamo un cartello che indica la partenza del largo sentiero per il monte Padrio. I cartelli sono, in realtà, tre, due sulla direttrice che ci interessa, e segnalano come possibili mete escursionistiche Costamoscia (ad un’ora e 10 minuti), Cologna (a 2 ore e 50 minuti), Tirano (a 3 ore e 20 minuti), il monte Padrio (ad un’ora e 35 minuti) e Guspessa (ad un’ora e 55 minuti). Dopo un brevissimo tratto su un largo sentiero (ci guidano i segnavia bianco-rossi), intercettiamo una stradina asfaltata, ed in breve incontriamo un bivio segnalato: prendendo a sinistra ci dirigiamo verso Costamoscia, mentre prendendo a destra verso Guspessa ed il monte Padrio.
Prendiamo, dunque, a destra, seguendo una splendida pista che descrive un ampio arco in uno scenario che alterna tratti in pineta ad incantevoli radure. Si tratta di una zona caratterizzata da piccoli rilievi collinari, detti Motti del Laghetto. Una di queste radure, più ampia, ci permette di riconoscere, alle nostre spalle, la poco pronunciata cima del Dos della Croce, dove ritroviamo il ripetitore televisivo: la pista che abbiamo seguito la aggira, passando a nord. Nel tratto successivo, nel quale gli alberi si fanno sempre più radi, ci allontaniamo dal ripetitore per avvicinarci al filo del lungo dosso che si conclude alla cima del monte Padrio, che ora vediamo, ancora un po’ lontano, di fronte a noi, leggermente spostato sulla destra.
Dopo un breve tratto in salita, raggiungiamo il filo del dosso. La pendenza si fa assai più modesta, ed inizia l’ultimo riposante tratto della salita, che apre squarci panoramici sempre più ampi e suggestivi. Non possiamo sbagliare: lasciata sulla sinistra l’arrotondata cima secondaria del monte della Colma (m. 2144), puntiamo facilmente alla nostra meta, riconoscibile anche per la centralina di rilevamento dell’inquinamento atmosferico che, insieme con una modesta croce, la presidia. Alla fine, superato un modesto avvallamento, raggiungiamo i 2154 metri della cima erbosa del monte Padrio, dopo circa un’ora ed un quarto di cammino, necessaria per superare 454 metri di dislivello.
Se la giornata è limpida, abbiamo di che lustrarci gli occhi. Guardando verso sud-ovest, possiamo godere di un ottimo scorcio sulla catena orobica, che propone, in primo piano, i monti Palabione (m. 2358) e Pasò (m. 2575), sopra l’Aprica, un po’ più lontani il monte Torena (m. 2911) ed il pizzo del Diavolo (m. 2926) e, in fondo, a chiudere la catena, il monte Legnone (m. 2610). Se la giornata è davvero limpida, guardando verso ovest potremo scorgere il caratteristico profilo affilato del Cervino ed il gruppo del Gran Paradiso.
Spostiamoci, ora, con lo sguardo verso destra, cioè da ovest, gradualmente, a nord ovest, incontrando le cime del versante retico della media Valtellina. La prima cima che incontriamo è quella della cima del Desenigo (m. 2845), seguita dall’inconfondibile coppia dei Corni Bruciati (m. 3114 e 3097) e dalla modesta ma pronunciata punta del pizzo Bello (m. 2748). Nel gruppo di cime seguente emerge la vetta di Rhon (m. 3136), alla cui destra sfilano le cime del fianco occidentale della Val Fontana, fra cui spicca il pizzo Scalino (m. 3323).
Ancora più a destra, riconosciamo un suggestivo spaccato del gruppo del Bernina. La prima cima, sulla sinistra, ha l’inconfondibile profilo di un elegante pennacchio, ed è il pizzo Roseg (da “rösa” o “rosa”, massa di ghiaccio, m. 3937). Alla sua destra cerchiamo invano i pizzi Scerscen e Bernina: sono nascosti dalla coppia dei pizzi Argient (m. 3945) e Zupò (m. 3995). Quest’ultimo si prende, da qui, una modesta rivincita sul vicino colosso del pizzo Bernina (m. 4049): per soli 5 metri, infatti, non può godere della palma del più orientale dei quattromila della catena alpina. Più isolati, chiudono il gruppo del Bernina, a destra, i pizzi Palù (m. 3905) e Varuna (m. 3453).
Guardiamo, ora, a nord, a destra del solco della Val Poschiavina: si impone il monte Masuccio, che sovrasta Tirano (m. 2816), alla cui destra si apre il solco della val Saiento. Verso nord-est si distinguono alcune delle cime della Val Grosina, sovrastate dalla cima de’ Piazzi (3439). Alla sua sinistra, è ben visibile la depressione del passo di Verva, che congiunge la Val Grosina con la val Verva. Guardiamo ad est, infine: superba è la visuale sul gruppo dell’Adamello.

Ma vediamo come viene descritta la salita alla cima ed il panorama che da essa si apre nella "Guida alla Valtellina" del CAI di Sondrio, edita nel 1884:
"
Il monte che si eleva al sud di Tirano chiamasi Trivigno, e la sua sommità, che ha forma di cono, è conosciuta sotto il nome di Colmo di Trivigno. In alcune carte questa vetta si chiama Monte Padrio , ma tale denominazione è ignota alla maggior parte degli abitanti dei paesi circonvicini. La via che vi conduce da Tirano percorre vigneti, poi selve di castagni, poi boschi resinosi che non hanno più di trent' anni di vita, da­tando dall'epoca in cui furono venduti ai privati que' vasti spazi che prima erano comunali. Il bosco arriva fino a un alto piano dove si trova la chiesa di S. Gaetano in mezzo a pascoli e prati. Di là si giunge al Colmo in un'ora. La vetta ha questa singolarità, che in luogo di terminare in un rialzo, presenta una concavità non vasta, né profonda, ma regolare tanto, che direbbesi la bocca o il cratere di un vulcano spento, se la natura della roccia schistosa non accennasse ad altra formazione. Quasi come dal Corno Stella puossi dal Colmo di Trivigno ammirare il creato in tutta la sua moltiforme e affascinante maestà. Al nord lo sguardo piomba sulla Valle di Poschiavo, sul lago tranquillo e sullo Stabilimento dei Bagni che vedesi distintamente; e poi s' eleva alle vette che circondano quella valle, fra cui le gigantesche diramazioni del Bernina. La Valtellina tutta, ad eccezione del bacino di Bormio, si comprende collo sguardo, che si spinge tino alle montagne del lago di Como e al disopra di esse al Monte Rosa e al Monte Bianco.
Al sud bella vista sull'Adamello (3547 m.) e sulla catena del Tonale che s'allaccia con quello dell' Ortler. Bello per bizzarre forme di seni, di ripiani e alture è. il monte di Trivigno, tutto a pascoli. Poche cime offrono un panorama così mirabile, e poche si possono salire con tanta facilità. Da Tirano si giunge al Colmo in meno di cinque ore; e la discesa può farsi rapidamente pei sentieri di Costamoscia alla valle detta dei Bui. Ogni villico di Tirano può fare da guida, la quale però è necessaria perché il sentiero corre per boschi e si biforca in più luoghi. Con tre lire la guida è ben rimunerata. Da Trivigno è breve e facile la discesa a Corteno (ore una e mezzo). Un altro sentiero, valicando il Motto della Lostazza, attraversa il paludoso piano del Zembro e scende al Dosso d'Aprica presso l'Albergo Negri."
Tornando verso Trivigno, appena sotto la cupola erbosa della cima, guardiamo alla nosytra sinistra: intuiremo l'avvallamento che, più in basso, sul versante della Val Camonica, si appofondisce in una valle, detta "del Santo", legata ad un'interessante eggenda, di cui riportiamo il testo che si trova nella bella raccolta "Leggende e tradizioni della Val di Corteno da Edolo all’Aprica " di Giacomo Bianchi (1905-1996) edito, nel 2005, dalla La Compagnia della Stampa a Roccafranca (BS), testo riportato alla pagina web www.montagna.org/mitieleggende?page=6:
"La Valle del Santo (Alpi valtellinesi) è così chiamata per un burrascoso torrente che, incassato fra due alte ripe rocciose, precipita dalla vetta del Padrio nella valletta cortenese, descrivendo un caratteristico angolo retto alle Scale, confluendo nello Ogliolo a Campopiano (Camplà), ingrossato delle acque provenienti dall’Aprica (SO).
Intorno ad esso fiorì una leggenda interessante, che risale a tempi assai remoti e che vive ancora nella tradizione. Narra questa che, un tempo, il terribile torrente scendesse in Valtellina, attraverso la valletta di Trivigno, arrecando continui ed ingenti danni ai villaggi di S. Rocco e di Stazzona.
Le popolazioni di queste terre che si erano viste, più volte, le loro case seppellite da valanghe di massi e di acqua, esasperate, pensarono di deviare il corso d’acqua verso la Val di Corteno.
Ma come riuscire nel gigantesco intento? Sarebbe stata necessaria l’opera di qualche diavolo dell’inferno. Tuttavia Stazzonesi e Sanrocchesi non si disarmarono, decisero di trovarsi, uomini e donne, la sera dell’11 novembre, armati di picconi, badili, zappe e travi, proprio sotto la sorgente dell’indiavolato torrente.
Erano appena cadute le tenebre, rese più nere da una massa di nebbie, che giravano vorticose, intorno alla vetta del Padrio, quando, uno stazzonese, ben piantato e con una spanna di pelo sul petto quasi nudo, comparve, per primo, nel luogo stabilito e incominciò a scavare, canticchiando felice come una pasqua. Da un momento all’altro, sarebbero giunti anche gli altri e, lavorando di buona lena, tutti insieme, qualcosa, verso l’alba, sarebbe stato fatto.
Mentre l’omone lavorava accanitamente, bestemmiando ad ogni piccola difficoltà che gli si presentava, ad un tratto, si vide, a pochi passi di distanza, un giovanotto bianco e rosso in faccia, sorridente, rivestito di un abito fatto di papaveri. Dai suoi occhi si sprigionavano, di quando in quando, ondate di scintille. Fattosi riconoscere subito per il demonio, si offrì d’attuare la gigantesca impresa, a patto che lo stazzonese gli vendesse l’anima.
Costui, sebbene fosse coraggioso come un lupo, provò un brivido, che dalla punta dei capelli scese fino al mignolo dei piedi; ma si riebbe subito dallo spavento e, impugnato in atto minaccioso, il badile a difesa, incominciò a raccapezzarsi e a studiare la proposta.
Poiché dell’anima s’era sempre curato poco, e l’aveva maltrattata come un cane rabbioso, girato lo sguardo intorno per osservare se fosse presente lo spirito della sua santa mamma, dopo ancora un momento di indecisione, accettò la proposta, stendendo timidamente la mano.
Belzebù gliela strinse fortemente, sghignazzando e si mise all’impresa. Sprizzando scintille da tutte la parti del corpo, si mise a spiccare enormi salti, poi sfoderato, da non si sa dove, un tridente che, pian piano s’allungò a dismisura, incominciò ad agitarlo verso Corteno.
Quasi all’istante, lungo il versante si aprì il nuovo letto del torrente, lungo il quale, le acque si gettarono urlando come belve, minacciando di distruggere Galleno. La popolazione, svegliata dal fracasso insolito, che s’avvicinava sempre più, ricorse a S. Martino, protettore della Valletta. Uomini donne e bambini erano inginocchiati sulle soglie delle case, invocando e piangendo.
Il Santo non fu sordo alle preghiere dei suoi fedeli. Apparso in un oceano di luce a cavallo di un superbo destriero bianco, in groppa ad un eminente «dosso» ad occidente di Plèr, detto poi «Dosso del Santo», rischiarando a giorno il cielo e la terra, comandò al torrente di volgersi verso sera.
Al suo cenno, le acque deviarono nel luogo indicato, dove lentamente si aprirono, tra la roccia il nuovo letto, profondo e misterioso, ad angolo retto col vertice alle Scale e l’apertura verso mattina.


Monte Baitone nel gruppo dell'Adamello visto dal monte Padrio

Nelle Rocce del Dosso del Santo il popolo scorge ancora le impronte lasciate dai ferri del cavallo.Le mamme si inginocchiano sopra di esse e le baciano e le fanno baciare ai loro piccoli, i quali, commossi dalla bella leggenda santa, d’estate coprono di garofani silvestri, colti saltellando sulle rocce, le impronte dei ferri del cavallo di San Martino, protettore della ridente valletta prealpina.
E là sul luogo dove l’uomo poco pio vendette l’anima a Belzebù, si scorge una voragine, che un tempo doveva essere immane. Ora è per tre quarti ripiena di sassi, ghiaia e terriccio. In essa sprofondarono il diavolo vestito di rosso, dalla cera bianca e rossa e l’uomo nerboruto di Stazzona, con un palmo di pelo sporgente dal petto, che si curava poco dell’anima.
Sprofondarono fra un boato terribile che pareva un tuono, ed un visibilio di scintille che a ventaglio salivano fino alle stelle, che, essendo state fugate nubi e nebbie, dalla luce del Santo, fiorivano tante, tantissime nel giardino del cielo.
"


Laghetto di Guspessa


CARTA DEL PERCORSO sulla base della Swisstopo, che ne detiene il Copyright. Ho aggiunto alla carta alcuni toponimi ed una traccia rossa continua (carrozzabili, piste) o puntinata (mulattiere, sentieri). Apri qui la carta on-line

Mappa del percorso - particolare della carta tavola elaborata da Regione Lombardia e CAI (copyright 2006) e disponibile per il download dal sito di CHARTA ITINERUM - Alpi senza frontiere

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