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San Biagio alle Vigne

SANTA CROCE-SAN BIAGIO-SELVAPIANA-CERIDO-SELVAPIANA-SANTA CROCE

Punti di partenza ed arrivo
Tempo necessario
Dislivello in altezza
in m.
Difficoltà (T=turistica, E=escursionistica, EE=per escursionisti esperti)
Santa Croce-San Biagio-Selvapiana-Cerido-Selvapiana-Santa Croce
1 h e 45 min.
170
T
SINTESI. A Morbegno lasciamo la ss 38 dello Stelvio, alla prima rotonda in ingresso (per chi proviene da Milano), a sinistra. Dopo un cavalcavia ed una rotonda, proseguiamo diritti fino al punto sull’Adda, dopo il quale prendiamo a destra, salendo lungo la provinciale pedemontana, che lasciamo subito imboccando il largo tornante a sinistra e proseguendo sulla strada che sale a Dazio. Dopo un lungo traverso impegniamo il primo tornante a destra e proseguiamo fino alla deviazione, segnalata, a sinistra per Santa Croce. Saliamo lungo la stradina che, dopo una serie di tornanti dx-sx-dx, porta alla piazzetta antistante alla chiesa di Santa Croce (m. 447), dove possiamo parcheggiare. Procediamo verso est, uscendo dal paese e lasciamo la carrozzabile imboccando un sentiero sulla sinistra della stessa. Lo seguiamo tagliando due volte la strada, poi proseguiamo sulla strada fino a S. Biagio alle Vigne (m. 472), a destra della strada. A lato della chiesetta, ad est (sinistra per chi guarda al fondovalle) parte una mulattiera che scende verso sinistra, delimitata da muretti a secco. La discesa termina alle baite dell’Acquamarcia. Qui seguiamo una stradina che scende alla strada Marsellenico-Cerido. Andiamo a sinistra e passiamo fra le case di Selva Piana, proseguendo fino al punto in cui la strada scende verso destra. Qui la lasciamo imboccando un sentierino alla sua sinistra, che porta a Cerido (m. 508). Scendiamo lungo la strada che confluisce nella carrozzabile perr Dazio. Appena prima imbocchiamo la stradella che sale alla chiesetta di S. Nazzaro. Ridiscesi alla strada per Dazio, la seguiamo scendendo verso destra, fino ad una piazzola che si trova sul lato sinistro della strada, per la fermata degli autobus. Sul lato destro, invece, parte un ripido sentiero che risale il ripido versante, come segnala un cartello che indica Selvapiana. Il sentierino piega subito a sinistra e raggiunge le case più basse di Selvapiana. Saliamo ancora passando per la chiesetta di S. Giuseppe e terminiamo la salita intercettando la strada Marsellenico-Cerido, già percorsa all'andata. La seguiamo verso sinistra, proseguendo diritti fino a Marsellenico. La stradina confluisce infine nella strada che esce da S. Croce; seguendola verso sinistra, in breve torniamo all'automobile.


Santa Croce

Una fra le tante idee di passeggiate al sole della Costiera dei Cech, generoso e godibile in inverno e nelle mezze stagioni, è quella che da Santa Croce sale a San Biagio, traversa a Selvapiana ed a Cerido, per poi ripassare da Selvapiana e di qui tornare a Santa Croce. Passeggiata semplice e panoramicissima.
Per effettuarla a Morbegno lasciamo la ss 38 dello Stelvio, alla prima rotonda in ingresso (per chi proviene da Milano), a sinistra. Dopo un cavalcavia ed una rotonda, proseguiamo diritti fino al punto sull’Adda, dopo il quale prendiamo a destra, salendo lungo la provinciale pedemontana, che lasciamo subito imboccando il largo tornante a sinistra e proseguendo sulla strada che sale a Dazio. Dopo un lungo traverso impegniamo il primo tornante a destra e proseguiamo fino alla deviazione, segnalata, a sinistra per Santa Croce. Saliamo lungo la stradina che, dopo una serie di tornanti dx-sx-dx, porta alla piazzetta antistante alla chiesa di Santa Croce, dove possiamo parcheggiare.


San Biagio alle Vigne

Santa Croce (m. 447, 128 abitanti) è una frazione di Morbegno posta nel cuore di una fascia di vigneti, con ottima vista panoramica su Morbegno, la bassa Valtellina e le valli del Bitto. Sul sagrato della chiesa parrocchiale, di origine secentesca, restaurata nel 1933, si respira un intenso profumo d’antico, ed anche la caratteristica Trattoria di Santa Croce contribuisce a conservare l’atmosfera di paese, raccolta e serena. Se scendiamo i pochi gradini che ci separano dal sagrato possiamo ammirare uno splendido colpo d’occhio su Morbegno e Talamona.
Ci incamminiamo poi lungo la stradina che sale verso est (destra per chi è volto verso monte), passando fra le case e raggiungendo lo svincolo a destra (segnalazione per Marsellenico). Pochi metri prima dello svincolo vediamo una cappelletta datata 1913, con un dipinto di Madonna con Bambino (Beata Vergine delle Grazie) incoronata dagli angeli.
A lato parte una scalinata in cemento che subito lascia il posto ad un sentierino che sale più ripido della strada e quasi in parallelo con essa. Si tratta dell’antica mulattiera per San Biagio e Civo che passa fra i muretti a secco di un vigneto, scarta a sinistra e si ricongiunge con la strada asfaltata. La seguiamo per breve tratto e subito dopo il vicino tornante dx la lasciamo per riprendere il sentiero che se ne stacca sulla sinistra. Intercettiamo di nuovo la strada asfaltata e di nuovo la lasciamo, passando accanto ad una seconda cappelletta con il dipinto di una Madonna con Bambino. Poco sopra eccoci di nuovo sulla strada asfaltata, che ora seguiamo per un buon tratto, passando a valle di una splendida fascia di vigneti sostenuti da muretti a secco. Dopo pochi minuti siamo al ripiano che, sul lato destro della strada, ospita poche baite e la chiesetta di San Biagio alle Vigne (m. 472), mentre sul lato opposto della strada una vasca in cemento raccoglie le acque di una sorgente.


San Biagio alle Vigne

La sgésa de san biàas ai végn, detta anche sgésa de sèlva piàna, è di origine secentesca (il portale, invece, reca incisa la data 1769), è dedicata anche a S. Giuseppe ed è stata restaurata nel 1953 dai “benefattori d’America”. A lato della chiesetta, ad est (sinistra per chi guarda al fondovalle) parte una mulattiera che scende verso sinistra, delimitata da muretti a secco. Nella ripida discesa la mulattiera piega leggermente a sinistra e passa a destra di un grande masso erratico, oltre il quale vediamo alla nostra sinistra il baitello dell’antica Latteria di San Biagio. Scendiamo ancora, mentre davanti a noi, ad est, l’orizzonte è chiuso dal poderoso fianco occidentale del Culmine di Dazio (la Colmen o il Culmen). In breve siamo alle baite dell’Acquamarcia. La mulattiera termina ad una fontana con doppia vasca, datata 1872. Il ristagno dell’acqua in qualche vicina pozza o la poca consistenza dell’acqua della fontana sono all’origine del nome del piccolo nucleo.


Selvapiana

Scendiamo ancora su una stradella che subito confluisce in una strada asfaltata, in passato chiamata “strada de santa crùus, scerìi, sèlva piàna”. Alla nostra destra una baita con un dipinto di Madonna con Bambino sulla facciata. Noi però andiamo in direzione opposta, verso est, sulla strada asfaltata che supera una valletta ed una fontana datata 1906 e passa fra le belle case di Selvapiana, uno dei meno noti ma più straordinari e panoramici fra i nuclei della Costiera dei Cech orientale.  Oltrepassate le case ed una stradina che scende alla nostra destra (la sfrutteremo al ritorno), proseguiamo verso est passando a destra di un grande masso erratico posto in posizione rialzata a lato della strada. Alla nostra destra uno splendido declivio di prati a gradoni, mentre sullo sfondo si staglia il versante orobico a monte di Talamona e l’imbocco della Val Tartano. Proseguiamo in leggera salita, superando una nuova cappelletta alla nostra sinistra con la raffigurazione di un crocifisso. Dopo un nuovo tratto in piano, giungiamo in vista delle prime baite che anticipano il nucleo di Cerido.
Quando la strada comincia a scendere piegando a destra, la lasciamo imboccando un sentierino che se ne stacca sulla sinistra. Il sentiero attraversa una selva, passando poco a monte ed a sinistra della splendida conca prativa dell’agriturismo La Pecora Nera, e termina alle case del nucleo di Cerido ("scerìi, m. 508), attestato per la prima volta in un documento del 1357, nella forma "Zerido", che regala un'atmosfera unica e davvero suggestiva.
Un nucleo ricco di storia e di una curiosa e simpatica umanità. Basti pensare ad alcuni soprannomi delle famiglie che un tempo lo popolavano, e che si sono trasferiti ai luoghi. Un gruppo di case e terreni è chiamato "cagazéchìn": vi abitava un tal Venina, cui non faceva difetto certamente il buonumore, e che era solito raccontare, con aria serissima e compresa, delle straordinarie qualità del suo asino, parente, alla lontana, della famosa gallina dalle uova d'oro, dato che quello (l'asino, s'intende), quando andava di corpo, non deponeva a terra vile sterco, ma preziosissimi zecchini d'oro. Un altro gruppo di case è denominato "orài", dal soprannome di un ramo della famiglia Alberti, un componente della quale, emigrato in America e tornato al paese natìo, intercalava ogni frase con un sonoro "all right", nel quale esprimeva tutta l'ammirazione per quel lontano e grande paese. Un terzo gruppo di case era quello dei "giascgià", dal soprannome di un ramo della famiglia Busnarda, derivato dalla curiosa abitudine di un suo componente: lo incontravi, e ti salutava con un "Ehilà, ehilà."; gli chiedevi come stesse, e ti sentivi rispondere un "Bene, bene"; ti lamentavi che le stagioni non sono più quelle di una volta, ed avevi come risposta un cenno di assenso ed un convinto "Già, già..." Per chiudere con un'ultima pennellata queste scarne note di colore, varrà la pena di ricordare che a Cerido venne, molti e molti anni or sono, avvistato un animale più unico che raro, il "ghetùn ghèt", "gattone gatto", una sorta di folletto, alto un’ottantina di centimetri, con le orecchie appuntite e pelose, le lunghe braccia, le dita dotate di unghie affilate e gli occhi giallastri e fosforescenti, che brillavano, sinistri e diabolici, sul far della sera e nel cuore della notte, terrore dei bambini disubbidienti. Una lince, forse.
Rapide pennellate sulla Cerido degli anni trenta del secolo scorso si trovano nello splendido affresco della Naguarido di quei tempi tracciato da Ines Busnarda Luzzi in "Case di sassi " (Edizioni Lo Faro, 1980): "Cerido è il nome di una frazioncina di poche case, diviso in due fra il comune di Civo e quello di Morbegno, ma che è sotto la giurisdizione della parrocchia di Roncaglia. Da gennaio a marzo vi abita parte della gente di Vallate e parte di quella di Naguarido, che vi possiede terreni e case. D'inverno il luogo è caldo. Ma non è per questo che vi si trasmigra, ma per far mangiare alle bestie il fieno che si è raccolto, per concimare i prati e lavorare le vigne, perché noi il vino si faceva lì e le nostre cantine erano a Cerido. Ora anche Cerido è quasi abbandonato e poche vigne sono ancora coltivate. E' a Cerido "basso" che pochi mesi fa (siamo nel 1980) è stato riscoperto il famoso torchio che faceva il nostro vino, che risulta il più antico torchio conosciuto in Italia. Il tempo e vandali l'hanno devastato e di esso non rimangono che i pezzi mastodontici che non si sono potuti asportare: nel locale il tetto è crollato e le pareti stanno per farlo. Anche noi vi avevamo una casa, ben soleggiata, ma meno comoda di quella di Naguarido. Io ci stavo mal volentieri perché in quel periodo mi trovavo isolata e senza amiche; non avevamo la luce elettrica e la sera per non consumare petrolio, si cenava, a volte, alla luce del fuoco e si andava a dormire alle otto, o anche prima."
Raggiunte le case di Cerido, vedremo facilmente anche un cartello che ci indirizza al Torchio di Cerido, quello menzionato dalla Busnarda. Si tratta di un piccolo museo della civiltà contadina, un torchio vinario e di un frantoio oleario del secolo XVII (funzionanti fino agli anni '40 del secolo scorso), cui si sono aggiunti altri interessanti oggetti della vita contadina nei secoli passati (gerli, tini e tinozze, stadere, irroratori, mazze, stai, ceste, pentole, lampade, borracce, cappelli, e così via). Per visitare il torchio bisogna contattare il Comune di Morbegno al numero 0342/606207, dal lunedì al venerdì in orario 9-12, oppure via email all'associazione info@evaltellina.com.
Scendiamo ora lungo la strada asfaltata che dopo un paio di tornanti confluisce nella strada provinciale che dal Ponte di Ganda sale a Dazio. Prima di raggiungerla, però, imbocchiamo una stradella che sale verso destra, raggiungendo il ripiano in cima al Dosso del Visconte, dove si trova la splendida chiesetta di San Nazzaro. Siamo in località Dosso del Visconte ("dossum sancti Nazarij, nel secolo XV, "dòs del viscùunt" o semplicemente "el dòs", con voce dialettale). La denominazione è legata al fatto che in epoca medievale probabilmente qui sorgeva un castello (di cui si sono perse le tracce), dimora del Visconte di Valtellina, investito della signoria sull'intera valle. Se così è, negli oscuri secoli IX e X il baricentro della Valtellina era qui. Oggi sul sagrato della chiesa regna quasi sempre una profondissima quiete, rotta veramente, forse, solo l'ultima domenica di luglio, quando si celebra la festa dei santi Nazzaro e Celso. Di fronte alla facciata della chiesa c’è una cappella, con un dipinto presso il quale vale la pena sostare e meditare, perché apre uno squarcio storico di cui ci parla Giustino Renato Orsini nella sua Storia di Morbegno (Sondrio, 1959): “Le condizioni economiche della Valtellina, assai depresse dopo il suo passaggio ai Grigioni (1512) e per il distacco della Lombardia, cominciavano lentamente a risollevarsi per effetto dell'emigrazione. I nostri massicci montanari, pieni di buon volere, lasciavano in piccole frotte 11 loro paesello per recarsi nei luoghi più lontani: i Chiavennaschi a Palermo, a Napoli, a Roma, a Venezia e persino in Francia, a Vienna, nella Germania e nella Polonia: a Napoli i Delebiesi e quelli di Cosio Valtellino; a Napoli, Genova e Livorno quelli di Sacco; pure a Livorno ed Ancona i terrieri di Bema e di Valle; a Venezia quelli di Pedesina; a Verona quelli di Gerola; a Roma, Napoli e Livorno quelli d'Ardenno. Numerosi muratori e costruttori di tetti emigravano in Germania; e i montanari della Valmalenco si spargevano come barulli nei più diversi paesi. Un quadro assai mediocre nella cappella antistante alla chiesa di S. Nazzaro in Cermeledo ci ritrae questi emigranti che, scalzi e in misere vesti, curvi sotto il loro fardello, arrivano ad un porto e ringraziano la B. Vergine del viaggio compiuto. Ma la meta preferita, specialmente dai terrieri della zona dei Cech, da Dubino sino a Vervio, fu Roma, dove il Pontefice, anche per sostenere la fede cattolica combattuta dai Grigioni, accordò loro protezione e privilegi. Nella dogana di terra in piazza S. Pietro furono loro riservati ventiquattro posti di facchini, e alcuni posti anche nell'ospedale dell'Isola Tiberina; formavano pure la compagnia dell'annona, come facchini, misuratori e macinatori di granaglie; e furono detti Grigi, provenendo da luoghi dominati dai Grigioni. Perciò il cardinale Pallavicino chiamò ingiuriosamente la nostra valle patria dei facchini. Effettivamente fu quello il loro prima impiego, nel quale salirono anche al grado di capo-squadra, come vediamo dal nome assunto dai Caporali di Cino e dai Caporali di Dazio…”
Nei pressi della chiesa, ad ovest, si trova il centro della Comunità di recupero di ex-tossicodipendenti denominata “La Centralina” (insediata nell'edificio dell'ex "colonia de scèrmelée", o "uspìzi", sede, fino al 1977, della Colonia estiva Martinelli dell'orfanotrofio femminile provinciale di Morbegno). Ecco cosa scrive di questi luoghi Giovanni Guler von Weineck, governatore per le Tre Leghe Grigie della Valtellina nel 1587-88, nell'opera "Rhaetia", pubblicata a Zurigo nel 1616: “Dopo Cermeledo vi è un luogo chiamato Dosso del Visconte: ivi in antico sorgeva un vetusto castello, che in seguito passò alla famiglia dei Castelli San Nazaro, patrizi di Como. Essi poi, fra Cermeledo e il castello edificarono una chiesa in onore di S. Nazaro, omonima ad altra chiesa che sorgeva in Como, presso il loro castello, e donde la famiglia aveva assunto il suo titolo e nome di Castelli San Nazaro.”
Ridiscendiamo lungo la stradella e portiamoci alla strada Dazio, e cominciamo a scendere verso ovest, fino ad una piazzola che si trova sul lato sinistro della strada, per la fermata degli autobus. Sul lato destro, invece, parte un ripido sentiero che risale il ripido versante, come segnala un cartello che indica Selvapiana. Il sentierino piega subito a sinistra e raggiunge le case più basse di Selvapiana. Passiamo fra le case ed a destra dell’ingresso di una casa nobiliare, raggiungendo la piazzola davanti alla chiesetta di San Giuseppe. Sulla facciata un dipinto del santo, con l’immancabile giglio nella mano sinistra ed il Bambin Gesù nella destra. Qui scendevano, fino agli anni cinquanta del secolo scorso, i contadini di Civo per i lavori estivi nelle vigne. Anche la scuola elementare per qualche settimana scendeva con loro.


Selvapiana

Saliamo ancora per breve tratto su una stradella, che piega a destra e si riconduce con la strada che traversa a Cerido e che abbiamo già percorso all’andata. Ripercorriamo dunque i nostri passi verso sinistra e ripassiamo per la baita con un dipinto sulla facciata. Proseguiamo diritti sulla carrozzabile attraversando una nuova fascia di vigneti. Siamo alle case di Marsellenico (marsalènech), nucleo in territorio del comune di Morbegno, di origine assai antica (è sicuramente citato, nella forma “Masxalinico”, in un documento del 992, e forse, nella forma “Marcellisco”, in un più antico documento del 843). Qualche palma, più in basso, testimonia dell’eccezionale mitezza del clima. La successiva moderata salita ci regala un colpo d’occhio ottimo su Campovico ed il fiume Adda. Superata una fontanella, vediamo, in alto, proprio nel mezzo della fascia di vigne che caratterizza il versante, due enormi massi erratici di granito, fermatisi, chissà come, proprio lì. Il più grande è chiamato “corna de riègn”; poco più in alto la già menzionata chiesetta di San Biagio alle vigne. Dopo una breve salita, torniamo alla strada Santa Croce-Civo. Ridiscendiamo infine alle case di Santa Croce, terminando la camminata al parcheggio dove abbiamo lasciato l’automobile.


Marsellenico

CARTA DEL PERCORSO sulla base della Swisstopo, che ne detiene il Copyright. Ho aggiunto alla carta alcuni toponimi ed una traccia rossa continua (carrozzabili, piste) o puntinata (mulattiere, sentieri). Apri qui la carta on-line

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