Apri qui una panoramica sull'alta Valmalenco vista dal passo delle Tre Mogge

Punti di partenza ed arrivo
Tempo necessario
Dislivello in altezza
in m.
Difficoltà (T=turistica, E=escursionistica, EE=per escursionisti esperti)
Parcheggio alpe Braccia-Rifugio longoni-Passo Tremoggia
4 h e 15 min
1360
E
Chiareggio-Rifugio longoni-Passo Tremoggia
4 h e 30 min
1390
E
SINTESI. Raggiunta Chiesa in Valmalenco, proseguiamo alla volta di San Giuseppe (m. 1433), dove lasciamo la strada, che prosegue per Prìmolo, salendo, sulla destra, in direzione dell’alpe Palù. Incontriamo ben presto il rifugio Sasso Nero (m. 1520), presso il quale si trova un ampio piazzale, e proseguiamo salendo, verso i Barchi: in corrispondenza del secondo tornante destrorso troviamo, sulla sinistra, la deviazione per il rifugio Longoni. La imbocchismo proseguendo su una stradina che si conclude al parcheggio dei Prati della Costa (m. 1678). Lasciata qui l'automobile, ci incamminiamo (o cominciamo a pedalare) sulla pista sterrata chiusa al traffico dei veicoli non autorizzati. Dopo pochi tornanti ed un lungo traverso, raggiungiamo l'alpe di Entova (m. 1939). Qui saliamo lungo i prati a sinistra delle baite al vicino cartello che segnala, alla nostra sinistra, la partenza del sentiero che sale diretto in una macchia di pini mughi, intercettando di nuovo la pista più in alto. Torniamo a camminare sulla pista e dopo pochi tornanti siamo allo slargo dove parte, segnalato, il sentiero per il rifugio Longoni. Lasciamo la pista ed imbocchiamo il largo sentiero che sale ripido sul versante di sfasciumi e pini mughi, verso nord-ovest, intercettando il sentiero che seguito verso destra porta al rifugio Longoni (m. 2450). Dopo la visita al rifugio, torniamo sui nostri passi, fino al punto in cui il sentiero che sale dalla piazzola intercetta quello per i rifugio. Qui siamo ad un trivio segnalato da cartelli, e prendiamo a destra (indicazioni per il passo, dir. nord-nord-est). Nel primo tratto seguiamo i segnavia rosso-bianco-rossi, passando a fatica fra grandi massi, poi troviamo una traccia di sentiero che si fa largo, con andamento quasi pianeggiante, in una fascia di massi meno grandi e meno caotici. Raggiungiamo, così, uno sperone roccioso, che dobbiamo tagliare (breve passaggio esposto, servito da una piccola corda fissa). Proseguiamo, a ridosso di grandi roccioni, per un ulteriore tratto, fino a raggiungere una zona più tranquilla, nella quale la traccia si dipana fra magri pascoli, piccoli corsi d’acqua, massi e rocce arrotondate. Un tratto in leggera discesa ci porta nel cuore di una modesta conca, a sinistra di una formazione rocciosa, che prelude all’ingresso nell’ampia piana, o meglio, nell’ampio pendio dalla pendenza assai modesta, che si apre, a quota 2500 circa, a nord-est della conca dell’alpe Fora. Proseguiamo in direzione di un primo grande masso rossastro, sul quale è ben visibile un bollo bianco con bordo rosso. Oltre questo primo masso, ne troviamo altri tre, più grandi: dobbiamo attraversare un torrentello e dirigerci verso quello di sinistra, che, visto da vicino, rivela una curiosa spaccatura che sembra doverlo tagliare in due. Proseguendo nella medesima direzione, cioè con una diagonale verso nord-ovest (sinistra), ci portiamo sul limite di un poco pronunciato dosso erboso: qui la traccia comincia a salire puntando, diritta, verso nord. Ai pascoli si sostituisce un terreno di sfasciumi, fra i quali il sentiero prosegue, salendo sempre diritto, ma con pendenza non accentuata. Troviamo, così, alla nostra sinistra un nevaietto, che fiancheggiamo per un buon tratto, per poi attraversarne la parte terminale, verso sinistra. Il sentiero affronta, ora, con ripidi tornantini, un dosso erboso, descrivendo, poi, una diagonale su un versante erboso meno severo. Raggiunto e superato un valloncello, ritroviamo una serie di ripidi tornantini che si snodano in un sistema di speroni rocciosi ricoperti da pascoli e ci conducono, dopo un passaggio un po’ esposto sul limite superiore di un ripido vallone, al limite inferiore di una vasta fascia di sfasciumi. La traccia qui si fa meno evidente, ma è sempre visibile (è qui segnalata da alcuni bolli rossi), ed attraversa in diagonale, risalendola in direzione nord-ovest (sinistra), la fascia (scénc' del cavàl). Raggiungiamo così il suo limite superiore, in corrispondenza di un torrentello: siamo a quota 2927, ad un’ampia conca terminale, la cui parte inferiore ospita uno splendido laghetto, dal quale esce il piccolo corso d’acqua (laghèt di tremögi). Seguendo la traccia ed i segnavia, saliamo ad un primo dosso. La traccia piega, infine, leggermente a destra, puntando al passo Tremoggia (m. 3014).


Apri qui una fotomappa degli accessi al rifugio Longoni

Il passo delle Tre Mogge (o, come anche si può chiamare, dal Tremoggia o, ancora, di Tremogge; buchèta o pas di tremögi) prende il nome dal pizzo che, sulla testata dell’alta Valmalenco (val del màler), si trova immediatamente ad oriente. Si tratta di un passo alto, posto, com’è, a 3014 metri, sulla costiera che divide la Valtellina dall’Engadina, in territorio svizzero, un passo, quindi, non agevole (anche se la salita, dal versante italiano, non è difficile).
Non ha, dunque, come via di transito e di commercio, un rilievo paragonabile al suo illustre vicino occidentale, il ben più agevole e frequentato passo del Muretto (pas de mürét, l'antico monte dell'Oro, m. 2562). Eppure anch'esso era utilizzato come via commerciale: fin dal secolo XV lo raggiungeva una mulattiera che risaliva la cengia del cavallo. Per meglio comprendere la sua importanza nei secoli scorsi si tenga presente che la situazione climatica medievale fu caratterizzata da una fase di temperature mediamente elevate, tanto da rendere valicabili passi alpini che poi, durante la cosiddetta Piccola Era Glaciale (dalla seconda metà del Cinquecento agli inizi dell'Ottocento), tornarono a coprirsi di ghiacciai e quindi divennero impraticabili. Ciò accadde anche al passo del Tremoggia. Ancora agli inizi del Seicento, quando già l'inversione di tendenza era in atto, il segretario della Serenissima Repubblica di Venezia Giambattista Padavino (1560-1639) segnalava, nelle sue Relazione de’ Grisoni, 1605, e Relazione del governo et stato de’ Signori Svizzeri, 1608, l'esistenza di un passo che da Selvaplana permetteva di scendere in Valmalenco ed a Sondrio "passando il monte Mallencasco et una vedretta longa circa un miglio dove perpetuamente è ghiaccio et difficilissimo per cavalli". Il riferimento al passo del Tremoggia appare chiaro. Del resto, ancora agli inini del Novecento la via di discesa sul versante malenco presentava tratti accuratamente lastricati. Ma l'inizio del Seicento era anche l'inizio della fine per la sua praticabilità: il clima più rigido fece del vicino passo del Muretto la via di collegamento rivilegiata per il passaggio dall'Engadina alla Valtellina.


Apri qui una fotomappa della salita dal rifugio Longoni alla cengia del Cavallo

E' rimasto comunque intatto il suo peculiare fascino, legato non solo agli scenari splendidi dei quali è circondato, ma anche dalle suggestioni e riflessioni che suscita: è uno dei numerosi segni che ci fanno comprendere come la catena alpina unisca, più che dividere, popolazioni e cultura diverse. Il suo nome ("pas di tremògi") deriva dall'espressione dialettale "tremògi", che però non si riferiva solo al pizzo delle Tre Mogge, ma al complesso di elevazioni sulla cresta che corre dalla forca d'Entova (buchèta d’éntua o buchèl de la scaròlda) al passo delle Tremogge, vale a dire al pizzo omonimo, al pizzo Malenco ed alla Sassa d'Entova (sasa d’éntua): ecco spiegate le "tre mogge". Anticamente, però veniva chiamato anche "la muntagna de fèt", cioè la montagna delle pecore.
Vi passavano contrabbandieri ma anche lavoratori emigranti. Il passaggio, nei mesi invernali, era assai rischioso. Vi perse la vita, fra gli altri, Edorado Ragazzi, di Chiesa, che tornava al suo paese dall'Engadina per alcuni giorni di riposo. Lo uccise una scivolata sul ripito versante di Valmalenco durante una nevicata. Sopravvisse il suo compagno di Primolo, Giovanni dell'Agosto.
Per salire al passo dobbiamo partire dal rifugio Longoni del C.A.I. di Seregno, posto a 2450 metri, in una posizione molto panoramica, su un terrazzo roccioso ai piedi della dorsale che si stacca dal crinale italo-svizzero proprio in corrispondenza del pizzo Tramoggia, scendendo verso sud-sud-est. Si tratta della dorsale che, pur non presentando cime fra le più alte della Valmalenco, neignifica, costituisce, in certo modo, il cuore: si trova qui, infatti, accanto al già citato pizzo Tramoggia (m. 3441), sul limite di nord-ovest, ed al Sasso d’Entova (termine che significa, etimologicamente, posto fra due corsi d'acqua, dai termini lombardi "ent" ed "ova"m. 3329), sul limite di sud-est, quel pizzo Malenco (m. 3438), in mezzo ai due, che dà il nome all’intera valle.
Raggiungiamo, dunque, il rifugio Longoni. Per farlo abbiamo a disposizione due possibilità, in quanto possiamo partire dall’alpe Braccia, sopra San Giuseppe (san giüsèf o giüsèp), oppure da Chiareggio (da "clarus", nel senso di spoglio di alberi).
Nel primo caso dobbiamo raggiungere San Giuseppe, salendo a Chiesa Valmalenco (sgésa) e proseguendo verso l’alta Valmalenco (indicazioni per S. Giuseppe, dato a 5 km, e Chiareggio - da "clarus", nel senso di spoglio di alberi; cirècc, cirécc o ciarécc; in un documento del 1544 “gieregio” -), dato a 12 km. Dopo una serie di tornanti che ci fanno guadagnare rapidamente quota, sul fianco orientale dell’alta Valmalenco, segnato dalle cave di estrazione del serpentino, raggiungiamo l’ampia e ridente conca che ospita la nota località di villeggiatura (m. 1433), dominata, a nord, proprio dall’imponente versante montuoso che ospita le tre cime, cui si aggiunge, più ad ovest (sinistra), l’isolata e massiccia punta di Fora (sasa de fura o sasa ffura, m. 3363). Poco oltre la chiesetta, che vediamo a sinistra della strada, troviamo sulla destra, la deviazione per il rifugio Sasso Nero (m. 1520).


Apri qui una panoramica del sentiero che sale al passo del Tremoggia

Imbocchiamo, dunque, questa strada, che, in breve, ci porta al largo piazzale del rifugio, proseguendo, poi, in direzione dell’alpe Palù (la strada si fa più stretta e l’accesso ad essa è chiuso ai mezzi non autorizzati nella fascia oraria compresa fra le 12.00 e le 16.00). Al fondo in asfalto si sostituisce quello in terra battuta e, poco dopo, troviamo, sulla sinistra, una deviazione, con un cartello che dà il rifugio Longoni a 2 ore e mezza di cammino. Imbocchiamo, ora, questa pista, anch’essa sterrata e, dopo un primo tratto in discesa, proseguiamo salendo per qualche tornante, fino ad una sbarra ed un cartello che segnala la chiusura della strada ai mezzi non autorizzati.
Siamo a quota 1640, a monte dei Prati della Costa, nei pressi dell’alpe Braccia. Prima della sbarra un piazzale ci permette di parcheggiare l’automobile. A nord del piazzale si trova uno splendido pianoro, occupato da un bosco di larici: un cartello indica la partenza del sentiero segnalato che, dirigendosi verso est, attraversa il bosco, passa per il Paletto (m. 1622) ed il Barchetto (m. 1800) e raggiunge il rifugio Palù (toponimo assai diffuso, che deriva da "palude"m. 1947), presso il lago omonimo: si tratta di una variante bassa della quarta tappa dell’Alta Via della Valmalenco (Chiareggio -da "clarus", nel senso di spoglio di alberi -Palù -toponimo assai diffuso, che deriva da "palude"), oltre che di un’ottima occasione per una rilassante passeggiata in uno scenario splendido.
Noi, invece, dobbiamo dirigerci in direzione opposta, seguendo la pista sterrata, che effettua una serie di tornanti, prima di iniziare un lungo tratto quasi pianeggiante in direzione nord-nord-ovest, in direzione dell’alpe di Entova (termine che significa, etimologicamente, posto fra due corsi d'acqua, dai termini lombardi "ent" ed "ova"). La monotonia del percorso è temperata dall’ottimo panorama che si apre davanti a nostri occhi, verso ovest: possiamo ammirare, infatti, un suggestivo scorcio dell’alta Valmalenco, con la Val Bona, la sella del Forno (“buchèl bas”, in passato, “la buchèta”, “buchèta del fùren” o “buchèta del fórn”, più recentemente; m. 2775), il monte del Forno, a destra (fùren, o fórn, ma anche munt rus, m. 3214), la cima di Val Bona, al centro (m. 3033) e la cima di Vazzeda, a sinistra (m. 3301).


Apri qui una panoramica della Val Ventina e del monte Disgrazia dal sentiero che sale al passo

Lo scorcio è chiuso, sulla destra, dalla massiccia punta di Fora. Alle nostre spalle, invece, il colpo d’occhio taglia l’intero solco della Valmalenco, vegliato, sulla destra, dal monte Canale (m. 2522) e raggiunge la catena orobica. Se guardiamo alla nostra destra, cioè verso nord, infine, è il massiccio versante meridionale del Sasso d’Entova (termine che significa, etimologicamente, posto fra due corsi d'acqua, dai termini lombardi "ent" ed "ova") ad imporsi allo sguardo.


Il monte Disgrazia visto dal sentiero che sale al passo

Giunti nei pressi dell’alpe d’Entova, possiamo, poi, riconoscere, guardando di nuovo ad ovest, un ampio scorcio dell’inconfondibile testata della Val Sissone (val de sisùm) a sud-ovest di Chiareggio (da "clarus", nel senso di spoglio di alberi), che propone, da sinistra, la punta Baroni (m. 3203), il Monte Sissone ("sisùn", in Val Masino, "còrgn de sisùm" in Valmalenco, m. 3330) e le ravvicinate cime di Rosso (m. 3366) e di Vazzeda (m. 3301). A sud-ovest, infine, cioè alla nostra sinistra, il panorama propone in primo piano l’aspro versante montuoso sul quale si riconoscono, da destra, la punta Rosalba (m. 2803) ed il monte Braccia (m. 2906) e dietro il quale occhieggia la punta del Monte Disgrazia ("desgràzia", m. 3678).
L’alpe d’Entova, che raggiungiamo dopo aver superato il torrente Entovasco (éntuàsch), è posta a 1917 metri e si stende su un’ampia fascia di prati: a destra della strada troviamo le sue baite, a sinistra una solitaria croce in legno. Per abbreviare un po’ il percorso possiamo, ora, lasciare la pista sterrata ed imboccare un sentiero segnalato, che parte dalla cima dei prati a sinistra (ovest) delle baite. Troviamo, sulla nostra destra, il segnavia e l’indicazione per il rifugio Longoni. Raggiunto il limite del bosco, il sentiero comincia a guadagnare quota, salendo in una splendida macchia nella quale ai larici si sostituiscono, dopo il primo tratto, i pini mughi. In alcuni tratti si aprono scorci panoramici che ci permettono di scorgere, in basso, il laghetto di Entova (termine che significa, etimologicamente, posto fra due corsi d'acqua, dai termini lombardi "ent" ed "ova"), nei pressi dell’alpe, a sud-ovest.
Dopo una lunga traversata in direzione nord-ovest, il sentiero termina intercettando di nuovo, ad un tornante sinistrorso, la pista sterrata, in corrispondenza di un ometto. Riprendiamo, dunque, a salire lungo la pista, fino a trovare, al secondo tornante destrorso, un piccolo spiazzo e la deviazione, a sinistra, ampiamente segnalata (su un grande masso) per il rifugio Longoni. Lasciamo, quindi, a destra la pista che prosegue per l’ex-rifugio Entova-Scerscen e cominciamo a salire seguendo un sentiero che, nel primo tratto, attraversa una fascia di pini mughi, per poi risalire un ripido versante di magri pascoli, ai piedi di un sistema di speroni rocciosi che nascondono alla vista il rifugio.
È un tratto piuttosto faticoso, ed una sosta potrà permetterci di ammirare, a sud-ovest, l’imponente cima del Monte Disgrazia ("desgràzia"), ora ben visibile, a sinistra del poco pronunciato monte Pioda ("sciöma da piöda", m. 3431) e del difficile Passo di Mello ("pas de mèl", m. 2992), che permette di passare dall’alta Valmalenco alla valle omonima, in Val Masino. Vediamo, ora, anche la vedretta del versante settentrionale del Disgrazia, ghiacciaio che mostra i segni di un sensibile ritiro.
Riprendiamo a salire, affacciandoci all’ampia conca dell’alpe Fora, che si apre, sotto di noi, a 2053 metri: il rifugio non si vede, ma una bandiera italiana ne annuncia la presenza. Alla fine intercettiamo il sentiero che sale dall’alpe: percorrendolo verso destra, raggiungiamo l’ampio terrazzo sul quale è posto, a quota 2450, il rifugio Longoni, aperto generalmente dall’inizio di luglio (per informazioni sull’apertura possiamo telefonare ai numeri 0342451120, 0342556402, 3483110010). Siamo in cammino da circa due ore e un quarto, ed abbiamo superato un dislivello di 800 metri.


Laghetto ai piedi del passo dal Tremoggia

Vediamo, ora, come giungere fin qui partendo da Chiareggio (da "clarus", nel senso di spoglio di alberi, m. 1612). Se scegliamo questa seconda possibilità (che propone un dislivello leggermente superiore alla prima, ma ha uno sviluppo minore), dobbiamo portarci all'ingresso di Chiareggio (da Chiareggio al rifugio Palù), che ci fanno imboccare, sulla destra, una strada carrozzabile, la quale, dopo un breve tratto, conduce ad al sentiero mineralogico, dove troviamo gli esempi delle diverse rocce che caratterizzano il variegato panorama della Valmalenco. Seguendo i segnavia (che fino all'alpe Fora sono nella maggior parte dei casi bandierine rosso-bianco-rosse, spesso sovrapposte ai triangoli gialli dell'Alta Via) e lasciando alle nostre spalle le case di Corti (m. 1638), entriamo, poi, in un fresco bosco e, superato il torrente della val Novasco, saliamo, con una lunga diagonale verso nord-est, fino a raggiungere il limite inferiore dell'alpe Fora, sul lato occidentale della val Forasco (furàsch).


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All'uscita dal bosco si impongono subito alla nostra attenzione due cime, il pizzo Tremoggia (m. 3441) ed il pizzo Malenco (m. 3438). Il primo è di grande interesse, in quanto presenta la particolarità di essere rivestito di roccia dolomitica. Alla sua sinistra si trova, su una ben visibile depressione del crinale, il passo di Tremoggia (buchèta o pas di tremögi, m. 3014), la nostra meta finale. Non meno interessante è il panorama che ci si offre sul lato opposto, cioè verso sud-ovest: qui è la parete nord del Monte Disgrazia ad imporsi. Il sentiero risale i prati inferiori dell'alpe e, dopo un ultimo ripido tratto, guadagna il pianoro che prelude alla conca dell'alpe. Superato un torrentello, raggiungiamo la conca dell'alpe Fora (alp de fura de dint), a 2053 metri, che si configura come un grande e splendido terrazzo, impreziosito da un laghetto nel quale si specchiano il Monte Disgrazia e l'intera testata della Val Sissone. L'alpe è chiusa, a monte, da alcune cascate, che scendono dagli scuri gradoni rocciosi.


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L'Alta Via prosegue verso sud-est: attraversata l'alpe, dobbiamo superare, con una salita non severa, una fascia di lisce rocce, prima di raggiungere un trivio: i cartelli ci indicano che scendendo a destra raggiungiamo la strada per San Giuseppe, salendo a sinistra ci dirigiamo verso il passo di Tremoggia, proseguendo diritti raggiungiamo, dopo pochi minuti, la bandiera italiana che precede di poco il rifugio Longoni. Il rifugio, che, per questa seconda via, viene raggiunto dopo circa 2 ore e mezza di cammino (il dislivello è di 830 metri circa) ci offre l’opportunità di ristorarci ampiamente, prima di intraprendere la seconda parte dell’escursione, vale a dire la salita al passo.
Durante la sosta, possiamo godere l’ottimo panorama che ci propone innanzitutto, a destra, il regale profilo del Monte Disgrazia ("desgràzia"), alla cui destra si dispiega la già citata testata della Val Sissone ed alla cui sinistra si vedono le più modeste punte del pizzo Cassandra (m. 3226) e della cima del Duca (m. 2968), in Val Ventina (val de la venténa). Interessante, però, è anche il panorama alla nostra sinistra, cioè verso est: si possono riconoscere, dal limite estremo di sinistra, l’inconfondibile pizzo Scalino (m. 3323), la punta Painale (m. 3248) e la vetta di Rhon (o, più correttamente, Ron, da "ronchi", m. 3137), in Val Painale (alta Val di Togno).
Torniamo, ora, al trivio: su un grande masso si trova l’indicazione della partenza del sentiero per il passo. Sentiero per modo di dire: nel primo tratto, infatti, l’itinerario, tracciato dai segnavia rosso-bianco-rossi, si districa a fatica fra grandi massi, che demoralizzano un po’. In breve, però, per fortuna, il cammino si fa meno faticoso, e troviamo una traccia di sentiero che si fa largo, con andamento quasi pianeggiante, in una fascia di massi meno grandi e meno caotici. Raggiungiamo, così, uno sperone roccioso, che dobbiamo tagliare: è il tratto che richiede maggiore attenzione, perché impone un breve passaggio esposto, servito da una piccola corda fissa.
Superato, con la dovuta prudenza, questo passaggio proseguiamo, a ridosso di grandi roccioni, per un ulteriore tratto, fino a raggiungere una zona più tranquilla, nella quale la traccia si dipana fra magri pascoli, piccoli corsi d’acqua, massi e rocce arrotondate. Un tratto in leggera discesa ci porta nel cuore di una modesta conca, a sinistra di una formazione rocciosa, che prelude all’ingresso nell’ampia piana, o meglio, nell’ampio pendio dalla pendenza assai modesta, che si apre, a quota 2500 circa, a nord-est della conca dell’alpe Fora. Lo scenario è dominato, dall’alto, dai pizzi Tremoggia, a sinistra, e Malenco, a destra, e da alcuni grandi massi. A sinistra del pizzo Tremoggia scorgiamo la depressione del passo.
Proseguiamo in direzione di un primo grande masso rossastro, sul quale è ben visibile un bollo bianco con bordo rosso. Oltre questo primo masso, ne troviamo altri tre, più grandi: dobbiamo attraversare un torrentello e dirigerci verso quello di sinistra, che, visto da vicino, rivela una curiosa spaccatura che sembra doverlo tagliare in due.
Proseguendo nella medesima direzione, cioè con una diagonale verso nord-ovest (sinistra), ci portiamo sul limite di un poco pronunciato dosso erboso: qui la traccia comincia a salire puntando, diritta, verso nord. Ai pascoli si sostituisce un terreno di sfasciumi, fra i quali il sentiero prosegue, salendo sempre diritto, ma con pendenza non accentuata. Troviamo, così, alla nostra sinistra un nevaietto, che fiancheggiamo per un buon tratto, per poi attraversarne la parte terminale, verso sinistra.
Il sentiero affronta, ora, con ripidi tornantini, un dosso erboso, descrivendo, poi, una diagonale su un versante erboso meno severo. Raggiunto e superato un valloncello, ritroviamo una serie di ripidi tornantini che si snodano in un sistema di speroni rocciosi ricoperti da pascoli e ci conducono, dopo un passaggio un po’ esposto sul limite superiore di un ripido vallone, al limite inferiore di una vasta fascia di sfasciumi. La traccia qui si fa meno evidente, ma è sempre visibile (è qui segnalata da alcuni bolli rossi), ed attraversa in diagonale, risalendola in direzione nord-ovest (sinistra), la fascia (scénc' del cavàl). Raggiungiamo così il suo limite superiore, in corrispondenza di un torrentello: abbiamo l’impressione che il passo sia lì, ma in realtà siamo approdati, a quota 2927, ad un’ampia conca terminale, la cui parte inferiore ospita uno splendido laghetto, dal quale esce il piccolo corso d’acqua (laghèt di tremögi).


Apri qui una fotomappa del sentiero che sale al passo dal Tremoggia

Dove sia il passo, non lo si coglie immediatamente: parrebbe, infatti, collocato su un’ampia sella raggiunta da qualche estremo magro pascolo, alla nostra sinistra. In realtà è un po’ più a destra, ed è collocato su un modesto intaglio, riconoscibile anche da un piccolo corno roccioso che si trova immediatamente alla sua destra. Ci attende, dunque, l’ultima salita: seguendo la traccia ed i segnavia, affrontiamo un primo dosso e, guadagnando quota, scorgiamo sotto di noi, alla nostra destra un secondo laghetto gemello, immediatamente a monte del primo. I due laghetti, ai piedi di un ampio nevaio, sono dominati dal massiccio versante sud-occidentale del pizzo Tremoggia, che sembra guardarci severo, alla nostra destra.


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La traccia piega, infine, leggermente a destra, puntando al passo Tremoggia, che raggiungiamo, alla fine, dopo circa due ore di cammino dal rifugio Longoni (il dislivello dal rifugio è di circa 560 metri). Siamo a 3014 metri di quota, e lo scenario che si apre sul versante svizzero è davvero sorprendente: ai piedi del passo di stende il ghiacciaio o vedretta dal Tremoggia, oltre la quale, in basso, si apre la diritta, verde e pianeggiante Val di Fex (da "fet", "feta", pecora), che sfocia nell’Engadina, dove riconosciamo anche il lembo orientale dell’ampio Lei da Segl, cioè del Lago di Segl. Sullo sfondo, la distesa maestosa delle cime settentrionali dell’Engadina.
Alla nostra destra, la punta del pizzo Tremoggia, muta testimone della nostra gioia e commozione: ci sono volute oltre quattro ore di cammino per giungere fin qui, ma ora di questa fatica non rimane quasi più neppure il ricordo, di fronte alla silenziosa bellezza che si offre ai nostri occhi.
Giunti fin qui, non possiamo non sostare per ascoltare la leggenda del pizzo delle Tre Mogge. La racconta Ermanno Sagliani, nel suo bel volume "Tutto Valmalenco" (Edizioni Press, Milano, 977):


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"Quando, salendo la Val Malenco, si arriva nella piana di S. Giuseppe, si vede in alto tra le vette di roccia scura una cima dalle rocce stranamente chiare: il Pizzo Tremogge. Nei pascoli sottostanti, si dice che un tempo lontanissimo vivesse Gina, una giovane pastora di Somprato che d'estate saliva all'alpe a pascolare il bestiame.
Gina era sola al mondo, orfana dei genitori, uccisi da una frana e rimasti sepolti lassù sotto il Passo del Cavai (Passo Tremogge) mentre raccoglievano fiori di genziana ed erbe alpine. La giovane pastora si recava spesso sulle sponde di un piccolo specchio di acqua solitario e dimenticato, conosciuto solo da qualche mandriano, forse il Lago d'Entova.
Qui Gina restava lunghe ore, triste e sola, pensando ai giorni sereni in cui il padre le spiegava le meraviglie dei boschi e delle montagne ed ella ascoltava senza stancarsi mai.
Il ricordo le fece un giorno sentire più amara e triste la solitudine e invocò l'anima dei genitori perché presto la chiamassero a loro. Al tramonto s'incamminò pensosa verso la baita e guardando in alto sopra il Passo del Cavai, le parve che le vette dei monti fossero diventate stranamente pallide. Gina si spaventò e sentendosi prendere da un malessere, si coricò addormentandosi.
Quando si sentì bene tornò a pascolare le mandrie al lago. Ora le vette lassù le apparivano grandi e scure come sempre. Non trovava pace senza l'affetto della sua famiglia e Gina non poté trattenere qualche lacrima che, cadendo nel lago, fece degli anelli, come delle aureole in cui le apparve la visione di un bel volto femminile in un velo azzurro: la Madonna. "Gina, le anime dei tuoi genitori che tanto hai invocato ti vogliono a loro - le parve di udire da una voce soave - Lassù sulla cima più alta di tutte, che ai raggi della luna diventa d'argento". Da quel giorno Gina fu colta spesso dallo stesso improvviso malore ed un giorno i mandriani non la videro tornare più dal lago. La cercarono per un giorno intero e quando il sole scendeva e la valle era già piena d'ombre e soltanto molto in alto, sulle cime dei monti, splendeva ancora la luce del tramonto, i contadini videro con emozione le ombre dei genitori di Gina portare su verso le vette il corpo inanimato della piccola pastora coperto di fiori azzurri.
Da quel tempo lontano, le Tre Mogge del Pizzo, se non lo sapete, rappresentano tre anime: quella di Gina e dei suoi genitori. Le rocce scure della montagna che appare d'argento ai raggi di luna sono diventate stranamente candide, come appaiono tuttora.


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CARTA DEL PERCORSO sulla base della Swisstopo, che ne detiene il Copyright. Ho aggiunto alla carta alcuni toponimi ed una traccia rossa continua (carrozzabili, piste) o puntinata (mulattiere, sentieri). Apri qui la carta on-line

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