La poderosa cima che domina la Valfurva
Monte singolare, il Sobretta: per un verso è ovunque, per un altro solo alla fine scopri dove esattamente sia. Intendo dire che, carta alla mano, è facile verificare come la denominazione “monte Sobretta” sia assegnata ad un lungo ed ondulato crinale che corre dalla massima elevazione meridionale, quotata 3271 metri, a quella settentrionale, quotata 3296 metri. Quest’ultima (cima dal subréta) è sormontata da una croce: nonostante ciò, si rivela solo alla fine, quando ormai mancano solo pochi metri a raggiungerla. Per il resto, non riusciamo ad indovinare dove davvero sia, nonostante ci muoviamo sempre nel regno di questo placido gigante, che separa il territorio della Valdisotto, ad ovest, dalla Valle dell’Alpe, tributaria della Valfurva, ad est. Che di gigante si tratti lo attesta anche l’efficace descrizione offerta dal celebre naturalista Antonio Stoppani, nella sua opera "Il bel paese" (Milano, Casa editrice L. F. Cogliati, 1908; estratto edito dalla Nordpress Edizioni, Brescia, 1994): “…gruppo di scogliere, radiatesi come raggi di stella da una massa elevatissima che, dagli aspri gioghi coperti di nevi eterne e di candide vedrette, versa all’ingiro le acque, quasi un perenne innaffiatoio posto sul vertice di una piramide isolata”. La salita alla cima del monte Sobretta regala, in una bella giornata, scenari davvero indimenticabili (se invece c’è molta foschia, può comportare qualche problema di orientamento: teniamo conto che per l’intero tragitto non troveremo un solo segnavia, ma solamente ometti nella parte più alta). In particolare l’incontro ravvicinato con quello che è stato definito uno dei più bei sandur della catena retica. Ma procediamo per gradi.
Il punto di partenza più comodo è il ponte dell’Alpe, sulla strada provinciale del Gavia, laddove la valle dell’Alpe confluisce nel solco principale della Valfurva. Per raggiungerlo, saliamo a Santa Caterina Valfurva e proseguiamo in direzione del passo del Gavia. Dopo una serie di tornanti, la strada esce all’aperto, ed effettua un traverso che, superato il punto nel quale è collocata la sbarra che la chiude nel periodo invernale, porta al ponte dell’Alpe (pont da l'alp, m. 2294), oltre il quale piega decisamente a sinistra.
Appena prima del ponte, sulla sinistra, c’è un ampio slargo al quale possiamo lasciare l’automobile. Attraversata la strada, ci portiamo allo spiazzo presso il torrente dell’Alpe (rin da l'alp), nel quale è posto un pannello escursionistico che rappresenta l’intero comprensorio della Valfurva. Alla sua destra parte una pista sterrata che risale interamente la breve valle dell'Alpe (val da l'alp) restando a destra (per chi sale) del suo torrente, fino al passo dell’Alpe (pas da l'alp), che si affaccia sulla ben più ampia Val di Rezzalo. La seguiamo per un buon tratto, superando un torrentello ed un bivio al quale si stacca sulla destra un tratturo, che ignoriamo (in realtà la cosiddetta “via normale” di salita al Sobretta prevede che lo si segua verso destra, per poi imboccare un incerto sentierino che torna, con lungo traversa, a sinistra, il che fa perdere almeno una ventina di minuti). Andiamo avanti, fino ad un valloncello, oltre il quale si trova il rudere della Baita dei Pastori.
Sulla sua verticale, una grande parete di roccia calcarea, sormontata da una rete di protezione (sopra ci sono le piste di sci) e con un’evidente apertura alla sua base. Cominciamo a salire seguendo il valloncello; quando si biforca, in alto, seguiamo il ramo di sinistra. Alla fine intercettiamo il sentierino sopra citato, poco a sinistra dell’apertura citata. Vale la pena di traversare brevemente a destra per visitarla: si tratta della grotta battezzata con il nome di Edelweiss, nota fin dalla Prima Guerra Mondiale, quando fu utilizzata come ricovero per le truppe. Ora sono pecore e capre ad averla scelta come ricovero elettivo. Attorno alla grotta è tutto un tripudio di fiori, soprattutto ad inizio estate: spiccano il viola dell’astro alpino ed il blu intenso della genzianella.
Seguiamo il sentierino verso sinistra (sud-ovest): dopo un breve tratto, sparisce, ma alcuni ometti ci aiutano a ritrovarlo (in questo tratto dobbiamo salire, resistendo alla tentazione di traversare il versante procedendo in piano). Il ritrovato sentiero, stretto ma ben marcato, si approssima ad una svolta che ci introduce ad uno scenario nuovo, inatteso. Innanzitutto scopriamo che alla nostra sinistra si scava un inatteso e ripidissimo versante, che precipita su una valle marcata. Poco più avanti, ne scorgiamo la profonda forra, e ci portiamo ad un bivio, dove ci raggiunge, salendo da sinistra, un tracciato di origine militare (manufatto della Prima Guerra Mondiale). Quest’ultimo porta, poco più in basso, ad un singolarissimo ponte in pietra che il torrente, inabissandosi per fenomeno carsico, ha scavato nei millenni. In merito a questa singolare valle cediamo ancora la parola allo Stoppani: “Il burrone si sprofonda forse oltre un centinaio di piedi tra due verticali pareti di marmo bianco venato di bleu, e il fondo stesso dell’abisso non è che un pavimento di marmo ove si appiana il limpido torrente mantenendovi perenne tutta la freschezza del liscio delle tinte variegate”.
Proseguiamo, comunque, diritti sul nostro sentiero, che si approssima ad una soglia, supertata la quale si apre lo splendido ed amplissimo scenario dell’Alpe, nel cui mezzo scorre il torrente omonimo. Sul fondo, un lungo crinale su cui non spicca alcuna particolare elevazione. Carta alla mano, dovrebbe essere costituito dal crinale dei Sassi Neri, a sinistra, da quello del monte Sobretta, al centro, e dalla Costa Sobretta, a sinistra, ma, visto da qui appare un’unica omogenea corona. Dove sia, poi, la vetta del monte Sobretta davvero non sapremmo dirlo. A questo punto si discostiamo per la seconda volta dalla “via normale”, la quale prevede che si imbocchi, sulla destra, la deviazione che traversa a destra, segnalata da cartelli come “Sentiero naturalistico”. Essa compie un arco molto ampio verso nord, affacciandosi al versante che guarda alla Costa Sobretta ed agli impianti di risalita di Santa Caterina Valfurva, per poi raggiungere il laghetto dell’Alpe. Di qui la via normale piega decisamente a sinistra e si porta al sandur di Sobretta.
È però preferibile, almeno all’andata, abbreviare considerevolmente i tempi (diciamo tre quarti d’ora) salendo al sandur per via più diretta. Semplicemente, raggiunta la soglia dell’alpe ignoriamo la deviazione a destra e procediamo seguendo una sorta di larga pista, appena accennata ma ben visibile, che corre poco a destra del torrente. Dopo un tratto in falsopiano, la pista piega a sinistra e propone un tratto ripido, che ci introduce al sandur. Già, ma di che cosa si tratta? La voce, tratta dalla lingua islandese, viene usata per designare un’ampia spianata occupata da fondo morenico e percorsa da un gran numero di piccoli corsi d’acqua, una sorta di deserto di origine glaciale. Eccolo, il sandur, bellissimo: qui l’acqua corre in mille rivoli, quasi gioca in un tripudio di ricami prima di essere costretta a confluire nell’unico alveo del torrente dell’Alpe. Riprendiamo la direzione originaria (piegando a destra) e procediamo diritti, sulla singolare pista che si intravede ancora, puntando al fianco di una morena che ci viene proprio incontro.
Giunti al suo piede, la risaliamo, sempre procedendo più o meno diritti, fino a trovare, sul suo filo, la traccia di sentiero che viene da destra (dalle balze erbose che ospitano il laghetto dell’Alpe: ci siamo ricongiunti con la “via normale”). Lo seguiamo verso destra, fino all’attacco di un ripido versante morenico che dovremo sormontare. Per fortuna non dobbiamo salirlo diritti (sarebbe davvero una fatica improba), ma, seguendo la traccia, che a tratti si perde, e gli ometti, che ci aiutano a riacciuffarla, procediamo in diagonale verso sinistra (ad inizio stagione troviamo anche qualche nevaietto da tagliare, con una caratteristica coloritura rossastra). Con un arco di cerchio che piega molto gradualmente a destra, eccoci infine alla soglia di un’ampia conca glaciale. Alla nostra destra vediamo un laghetto glaciale, quotato 2956 metri.
Procediamo più o meno diritti, seguendo i segnavia. Ad inizio stagione dobbiamo metter piede su un ampio nevaio; a stagione avanzata restiamo su materiale morenico. Sulla nostra verticale distinguiamo un avamposto roccioso, che nasconde il crinale e ci serve come punto di riferimento: lo dovremo, infatti, aggirare passando alla sua sinistra, per poi ritrovarci, piegando a destra, a monte. Procediamo, quindi, tendendo leggermente a sinistra e puntando ad un masso rossastro sormontato da un ometto. Poi cominciamo gradualmente a descrivere un arco di cerchio verso destra, passando a sinistra della selletta a monte dell’avamposto roccioso di cui abbiamo detto. Alla nostra sinistra ora vediamo bene il ghiacciaio meridionale dell’Alpe (vedréit da l'alp, ben più ridotto rispetto ad un passato non lontano) che sale fino ad una cima arrotondata: si tratta della punta meridionale del Sobretta, quotata 3271 metri. La risalita del ghiacciaio, che è segnalata come poco difficile, anche per la pendenza poco marcata, ma, soprattutto a stagione avanzata, quando affiora il vivo ghiaccio, è comunque da affrontare con le dovute cautele. Noi, però, procediamo nella direzione opposta: piegando decisamente a destra, raggiungiamo una nuova conca, che si stende ai piedi di un versante il quale culmina con una piccola ma ben visibile sella sul crinale. Attraversata in diagonale la conca, stando più o meno al centro (nevaio ad inizio stagione, con fastidiosissima neve marcia), attacchiamo infine il versante di sfasciumi e roccette che ci divide dal crinale. La traccia di sentiero procede stando piuttosto a sinistra, e non sale direttamente alla selletta, ma la lascia alla sua destra. Raggiunto il crinale, si tiene un po’ sotto il suo filo e piega verso sinistra, seguendolo. Possiamo comunque raggiungere egualmente la selletta, anche per vedere da vicino una curiosissima cornice nevosa che sembra sospesa sul vuoto, e per avere un’anteprima del colpo d’occhio su Santa Caterina e l’imbocco della Valle dei Forni, così lontane, là, in basso. Poi torniamo al sentiero, ed è qui che accade l’imprevisto. Abbiamo la netta sensazione che la cima debba essere più avanti, su una qualche impennata del crinale, perché davanti ai nostri cocchi non vediamo che una monotona china di massi rossastri e grigi. Ed invece, improvvisa, ecco la croce sommitale.
Ah, è lì? Sì, è lì dal lontano 1968, quando vi fu portata dai ragazzi dell’Oratorio di Brugherio. Vicino alla croce, il grande ometto che funziona come punto trigonometrico. Davanti a noi si snoda l’ondulato crinale che si conclude con la già citata cima gemella meridionale (non è difficile percorrerlo, appoggiandosi, però, sul versante di Santa Caterina, cioè su quello che abbiamo percorso salendo, e non su quello ben più ripido e pericoloso che guarda sulla Val Sobretta e la Valle delle Presure). Il panorama è grandioso. Guardando a nord riconosciamo il lungo e tormentato versante della Reit, poi, alla sua destra, le candide cime del gruppo Ortles-Cevedale, fino al pizzo Tresero. Alle loro spalle emergono i profili così diversi e così suggestivi delle Dolomiti.
A sud domina il possente gruppo dell’Adamello, ad ovest lo sguardo si perde in una ridda di cime che comprendono la compagine, a nord-ovest si distinguono il monte Disgrazia ed il gruppo del Bernina, ed infine, forse lo spettacolo più suggestivo, è tutto un fiorire di cime dell’Engadina, fino alle Alpi Bernesi. Guardando più in basso, ecco Santa Caterina e la Valle di Forni e, sul lato opposto (ma attenzione a non sporgerci troppo), la bocca di Profa dove si incontrano la val Sobretta e la valle delle Presure (riconosciamo il graziosissimo sistema di laghetti che si sono ben meritati la denominazione di “Bei Laghetti”).
La cosa che però forse colpisce di più sono gli scorci sul versante occidentale (quello, appunto, che guarda alle valli Sobretta e delle Presure), ben più selvaggio e caratterizzato da ripide vedrette (soprattutto quella detta dei Molérbi). Guardando, infine, al sandur dal quale siamo saliti ed ai ripiani glaciali sovrastanti scopriamo che il sistema di laghetti è costituito da tre, disposti a rosario (due, dunque, ci sono interante sfuggiti nella salita). Il panorama, insomma, ripaga interamente delle fatiche profuse (diciamo 4 ore di cammino per superare un dislivello approssimativo di 1000 metri).
Tornando, seguiamo la medesima via di salita, ma, se abbiamo tempo, raggiunto il filo della morena che chiude il sandur, invece di scendere sul fianco, proseguiamo verso sinistra, seguendo gli ometti che dettano la traversata al versante della Costa Sobretta. Scopriamo con un po’ di disappunto che dovremo scendere in un vallone per poi risalire sul lato opposto e superare una pozza (comunque bellissima: alle sue spalle vi si specchia il monte Gavia) prima di raggiungere un laghetto che diremmo essere quello dell’Alpe.
In realtà si tratta di un laghetto gemello ; proseguendo nella medesima direzione, siamo, in breve, al laghetto dell’Alpe (laghét da l'alp, m. 2728), che ci saluta con le sue acque di un verde intenso. Ora pieghiamo a destra scendendo verso il tracciato della più vicina pista di sci di Santa Caterina (in fondo rivediamo la rete di protezione). Scendendo vediamo alla nostra sinistra, ad una certa distanza, il resort Sunny Valley. Prestiamo però attenzione anche a destra: appena vediamo il primo cartello del sentiero naturalistico, pieghiamo a destra e seguiamo il sentiero che, superando dolci balze, ci riporta all’ingresso dell’Alpe. Di qui ripercorriamo il sentiero dell’andata fino al ponte dell’Alpe. Teniamo conto che la discesa, con questo sviluppo, richiederà poco meno di tre ore.
Una variante più breve di di scesa è la seguente. Scendiamo lungo le piste di sci fino al punto terminale, dove vediamo una grande rete di protezione. Poco prima della rete cerchiamo, a sinistra, un paletto con segnavia bianco-rosso, che segna la partenza di un sentiero abbastanza marcato che scende tagliando in diagonale il versante settentrionale della Valle dell'Alpe, fra facili balze. Lo seguiamo prestando attenzione ai segnavia (in alcuni tratti il sentiero si fa meno evidente). Superato un ripiano, proseguiamo scendendo diritti fino ad intercettare la pista della Valle dell'Alpe poco a monte del Ponte dell'Alpe. Con breve ultima discesa torniamo così all'automobile.
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