Magia e splendore del Cervino della Valmalenco
Il pizzo Scalino, con i suoi pur ragguardevoli 3323 metri, non può competere in altezza con nessuna delle cime della testata della Valmalenco. Nonostante ciò è l’indiscussa icona della valle e si è meritato anche la definizione, forse un po’ enfatica, di “Cervino della Valmalenco”, per due motivi: la sua elegante forma piramidale e la posizione defilata che lo rende ben visibile da Chiesa Valmalenco e da buona parte della valle. Ad aumentarne il fascino una densa aura di mistero legata alla sua fama di monte magico, rocca dissimulata che nasconde cavalieri e dame che tornano periodicamente a far rivivere disfide che lo scorrere del tempo non può consegnare all’oblio. Il panorama superbo della sua cima, di accessibilità non difficile anche se non banale, completa il quadro di una cima dal fascino che conosce pochi eguali, che ha alimentato più di una leggenda.
Ermanno Sagliani (da "Tutto Valmalenco", Edizioni Press, Milano) racconta: "A Caspoggio lo sanno bene che il Pizzo Scalino non è una montagna; lo sanno da sempre e sanno pure qual è il momento esatto in cui si manifesta nella sua vera essenza. Alla mezzanotte, allorché il plenilunio imbianca lo spettrale ghiacciaio, una campana nascosta sulla vetta suona i pesanti rintocchi: in quel momento la montagna diviene un grande castello che sulla cima del suo torrione inalbera una croce sfolgorante nella notte. Esso si illumina e si anima mentre sul ghiacciaio passano saettanti cavalli montati da fantastici cavalieri, i cui neri mantelli svolazzano attorno alle spettrali figure. Soltanto quando la luna arriva a toccare il profilo del castello tutto ritorna lentamente nell'ombra e nel silenzio. Ma gli abitanti di Caspoggio e soprattutto i mandriani di Prabello o di Campagneda hanno visto ben di peggio. Nelle terribili notti in cui infuria la tempesta i cavalieri morti corrono sui loro scheletrici cavalli in corsa pazza sulle creste spazzate dal vento, urlando spaventosamente, scontrandosi tra loro in furibonde battaglie, illuminate dal bagliore dei fulmini. Meglio è allora chiudere bene le porte della baita e ritirarsi al letto pregando fervidamente Iddio."
La piramide di questa cima è costituita da scisti cristallini scuri, solcati da una più chiara fascia di sedimenti calcarei e dolomitici, che risalgono al Triassico ed al Giurassico.
Quest’ultima è la più importante perché viene utilizzata per la salita al pizzo dagli escursionisti che non vi trovano difficoltà di livello alpinistico. La sua conformazione quasi scalinata suggerisce l’origine del toponimo, attestato fin dalle carte più antiche. I primi a porvi piede furono probabilmente i topografi che nel 1830 vi lasciarono un segnale usato per le misurazioni che consentirono tre anni dopo di dare alle stampe la carta topografica del Lombardo-Veneto. La prima alpinistica dello Scalino risale invece al 22 giugno 1866, quando proprio per la cresta sud-est vi salirono gli inglesi F. F. Tuckett e F. A. Y. Brown, accompagnati da C. Almer e F. Andermatten.
Le due vie più frequentemente utilizzate per la salita (fra le più praticate in Valmalenco) partono dal rifugio Cristina all’alpe Prabello. Più lunga ma priva dell’impegno della traversata su ghiacciaio è quella che sfrutta il passo degli Ometti e l’alta Val Painale (parte terminale della Val di Togno).
RIFUGIO CRISTINA-PASSO DEGLI OMETTI-PIZZO SCALINO
Imbocchiamo, dunque, da Sondrio, la strada provinciale n. 15 della Valmalenco, portandoci dal lato sinistro a quello destro della valle (per chi sale) appena prima di Torre; rimaniamo, quindi, sul lato destro e, salendo, lasciamo sulla sinistra Chiesa Valmalenco (sgésa, 15,5 km da Sondrio); ad una rotonda prendiamo, poi, a destra ed attraversiamo Lanzada (il comune nel cui territorio rientra la val Poschavina, così come buona parte della Val Lanterna). Oltre Lanzada, la strada prosegue per Campo Franscia (localmente solo “franscia”), a 8 km da Lanzada, che raggiungiamo dopo aver attraversato le impressionanti gallerie scavate nei roccioni strapiombanti della Val Lanterna. Da Campo Franscia proseguiamo per altri 6 km, concludendo la salita all’inizio della sterrata che percorre il lato orientale dell’invaso di Campomoro.
Qui lasciamo l’automobile (1990 metri circa) e cominciamo a salire, in corrispondenza del bar-ristoro Poschiavina, sul sentiero per il rifugio Zoia (indicazioni per il rifugio Zoia e per il rifugio Cristina all'alpe Campagneda), collocato poco più in alto rispetto al piano della strada. Dopo un paio di tornanti, siamo al rifugio, che ha una storia interessante. Venne, infatti, inaugurato l'8 dicembre del 1929 dalla sezione CAI di Milano. Era stato voluto dal prof. Luigi Zoia e dalla madre, per commemorare i fratelli Alfonso e Raffaello Zoia tragicamente periti nel 1896, sulle rocce del Gridone. Danneggiato durante la II Guerra Mondiale, venne ristrutturato dalla sottosezione Tecnomasio.
Lasciamo, dunque, il rifugio alla nostra destra e proseguiamo sulla larga mulattiera, che conduce all’alpe Campagneda, puntando ad un gruppo di roccioni che costituiscono la propaggine sud-occidentale del monte Spondascia. Dopo un tratto diritto, cominciamo a salire con diversi tornanti, fra radi larici che incorniciano, verso sud-ovest, la solitaria e regale cima del monte Disgrazia, che si eleva alle spalle del monte Motta (“sas òlt”, riconoscibile per l’edificio costruito alla sommità degli impianti di risalita di Chiesa) e, a sud-est, l’altrettanto solitaria e regolare piramide del pizzo Scalino, vero nume tutelare di questi luoghi, che, visto da qui, sembra giustificare la leggenda che lo vuole monte magico, abitato da spiriti che presiedono al regolare scorrere del tempo e da cavalieri che ingaggiano, nelle notti di luna piena, spettrali duelli.
Oltrepassato un primo roccione verticale, raggiungiamo, dopo una breve discesa e risalita, un secondo e più impressionante roccione, a quota 2100 metri. Una targa dice che si tratta della “Falesia dello Zoia. Un dono dell’amico Vigne”, con riferimento allo scalatore che ha attrezzato diverse vie di salita (che, viste dal basso, paiono praticabili solo ad esseri umani mutanti, con palmi della mano, naso e ginocchia a ventosa). Questa parete non è, peraltro, anonima: è nota localmente come “sas negru”, per le cupe venature che la percorrono.
Poco oltre, incontriamo, alla nostra sinistra, un roccione levigato, di modesta pendenza, sul cui limite inferiore è posto un cartello con scritto “Monte Spondascia 2867 m.” Ignorata la deviazione a sinistra per questa cima, proseguiamo fino ad una valletta, nella quale il sentiero procede a lato di un torrentello (alla nostra sinistra), fino a raggiungere una sterrata, che piega a sinistra e lo scavalca con un ponticello. Siamo all'alpe Campagneda e riconosciamo il singolare profilo del rifugio Ca Runcasch (m. 2166). La sterrata si biforca ed un cartello segnala, nella direzione di destra, l'alpe Prabello ed il rifugio Cristina, dati a mezzora (sentiero 346/1).
Procediamo, dunque, verso destra, in direzione dell'agriturismo "Il Cornetto", ma quasi subito ci stacchiamo dalla sterrata per prendere un sentiero alla nostra sinistra e superare, su ponticelli in legno, due corsi d'acqua. Procediamo, ora, in direzione sud-ovest e riprendiamo a salire, fra rocce levigate, radi larici e rododendri. Raggiunta una piana, attraversiamo il torrentello che la percorre (ponticello in legno) e volgiamo leggermente a sinistra (direzione sud), fino ad intercettare un sentiero che sale dalla nostra destra (si tratta del sentiero che si stacca dalla sterrata che dalla strada Franscia-Campomoro sale all'alpe Campagneda; cfr. secondo itinerario di accesso al rifugio).
Iniziamo la traversata incamminandoci sul sentiero
della settima tappa dell’Alta Via della Valmalenco, in direzione
nord, cioè verso la depressione che si staglia, ben visibile,
in lontananza ed alla cui sommità è collocato il passo
di Campagneda.
In diversi punti vediamo una traccia di sentiero, che però spesso di perde. Di qui l’importanza di prestare attenzione ai segnavia, attenendosi alla regola aurea di non procedere oltre un segnavia senza prima aver individuato il successivo. Ci sono, per la verità, anche numerosi ometti che accompagnano la nostra salita: il passo deve il suo nome alla loro presenza. Procediamo, dunque, su un tracciato piuttosto ripido, seguendo una direttrice che tende con molta gradualità a destra rispetto alla verticale che porta al crinale.
Guadagniamo, in questo modo, rapidamente quota, ma una prima fascia di grandi massi rallenta di molto la salita. Oltretutto proprio qui i segnavia sono meno facili da individuare (per esempio, raggiunto un grande masso con un segnavia ben visibile disegnato sopra, potremmo spendere parecchio tempo nell’inutile ricerca del successivo, che se ne sta nascosto dietro la piega del masso medesimo, ad indicare che la salita deve procedere alla sua sinistra, in prossimità del bordo di un nevaietto.
Una diagonale ci fa, poi, allontanare dal nevaio, ed un successivo traverso ci porta a sormontare un dosso poco pronunciato che sta alla nostra destra, per poi affrontare una nuova fascia di massi.
Nel caso si dovesse perdere il riferimento dei segnavia, si tenga presente, per non sbagliare, che l’ultima parte del tracciato corre a pochi metri dal piede roccioso del crinale, verso destra, per cui, nel dubbio, alziamoci un poco verso tale piede, piuttosto che procedere troppo nella direzione alla nostra destra, dove potremmo ritrovarci sul limite di canalini esposti. Chi legge capirà da sé che un tracciato siffatto va accuratamente evitato in caso di condizioni di scarsa visibilità.
Bene: dopo gli ultimi sforzi ginnico-scimmieschi, ecco di nuovo la traccia di sentiero, che ci porta, con un ultimo traverso a destra, all’intaglio del passo degli Ometti, posto, a 2766 metri, proprio laddove la fascia rocciosa del crinale lascia il posto ad un terreno erboso. In realtà, non si tratta di un vero e proprio intaglio, tanto che il passo non è individuabile dal rifugio Cristina, se non si sa che è collocato laddove alla roccia subentra il crinale erboso. Canalone che sale alla cresta del pizzo Scalino Raggiunto il passo, dobbiamo stare attenti a non seguire le bandierine che dettano il tracciato della lunga traversata (quasi in piano, nel primo tratto) che porta al passo Forame (Sentiero Italia). Dobbiamo invece prendere a sinistra, salendo su debole traccia (radi bolli ci aiutano) senza allontanarci troppo dal crinale che separa l'alta Val Painale dalla Valmalenco. Guadagniamo così quota abbastanza rapidamente, fino a raggiungere una larga pietraia che si stende ai piedi del versante meridionale del pizzo Scalino. Procediamo ora in direzione di un evidente canalone di sfasciumi che separa la severa parete meridionale del pizzo Scalino (elegantissimo anche da qui, con la grande croce che lo sormonta), a sinistra, dall’appena pronunciata cima di Val Fontana, a destra.
All'attacco del canalone si trova talora un nevaietto ed è visibile un grosso bollo rosso contornato di bianco, con la sigla "R. C.". Saliamo diritti verso la ben visibile selletta terminale del canalone, su terreno faticoso e sempre più ripido di sfasciumi (attenzione ai massi che possono precipitare anche perché messi in movimento da escursionisti che procedono più in alto), sfruttando tracce di passaggio, fino a guadagnare la selletta che si affaccia a nord sull’ampia spianata della Vedretta del Pizzo Scalino. Ci raggiunge qui, da destra, un sentiero che con tratto pianeggiante traversa la cresta della cima di Val di Togno (lo sfruttando coloro che salgono al pizzo Scalino dal rifugio Cederna Maffina, in Val Forame – alta Val Fontana - ).
Alla nostra sinistra la rampa di blocchi e rocce rossastre che costituisce la cresta sud-orientale del pizzo Scalino. Procediamo in quella direzione, seguendo nel primo tratto il sentiero che corre appena sotto la cresta, sul versante della Val Painale. Ben presto ci portiamo alla cresta e cominciamo a salire seguendone il filo (solo in un tratto ci appoggiamo leggermente a sinistra), districandoci con un po’ di attenzione fra grandi blocchi di micascisto e gneiss muscovitico, fino alla grande croce della vetta.
Il panorama è assolutamente di prim’ordine. Lo sguardo raggiunge ad oriente, oltre le Prealpi comasche, i lontani massicci del Monviso, del Gran Paradiso e del Monte Rosa. Procedendo verso destra distinguiamo, nel gruppo del Masino, le vicine cime del Desenigo, del monte Spluga, dei Corni Bruciati, del monte Disgrazia, seguito dai pizzi Cassandra e Ventina, già in territorio malenco.
Volgendo ancora in senso orario, verso nord-ovest, vediamo la testata della Val Sissone, con la punta Baroni, il monte Sissone e le cime di Rosso e di Vazzeda. Dietro l’elegante piramide del monte del Forno si intravvedono, di nuovo nel gruppo del Masino, i pizzi Torrone, la punta Rasica e la cima di Castello. Alla sua destra, nella Bregaglia Elvetica, la cima di Cantone, la punta Casnile ed il pizzo Bacone. Alle loro spalle spuntano le lontane cime dell’Oberland bernese.
Procedendo verso destra vediamo l’imponente gruppo del Bernina, nel quale spiccano i pizzi Roseg, Scerscen, Bernina, Agrient, Zupò e Palù. Davanti a loro i più tozzi ma poderosi monte delle Forbici, Sasso Nero, Sasso Moro e monte Spondascia. Il piz Varuna chiude questa carrellata sull’angolo nord-orientale della Valmalenco. Verso nord-est si vedono, più lontani, in alta Valtellina, il gruppo del Paradisino e la cima Piazzi. Ad est lo sguardo raggiunge il poderoso gruppo dell’Ortles-Cevedale e quello dell’Adamello. Più vicine, a sud-est, le cime della Val Fontana, con il pizzo Canciano in primo piano, e più lontani i pizzi Malgina e Combolo.
Più a destra si impongono le cime della dorsale che separa la Val Fontana dalla Val di Togno, cioè la punta Painale e la vetta di Ron. Ed ancora, a sud, appena più a destra, la dorsale fra Val di Togno e Valmalenco, con i monti Acquanera e Cavaglia. A sud si dispiega l’intera catena orobica, che propone, da sinistra, cioè da est, il gruppo del Venerocolo, il monte Gleno, i pizzi di Coca, Scais e Redorta, il pizzo del Diavolo di Tenda, il pizzo dei Tre Signori ed il monte Legnone, sul confine occidentale della catena. Testata della Val Malenco vista dal pizzo Scalino RIFUGIO CRISTINA-CORNETTO-PIZZO SCALINO
Molto sfruttata anche la via di salita che dal rifugio Cristina passa per il Cornetto e la vedretta del pizzo Scalino. In questo caso, tuttavia, si deve procedere su un ghiacciaio crepacciato, che non propone difficoltà rilevanti, ma richiede tutta la prudenza e tutti gli accorgimenti imposti dalla presenza di crepacci.
Lasciamo il rifugio Cristina procedendo verso nord-est, seguendo le indicazioni della settima tappa dell’Alta Via della Valmalenco (cioè procedendo sul sentiero che porta ai laghi ed al passo di Campagneda). Ignoriamo la deviazione a destra per il passo degli Ometti. Più avanti, però, lasciamo l’alta via prendendo la deviazione segnalata a destra per il Cornetto (modesto spuntone di roccia che si distingue in cima al ripido versante che vediamo alla nostra destra).
Procediamo ora verso ovest, seguendo una debole traccia che sale sul ripido versante fra magri pascoli e sfasciumi, fino a raggiungerne il limite nei pressi dello spuntone roccioso del Cornetto (m. 2848). Ci affacciamo così al ripiano superiore della vedretta del pizzo Scalino. Ci troviamo sul ciglio di una conca superata la quale mettiamo piede sul limite del ghiacciaio. Salita una rampa, segnata da qualche crepaccio che ovviamente superiamo con attenzione, raggiungiamo il corpo principale del ghiacciaio Procediamo salendo gradualmente verso sud, passando a sinistra della cresta settentrionale del pizzo Scalino e superando altri più marcati crepacci in direzione del colletto o ampia sella fra il pizzo Scalino e la cima di Val Fontana.
Ci attende la più marcata crepaccia terminale, che va aggirata con la massima attenzione, ed un ripido breve scivolo, che a stagione inoltrata può presentare ghiaccio scoperto, prima di raggiungere il colletto e di affacciarci all’alta Val Painale. L'ultimo tratto di salita su roccette è attrezzato con corde fisse.
Il ritiro della vedretta renderà in futuro la salita per questa via sempre più problematica, per cui è sempre bene informarsi delle condizioni della vedretta medesima presso il rifugio Cristina.
Sul crinale intercettiamo la via di salita sopra descritta, che sale dall’alta Val Painale. Prendiamo a destra e, dopo un breve tratto appena sotto la cresta, sul versante della Val di Togno, attacchiamo la cresta sud-orientale e ne seguiamo il filo (in un solo punto ci appoggiamo leggermente a sinistra) fino alla cima del pizzo Scalino (m. 3323).
Possiamo combinare ad anello questa via di salita alla precedente percorrendo quest'ultima a rovescio per tornare al rifugio Cristina. In questo caso, ridiscesi al colletto, non mettiamo piede sulla vedretta del pizzo Scalino ma procediamo sulla cresta imboccando ben presto il ripido canalone di detriti che scende al nevaietto ai piedi della parete sud del pizzo Scalino.
Scendiamo poi in diagonale verso destra (sud-ovest), fra magri pascoli, puntando alla riconoscibile selletta del passo degli Ometti (m. 2758; qualche segnavia ci aiuta), dalla quale ci riaffacciamo all'ampia spianata degli alpeggi Prabello-Campagneda.
Cominciamo a scendere prestando molta attenzione, soprattutto nella prima parte: non procediamo diritti, ma pieghiamo a destra, in leggera discesa, fra grandi blocchi (i pochi bolli non ci sono di grande aiuto), poi raggiungiamo il ripido versante e scendiamo più diretti fra ghaioni, terriccio e strisce erbose, spostandoci di tanto in tanto verso destra, fino ad intercettare l'Alta Via della Valmalenco che, percorsa verso sinistra, in breve ci riporta al rifugio Cristina.
RIFUGIO CEDERNA-MAFFINA - PIZZO SCALINO
Anche il rifugio Cederna-Maffina (m. 2582), in Val Forame (alta Val Fontana), può essere un ottimo punto di appoggio per la salita al pizzo Scalino. Lasciato il rifugio, saliamo seguendo un tubo dell'acquia fino ad una palina con segnavia ed indicazioni per il passo di Forame. Non le seguiamo ma procediamo salendo quasi sulla sua verticale, in direzione della testata della valle, puntando agli evidenti affioramenti di rocce bianche, calcaree, ed in particolare ad una grande placca bianca.
Qui giunti, pieghiamo a sinistra (lasciando la placca alla nostra destra) e procediamo in direzione nord-ovest, procedendo fra pietraie e chiazze di neve, raggiungendo senza difficoltà il crinale che separa l'alta Val Fontana dalla Val Painale, alla quale ci affacciamo. Procediamo sulla cresta della cima di Val di Togno, sul versante della Val Painale, su una traccia di sentiero disegnata fra gli sfasciumi, fino alla selletta che si affaccia, sul lato destro, alla vedretta del pizzo Scalino.
Ci troviamo ora di fronte la rampa di blocchi e rocce rossastre che costituisce la cresta sud-orientale del pizzo Scalino. Procediamo in quella direzione, seguendo nel primo tratto il sentiero che corre appena sotto la cresta, sul versante della Val Painale. Ben presto ci portiamo alla cresta e cominciamo a salire seguendone il filo (solo in un tratto ci appoggiamo leggermente a sinistra), districandoci con un po’ di attenzione fra grandi blocchi di micascisto e gneiss muscovitico, fino alla grande croce della vetta del pizzo Scalino (m. 3323).
CARTA DEL PERCORSO sulla base della Swisstopo, che ne detiene il Copyright. Ho aggiunto alla carta alcuni toponimi ed una traccia rossa continua (carrozzabili, piste) o puntinata (mulattiere, sentieri). Apri qui la carta on-line ESCURSIONI E LEGGENDE A LANZADA
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