Tutti conoscono la celeberrima figura di Robin Hood, il bandito buono
che, nell'Inghilterra medievale del perfido Giovanni Senza Terra, rubava
ai ricchi per dare ai poveri. Pensate sia possibile tradurre tale figura
in italiano? Non nel senso linguistico, perché un Pettirosso Cappuccio
(così, letteralmente, andrebbe tradotto) suonerebbe come nome più buffo
che fascinoso. Intendo: esiste qualche analoga figura in Italia? Trasponendoci
ad un'epoca ben più vicina a noi, la prima metà dell'Ottocento, ed anche
ad un contesto geografico prossimo alla Valtellina (cioè l'alta Val
Brembana, alle soglie del passo di San Marco), troviamo proprio quel
che cerchiamo.
Si tratta del Pacin Paciana, mitico bandito giustiziere realmente
esistito, inafferrabile primula rossa dalla parte degli umili contadini,
la cui figura, però, sfuma in larga misura nella leggenda. Il nome
sembra suggerire la fisionomia di un personaggio bonario. Era, invece,
un tipo ben determinato e deciso, che si macchiò anche di omicidi nella
sua lunga pratica del brigantaggio. Ciò che rese la sua figura quasi
mitica, al di là ed al di qua del crinale orobico che segna il confine
fra Val Brembana e Valle del Bitto di Albaredo, era una caratteristica
singolare: depredava solo i ricchi, e non perdeva l'occasione per
aiutare i più poveri. Per questo si diffusero diversi racconti,
probabilmente amplificati da un'aura di leggenda, delle sue gesta.
Costituiva
motivo di vanto, per i contadini di quel tempo, poter dire di averlo
visto, di averlo incrociato, anche solo per pochi istanti, armato di
fiero cipiglio ed anche di ben più concrete armi, nei pressi del passo
di San Marco, o in qualche altro luogo della via Prìula, che dal passo
scende fino a Morbegno, soprattutto nei pressi dell'alpe di Orta Vaga, o
anche più in basso, nei pressi del Dosso Chierico. Non solo: in molte
baite, che si sapeva frequentate occasionalmente da lui, era
consuetudine lasciare cibo, bevande e legna, perché potesse trovare,
soprattutto nei rigori dell'inverno, non solo ricovero, ma anche
adeguato ristoro. E nessuno osava approfittare di questa disponibilità
senza sorveglianza, nonostante fossero tempi nei quali fame e stenti
fornivano più di un motivo per cadere in tentazione. Insomma, era
diventato una specie di simbolo del risentito spirito di rivolta che
covava nell'animo della gente di montagna contro un'autorità sentita
come lontana, quando non oppressiva.
Accadde così, una volta, che il bandito, ferito in uno scontro appena
al di là del passo di San Marco, fosse portato, dai suoi compagni, in
Valle di Albaredo, dove potevano trovare diversi nascondigli sicuri.
Venne chiamato, allora, un medico che godeva di notevole fama, per aver
ben operato nella cura dei feriti delle battaglie di Solferino e San
Martino del 1859, fra i più sanguinosi episodi risorgimentali. Si
trattava di Carlo Cotta, che accettò di prestargli soccorso, e lo fece
in una stalla di una località sicura, nottetempo e nel più rigoroso
segreto. Ne
ebbe in compenso, non avendo voluto accettare denaro, un orologio, che i
suoi discendenti conservarono come prezioso cimelio.
Come finì la storia del Paciana? Le cronache raccontano che ebbe la
peggio in un nuovo scontro, venne catturato e giustiziato, ma
nell'immaginario popolare l'epilogo fu più glorioso: la giustizia
ingiusta non l'ebbe mai, ed egli rimase, anche dopo la morte, come
simbolo del desiderio di riscatto degli umili.
La sua storia è riportata nel
bel libro intitolato "Morbegno", di Giulio Perotti, pubblicato nel 1992
a cura della Cooperativa Turistica Pan.
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